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martedì 28 dicembre 2010

Vulture Industries - The Malefactor’s Bloody Register


E’ stato un piacere per me aver ascoltato questo gruppo norvegese che ha le sue origini in Bergen, una sorpresa davvero. Il gruppo si chiama Vulture Industries, e questo è il loro secondo cd completo dal nome “The Malefactor’s Bloody Register” prodotto dalla Dark Essence Records. Il cd è composto da 8 tracce una più bella, strana e particolare dell’altra, dove di certo nell’ascolto non vi annoierete nemmeno un secondo e nei momenti di silenzio non vedrete l‘ora che inizi la track successiva, ve lo posso garantire. Il cd si apre con una breve intro “Crooks & Sinners”, un’apertura di tastiera stile lunapark macabro ma che fa da perfetto apripista alla genialità di questo cd. La seconda traccia “Race for the Gallows”, si presenta con un’alternarsi di clean vocals a voci distorte con le chitarre cupe e violente e la batteria rutilante nel suo incedere. Menzione particolare alla voce, davvero interessante nel suo modo di cantare, che va da linee vocali prettamente metal, poi pulite fino a raggiungere linee sinfoniche, che dire fantastica. Quello che colpisce in tutto il cd è la particolarità quasi esasperata di ricerca di suoni originali e accattivanti seppur chiaramente derivanti dall'avantgarde o dal post rock. In tutto il cd ritroviamo questi giochi di ritmi di batteria violenti, cupi e brutali che poi diventano rallentano nella loro progressione per poi riesplodere ancora una volta con brutalità e controtempi imprevedibili. La stessa cosa la possiamo ritrovare nel riffing delle chitarre, che spaziano tra ritmi quasi compulsivi, sincopati, brutali, cattivi, per poi bloccarsi o andare controtempo con tempi e ritmiche più tranquille. Musicalmente il cd suona davvero bene, e strano, dubito infatti che avrete nell’ascoltarlo, in mente la tipica frase “questo pezzo mi sembra di averlo già sentito”. In questo cd infatti ogni song ha una sua storia e vita e così ogni pezzo ci conduce a sensazioni diverse, una sorta di viaggio lucidamente folle e dannatamente creativo. E’ davvero un piacere poter godere della follia creativa di questi ragazzi norvegesi .La quarta traccia “The Bolted Door”, è davvero un chiaro esempio di quello che sto cercando di spiegarvi: un altalenarsi di riff violenti, brutali sostenuti da una batteria trascinante, cupa e cattiva, oltre ad essere assai complessa e articolata con il surplus dell’aggiunta del sax. Per chi come me ama la ricercatezza, l’osare e la creativa folle, faccia suo questo album senza ombra di dubbioUltima menzione per “This Cursed Flesh”: questo brano rappresenta la sintesi della violenza e della cattiveria, nonché della genialità contenuta in “The Malefactor’s Bloody Register”. Che dire, senza dubbio cari Vulture avete preso la strada giusta ed innovativa, per cui vi seguiremo con molto interesse! Bravi ragazzi, andate avanti così, musicalmente siete molto ispirati e a mio avviso i degni eredi dei grandissimi Arcturus. (PanDaemonAeon)

(Dark Essence Records)
Voto: 80

Inner Logic - Parallel Reality


Ricevere EP con poche tracce comincia a diventare un' abitudine, quindi affrontiamo anche gli Inner Logic con il loro "Parallel Reality" e le relative 4 canzoni. Bustina di plastica, due fogli volanti come cover ed un artwork abbastanza curato, anche se la qualità di stampa è da quattro in pagella. La forse fresca (non sono molte le infomarzioni rintracciabili sul gruppo da Internet/Ndr) band scozzese attacca con un sound che non nasconde niente, un punk hardcore abbastanza semplice e già sentito per molti frangenti. Sonorità strumentali che a volte richiamano i Lostprophets (cori compresi) e un vocalist che, almeno nel cd, non brilla per la sua versatilità. Per fortuna qualche passaggio risulta azzeccato, come in "Nations Apart", dove trova spazio anche qualche contaminazione metal che viene però subito accantonata. Che le doti strumentali dei musicisti ci siano non abbiamo dubbi, ma questo non fa un buon un buon disco quindi mi ritrovo a dare un voto insufficiente. Questo per stimolare gli Inner Logic a produrre magari un cd completo, cercando di proporre un prodotto di qualità superiore. Si può fare. (Michele Montanari)

(Alkemist Fanatix)
Voto: 55

mercoledì 15 dicembre 2010

Sideris Noctem - Wait Till The Time Is R.I.P.


