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giovedì 21 agosto 2014

Heretical - Daemonarchrist – Daemon Est Devs Inversvs

#PER CHI AMA: Black/Death, Morbid Angel, Necromass
Ero scettico, lo ammetto: quando ho inserito 'Daemonarchrist' nel lettore cd e ho sentito superficialmente il primo brano, mi aspettavo di trovarmi di fronte una sorta di clone dei Cradle of Filth. Mi sono sbagliato e anche di grosso. Ascoltando con maggiore attenzione "Averno Resurrecturis", non si possono non notare le ritmiche che strizzano l'occhiolino al death metal, pur sfrecciando indemoniate all'interno di un contesto puramente black. Quello che mi sorprende è che la band esista addirittura dal 1996 (1993 se consideriamo la loro forma primordiale col nome di Immolator), questo a testimonianza del fatto che, nonostante i 3 Lp pubblicati (più uno ancora nel cassetto), gli Heretical non siano dei pivellini di primo pelo e che magari non siano stati proprio i CoF a prendere spunto dai nostri ragazzi siciliani? A parte le mie personali congetture, la band di Caltanissetta, fresca di contratto con la Beyond Productions, rilascia questo dinamitardo concentrato di black iper tirato dall'incedere a tratti orchestrale. Della prima traccia abbiamo già detto in breve, mi lascio pertanto travolgere dalla furia celestiale di "Der Monarchristus", song che sgorga gemme di odio in ogni suo riff, anche dai suoi affilati assoli, che sembrano presi in prestito da un mostruoso duo costituito da Deicide e Morbid Angel. Ecco che i binari della morte e della fiamma nera si incrociano nuovamente, mentre nella liturgica e sinfonica "I Bleed Black", i nostri ci offrono del black sinfonico suonato in una vena death, tradita solamente dalla magniloquenza delle sue tastiere. Le maligne screaming vocals di Nefarius (a tratti in stile Dani) acuiscono la valenza black di questo cd, mentre da sottolineare la mostruosa prova di Arymon (Brisen, Schizo e ex Sinoath) dietro la batteria e di Orias alle keys, apprezzabile soprattutto nella tenebrosa cover dei Limbo, "Devastate e Liberate (Libro Primo)", che ci concede giusto tre minuti di visionarie atmosfere oscure, prima della deflagrazione di "The Gift, Lemegeton". I nostri tornano a pigiare sull'acceleratore come degli assatanati, regalandoci altre violente ritmiche estreme, sulla falsariga di quanto prodotto dai Maldoror di 'Ars Magika' o dagli esordi dei Necromass. La band mostra le sue qualità anche quando i tempi non sono necessariamente forsennati, costruendo grazie a Azmeroth (sia basso che chitarra), delle ritmiche assai articolate. In "Lvzifer Démasqvé" gli Heretical hanno modo di impreziosire ulteriormente il loro sound con un inserto di violino che dona una dose di magia all'album, che nei suoi tre episodi conclusivi, ha ancora modo di offrirci ottimi spunti. "Res Satanæ Creata" è un pezzo esoteric-ambient, "Cvm Clave Diaboli" furia cieca e la conclusiva "Demonmetal" ci garantisce gli ultimi attimi di death/black, con tanto di chorus thrashettoni. Il disco si chiude con un outro in cui ricompare il violino, strumento caldo e sensuale che termina degnamente un lavoro che trova il modo di sorprenderci (io avrei evitato) con una serie di tracce fantasma, fino alla 66 in cui la band si diletta in inutili suoni dal sapore noise. Ci saranno anche voluti 13 anni dal precedente album, ma ne è valsa fondamentalmente la pena. (Francesco Scarci)

