Cerca nel blog

mercoledì 31 agosto 2011

On a Bridge of Dust - Facing The Opposite

#PER CHI AMA: Alternative, Post Rock, Rock, Progressive
Recensire una band italiana mi mette sempre di buon umore e se il lavoro è pure di buona fattura, la giornata non potrà che essere positiva. Il nostro quartetto veronese esce con questo "Facing the Opposite" andando a scrivere un capitolo interessante per quanto riguarda l'alternative rock/progressive metal di casa nostra. Certo, percorrendo le nove tracce si sentono le forti influenze "Tooliane", ma i passaggi melodici azzeccati e una tecnica da manuale fanno apprezzare non poco questo ottimo album. La qualità di registrazione e la pre-post produzione sono a livello professionale, lo stesso dicasi per gli arrangiamenti che non saranno mai imprevedibili e geniali, ma danno continuità alla composizione. Il cd si apre con "Recurring Fault" che dopo un breve riff di chitarra come intro, incalza subito unendo una linea di basso potente e una batteria solida che creano insieme buon all' unisono. "Reckoning" ha un inizio epico, incentrato sulla batteria e chitarre più aperte e distese, ma i riff che contraddistinguono i Bridge arrivano subito, intrecciando una stretta maglia che imprigiona la mente e porta a dondolare la testa a ritmo. Bella veramente e personalmente la considero la main title dell'album. Avevo già apprezzato "Barren Moor" nel precedente EP, ma ancora di più in questa nuova registrazione la malinconia della traccia si fa vivere fine in fondo. Forse il pezzo più strumentale dell'intero album. L'album si chiude con "Outcast" che ha uno dei pochi main riff puliti di questa release, il che crea un'atmosfera psichedelica e post rock, alla Explosions in the Sky. Ma il marchio di fabbrica dei riff incalzanti arriva come sempre e basso/batteria accompagnano degnamente il tutto, anche se potrebbero rubare tranquillamente la scena per quanto sono ben studiati. Come già detto, la qualità di registrazione è ottima, ma in particolare sulle chitarre è stato fatto un lavoro certosino. Posso immaginare le ore passate a trovare i giusti settaggi ma ne è valsa la pena, sentire dei distorti così realistici e caldi è una goduria per le mie orecchie intasate da tanti suoni freddi e sterili degli ultimi tempi. Ovviamente basso, batteria e voce non sono stati trascurati, rimangono nella media (alta). Se devo fare un appunto ai Bridge, riguarda la voce. Sicuramente il cantante non ha doti che fanno strappare i capelli ma conoscendo forse i suoi limiti, fa un uso attento della stessa, senza mai esagerare e soprattutto si fonde perfettamente con l' idea di fondo di tutti i pezzi. Se poi la scelta di suonare la chitarra e cantare allo stesso tempo è stata fatta per non introdurre un altro elemento alla formazione, approvo (e capisco) in pieno la scelta dei Bridge. Difficile creare una sintonia così perfetta e riuscire a mantenerla. Bravi, complimenti agli On a Bridge of Dust che si lasciano apprezzare molto anche dal vivo, mantenendo sempre un atteggiamento umile e disponibile. Ce ne fossero... (Michele Montanari)