Il cd posto alla nostra attenzione questa volta, è di una band emergente proveniente dall’Ucraina e si chiama Sideris Noctem. Questo è il loro primo lavoro completo, prodotto dalla sempre presente e attenta BadMoodMan Music. Il cd è composto da 9 track, 8 delle quali inediti del gruppo e un pezzo è una cover degli immensi Katatonia. Dopo questo preambolo, andiamo ad ascoltare il lavoro di questi ragazzi dell’est Europa. Il cd viene aperto da “First Day”, un intro prettamente strumentale, in cui veniamo accolti da una batteria con un rullante molto militare, quasi marziale. Il pezzo si evolve con una piacevole e melodica parte classica fatta di violini e con la batteria a scandire il tempo. Dopo poco meno di un minuto di intro, parte la seconda traccia che dà il nome al cd: questo pezzo entra con un riff di chitarra veemente e duro, che si amalgama perfettamente ad un bel sottofondo di tastiere che rendono il tutto interessante all’ascolto. La ritmica di questo pezzo è sostenuta, ma mai eccessiva e ben suonata. Le voci si alternano tra il growling distorto di Pavel e i classici eterei gorgheggi femminili del soprano Anastasia, che rendono il tutto un po’ più angelico e dolce, arricchendo la performance dei nostri. I riffs delle chitarre si susseguono tra ritmi lenti, poi veloci e violenti che sembrano fare un gioco sonoro atto a rincorrersi. La terza “Binary”, viene scandita all’inizio con dei bei tocchi di pianoforte, che suona dolce, rilassante, entrano poi le chitarre, con riff armoniosi, tranquilli e altrettanto rilassanti, che suonano come una tipica “ballata” metal. Il pezzo scorre via come era iniziato rilassante, ben eseguito con le vocals pulite di Pavel pregne di un pathos estremamente malinconico. Le voci continuano a mescolarsi tra clean, distorsioni e cori femminili. Il pezzo, con i suoi forti richiami ai gods My Dying Bride, non sfocia mai nella violenza; la batteria non segna ritmi esasperati, ma sembra quasi cullare ritmicamente gli altri strumenti. Inizia la quarta traccia “Behind the Mirror of the Winter’s Fall“, e qui i ritmi si fanno un po’ più vivaci, con i riff di chitarra che dipingono malinconici affreschi autunnali. Anche qui le vocals e del resto in tutto il cd, si alternano in un dualismo growl-soprano che alla fine rischia un po’ di stancare. In tutto il pezzo, quello che emerge è il tentativo delle ritmiche di essere più violente violenti, cattive, aggressive, ma mai esageratamente estreme grazie al bilanciamento dato da riff di una seconda chitarra che esegue parti più ritmate. Il pezzo ha un intermezzo tranquillo, rilassante dove il pianoforte con il suo suono morbido sembra cullare l’ascoltatore. La settima song è una graditissima sorpresa: si tratta infatti della cover dei Katatonia “ Without God”, risalente addirittura al primo mitico “Dance of December Souls”. Eseguita decentemente, si fa notare subito la doppia cassa di batteria che fa da sfondo ai riffs maligni black doom. La voce è cupa e oscura. Il tutto viene arricchito dal supporto delle tastiere, certo è che l’originale è tutta un’altra cosa. Si può dire che in tutto il cd, la band ucraina si sforza nel proporre un sound elegante, ma non sempre quello che ne viene fuori è del tutto buono. C’è ancora molto da lavorare, tuttavia noi vi seguiremo! (PanDaemonAeon)