(Beyond Productions - 2014)
Voto: 80

giovedì 12 giugno 2014

Aeons Confer – Symphonies of Saturnus

#PER CHI AMA: Progressive Death Dark, Augury, Anaal Nathrakh, Wintersun
Il sestetto di Amburgo ci coglie di sorpresa e ci lascia esterrefatti con un primo album pazzesco dove la forma epico oscura degli Anaal Nathrakh, la lucida e classica rigidità teatrale dei Wintersun, la potenza tecnica degli Augury e la variante sinfonica monumentale degli Empyrion riescono a sfociare tutte assieme in un unico album dai mille volti. La tecnica sopraffina e le più che incoraggianti e ricercatissime strutture di metal sinfonico si incontrano nel cammino di un death metal violento e glaciale, dalla doppia cassa devastante e dal suono al limite dell'industriale. Rumori, cori, elettronica minimale, tastiere mastodontiche, chitarre killer, tanto moderno metal (ascoltate "ESP" o "Aeonized") e un vocalist degno di tale nome sia nel growl che nel pulito. Numerose ed inaspettate aperture melodiche con forte ispirazione ad un freddo, oscuro e potente metal proiettato nel futuro, conferiscono un'impronta progressiva e concettuale all'intero lavoro. Questo è un disco spaventosamente pieno di idee, ragionate a lungo (9 anni di gestazione dal precedente EP!), suonato a dovere e carico di nitroglicerina pronta ad esplodere; un continuo intersecarsi di riff e umori contrastanti inghiottiti da un cantato magistrale. Tutto calza a pennello e niente scalfisce l'intero ascolto dei quattordici brani disseminati nei circa settantotto minuti dell'album. Tutto è legato come in un lungo concept da una colata di lava incandescente: velocità, melodia, drammaticità, teatralità e potenza al di fuori della norma. Ci fa rabbrividire di gioia pensare a quale sforzo creativo questa band teutonica si sia sottomessa e a quale apice sia approdata. Immaginate 'Timmo Tolkki's Avalon' in una forma oscura e oppressiva; visualizzate nella vostra mente una specie di musical in chiave death metal e avrete un'idea di ciò che vi aspetta. Aggiungete poi tanta tecnica, una bella dose di violenza, un suono professionale, un modus operandi e una scrittura musicale da dieci e lode privo di cadute, che non annoia, e che riesce a rivitalizzarsi ad ogni ascolto. Considerando che il tutto non è di facile approccio, rimarchiamo a gran voce che questo è un signor album! Fast and modern symphonic dark metal ritroviamo scritto sulla presentazione del cd... e nulla potrebbe descrivere meglio questo loro stupendo primo full lenght! Una band da non perdere di vista pronta per il grande passo! Gioiellino da avere! (Bob Stoner)