(Self)
Voto: 80
 

Endthisday - Sleeping Beneath the Ashes of Creation

#PER CHI AMA: Thrash, Metalcore, Heaven Shall Burn, Caliban
Caricato l’album su iTunes, vengo investito dalla violenza disarmante di questi 5 ragazzi di Milwaukee che, cattivi e determinati, alzano un muro di suono dai tratti thrash, per “tirare il fiato” piazzano qualche bel bridge di puro metalcore, con il cantato che si alterna tra uno screaming da far sanguinare le corde vocali e qualche profondo growl, supportato da un controcanto nello stesso stile, basti ascoltare le canzoni "Lily White and Blood Red" o "Cursed Be the Blessed". Le prime 2 tracce sono benzina sul fuoco per gli amanti dei gruppi che non concedono nulla al melodico e fedeli al metallo più bruciante, il quintetto rallenta verso il terzo pezzo, dove si comincia a vedere una piccola variante melodica con una chitarra più dolce, che viene spazzata via immediatamente dallo screaming del vocalist che riporta i tempi a velocità supersoniche, per poi chiudere con un campionamento che sembra condurci verso un riposo dopo questa scarica di sana violenza, ma il brano successivo non perdona e si ricomincia laddove ci eravamo lasciati poco prima: la quarta canzone è il climax di tutto l’album dove tutto viene portato all’estremo, la song più complessa dove i nsotri concedono ancora un'alternanza di thrash superveloce ad un bridge solenne e potente con tanto di campionatura di sottofondo e con una finta fine di canzone e ripresa delle ostilità…quasi illudendoci che il martellamento possa aver fine per riprendere con rinnovata ferocia. A questo punto i nostri eroi si concedono il meritato riposo con un interludio più di riempimento che di grande significato, ma che serve a loro per rifiatare e all’ascoltatore per raffreddare timpani e i muscoli già indolenziti del collo. Ma non c’è tregua, la mattanza riprende più veloce che mai con un altro pezzo abbondantemente sopra i 6 minuti, dalla costruzione simile alla quarta traccia. Gli ultimi due brani, prima della chiusura non si discostano da quanto fatto sentire finora e scorrono via abbastanza anonimi senza lasciare nulla se non un senso di distruzione totale. L’album si chiude con una traccia strumentale interessante, un breve motivo melodico di scuola “svedese” prima di staccare il plug e accarezzare le orecchie dell’ascoltatore con un arpeggio delicato ed emozionante. I ragazzi ci sanno fare nulla da dire, tecnici grintosi e integerrimi nel loro sound, senza voler strizzare l’occhio a correnti mainstream, ma è dall’ultima traccia che avrebbero dovuto rielaborare il loro sound, introducendo maggiori variazioni nelle canzoni, osare di più e possibilmente accorciare i tempi…peccato si siano sciolti…La loro grande sfortuna potrebbe essere stata quella di essere capitati nel mezzo dell’esplosione del genere in questione (2001-2002) e anche se suonato con grande intensità, l’album ha la pecca di rimanere un po’ troppo anonimo. (Matteo Del Fiacco)

(Lifeforce Records)
Voto: 60

martedì 30 agosto 2011

Funeral - To Mourne is a Virtue

#PER CHI AMA: Death Doom, Shape of Despair, My Dying Bride
Altro nuovo lavoro per i Funeral, altra nuova release straripante di poesia e abnegazione verso il mondo delle macchine e dello sviluppo. Le atmosfere che la band riporta in auge si accostano a quel sentimento di perdita e rinnovamento che così prepotentemente ha segnato l’intero Ottocento letterario. Le liriche non evocano demoni, ma apatie e mostri dell’inconscio. Soffrire è una virtù. E di virtù, al tempo d’oggi, ne sono rimaste molto poche. Peccato questo non sia un concept. L’album si apre con una melodia pulita di note singole, “Hunger”, che ha qualcosa di intrinsecamente medievaleggiante e piacevolmente rilassante. Il momento paradisiaco termina venti secondi più tardi con l’entrata in campo di chitarre distorte (non eccessive), quasi a voler dichiarare che tutto quello che di bello ci può essere non dura. È uno schema che ritroverete spesso nel corso delle 9 tracce. “God?” è un puro mix di accordi doom My Dying Bride e Shape of Despair. A mio avviso l’interessante idea che sottintende al punto di domanda di “God?” non è però all’altezza dei 7 minuti della canzone. Mi sarei aspettato un exploit o un cambio di tempo verso il termine della canzone, ma il ritmo prosegue piatto e ripetitivo. Altro titolo da prendere in considerazione è assolutamente “Blood From the Soil”, dove le tastiere giocano un ruolo fondamentale nel creare un sottofondo che fa pensare alle altissime navate di cattedrali in rovina. Suoni lenti, toni alti, un basso praticamente inesistente, voci chiare e pulite. Ecco, le voci... Manca una caratteristica di fondamentale in questa fatica dei Funeral: una voce capace di avvolgere, nel bene e nel male. Ogni traccia dell’album è scandita da un coro di voci pulite (canti gregoriani?) che pur eccellendo in passionalità non tiene conto della prima regola del doom come genere musicale: la capacità di rapire l’ascoltatore per portarlo da qualche altra parte, in qualche altro tempo. Quindi, giusto per farvelo sapere, mi trovo davanti ad esempi eccelsi di sonorità come “Your Pain is Mine”, e mi incazzo come un bastardo quando so già che non potrò ascoltarla più di un paio di volte, perché le cantilene simil-gregoriane sono troppo per le mie orecchie, e non ci stanno affatto bene in un album di questo tipo. Appartengono più al genere gothic, e ancor più ad una session femminile. Al contrario, un ottimo lavoro in questa direzione è stato fatto con l’ultima traccia, “Wrapped All in Woe”, un viaggio enigmatico vicinissimo ai lidi frequentati dai nostrani Gothica di “The Cliff of Suicide”. Bei tempi quelli. Cosa posso dirvi per evitare di divagare? L’eccessiva presenza dei My Dying Bride, sebbene estremamente ispirata, è qualcosa di noiosamente ridondante nell’opera: e badate bene, i My Dying Bride rappresentano l’incarnazione perfetta del doom malinconico, il mio giudizio è riferito al quasi esclusivo uso dei passaggi che i Funeral utilizzano in “To Mourn is a Virtue”. Questa è un’opera molto ricercata a livello musicale, ma altamente fastidiosa per la nenia dei cori che insistono a decretare la loro noiosa presenza. (Damiano Benato)

