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venerdì 24 agosto 2018

Wagooba - Total Emotion

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Psichedelia/Glam
La Loa Rising, nata inizialmente da una costola della nota Lucifer Rising di Steve Sylvester, si prefiggeva l'intento di produrre quei combo che esulavano dai soliti cliché della scena alternativa italiana, portando in superficie stimolanti realtà musicali ancora sommerse. Stimolante è appunto il termine più appropriato per 'Total Emotion', album di debutto dei Wagooba (peraltro rimasto senza un seguito) e prima uscita sul mercato per la Loa Rising. I Wagooba nascono nel lontano 1987 e vantano nella loro line-up, in veste di sensualissima cantante/urlatrice, l'eclettica Stefania D'Alterio, ai tempi caporedattrice di "Mondo Culto" (era un portale dedicato alla "weird culture" e al cinema considerato di bassa lega) e nera sacerdotessa che ha curato per anni rubriche di "cultura apocalittica" per testate quali Psycho! e :Ritual:. Cosa ci si poteva aspettare dalla carismatica Stefania se non un disco dannato, torbido e terribilmente sexy? 'Total Emotion' si presentò al pubblico proprio così, un calderone di sonorità che traeva le proprie influenze dai generi musicali più disparati come street-rock, disco-music, glam e psichedelia ma che, soprattutto, assorbiva la sua viziosità dal gusto per una certa cultura cinematografica porno-trash anni '70. "Mirrorball Love", "Woodoo Wagon", "Overload Jesus", "El Coche Fantastico", la bellissima ballad "Malhombre": un concentrato di brani bollenti ed eccitanti, ricchi di una forte carica sessuale e non privi di una certa ironia, questo è 'Total Emotion'! La colonna sonora della deviazione e della passione, l'ideale punto d'incontro tra la carne e lo spirito che danzano eccitati in un dannato rituale. 'Total Emotion' mi ha spiazzato, stupito, divertito, in un'unica parola emozionato ed emozioni è quello che proverete anche voi appena vi sarete impossessati di questo disco e l'ascolterete... Come and meet Wagooba! (Roberto Alba)

Voices of Masada - Four Corners

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: British Goth Rock, Fields of the Nephilim
Quella dei Voices of Masada fu la classica sorpresa che non ti aspetti, ossia l'incontro con sonorità che credevi sepolte sotto una spessa coltre fatta di uscite discografiche mediocri, concepite con il solo intento di soddisfare un mercato che stava rifiorendo o intese unicamente ad emulare le gesta di qualche vecchia gloria gothic-rock. Per quanto le release Strobelight non raggiungessero sempre livelli qualitativi eccelsi, la condotta dell'etichetta austriaca parve discostarsi da tali politiche e, in particolare, i Voices of Masada sembravano intenzionati a creare belle canzoni, piuttosto che tentare di assomigliare ai Sisters o ai Fields of the Nephilim. I Voices of Masada rappresentavano senza dubbio una tra le punte di diamante della scuderia Strobelight ed è sufficiente un rapido ascolto di 'Four Corners' per riconoscere le qualità uniche del quartetto inglese (anzi, italo-inglese, vista la presenza al basso dell'ex-Burning Gates, Danny Tartaglia), che dopo aver rilasciato un altro album nel 2006, se ne sono perse le tracce. Melodie dalle tinte crepuscolari, gusto sopraffino negli arrangiamenti e cospicue dosi di energia sono le armi seduttive con le quali i quattro musicisti vogliono conquistarci e se il loro intento è quello di scuotere l'ascoltatore, brani graffianti come "Days of November" e "Flight" raggiungono l'obiettivo in pieno, inebriandoci con sonorità dalle sfumature ora grigie, ora più limpide e scintillanti. La preparazione tecnica dei Voices of Masada è un altro elemento da non sottovalutare, se vogliamo comprendere il valore di quello che fu il loro debutto, perciò, vale la pena di soffermarsi sull'enorme lavoro di chitarre di Eddie Martin e Rob Leydon, assaporandone ogni fraseggio. Si ascoltino ad esempio i delicati arpeggi di "Fragments" o lo splendido assolo finale di "Shine". Buona anche la prova al microfono di Raymon Shah, anche se la sua voce calda e conturbante avrebbe le potenzialità per arrischiarsi su scale ben più tortuose. British Goth al meglio della sua espressione. (Roberto Alba)