(BadMoodMan Music)
Voto: 70

sabato 11 dicembre 2010

Vidres a La Sang - Som


Fanno ritorno sulla scena metal dopo quasi tre anni, i blacksters spagnoli Vidres a La Sang con quello che è il loro terzo lavoro, forse quello della consacrazione chissà, ma di sicuro è l’album che chiude la trilogia iniziata nel 2004 con l’album omonimo e proseguita poi con “Endins” fino a quest’ultimo “Som”. La cosa che balza subito all’occhio del quartetto iberico, sfogliando il libretto del cd, è quello di cantare in catalano, questo forse per ribadire la coscienza e la fierezza delle proprie origini, quindi mi fa specie trovare nel booklet interno, le liriche tradotte prima in castigliano e poi in inglese. Musicalmente parlando, la band prosegue quanto iniziato con i precedenti lavori, continuando quindi nella proposizione di un mix brutale di black death oldschool, contaminato tuttavia da suoni moderni ed epiche atmosfere. Pur non mostrando alcunché di innovativo, il combo si muove con diligenza ed in estrema libertà, all’interno delle strutture tipiche del genere, palesando una certa agiatezza, che solo le band di una certa esperienza possono avere. Ad aprire il disco ci pensa la title track, song pregna di orgoglio e speranza a livello di testi, song brutale, che tuttavia nel suo incedere, manifesta divagazioni doomeggianti assai apprezzabili, e che raggiunge il suo culmine nel melodico assolo conclusivo. La successiva “Policromia” (ispirata ad una novella di Hermann Hesse) prosegue sulla stessa scia dell’opener track, con velocità mai troppo sostenute, mostrando una certa predilezione per mid tempos ragionati, dove ad emergere è la qualità tecnica espressa dai singoli dell’ensemble spagnolo. Ciò che apprezzo maggiormente è la tipologia degli assoli di derivazione assolutamente classica, cosi come pure la tecnica sopraffina del nuovo batterista Carles Olivè, che ha sostituito il defezionario Alfred Berengena. La terza e lunghissima “Esclause de la Modernitat” (con i suoi dieci minuti e passa) è una song assai complessa nella sua architettura, con diversi cambi di tempo, feroci accelerazioni e la voce, talvolta monocorde di Eloi, a trasportare in musica la poesia dello scomparso poeta Miquel Martí. Il cd procede su questi binari per tutta la sua durata (oltre i 50 minuti), arrivando ahimè, un po’ stancamente al termine del sesto pezzo. Forse la band avrebbe dovuto osare maggiormente e sperimentare qualcosa che le permettesse di staccarsi definitivamente dalla massa delle death black metal bands; siamo sulla strada giusta e una song molto come “Al’Ombra” dimostra i progressi che i nostri potranno compiere nel prossimo disco, se sceglieranno di intraprendere un sound più atmosferico e ben orchestrato. Per chi ha apprezzato sin qui il loro cammino, il consiglio è quello di far vostra anche questa release e abbandonarsi nel disperato mondo dei Vidres a la Sang… (Francesco Scarci) 

(Xtreem Music)
Voto: 65

Morphema - 5th Rebirth


Ma da dove salta fuori questa band? Finlandia? No. Svezia? Mi sembra di no. Forse Germania? No, non ci siamo: incredibile ma vero, i Morphema arrivano da Novara e dire che ascoltando la prima song avrei scommesso che fossero amici degli Insomnium o degli In Flames. Eh già, bella sorpresa poi trovare nelle note biografiche che il quartetto è della nostra benamata penisola italica. Ad ogni modo, a prescindere dalla provenienza, avrete senz’altro capito le coordinate stilistiche dei nostri: un bel death melodico che l’iniziale “To the Void”, cosi ricca di verve e groove, mi richiama alla mente qualcosa degli Edge of Sanity più melodici o addirittura il progetto solista Dan Swano. Linee di chitarra ultra lineari, melodia da fischiettare e 4 minuti che volano via alla velocità della luce. Segue l’altrettanto breve “Behold this Man” e già accanto alle influenze swedish, emerge forte una componente legata al sound degli immortali Iron Maiden, mentre la terza “Seventh Day” lascia spazio ad un thrash dall’incedere molto “Bay Area oriented” anche se la voce di Federico Bosco, mantiene comunque la sua timbrica growl. A chiudere questo EP di quattro pezzi ci pensa la lunga “Persis”, forse la song più atipica del lotto, che abbandonate le velleità heavy/thrash delle tracce iniziali, si abbandona in ritmiche più death oriented, e forse un po’ più banalotte, pur sottolineando comunque la bontà tecnica dell’ensemble piemontese. Il consiglio che posso dare è di proseguire la strada intrapresa con “To the Void”, perché sono quasi convinto che qualcosa di originale potrebbe presto saltare fuori. Sono curioso di vedere se il cambio di line-up consentirà ai nostri di maturare quel tanto per rilasciare finalmente un vero e proprio full lenght. Li aspetto… (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 65