(Solitude Productions)
Voto: 70

Terminal Sick - Diagnosis

#PER CHI AMA: Death/Thrash Metal, Sepultura, Soulfly
Inizio a pagaiare tranquillo sul mio kayak inconsapevole di un’invisibile ma inequivocabile, carontica presenza. Mi lascio traghettare in un petrarchico fiume dalle chiare, fresche e diaboliche acque. Odo rullare i primi bonghi tribali. Vedo scoccare, tra le fronde, le prime frecce intinte nelle avvelenate ghiandole della Dendrobates azureus. Sono fottuto. Sono infatti stato colpito: solo di striscio, certo, ma pur sempre colpito. Avverto già, nelle mie vene, l'onirico effetto della batracotossina. Sono ormai entrato in coma: "Deep Coma". E' con questa dicotomica nomenclatura che è stato per l'appunto battezzato il primo "sintomo" di questa diagnosi. I Terminal Sick sono una cinquina tutta italiana, emiliana per la precisione. I nostri cinque incazzati mietitori fan schizzar sangue qui, a casa nostra, e non hanno inzozzato a casaccio una qualunque scena del crimine come troppo spesso, ormai, si vede fare in televisione. Hanno pennellato ad arte, questo mistico, rosso, fiume di sangue. “Deep Coma”, di cui vi ho appena scattato una mia personale fotografia, è appunto la track di apertura di "Diagnosis". Un'esecuzione incazzata si, ma senza eccessi: regola d’oro questa, nel metal, come l’ora et labora per i Benedettini. Provo sempre un certo gusto nel mescolare il sacro al profano… ma non lasciamoci andare: delle percussioni tribali vi ho già accennato, alla "Roots" dei brasiliani Sepultura mi pare azzeccato dire. Molto buone le soluzioni adottate da Alessio alla batteria; che le sue pelli siano state tratte dal Necronomicon? Velocità si, ma priva di ripetitività e scontatezza. Pause e begli accenti vanno ad impreziosire la parure di chitarra, basso e campionamenti. Il tutto è sapientemente accompagnato da un buon scream, pieno, corposo, urlato ma a tratti anche melodico. "Living Injection", secondo sintomo, costruito sul dialogo tra voce pulita e scream, è meno aggressivo del primo. Belli i passaggi di tom ma il pezzo, a mio parere, non è all'altezza del primo. "Android" e "Blind War!, pur sapendo piacevolmente accarezzare il mio lato oscuro, non riescono più di tanto a domare la mia sete di vittime innocenti. Mi affaccio invece più curioso che mai sul panorama di "Psychical Analysis" bella quasi come il pezzo forte, "Deep Coma", alla quale segue, con un sound completamente diverso, "Useless Hope": netto stacco da quanto ho finora ascoltato. Di sicuro più docile delle precedenti track, rivela preziose sonorità che finora la nostra cinquina ci aveva tenuto nascoste. Con la omonima "Terminal Sick" si ritorna al sound incazzato iniziale. I bei riff di chitarra plasmati all'incalzante batteria e alla voce di Roberto mi accompagnano per più di sei minuti senza stancarmi mai. Sulla stessa lunghezza d'onda, per me forse anche più bella della precedente, mi faccio inebriare da "Unnatural". Il sound cambia ancora con la camaleontica "My Pain": la vedo come un quadro, un quadro che si autodisegna nella mia mente con l'incedere delle note. Vi si alternano spennellate tranquille a spatolate incazzate con intercalati campionamenti, che mi diverto a pensare come ai tagli nelle tele di Lucio Fontana. Ci vedo una sorta di criptico erotismo in tutto questo, ma forse sono solo io ad essere deviato. Nel penultimo sintomo, "Forever Alone", assistiamo ad un ennesimo cambio di sound: acustico, solo chitarra e voce. Breve si, ma bello. Il disco si chiude con l'ultimo sintomo, piacevole remix elettronico di "Deep Coma", una sorta di ...e vissero felici e contenti... tra le bare ed infiniti tormenti. nemA! (Rudi Remelli)