(Self - 2013)
Voto: 90

domenica 5 gennaio 2014

The Ruins of Beverast - Blood Vault - The Blazing Gospel of Heinrich Kramer

#FOR FANS OF: Occult Black/Death Symph.
Only in regards to a band of monumental calibre like The Ruins of Beverast could I call its latest album arguably the weakest of the four so far, and simultaneously laud it as one of the year’s strongest musical contenders. The Ruins of Beverast have long been black metal’s best kept secret, and since the gloriously psychotic 'Unlock the Shrine', the one-man act- a longtime creative outlet of former Nagelfar drummer Alexander von Meilenwald- he’s been releasing music that’s consistently blown me away for its ambitious scope and atmosphere. Of the three albums The Ruins of Beverast have already released, I have, upon different occasions, thought of each one as potentially being the greatest black metal album ever made. I’ll try to keep background introductions brief, but if you haven’t yet heard 'Unlock the Shrine', 'Rain Upon the Impure', or 'Foulest Semen of a Sheltered Elite', you have yet to hear some of the most impressive and atmospheric metal ever pressed to vinyl. Now completing a transition towards doom metal that began with the last album, 'Blood Vaults' is another expectedly excellent achievement, an hour-plus of music that’s as haunting and crushing as anything I’ve heard in the metal sphere this year. Incredibly high expectations aside, The Ruins of Beverast have delivered another masterpiece of atmosphere and intensity, with enough stylistic innovation to distinguish it from past work. This is blackened doom metal of ferocious quality. The sound of The Ruins of Beverast has evolved beautifully over the course of four albums. Although Von Meilenwald was performing something more along the lines of psychotic black metal in 2004 with 'Unlock the Shrine', each album has reinvented the project as something new. 'Rain Upon the Impure' took the black metal to arrogant extremes of atmosphere and composition, verging on a degree of ambition rivalled by Western classical tradition. 2009’s 'Foulest Semen of a Sheltered Elite' was another necessary reinvention; now that one summit had been topped, Von Meilenwald began infusing his brand of black metal with doom metal and psychedelia. To summarize, it shouldn’t be surprising to anyone that The Ruins of Beverast have drifted this far away from black metal conventions; even if TROB retains the same malefic atmosphere in the music, the means to getting there have certainly changed. The Ruins of Beverast’s familiar blend of choral sampling, chaotic production and cinematic vigour are made anew with a crushing heaviness and funereal pacing. Disregarding the fury and aggression inherent in the music’s execution, Von Meilenwald has taken a relatively reserved approach in writing the music this time around. Especially when compared to the sporadic rapture of 'Rain Upon the Impure', the pacing is kept fairly conservative, offering more vested concentration and fewer surprise turns. Although part of me misses the pleasantly mild shock of hearing something unpredictable, the songwriting enjoys a new maturity through its focus. A stunning example of this can be found in the pristine “Malefica”, a dirge-like piece that meticulously erupts with equal parts dread and melancholy. Latin choirs and pipe organ are used brilliantly as a sonic contrast with the thundering metal instrumentation. Orthodox instrumentation is a painfully common trope in black metal, but it’s rare that it ever functions so well as this. In addition to “Malefica”, “Daemon”, “A Failed Exorcism”, and the unsettling interlude “Trial” all stand out as highlights of the album, and some of the most memorable pieces Von Meilenwald has ever composed. Unfortunately (and this is a first for my experience with a TROB album) I don’t find myself as consistently amazed by each of the tracks. I’m not immune to the fact that a doomier approach entails with it a slower pace and behests a different kind of listening attitude than that of Beverast albums past, but a few of the ideas on 'Blood Vaults' feel less profound and engaging than I’d expect from the band. For instance, “Spires, the Wailing City” and “Monument” are both crafted with excellent ingredients, but feel somewhat overdrawn past their due; the ideas themselves are almost homogeneously superb, but even the strongest structures wither given time. While Von Meilenwald is no stranger to long compositions- 'Rain Upon the Impure' had even longer average track times than this- the sometimes plodding pace of the compositions can make some of the musical ideas feel less awe-inspiring than they actually are. I felt that Von Meilenwald struck a sublime balance between black metal and doom with the last album, a middle ground between crushing heaviness and exciting dynamics. Blood Vaults only sees The Ruins of Beverast tread deeper into doom territory, and while the devastating atmosphere and progressive scope are still here in full, I don’t find myself quite as blown away by this stylistic shift as I have been with his past work. Then again, comparing a pristine mortal vintage to the ambrosia of the gods has never been a fair deal, has it? Although 'Blood Vaults' represents a markedly more reserved take on composition for Von Meilenwald, his execution sounds heavier than ever. I strain myself to think of another guitar tone that has sounded this heavy and crushing. Even though most one-man acts feel fittingly one-sided in their delivery, 'Blood Vaults' feels remarkably well-rounded. The orthodox instrumentation is integrated to a haunting effect, and the drums- Von Meilenwald’s flagship instrument- are as intensely performed as ever. As it is made clear from the opening incantation “Apologia”, Von Meilenwald’s vocals take a hideous life of their own. Laden with echoes and a viciously malevolent tone, his growls are plenty evocative and fit the album’s sinister atmosphere and malefic interpretation of Christian theology. His clean vocals- when used- are deep and ominous, and mirror the Latin choirs nicely. Compared to past albums however, it feels like his vocal delivery offers a little less range however, focusing on the low, echoed growls and dismissing much of his higher shrieks. It’s an understandable transformation however; Von Meilenwald understands the implications of this stylistic shift, and The Ruins of Beverast reflects that. As difficult as it is for me, I feel the only fair way to approach this album is to do one’s best to dissociate it from TROB albums past. Clearly, it’s much harder said than done, but to compare 'Blood Vaults' against its predecessors would reveal this as the least vital of the four. With that in mind, I do not mean or hope to say that The Ruins of Beverast has broken its streak of relative perfection; this is a marvelous work, and I have no doubt that Von Meilenwald will continue to release masterful work in his own time. To put it simply, the album is devastating. (Conor Fynes)