(Strobelight Records - 2004)
Voto: 75

https://voicesofmasada.bandcamp.com/album/four-corners

giovedì 23 agosto 2018

Overflowing - S/t

#PER CHI AMA: Alternative/Electro Music, Puscifer, Depeche Mode
Quando i primi secondi di "Blood is God" hanno invaso la mia stanza, ho immaginato la classica dance floor anni '80 con tanto di luci stroboscopiche e un giovane Tony Manero intento a ballare. Forse esagero un pochino visto che quella degli Overflowing non è proprio musica da discoteca bensì quello che si apprezza all'interno di questo brano (da cui peraltro è stato estratto un videoclip), è piuttosto un electro sound che evoca ad esempio i Depeche Mode più danzerecci. E dietro a questo moniker si cela Gian Maria Vannoni, musicista della Riviera Romagnola che propone cinque pezzi che si muovono all'interno di contorni non propriamente definiti. Se l'opener ammiccava appunto alla band di Dave Gahan e compagni, la seconda "How Far Now" è decisamente più compassata nel suo mite flusso sonico. Un mood che si conferma anche nella terza "Indigo", traccia dai suoni maturi che miscela una certa elettronica oscura da anni '80 con una più minimalistica no wave che arriva ad evocare addirittura i Genesis. "Youth", il quarto pezzo, è un malinconico beat di 150 secondi, mentre la conclusiva "Witch" ha modo di offrire gli ultimi tre minuti abbondanti di sonorità quasi trip-hop che chiamano in causa anche i Puscifer. Insomma, quello degli Overflowing è un EP che funge da antipasto a qualcosa che auspichiamo decisamente fuori dagli schemi. Seguire please nuovi sviluppi. (Francesco Scarci)

Veratrum - Visioni

#PER CHI AMA: Symph Death, Fleshgod Apocalypse
L'evoluzione dei Veratrum non trova sosta. 'Visioni' è il quarto lavoro della band bergamasca che mi trovo a recensire e dagli esordi brutal death/black, ora mi trovo tra le mani un disco che gode di ottime orchestrazioni, e che sembra aver virato ormai verso estremismi sonori dalle forti tinte sinfoniche. E io non posso che compiacermi di questa virata perché decisamente più vicina alle mie corde. Godo pertanto nell'ascoltare "Oltre il Vero", una song che alterna parti atmosferiche ad altre più isteriche e tirate, con le screaming vocals in italiano, sempre chiare e in primo piano. Ottima la componente solistica, ma sono soprattutto gli arrangiamenti a farla da padrone e conquistarmi con la loro magniloquenza e carica esoterica. Esoterismo ritual-demoniaco che trova sfogo nel breve intermezzo "Per Antares" che apre "L'Alchimista", song tiratissima ma che in sottofondo sfoggia sempre ottime orchestrazioni, ma di cui mi preme sottolineare la performance vocale di Haiwas, pungente e feroce quanto basta ma sempre intellegibile nei testi e questo non fa altro che permettermi di apprezzare anche i testi che sembrano godere di influenze "lovecraftiane". Sorprendente l'inizio de "La Stella Imperitura" con un chorus epico (che tornerà anche nel finale) che lascia subito posto alla tempesta cosmica scaturita dal continuo sferragliare in blast beat dei nostri, mitigato dall'imponente miscela sinfonica che ne costituisce il suo endoscheletro. Ottima anche qui la parte solistica a cura delle due asce formate da Haiwas e Rimmon, menti peraltro del progetto Voland. A chiudere l'EP, ecco un coro liturgico sorretto da un improbabile pianoforte e da un imprevedibile clarinetto a preparare il nuovo avvento targato Veratrum. Chissà cosa avrà da riservarci il futuro dei quattro demoniaci visionari italici. (Francesco Scarci) 

