#PER CHI AMA: Death Doom, primi Anathema e My Dying Bride |
La Solitude Productions continua imperterrita nella sua ricerca di talenti in giro per il mondo, dediti al death funeral doom ed ecco questa volta saltar fuori dalla Grecia questi Shattered Hope (da non confondere con gli omonimi metallers olandesi). La band di Atene, in giro ormai da quasi dieci anni, giunge finalmente al debutto dopo un paio di demo datati 2005 e 2007. La proposta del combo dell’Attica, come avrete capito, è un death doom che si rifà ai primissimi Anathema (quelli di “Serenades” tanto per capirci), sia per la considerevole lunghezza dei pezzi, sia per la plumbea atmosfera che ivi si respira, capace di farci sprofondare nella malinconia più totale, fin dall’iniziale “Amidst Nocturnal Silence”, song dotata di un forte flavour gotico. I primi tre pezzi (per la cronaca in “Vital Lie” compare come guest vocals anche Jo Marquis degli Ataraxie) sono la rappresentazione in musica di uggiosi paesaggi autunnali, caratterizzati da ritmi lenti, ossessivi per la loro ripetitività di fondo, dato da un riffing granitico e dalla presenza di un meraviglioso violino, in grado di regalare quell’aura nostalgica tipica dei My Dying Bride, che emerge ben presto e mi fa apprezzare non poco la proposta del sestetto greco. Arriva il momento di “Yearn” e anche delle mie prime perplessità: si tratta infatti di una song a sé stante, della sola durata di 3 minuti e mezzo, che spinge parecchio l’acceleratore grazie ad un death anonimo, che viaggia su ritmiche abbastanza tirate e con il vocione profondo di Nick a fare il verso a Darren White. Con “A Traitor’s Kiss” ricompaiono fortunatamente le melodie crepuscolari e l’influenza delle band della terra d’Albione si fa ancora più forte, a scapito ahimè dell’originalità, anche se a metà pezzo uno screaming mutuato quasi dal black, prende il sopravvento, con le ritmiche che accelerano paurosamente, ma è solo un attimo perché si ritorna ben presto alle decadenti atmosfere iniziali; qui le vocals riescono addirittura a trovare lo spazio in versione pulita e il sound pesca a piene mani anche dal repertorio dei Saturnus (complice la presenza alla voce di Thomas A.G.) e agli irlandesi Mourning Beloveth. È poi il momento di un intermezzo strumentale, prima dei monolitici 19 minuti finali della conclusiva “The Utter Void”, dove l’aria si fa ancora più rarefatta e stancamente si arriva alla fine di questo “Absence” che ci rivela che una interessante, ma ancora un po’ acerba realtà, si è affacciata nel panorama death doom mondiale. Nostalgici! (Francesco Scarci)
(Solitude Productions/Lugga Music)
Voto: 65
Voto: 65