giovedì 23 maggio 2013

Ecnephias - Necrogod

#PER CHI AMA: Horror Heavy, Rotting Christ, Septic Flesh
Avete mai provato quella sensazione quando siete a tavola, di voler lasciare il meglio che c’è nel piatto alla fine? Ebbene, prima di ascoltare il tanto atteso ritorno sulle scene dei lucani Ecnephias, ho aspettato qualche giorno, cosi giusto per pregustarmelo un po’, insomma una sorta di “Sabato del Villaggio” come scriveva il buon Leopardi, in cui crearmi le giuste aspettative. Dopo quattro giorni, ho inserito finalmente “Necrogod” nel mio stereo per capire quale evoluzione avesse subito il sound di Mancan e soci. Ecco quindi proiettarmi con l’occulta intro nel mondo enigmatico e mediterraneo della band potentina. Volete sapere cosa ho pensato appena chiusi gli occhi e mi sono abbandonato a “Syrian Desert”? Mi è sembrato che questo prologo potesse ricalcare il debut EP dei Moonspell, quell’“Under the Moonspell” che mi sconvolse qualche lustro indietro l’esistenza, per quel suo forte taglio arabeggiante. Quando è poi “The Temple of Baal Seeth” a svelarsi come vera prima traccia, torno ad assaporare il sound ellenico nelle corde dei nostri, sporcato però da influenze british che ne ammorbidiscono il suono; immaginate un bel mix tra Rotting Christ e ultimi Paradise Lost e potrete capire di che cosa stia parlando. Vorrei quindi indicare gli Ecnephias come maggiori esponenti di una ipotetica scena della Magna Grecia. Sicuramente vi starete chiedendo il perché delle mie parole. Perché le chitarre del combo italico offrono il meglio della band greca, ossia quei riffoni che sembrano più un ingranaggio che va via via sbloccandosi, uniti ad un rifferama più pulito che invece ricalca l’ultimo periodo della band albionica, il tutto sempre contraddistinto dal dualismo vocale di Mancan, bravo a districarsi tra un growling sempre comprensibile (utile anche per farci capire le liriche, tra l’altro estremamente interessanti in quanto legate a mitologia, simbolismo, religione e magia) e delle cleaning vocals corali. “Kukulkan” è un brano ritmato, in realtà molto semplice ma che sa comunque conquistare per la sua melodia di fondo fresca e malinconica, sorretta da quei leggeri tocchi di pianoforte e da aperture che evocano tempi lontani, con un assolo di chiara matrice heavy. Parte di quella robustezza presente in “Inferno” sembra essere scemata per far posto ad atmosfere più soffuse e malinconiche, non fosse altro che le orrorifiche e a tratti incazzate melodie della title track, mi smentiscano immediatamente, spingendomi addirittura ad evocare nella mia tortuosa mente i Necrophagia e per orchestrazioni anche gli ultimi maestosi Septic Flesh. Niente paura perché arriva “Isthar (Al-'Uzza)” e qui il buon Mancan mi guarderà di sottecchi dietro ai suoi baffi: l’inizio della traccia (ma anche il chorus) ha tirato fuori dai cassetti della mia memoria “Desaparecido” dei Litfiba, spingendomi con un balzo temporale di 26 anni indietro; non sto pensando ad una canzone precisa ma a quell’aura dark, sprigionata dalle chitarre e dai vocalizzi, che contraddistinse il debutto della band di Piero Pelù e soci, anche se nel chorus di “Isthar” una rivisitazione di “Istanbul” ci potrebbe anche stare. Certo poi il growling del bravo vocalist permette alla band di prendere le distanze da quel lavoro, anche se al secondo e al terzo ascolto, ho riprovato questa stessa sensazione, focalizzando ulteriormente la mia attenzione su questo brano. Eccoli di nuovo poi gli echi orientali tornare in “Anubis (The Incense of Twilight)”, song contraddistinta da una ritmica sempre molto pulita e armonica con il resto degli strumenti. Semplice e diretta la batteria, essenziali le keyboards, pulite e mai spinte le chitarre, con la voce di Mancan sempre inappuntabile ed inconfondibile, peccato solo non abbia potuto godere di performance in cantato italico. “Kali Ma (The Mother of the Black Face)” è un altro pezzo in cui tornano a manifestarsi gli spettri dei Paradise Lost, forse quelli più ancorati a “Draconian Times”, mentre “Voodoo (Daughter of idols)” penultimo brano del disco e quasi un tributo ai vecchi Iron Maiden, vede la partecipazione in veste di special guest di Sakis dei Rotting Christ alla voce, segno della reciproca stima e amicizia che lega le due band. A chiudere ci pensa la strumentale “Winds of Horus”. Insomma, il restyling degli Ecnephias parte da “Necrogod” e dalla nuova etichetta alle spalle dei nostri, la sempre attenta Aural Music; speriamo solo che sia la rampa di lancio per una più che meritevole carriera degli Ecnephias, contraddistinta da sempre da ottimi lavori, che a mio avviso, non hanno però goduto della giusta attenzione da parte del pubblico. E allora, per rifarsi delle mancanze passate, date una grande chance a “Necrogod”, non ve ne pentirete! (Francesco Scarci)