mercoledì 8 dicembre 2010

Impaled - The Last Gasp


Tornano i deathsters statunitensi Impaled con un nuovo malvagio lavoro. Non cambiando più di tanto dai precedenti album (resta tuttavia inarrivabile “Mondo Medicale” del 2002), il combo americano prosegue imperterrito nel proprio percorso di distruzione del mondo. “The Last Gasp” fondamentalmente è un album senza grosse pretese, indicato per chi è un fan della band o chi è in cerca di un sound all'insegna dello splatter-gore (lo si deduca anche da una copertina che presto cadrà vittima della censura). Il quartetto d'oltreoceano comunque, nonostante un avvio violentissimo, disegna insospettabili melodie nella terza “The Visible Man”, song che sembra pescare largamente dagli esordi dei britannici Carcass. Dalla successiva “You are the Dead”, i “patologi” di St. Julien tornano a far male con un sound più truce e in linea col passato, un death-grind dalle vaghe tinte punk-hardcore, con la solita doppia voce, lo screaming di Sean Mcgrath e le vocals gutturali di Ross Sewage. I brani scorrono via anche piacevolmente alternando mid-tempos in pieno stile “carcassiano” con qualche venatura rock (“Masters of Ordure” e “Right to Die”, per esempio), alle classiche sfuriate brutal. Un gradito ritorno dopo qualche anno d'assenza delle scene... (Francesco Scarci)

(Candlelight)
Voto: 65

Mechanical God Creation - Cell XIII


Avete presente la copertina di “Vulgar Display of Power” dei Pantera? Quella con l’uomo che si prende un pugno in faccia? Togliete il pugno e metteteci una mazza ferrata. Questo per descrivere la sensazione di violenza e orrore che mi ha evocato quest’album. Un disco veloce, adrenalinico, dominato dal growl e dal ritmo del doppio pedale. La melodia è roba per altri gruppi, così come la calma. Se siete deboli di stomaco, se siete in una fase un po’ depressa, se non siete sicuri di voi stessi... lasciate perdere. Pena: incubi. Io vi avevo avvertito. E anche lo band lo fa con l’incipit del disco. Fidatevi. Primo 45 giri per il combo milanese, il quintetto ci spara nelle orecchie, senza remore, senza pietà, quello che sanno fare. Nove tracce, nove note di sofferenza che tendono a confondersi, uno scotto da pagare per questo genere musicale. Appare una certa sensazione di violenza musicale fine a sé stessa, ma bisogna dire che, qua e là, qualche variazione, qualche accenno a cambiamenti compositivo-stilistici appaiono. Bravi, non è facile farli “sentire” in questi casi. Un esempio, l’attacco e l’evolversi della conclusiva “Death Business”. Prima cosa che colpisce: la voce androgina della cantante Lucy (già “Art of Mutilation”). Bravissima, mostruosa (artisticamente parlando, ci mancherebbe) poche donne cantano in gruppi simili. Lei lo fa in maniera molto convincente, sfoggiando una gamma di cantati terrificanti, da rimanerci di stucco. Riesce a mettere in secondo piano il growl dell’altro singer (anche chitarrista) della band Simo. Molto solido, ispirato, tirato, il lavoro del bassista Veon: fondamentale per l’aria insalubre di questo cd. Si stempera la buona fattura delle chitarre, forse un po’ ripetitive, ma potenti, continue, prive di fronzoli. Sono perfette per l’atmosfera grand-guignolesca. Ascoltate con attenzione “Divinity” a riguardo. Batteria, ecco la batteria, suonata a ritmi ultraveloci, dominata dall’uso del doppio pedale... forse risulta troppo piatta. Chiariamoci: non che addormenti, anzi. Non che manchi la tecnica, tutt’altro (prendete l’inizio di “2012”). Credo che in questo tipo di lavori, la parte ritmica dovrebbe cercare di dare dei cambi, dei punti di stacco marcati; così da spezzare una continuità, che potrebbe risultare indigesta verso la fine. Il platter gira via liscio e le songs non sono troppo lunghe (bravi). In generale si può trovare un buon equilibrio tra le parti cantate e quelle solo strumentali, non solo nella traccia singola, ma in tutto il lavoro. Minimalista l’artwork del booklet, ma con un’aura sinistra, giusto complemento a questo viaggio nell’orrore. Da notare l’interessante featuring dell’italica horror band Cadaveria in “I Shall Remain Unforgiven”. Grazie per averci regalato questa terrificante odissea, suonata in modo davvero convincente (e anche per aver reso insonni le notti di chi non ha seguito il mio monito iniziale). (Alberto Merlotti)