(Copro Records/Casket Music)
Voto:75

domenica 28 agosto 2011

Degradead - Out of Body Experience

#PER CHI AMA: Death/Thrash, Mercenary, Soilwork, In Flames, At the Gates
Mosh, mosh, mosh… sto ancora scuotendo la testa al ritmo dei soliti riffs svedesoni, con questi Degradead che sbarcano nel super affollato mercato discografico, rilasciando un killer album che li possa proiettare verso il successo. La band scandinava rilascia “Out of Body Experience”, secondo album in studio il cui risultato si conferma buono già dalle prime battute. Tutto è già scritto, d’altro canto: supportati alla grande dalla loro etichetta, il quintetto di Stoccolma farà sicuramente sfracelli con questo cd, che per quanto di poco innovativo abbia da dire, sfodera di per sé un’ottima produzione ai famigerati Abyss/Black Lounge Studio, sotto l’egida di Jonas Kjellgren (Scar Symmetry, Sonic Syndicate, Carnal Forge). Il sound dei nostri nelle (troppe) 14 tracks, segue un filo conduttore ben definito: assimilati al meglio gli insegnamenti swedish death dei maestri At the Gates, il combo scandinavo fonde la propria musica con gli stilemi moderni della nuova ondata di band provenienti dalla Svezia (Scar Symmetry per intenderci) e dal filone intrapreso dagli In Flames negli ultimi lavori (a volte si sfiora un po’ il plagio). Insomma senza girarci troppo intorno, i nostri suonano un validissimo death thrash, reso melodico dalle distintive chitarre di chiara matrice svedese, da qualche passaggio acustico ben riuscito e dalle clean vocals che si intrecciano al cantato growl che richiama fortemente quello di Bjorn Strid Speed (cantante dei Soilwork). Come per il precedente lavoro, “Til Death Do Us Apart”, la band diciamo che si limita a fare bene il proprio compitino, raggiungendo abbondantemente la sufficienza, ma niente di spettacolare: i pezzi si susseguono uno dietro l’altro, alternando parti dalle ritmiche serrate ad altre molto più melodiche e orecchiabili per quei suoi inserti assai catchy. Non c’è niente da fare, la Svezia continua a dettare leggere e ad essere sinonimo di qualità, anche se di nuovo lassù non si inventa più nulla… (Francesco Scarci)

(Dockyard 1 Records)
Voto: 70
 

3,14 - неизбежность

#PER CHI AMA: Doom, primi Anathema
Avete presente quando Indiana Jones trova una misteriosa tavoletta in una sperduta catacomba e anche se non sa la lingua con cui è scritta ne conosce comunque il significato intrinseco? Bene… l’album di cui vi sto per parlare corrisponde proprio a questa tavoletta, misterioso nella forma e nella realizzazione. Si presenta come un doppio cd, nero e verde, sui quali capeggia un enigmatico pi greco (π). È appunto il pi greco, nella sua forma di 3,14, l’unica cosa che può arrivare a comprendere un occidentale leggendo le parole del book interno. Devo ammettere che la scelta di questa band di attenersi completamente alle tradizioni del loro paese d’origine (l'Azerbaijan) è alquanto affascinante. Se vogliamo limitarci alle liriche, le cose non cambiano nemmeno nell’ascolto. Non esiste una sola parola di inglese. Parlando delle melodie invece… Beh, siamo di fronte a qualcosa di ancestrale bellezza. Personalmente considero questa musica come un branca innovativa e molto particolare del più vasto insieme doom. Dagli archetipi di indispensabile paragone affiorano immediatamente stralci vividi degli Anathema degli esordi. Voci pulite esalano gli ultimi respiri in una terra venefica sull’orlo del disastro; musica post apocalittica, senza ombra di dubbio, che celebra in ogni sua nota una fine neanche tanto lontana. In questa nenia disperata spiccano basse frequenze di un growl pestifero e accorto, con pieno diritto di cittadinanza in uno scenario nichilistico. La copertina dell’album riporta un’abitazione abbandonata da tempo, catturata in sgranate variazioni di nero e giallo-verdognolo. L’immaginazione si è lasciata colpire dalla vacuità stereotipata di un occidentale datato e mi ha fatto pensare subito al disastro di Chernobyl. Anche se non è (totalmente) così, i 3,14, con questo loro "неизбежность" adombrano comunque nelle loro ritmiche un andamento da esodo di massa, accarezzando il tema di un umanità al di là del baratro. Materiale e spirituale. Questo è potente doom di nuova generazione. (Damiano Benato)