(Aural Music)
Voto: 80

http://www.ecnephias.com/

sabato 20 aprile 2013

Retarded Noise Squad - Bananas

#PER CHI AMA: Death Avantgarde Symph. Folk, Diablo Swing Orchestra, UneXpect
Vorrei iniziare questa recensione sottolineando in primis la massima disponibilità concessami dai Retarded Noise Squad quando li ho contattati, nel volermi inviare un paio di copie del loro nuovo cd ed una t-shirt, che sono state messe in palio nel primo contest del Pozzo dei Dannati. Ringraziando per questo positivissimo atteggiamento l'act teutonico, veniamo alla delirante proposta del quintetto di Halle, che torna in sella dopo ben otto anni dal precedente "Plastic Surgery and World Domination". Dieci pezzi per quasi 50 minuti di musica bizzarra che farà sicuramente la gioia di chi ama sonorità estreme non del tutto convenzionali. La conferma dell'imprevedibilità della band, oltre ad arrivare dalla cover cd, dalle liriche, dal titolo dei brani, giunge da quello che è l'elemento più importante, la musica. Si aprono le danze con "King Adiposity", fantastico brano di metal estremo contaminato dalla genialità e dalla schizofrenia dei nostri. Se qualcuno di voi si ricorda dei Carnival in Coal, potrà ben capire quale possa essere la proposta del combo, con ulteriori influenze che si palesano nelle successive tracce, proveniente da altri ambiti musicali (arrivando a scomodare addirittura i Mr. Bungle): nella seconda traccia, "Telepathic Trance" oltre a palesarsi l'eterea voce di una donzella, tal Dana Jurczok, al fianco delle harsh vocals del cantante, il sound mostra una verve elettro death metal che ci accompagnerà nel resto del disco. In "Die Geschichte von Suppenkasar" sembra emergere un che del finnico humpa humpa style, pur mantenendo come matrice di fondo una ritmica cadenzata all'insegna del death/thrash, infarcendo poi il tutto con una effettistica al limite dell'ubriacante. Sono alla quarta traccia e mi gira già la testa, stordito dai colpi inferti dall'act germanico. Oltre all'eccletismo derivante dai samples, e pesantemente dall'elettronica, ci si mettono comunque delle linee di chitarra mai perfettamente lineari, ricche infatti di cambi di tempo che si susseguono a ripetizione nel contorto sound dei RNS, mostrando anche una certa levatura tecnica. Ogni traccia è una storia a sè stante: "Killed with Respect and Compassion" nel suo farneticante sinfonico incedere, si dipana tra sonorità black sinfoniche, mediorientali e trance, a indicare quanto abbiano alzato l'asticella questi ragazzi dagli esordi del 2005. Certo non tutto suona alla perfezione, e direi meglio cosi, significa che ci sono ancora ampi margini di miglioramento per una nuova release dove ammirare o meglio godere delle inebrianti, fresche, esotiche e orchestrali sonorità dei pazzi Retarded Noise Squad. Se avete amato gli ahimé defunti Carnival in Coal, e ora seguite act quali Diablo Swing Orchestra, UneXpect o i malatissimi Sleepytime Gorilla Museum, senza tralasciare una menzione anche per il folkish metal dei Finntroll, non fatevi scappare neppure "Bananas", album pazzo pazzo pazzo, stracolmo di spunti estremamenti interessanti, che non vi deluderà. Camaleontici! (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 85