Krakow - Minus

#PER CHI AMA: Experimental Post Metal/Prog/Stoner
Proprio in questi giorni, è in uscita il nuovo album dei progsters norvegesi Krakow, band che milita nell'underground musicale dal 2005 e che ha all'attivo quattro album, un live, un paio di EP e qualche altra cosetta interessante. La Karisma Records si prende l'incarico di far uscire il nuovo 'Minus', dopo i precedenti trascorsi dell'act di Bergen presso la Dark Essence Records. Il risultato è rappresentato da sei tracce che miscelano un sound che ammicca ad un post metal americaneggiante venato di influenze prog stoner, sulla scia di quanto fatto da Mastodon e Baroness. Proposta interessante, forse un pochino scorbutica da assorbire ad un primo ascolto. Ne servono parecchi infatti per apprezzare la psichedelia folgorata e decadente di "The Stranger", song che vanta ipnotici sbalzi umorali che questa volta strizzano l'occhiolino ai Sonic Youth. Mai quanto i quasi dieci foschi minuti della title track: song calda, sinuosa, compassata (pure troppo), interamente strumentale (ed è un peccato non apprezzare qui la voce di Frode Kilvik, che peraltro ho scoperto essere anche il vocalist di Aeternus, Gravdal e parecchi altri), che da metà in poi cresce che è una meraviglia liberandosi in eterei frangenti post-rock, che ricordano i Cult of Luna più ispirati e criptici. Se poi non siete amanti di note suadenti, non temete, l'opener "Black Wandering Sun" saprà bacchettarvi a dovere con quel suo fare arrogante (soprattutto nel finale dove una guest star, Phil Campbell dei Motorhead, sciorina un ottimo assolo di musica rock) che cela un che del post grunge degli Alice in Chains che va a combinarsi con un incedere sludge, e dove a mettersi in mostra è la buona performance vocale di Frode. Il bravo frontman si conferma su buoni livelli anche nella stridula seconda traccia, "Sirens", song che evoca fortemente i Baroness e da cui è stato estratto anche un video. A chiudere il disco, ancora note semi-strumentali, quelle di "Tidlaus" che ci anestetizzano con semi-acustici paesaggi sonori autunnali, sostenuti da una componente vocale potente ed evocativa che sancisce l'eccellente lavoro fatto da questi ottimi musicisti norvegesi. Consigliatissimi. (Francesco Scarci)

(Karisma Records - 2018)
Voto: 80

https://krakow.bandcamp.com/album/minus

mercoledì 22 agosto 2018

Extremities - Gaia

#PER CHI AMA: Djent, Meshuggah, Tesseract
Orfana dei Textures, la scena djent trova gli eredi della band olandese nella stessa Olanda con gli Extremities. Esordienti nel 2016 con un EP, 'Rakshasa', il quintetto di Eindhoven sbarca in questo 2018 con un debutto sulla lunga distanza, 'Gaia'. Otto pezzi di durata più o meno cospicua ("The Inward Eye" dura addirittura 18 minuti) che identificano la proposta musicale del quintetto tulipano che vede in Meshuggah, Gojira e gli stessi Textures, i riferimenti principale per il proprio sound. L'apertura è affidata alla granitica "Colossus", che strizza inevitabilmente l'occhiolino ai godz svedesi con le immancabili chitarre poliritmiche ed un vocione che richiama il buon Jens Kidman, mentre la musica vede alcune variazioni di natura electro-grooveggiante che permettono ai nostri di meglio caratterizzare la propria proposta e non risultare dei puri emuli delle band sopra menzionate. E il risultato non può altro che beneficiarne, visto anche un break dal sapore post-rock che si staglia a metà brano. Le ritmiche si confermano, come da tradizione, sghembe e disarmoniche sul finire dell'opener ma anche in altri pezzi successivi, e penso alla devastante "War" o alla più ritmata e "Reanimate", forse la song più legata al djent dell'intero lotto. Più ruffiana invece "Circular Motions" con quell'utilizzo di vocals pulitissime in stile Tesseract, per una song che si muove in territori più alternativi (e che tornerà anche successivamente in "Hydrosphere" e nella melliflua "Through the Dreamscape") e che peraltro vanta una sezione solistica da urlo. Violento l'attacco di "Emissary", con uno stile a cavallo tra death e thrash che cita indistintamente Pantera e Nevermore. Arriviamo all'ultima "The Inward Eye", un mattone di quasi 18 minuti, in cui le chitarre duettano con un sax mostrando la vena sperimentale di cui sono dotati i nostri in un saliscendi emozionale che arriva a chiamare in causa anche i Pain of Salvation, per una traccia che miscela abilmente deathcore progressive, jazz, dream-pop, djent e post rock e che non pone limite alcuno alla proposta musicale degli Extremities, forse i veri designati eredi dei Textures. (Francesco Scarci)