(Self)
Voto: 90
 

Kurouma - 3

#PER CHI AMA: Sludge, Post Metal, Neurosis, Cult of Luna, Isis
Negli ultimi anni i territori del nord Europa (Finlandia nello specifico) sono divenuti luoghi d’elezione per nuove sonorità ed evoluzioni di generi. Nella maggior parte dei casi queste innovazioni si sono applicate fortunatamente all’ambito metal, e hanno contribuito a generare band impegnate in stili musicali di matrice raffinata, ricercata, complessa nel suo divenire, restia ad assumere una forma ben definita. In questo magnifico panorama sorgono senza timore i Kurouma, gruppo di indiscutibile qualità tecnica, caratterizzato da un sound potente ma assolutamente non invasivo (a livello d’ascolto). I Kurouma reinterpretano le lezioni di band come i primi Meshuggah (?) e Neurosis con uno sguardo d’affetto ai Katatonia e agli Anathema di “The Silent Enigma”. Sentirete tutto questo dentro le 5 tracce che compongono l’album, tracce organiche, momenti di distopia che continuano anche al termine delle singole melodie. Vi accorgerete del passaggio tra una canzone e l’altra solo quando il vostro lettore lo segnerà, tanto è marcata la volontà di creare un’opera unica. Un ceppo davvero molto interessante di un’evoluzione del metal che non ha riscontri in altre simili band blasonate. Anche la voce, che ci si aspetterebbe in growl, colpisce per la sua novità: pulita e unita ad un urlato possente, non in screaming, che esalta ogni emozione con una violenza malinconica di riverente fattura, e trascina i nostri sensi lungo il percorso incerto della vita. Caratteri del post-rock s’innervano sottopelle per conferire a psicotiche visioni un’ipnosi da overdose di ascolto. Sono melodie che non cambiano: evolvono! Tastiere delicate accompagnano passaggi di batteria uniformi alla distorsione delle chitarre. Perfino il basso è perfettamente udibile. Che dire… Se siete dei tipi maledettamente malinconici ma non eccessivamente depressi, questo album sarà il sottofondo perfetto per ogni momento della vostra giornata.Ed ecco la domanda più importante: esiste un gruppo, alla portata di tutti, che incarni i sentimenti di dolore umano in una musica potente, senza tuttavia celare elementi ‘bui’? Una sola parola, miei consimili: Kurouma. (Damiano Benato)
 