http://retardednoise.de/

lunedì 25 febbraio 2013

Amily - To All In Graves

#PER CHI AMA: Gothic Doom, Symphonic Metal, Draconian, Nox Aurea
Non c'è molto da dire riguardo il debut degli ucraini Amily, band che esordisce per la Solitude Production con un gothic doom colmo di sinfonie, una combinazione fin troppo abusata nel corso degli anni e degli ultimi tempi. Già dalle prime due tracce si capisce però che c'è qualcosa che non quadra, la musica non è ben amalgamata, si presenta il desiderio di far trasudare dolore e gotico romanticismo senza però provarci veramente, a questo si aggiungono anche delle sonorità sintetiche che fanno perdere del tutto l'atmosfera che il duo ucraino vorrebbe e dovrebbe suscitare. Nonostante la presenza di un growl notevole attiri l'attenzione, il disco si presenta tremendamente piatto ed anonimo, con le orchestrazioni operistiche che dovrebbero arricchirlo e renderlo interessante, ma che in realtà generano l'effetto contrario, raffreddando apaticamente le composizioni, che finiscono per annoiare con la loro semplicità. Suggeriamo a questa neonata band di lavorare molto nel prossimo periodo, per farsi trovare molto più preparata e con personalità, alla loro prossima release. (Kent)

(Solitude Production)
Voto: 55

http://amily.bandcamp.com/album/to-all-in-graves

lunedì 16 gennaio 2012

Never Die - The Source of Black Waters

#PER CHI AMA: Death Symph, Trail of Tears, Tristania
“The Source of Black Waters” rappresenta il secondo lavoro per la band russa Never Die, fautrice di un death gotico di pregevole fattura. Non deve trarre in inganno infatti l’attacco brutal death che segue la intro del cd, “Ejected from the Dephts” e le orrorifiche growling vocals di Regina Mukhamadeeva, che sembra quasi la reincarnazione russa della nostrana Cadaveria; il sound del sestetto di Bashkortostan assumerà ben presto connotati più umani e melodici, già a partire dalla seconda parte di “Ejected from the Dephts”, dove a contrastare la furia dei nostri ci pensa la versione da soprano della brava Regina. Dopo la tempesta impetuosa del primo pezzo, i nostri, pur mantenendo un sound bello potente, con una ritmica costantemente martellante, piazzano li una serie di pezzi che si fanno notare per una marcata dinamicità di fondo, un più che discreto tecnicismo, e interessanti parti atmosferiche che ben si incastrano nel tessuto ben oliato di questa inaspettata macchina da guerra, senza tralasciare le operistiche vocals femminili, che alla fine risultano essere il solo punto di contatto che la band può avere con il gothic metal sinfonico. Mi ha sorpreso infatti leggere sul flyer informativo che la band proporrebbe un death gothic, mi verrebbe più da etichettare il tutto come un techno death accompagnato da voci da soprano, e vi garantisco che “Inner Sense” sintetizzerebbe alla meraviglia il tutto. La musica dei nostri non gode infatti di momenti di pausa (se vogliamo escludere la melensa “Sunstroke”), è un caterpillar irrefrenabile che spazza via qualsiasi cosa incontri sul proprio percorso, tanto che alla fine del cd, l’unica cosa che alla fine trovo fuori luogo finisce per essere proprio la versione più angelica della voce di Regina, altrimenti avrei apprezzato maggiormente la tumultuosa release di questo ensemble proveniente dalla gelida Russia. C'è ancora margine di miglioramento, quindi diamoci da fare! (Francesco Scarci)