(Painted Bass Records - 2018)
Voto: 75

https://extremitiesnl.bandcamp.com/

Kyterion - Inferno II

#PER CHI AMA: Swedish Black, Dark Funeral, Marduk
Dante Alighieri non ha fatto scuola solo nella letteratura o nel cinema (penso ad 'Inferno' di Dan Brown), ma anche a livello musicale con i bolognesi Kyterion a seguire le orme del maestro fiorentino attraverso il loro secondo capitolo 'Inferno II', ispirato appunto alla cantica omonima de 'La Divina Commedia', il tutto peraltro rigorosamente cantato in italiano vernacolare. Non deve fuorviare però l'utilizzo della nostra lingua del XIII secolo e farci pensare a qualcosa di medievale o folk abbinato al metal perché, per chi non conoscesse questo misterioso combo emiliano, la proposta è invece votata ad un infuocato e canonico black metal, come è giusto che sia se si vuole descrivere il calderone peccaminoso dell'Inferno dantesco. E cosi lungo le undici tappe incluse nel cd, non dobbiamo far altro che immergerci nella furia black di stampo scandinavo (scuola Dark Funeral, Necrophobic per intenderci), espletata dai quattro enigmatici membri dei Kyterion. Spazio quindi alle rasoiate ritmiche di "Mal Nati", "Dite", della più compassata "Pena Molesta" o di "Cerbero il Gran Vermo", tanto per citare i momenti più convincenti della prima metà del cd, poi a "Cocito" e "Vallon Tondo" le overture strumentali che introducono le successive "Dolenti Ne la Ghiaccia" e "Li 'Ndivini", in cui la veemenza del black nudo e crudo, continua ad aver la meglio. Peccato non aver introdotto qualche momento più ragionato o declamatorio, in cui potesse sentirsi forte l'influenza medievale del gran maestro nelle note di questo 'Inferno II' che perde ahimè la caratterizzazione legata al nome di Dante Alighieri. Questo per dire che 'Inferno II' poteva essere concepito in Svezia, negli Stati Uniti o in Cina, e la differenza non era assolutamente percepibile. Un peccato, perchè si poteva sfruttare in un modo diverso e forse più convincente. (Francesco Scarci)