(Worm Hole Death)
Voto:75

martedì 7 dicembre 2010

Necroart - The Suicidal Elite


A distanza di cinque anni dal precedente “The Opium Visions”, tornano sulle scene gli italiani Necroart, che io seguo fin dal loro acerbo e furente esordio in cassetta intitolato “Let the Carnage Begin”. Era il 2000 e da allora di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia e il sound dei nostri ha subito evoluzioni mai pensate prima di inserire il presente cd nel mio lettore e mettermi all’ascolto di questo piccolo gioiellino. “The Suicidal Elite” apre con una song strumentale che ci fa capire già da subito la vena avantgarde/progressive che permea il sound dei nostri. È tempo della seconda traccia, “…And to Remember Forever” e posso farmi una vaga idea di quello che il combo pavese ha da dire: si tratta di una song lunga, articolata che si snoda attraverso emozioni più o meno forti calpestando territori impervi come quello del doom gotico (stile My Dying Bride), passando attraverso sfuriate death black (un mix tra Rotting Christ e primi Opera IX). Sono ancora disorientato che un arpeggio apre la malinconica “The River”, capace di palesare tutte le buone qualità della band di casa nostra: una bella epica cavalcata accompagnata dalle stralunate keys di Davide Quaroni e dalla voce corrosiva di Massimo Finotello che, non so per quale arcano motivo, ha uno stile che mi ricorda vagamente quello di Darren J. White, primo storico vocals degli Anathema (periodo “Pentecost III” – The Blood Divine), anche se qui siamo ancora in presenza di vetrioliche timbriche che talvolta si fanno pulite e suadenti o addirittura vengono affiancate da eteree vocals femminili. Il cd prosegue con questo stile, con brani lunghi e complessi, ma che rimangono senza ombra di dubbio stampati immediatamente nella mia testa. “The Suicidal Elite” mi prende, mi prende sempre di più, pur non essendo un lavoro cosi facile da digerire, ma la band ha classe e si sente e lo dimostra anche la title track che, nel suo inquietante alternarsi di emozioni, ci regala parti di black death contrapposte ad una bellissima parte di musica classica nella sua parte centrale (con tanto di violini e pianoforte), da brividi;bellissima e darkeggiante la parte finale con il vocalist che si esibisce cantando in italiano. Messo al muro da cotanta intelligenza musicale e fiero che finalmente anche band di casa nostra possano esprimersi su questi elevati livelli, mi appresto nell’ascolto curioso della seconda parte del cd, dove i pezzi migliori si rivelano “The Funeral Within” per quel suo incedere tetro e angosciante che sfocia in una dirompente parte finale, lascia passare per la veloce e furente “Demonwitch”. Forti di una eccellente produzione ai Bunkker Studios, nel sound dell’act lombardo convergono tutta una serie di influenze che hanno contaminato non poco i miei ascolti in ambito estremo: partendo dal black death ellenico/scandinavo al progressive degli Opeth, passando attraverso il death doom dei primi anni ‘90 dei mostri sacri inglesi Anathema, Paradise Lost e My Dying Bride (ascoltare “Love’s Deadly Weapons” per capire). Graditissimo ritorno per una band che può ambire a ottenere una consacrazione a livello europeo se sarà ben supportata dalla propria sconosciuta etichetta discografica. Io vi invito intanto a visitare il sito myspace della band e a richiedere il cd in questione che saprà catturarvi dopo diversi ascolti e non vi mollerà più. Eleganti e raffinati, complimenti! (Francesco Scarci)

(Orquestra de Muerte)
Voto: 80