(Darknagar Records)
Voto: 65

giovedì 8 dicembre 2011

Drastique - Pleasureligion

#PER CHI AMA: Death/Gothic/Electro, Devil Doll
Chris Buchman, dopo il debutto "Thieves of Kisses" uscito nel 1998, si ripropone accompagnato dalla cantante Fay e dall'ex-Ensoph Mahavira. Il cambio di monicker da Drastic a Drastique sembrava suggerire una radicale svolta stilistica del progetto e invece "Pleasureligion" si presenta come la naturale evoluzione del suo predecessore, mantenendosi sui binari di un gothic metal avanguardista, coadiuvato da orchestrazioni sinfoniche e vocals estreme. Rispetto a "Thieves of Kisses", il nuovo album è comunque nettamente più violento e questo appare chiaro immediatamente dall'ascolto dell'opener "5enses", dove il muro di chitarre e la velocità sostenuta non lasciano dubbi su quale sia l'intento della band: aggredire e farci vivere emozioni forti! Va detto che, nonostante l'estremizzazione del suono, il buon lavoro di Chris ai synth non è stato per nulla oscurato e nemmeno la dolcezza del cantato femminile ne ha risentito, conservando quella poesia che si era potuta apprezzare anche nell'album precedente e che ora trova in Fay l'interprete ideale. Anche lo screaming di Mahavira sa essere convincente, mentre le parti di voce pulita risultano talvolta eccessivamente pompose, rischiando di appesantire l'ascolto. Nonostante questa pecca non sia sempre trascurabile e alcuni aspetti del songwriting vadano affinati, ciò non va comunque ad intaccare il valore di alcuni episodi realmente riusciti come "The Succubus", "Voyage Dans la Femme", la romantica "Immortal Beloved" e la già menzionata "5enses", un brano che si mantiene in bilico tra la follia espressiva di Devil Doll e le ritmiche martellanti dei Samael (era "Ceremony of Opposites"). Il giudizio complessivo rimane quindi positivo e il mio consiglio è quello di avvicinarvi a "Pleasureligion" lasciando da parte certi paragoni poco calzanti con Limbonic Art e Tristania che la casa discografica decise di affibbiare ai nostri. Vi invito, anzi, a rivolgere un ascolto molto attento all'album, cercando di non soffermarvi ad una prima superficiale impressione, ma di cogliere invece ogni sfumatura della musica dei Drastique, per farvi avvolgere dalla sensuale brezza di piacere che essa è in grado di sprigionare. (Roberto Alba)