(Subsound Records - 2018)
Voto: 60

https://kyterion.bandcamp.com/album/inferno-ii

martedì 21 agosto 2018

Giancarlo Onorato - Quantum

#PER CHI AMA: Rock cantautorale
Un songwriting palpitante e fervido di chiaroscuri sovente collocati in cinematica sospensione tra aspirazioni eteree e tentazioni carnali, apparentemente istintivo eppure, si sospetta, fattivamente cesellato canzone per canzone, nota dopo nota. Nei suoni, la distanza dal wave/post-wave italiano (Diaframma e Litfiba) degli Underground Life si assottiglia come linea di pensiero fino a compiersi, infinita e immaginifica. Fatta eccezione per "In Grazia", s'intende. La produzione, dilagante e caratterizzante eppure sapientemente misurata, fa venire in mente un po' il Daniel Lanois che si spende per Peter Gabriel ("La Norma dell'Attesa") e, un po' di più, il Gianni Maroccolo che si azzuffa con Giorgio Canali nei CSI (soprattutto "Scintillatori", ma anche altro). C'è tanto Nick Cave, nel pianoforte epico e dolente alla Bad Seeds early-90s, quelli di "Let Love In", in "Le Belle Cose", per esempio, o nel coro anodinico della successiva "Il Barocco del tuo Ventre", da confrontare con la maestà tragica di "Hallelujah". In Italia, Battiato (per motivi diversi: "Senza gravità" e "Primavera di Praga"), Claudio Rocchi e il secondo Battisti. Ehi, a proposito, capita anche a voi di canticchiare "I Giardini di Marzo" mentre ascoltate "Scintillatori"? No? Dite sul serio? (Alberto Calorosi)

(Lilium - 2017)
Voto: 80

http://www.giancarloonorato.it/

Roamer - What The Hell

#PER CHI AMA: Noise/Alternative
I Roamer sono quattro musicisti provenienti da Olten, città svizzera incastonata tra le montagne e attraversata da un fiume cristallino che ha sicuramente stimolato i sensi dei nostri ragazzi. Attivi dal 2011 con un paio di EP ed un album, sono tornati aprile scorso con il nuovo album 'What the Hell' edito dalla Czar of Revelations, ovvero il lato meno aggressivo dell'etichetta svizzera Czar of Crickets Productions (la Czar of Bullets infine si occupa di metal e genere affini). "Open my Pants" è la prima traccia e dopo poche battute veniamo scaraventati in una dimensione che non rispetta le comuni regole della fisica. La ritmica sintetica disturba a causa della sua non linearità, ma viene dominata da un basso baldanzoso e dal vocalist che ci sussurra all'orecchio con fare provocatorio. Finalmente il brano si distende, entrano le chitarre con un assolo a tratti dissonante, mentre il martellante e malizioso ritornello ci trasporta verso la conclusione di un brano scarno che ci lascia in bocca il sapore plastico di un noise/alternative pop. "Today" mischia le carte ricordando vagamente l'appeal degli Anathema grazie al pianoforte potente e alla kick drum pulsante, con lo sviluppo che prende poi una strada diversa fatta di una grande intensità ritmica dato dal supporto delle chitarre distorte. Nel frattempo il vocalist cerca melodie dal percorso inaspettato che alleggeriscono il mood del brano. Da una pazzia all'altra, è il momento della title track, "What the Hell", che spinge verso sonorità ancora più noise e pattern poco friendly che mettono alla prova l'orecchio pop rock dell'ascoltatore. Dopo il delirio cacofonico, tutto si ferma con uno stacco leggero di pianoforte e cantato, appesantito solo da un'imprecazione che viene scandita più volte fino alla chiusura. Per addolcire l'album, i Roamer ci deliziano con "Touchscreen" che gronda groove da tutte le parti grazie alla sezione di basso e batteria con gli immancabili innesti eterei, oramai marchio di fabbrica della band elvetica. Un brano che scivola bene, nonostante la composizione sia complessa, grazie agli arrangiamenti che a volte ricordano i Radiohead imbastarditi con i NIN quando serve un po' di grinta in più. Il livello compositivo si mantiene medio alto anche negli altri brani che si differenziano con qualche piccolo excursus alla QOTSA ("Rebel") o ancora NIN ("Number"), caratterizzati però sempre dal cantato che deve molto alla scuola brit dei vecchi Blur. 'What the Hell' è alla fine un album assai godibile, che spezza la monotonia di una serie di produzioni simili tra loro e con poca creatività. I Roamer hanno il merito di aver saputo forgiare un proprio stile che, nonostante lo scarso mainstream, gode del dovuto rispetto. (Michele Montanari)