(Self)
Voto: 90
 

domenica 21 agosto 2011

Drom - I

PER CHI AMA: Post-hardcore/Sludge, Neurosis, Isis, The Ocean
Che meraviglia l’underground, sembra quasi di fare un giro nella savana, alla ricerca degli animali più difficili da scovare e non avete idea di quale soddisfazione si possa percepire nel vedere in mezzo ai cespugli dei ghepardi o dei leoni che riposano, cosa che si potrebbe fare semplicemente stando nella propria città e andando allo zoo. Però volete mettere il fascino di essere voi stessi ad andarli a scovare, con i propri mezzi e il proprio intuito? Quando mi metto alla ricerca nel web delle band, faccio la medesima cosa, cerco delle tracce che mi possano portare a trovare qualcosa di sconosciuto o misterioso. Oggi la mia ricerca mi ha portato a scoprire questa interessante realtà, i Drom, provenienti dalla Repubblica Ceca. La band di Liberec propone quello che negli ultimi mesi si sta rivelando il mio genere preferito, il post-qualcosa e cosi, penserete voi, è più facile conquistarmi… sbagliato, anzi, se mi trovo tra le mani qualcosa di mal suonato, lo stronco con ancor più motivata cattiveria e competenza. Ma non è certo il caso di questi indecifrabili ragazzi, che nelle loro quattro tracce e più di mezz’ora di musica, mi sparano in faccia un connubio tra post-hardcore, straziato da vocals prettamente screaming black. La bellissima song posta in apertura, “Nicole”, ci indirizza immediatamente verso le sonorità dei nostri, con le ritmiche pesanti ma malinconiche che vengono spezzate dal guaito lancinante di Charlie. Seguono le cupe melodie di “I am Spartacus”, song che sottolinea l’emblematica influenza dei soliti Neurosis, nell’economia della band ceca, a livello di ritmiche, sempre molto pesanti, cadenzate, apocalittiche e talvolta ripetitive, per un risultato finale davvero convincente, peccato solo per quelle stridenti vocals che faccio ancora fatica a digerire. Peccato anche non poter parlare dei testi, completamente scritti in lingua ceca. Però la musica del quartetto, nel suo evolversi continua a piacermi sempre più, conquistandomi alla grande, ringraziando anche il fatto che il buon Charlie (a cui suggerisco di modulare meglio i suoi vagiti e cercare anche di conferire maggior spazio a qualche lamentoso passaggio o qualche incursione pulita, come accadrà nella terza song) non canta poi molto. “Private Snowball” è un pezzo dall’incedere dapprima cauto, oscuro e minaccioso, con un ottimo lavoro alle chitarre e dietro le pelli, dove un formidabile Vrablodron picchia come un dannato e la musica si attorciglia pian piano lungo le nostre gambe iniziando a salire e poi, come un boa costrictor, arriva fino alla nostra gola, premendo, con accelerazioni imprevedibili, soffocanti, impedendoci di poter gridare aiuto. Quanto mi esaltano questi suoni, quanto mi riempiono il cervello, portandolo alla saturazione e all’esplosione finale, che caratterizza l’ultimo minuto e mezzo della traccia. I conclusivi dieci minuti abbondanti di “Jack Torrance” ci danno il colpo di grazia, portandoci con le proprie paranoie e turbamenti interiori, verso il fondo dell’abisso. Che dire di una band fino a ieri a me sconosciuta? Ce ne siano di ensemble validi e preparati come i Drom, nello sperduto e infinito mare dell’underground: mi risparmierei volentieri di andare a fare qualche giro inutile allo zoo, dove tutto è già cosi stereotipato e dove so perfettamente cosa aspettarmi. Bravi! (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 75

Baht - Bilinçten Derine

#PER CHI AMA: Death/Thrash, Kalmah, Susperia
Sono le tre di un pomeriggio insolitamente freddo per l’estate quando mi accorgo di essermi trasformato in un fottutissimo headbanger attempato. Non ci sono i Testament nelle mie cuffie, né il vecchio Mustaine inferocito o i brutali Morbid Angel. No. Stiamo parlando dei Baht, una band thrash-death (con qualche via di fuga prog) che infierisce piacevolmente sui sensi dell’apparato uditivo rievocando momenti di gioventù e schizofrenie latenti. Tradizione e innovazione per un album che si inserisce a pieno titolo in un genere che aveva bisogno, e mai come ora, di una spinta decisa verso la sperimentazione e la qualità tecnica. E allora, signore e signori, ecco presentarsi nella scena metal i Baht, con un lavoro memorabile che saprà certo farsi apprezzare sia dagli estimatori del death che dai sostenitori indefessi dei riffoni thrash. Maturità evoluta in tutte le tracce. Le novità si presentano in questo caso durante il lavoro songwriting e della creazione dei vari inserti armonici, una vera manna per le orecchie. Dimenticate l’uso esclusivo della batteria in fuga e delle chitarre compresse. I Baht strutturano ogni singola opera in modo ineccepibile, trasportando elementi alternati di scala in corde alte all’interno di ritmiche decisamente pesanti, e il risultato è magnifico. Vi troverete di fronte a entusiasmanti contrasti di alti e bassi (soprattutto negli assoli) nello stile dei Kalmah, o in quello di una band a me molto ma molto cara che considero innovatrice dal ‘thrash ragionato’ sotto tutti i punti di vista, i Susperia. Maestose anche le ballate che troverete più o meno al termine di ogni singola traccia. Innesti di sound progressive vengono qua e là accennati; mi chiedo se non sia questa la strada che la band turca vuole percorrere nel prossimo futuro. Non farebbe affatto male una ventata di aria fresca in un panorama stagnante, dove il dominio assoluto, chissà perché, proviene nel 90% dei casi da gruppi di nazionalità statunitense. Quindi questo è quanto: guardate a “Bilinçten Derine” come ad un prezioso regalo in un mercato che in questi tempi vomita prodotti noiosi e ripetitivi. Mi stupisco di come ancora il loro nome non sia associato ad altri grandi del genere. Se mi chiedessero che cos’è il metal, i Baht sarebbero una di quelle band che consiglierei subito ai neofiti. C’è tutto quello che serve qui dentro. Anche di più. (Damiano Benato)

(Self)
Voto: 85