(Beyond Prod)
Voto: 70

martedì 28 dicembre 2010

Ecnephias - Haereticus

#PER CHI AMA: Death/Black atmosferico, Rotting Christ, Septic Flesh
A distanza di poco più di un anno da “Dominium Noctis”, ritornano gli Ecnephias, portabandiera di un magistrale death/black, dalle forti tinte horror sinfoniche. Questo “Haereticus” non è un vero e proprio full lenght, ma un Ep di 7 pezzi della durata di 26 minuti. Dopo la declamazione in latino della breve intro “De Natura Deorum”, attacca selvaggiamente la title track, il pezzo, a mio avviso, migliore dell’album, capace di alternare la furia black death dei nostri, con orchestrazioni granguignolesche, ideali per un film di Dario Argento: spettacolare è infatti l’epicità della parte centrale del pezzo, con una bellissima e teatrale invocazione mista di latino e italiano; da pelle d’oca direi. Segue poi la maestosa “Deviations”, dove i nostri confermano essere, oltre ad abili esecutori, anche musicisti dotati di una eccellente creatività: tenebrose atmosfere, notturne evocazioni ed epici cori, fanno di questa traccia e in generale di “Haereticus”, un lavoro interessantissimo che potrà di certo piacere ai fan del black metal in toto e non solo ai patiti del sound sinfonico e gotico a la Cradle of Filth. Le orchestrazioni simili ai primi Limbonic Art, certe atmosfere che richiamano il death ellenico dei primi Rotting Christ o Septic Flesh, la sempre magnifica voce di Mancan, con il suo alternarsi tra il growling più cupo (che richiama però in certi frangenti Dani Filth) e le parti più pulite (cantate in italiano o declamate in latino), confermano la bontà di un lavoro che deve essere assolutamente ascoltato dagli amanti di sonorità estreme. L’intermezzo “Eterno Silenzio”, dove compare la suadente voce di una gentil donzella, preparare l’ascoltatore a “A Darkened Room”, la canzone più brutale del cd, quella che più richiama i Rotting Christ di “Thriarchy of the Lost Lovers”. “Hills on a Desert” sesta traccia del cd, è un mid tempos melodico e ragionato, che si chiude con un enigmatico assolo. “Ave Maestro” infine, celebra con oscuri versi, la degna chiusura di un’opera che non fa altro che aumentare la mia attesa, per l’ascolto del nuovo full lenght degli Ecnephias. Se il buon giorno si vede dal mattino, il nuovo album sarà sicuramente un capolavoro… (Francesco Scarci)

(Nekromantik Records)
Voto: 75

http://www.ecnephias.com/

sabato 23 ottobre 2010

Amphitryon - Drama

#PER CHI AMA: Death Orchestrale
Chiudo gli occhi e con "Archéia" eccomi calato nella massonica atmosfera di questo "Drama", vero e proprio cammino iniziatico in quindici gradi proposto dagli Amphitryon. Entro solo nel mio gabinetto di riflessione e perseguo, privo di ogni affidamento dogmatico, la mia rinascita. Avverto, nell’aria, l’odore dello zolfo, del sale. Melodie oscure e misteriche che riescono a solleticare, incuriosire e perché no, sorprendere l’ascoltatore. Avremo ben sei guide o, per tenerci al passo coi tempi, sei avatar ad accompagnarci in questo nostro onirico viaggio sonoro: gli Amphitryon, appunto, band francese di Boulogne-sur-Mer attiva dal non troppo lontano ’96. Anfitrione è il nome del mitologico personaggio greco col quale i nostri amici hanno deciso di battezzarsi. La leggenda lo vuole figlio di Alceo, re di Trezene e nipote di Perseo, eroe che sfidò Medusa. Ma di che sostanza stiamo parlando? Di cosa sono fatte queste canzoni? Dal punto di vista canoro assistiamo ad un Galileiano dialogo dei massimi sistemi: voce growl maschile da una parte a contrapporsi con due voci femminili, pulite, a volte sussurrate, dall’altra. Personalmente interpreto queste ultime come un tentativo di riportare in vita l’ormai dimenticato mito delle vestali, vergini che sanno ben gestire quel fuoco sacro sprigionato da canzoni come “Pantheon”, ad esempio, dal retrogusto “Carmino Buranico”: concedetemi questa licenza poetica. La traccia successiva, “Paths of Dementia” è a mio parere il pezzo forte del disco, mette in luce le perfette armonie tra chitarre dal riff distorto tanto amato dai metaller e controtempi di batteria. Il disco si chiude con Samsara, pezzo dalle curiose sperimentazioni canore che prevedono anche una seppur breve incursione in stile “tibetano”. Ascoltare per credere. “Drama” comprende, oltre al CD, anche un DVD che ripropone le stesse tracce presenti sul CD. Da notare, però, che in questo caso la durata del video è di circa cinque minuti più lunga rispetto la versione audio. Questi minuti aggiuntivi sono stati utilizzati per prolungare (a mio parere appesantendoli) l’intro e l’outro del concerto. Sul DVD sono inoltre presenti interessanti contenuti tra cui le biografie di tutti i componenti del gruppo. L’impressione finale che questo disco mi ha lasciato è quindi quella di un lavoro ben congegnato, sicuramente originale, che merita di essere ascoltato. (Rudi Remelli)

(Manitou Music)
Voto: 75