(Czar of Revelations - 2018)
Voto: 75

https://roamer.bandcamp.com/album/what-the-hell

Moto Toscana - S/t

#PER CHI AMA: Stoner/Funk/Alternative
Uno strano nome, una strana formazione a tre, una scelta stilistica particolare con un sound stoner oriented ricercato e atipico. Il suono della band tedesca è caratterizzato dalla presenza di una batteria che riempie e fa da tappeto ad un basso distorto, padrone della scena, e ad una voce che mette ordine nelle strutture complesse delle composizioni. L'ottima performance del vocalist Andy, sensuale e allucinato alla perfezione, rende assai attraente il lavoro. Quel suo cantato a cavallo tra psichedelia e alternative metal anni novanta, è molto convincente cosi come il sostegno dietro le pelli di Chrisch. Discorso a parte per il basso che qui si rende il vero padrone, tutto è a suo carico, la melodia e le ritmiche pendono dalle sue corde visto che non ci sono altri strumenti utilizzati per arricchire il suono. Il bassista Michi si muove agile e sostiene molto bene le strutture tra bassi gravi e distorti, ritmiche funky, quasi in ricordo della Henry Rollins Band, ed escursioni stoner alla Core di 'The Hustle is On'; a volte il basso saltellante ricorda anche il tiro dei Rage Against the Machine ma Tom Morello non compare mai, e qui sta la particolarità della band e probabilmente anche il suo limite. Tutti i brani sono delle potenziali hit, suonate bene ed orecchiabili, fluidi, trascinanti, non presentano momenti bui e sono a tratti carichi di un vero magnetismo rock, che mi ricorda la musica degli allucinatissimi The Hypnothics, suonata però con tutto il peso di un mammut ed un virtuosismo spinto. L'album è sì interessante, ma non sarà ben accettato da tutti vista l'assenza di strumenti portanti, una chitarra o delle tastiere, cosi verosimilmente, molti lo reputeranno inspiegabilmente incompleto ed il disco risulterà di nicchia, non tanto per il fatto che i brani non siano buoni o troppo eccessivi, per il fatto che come già notato per gli OM, la combinazione di solo basso e batteria, alla lunga, porti a risultati ottimi ma per un pubblico di soli appassionati, musicisti, cultori e sperimentatori. Sicuramente dal vivo questo trio tedesco sarà uno spasso da vedere, e il loro disco, uscito per la Tonzonen Records, è sicuramente da ascoltare. Sono bravi e fantasiosi questi Moto Toscana, quanto bizzarra e coraggiosa è la loro proposta... certo è, che con brani del genere e un range di suoni più ampio, a questi tre preparati musicisti non resterebbe altro che diventare leggenda! (Bob Stoner)

(Tonzonen Records - 2018)
Voto: 75

https://mototoscana.bandcamp.com/releases

lunedì 13 agosto 2018

Firtan - Okeanos

#FOR FANS OF: Pagan/Black
Firtan is a well known German band founded in 2010 in Lörrach, a nice city located in Baden-Wüttemberg. From the first inception of this project there are only two original members left. Oliver König, who plays the bass and performs the backing vocals and Philipe Thienger, who plays the guitars, keys and the main vocals. They are accompanied by other two members who have joined the band in the last two years. Firtan plays a blend of pagan and black metal with an atmospheric touch played on the stage with a great passion. Their good performances helped them to carve a cult status among black metal fans across Europe. During these eight years the band has released two EPs and an interesting debut entitled 'Niedergang', reviewed on these pages.

Due to the line-up changes, it has taken some time to compose the sophomore album entitled 'Okeanos'. The second effort is always a pivotal release for any band, because it can confirm the potential of the debut, but it also demands a step forward in the band’s evolution. 'Okeanos' is thankfully a move forward for the band and it should confirm Firtan’s potential in this genre. The album opener “Seegang” is a truly powerful and long track, which sums up Firtan’s characteristics. As it is traditional with many German black metal bands, the vocals are truly powerful, very high pitched and full of hate. Philip makes a great job on vocals with polyvalent and strong screams which fit perfectly well the music. Musically speaking, the band sounds more progressive than ever, adding many tweaks to the compositions. The song flows easily from the heaviest and more straightforward sections to the instrumental and calmer ones, which act as a bridge to the next vigorous section. In those calm sections, acoustic guitars are a commonly used resource which works quite well. Other tracks follow a similar pattern, which is not bad at all, because it means that each track of the album is highly dynamic and brings a wide range of riffs and a progressive touch which make the compositions quite interesting. Though the album is clearly a guitar driven work, it contains some atmospheric touches in the form of occasional keys and the addition of some violins in “Nacht Verweil” and the beautiful and melancholic instrumental “Purpur”. Moreover, the band adds some interesting choirs which shine specially in “Uferlos”. They do sound solemn and dark making this track the most atmospheric one. It´s difficult to choose a favourite track but the closing epic song “Siebente, Letzte Einsamkeit” is indeed a serious contender. In its nine minutes, the composition contains all the characteristics that define this album. The background keys play a good role, while the guitars sound as strong and varied as ever. This is indeed a good way to close this second effort.

In conclusion, Firtan has achieved their target with 'Okeanos' which is supposed to happen with a sophomore album. 'Okeanos' sounds like a step forward reinforcing Firtan’s strong points and being a more mature release, with a stronger progressive nature. A band to follow. (Alain González Artola)


(Art of Propaganda - 2018)
Score: 80

https://firtan.bandcamp.com/album/okeanos

Lenore S. Fingers - All Things Lost on Earth

#PER CHI AMA: Gothic Rock, The Gathering, Anathema
Il secondo album dei calabresi Lenore S. Fingers uscito per la My Kingdom Music, conferma la linea intrapresa dal precedente 'Inner Tales', proponendo musica malinconica, piena di pathos con piccole digressioni progressive e incursioni mirate e controllate di metal gotico. La formula funziona alla perfezione e gli stacchi neo prog di "Rebirth" e della title track "All Things Lost on Earth", unite alla soave, decadente e romantica voce di Federica Lenore Catalano, completano un panorama sognante e cupo alla stessa maniera. Immancabile la vicinanza sonora con i The Gathering anche nelle lievi incursioni elettroniche (vedi la conclusiva "Ascension"), verosimilmente l'aver suonato con i Kirlian Camera deve aver avuto un certo effetto sulla straordinaria voce di Federica perchè il suo tono è sempre esposto al meglio, con una leggera venatura di nordic folk unita ad un tocco raffinato e di classe come poteva essere quello di Harriet Wheeler, regina dell'alternative britannico sotterraneo di fine anni ottanta/inizio novanta, e questo paragone è per me il valore aggiunto della band, che ha tra le sue armi, il potere e la volontà di riscrivere pagine di un genere abusato e per molti versi non più credibile. Così, arpeggi e voce in prima linea a costruire musica dalle tinte grigie, dall'umore triste, con chitarre distorte che escono al momento opportuno e il piano, colmo di note struggenti sul calar del post rock e del classicismo volto alla luna si uniscono per far uscire canzoni come "Lakeview's Ghost" o "Ever After" che simulano il piano di volo degli ultimi ancestrali Anathema. La vena di un gothic metal moderno e dinamico è sempre presente, la bravura dei musicisti si sente in ogni singola composizione, tra l'altro molto interessanti e ben sviluppate in un disco omogeneo ed interessante da ascoltare fino in fondo. Sorpresa sull'intro/ritornello in lingua madre di "Luciferines", anche se la resa migliore resta la lingua d'albione per questo tipo di approccio musicale. Una carrellata di brani ben studiati e sviluppati dove tutto è al posto giusto, buona la produzione che non spinge troppo sui canoni metal favorendo un ingresso naturale del cantato melodico anche nelle linee più dure mantenendo un'ottima naturale qualità d'ascolto. In quest'album niente è lasciato al caos nel nome dei maestri d'arme Novembre. La melodia e la malinconia sopra ogni cosa, uno splendido lavoro per una band in grande crescita. Consigliato l'ascolto. (Bob Stoner)