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giovedì 24 agosto 2017

Pathology - S/t

#FOR FANS OF: Brutal Death
With a rhythm like a spray of bullets and thunder of artillery erupting up and down a battle line, Pathology runs amok leaving a wake of carnage that disassembles anything in its path. This band conjures images of rolling fortresses misshapen by arrays of weaponry in a seemingly random assortment of calibers and missile pods made for massacre rather than as an figure to appreciate. Made all the more imposing by their terrifying silhouettes stretching across blood-soaked battlegrounds, a regiment of these harbingers prognosticates the twilight of civilization. Unlike many inappreciable weapons systems of yore, shredded in scrap yards and burned on roadsides, there is a meticulous method to Pathology's misshapen steeds as they make their mad rush to scorch the earth through an album that transitions from a bewildering first blast to an exhaustive meditation on technique.

Eleven years old and on its ninth full-length album, this California outfit is an experienced mainstay of the brutal death metal realm and continues to plunge itself into the undulating pits of flesh that dot this world of sickness and gore. Immediately to the point, each song involves the slamming percussive patterns symbolic of the sub-genre as the ensemble forms an ever-morphing ball of aggression where strings attempt to breach the viscous surface, beating themselves to exhaustion and squeezed back into their confines by the fleshy crush. In “Litany” a thrashing surge enhances the guitars' muddy bounce. Behind it is an enticing lick here and there that takes center stage with higher pitch that wraps the guitars in harmony far above the abyssal bedlam. These aberrations stand far out against a series of slams and stomps that shows a serious focus on technique and packs each song to the brim with undulating variations on its restless rhythms. After an abrupt solo and a massive breakdown, the end of “Servitors” features a bit of Suffocation flair through a momentary guitar trill, just barely noticeable in the background of the romp and stomp, while “Shudder” showcases the intricacies of this down-tuned guitar dance alongside a magnetic vocal delivery that creates a disturbing accompaniment to an already obtuse album.

Pathology makes some very serious, very focused, ultra-brutal death metal in the veins of Texas' Devourment, Russia's Katalepsy, and Scotland's Cerebral Bore. Disgusting and indecipherable gutturals maintain the forefront, guitars fling themselves into pits of filth and arise with momentary screams while barely getting a chance to elaborate in merely two solos in this album, one in “Servitors” and another in “Vermillion”. Drumming consistently drives each song towards a fresh examination of the overall structure with astute variations, gravity blasts, and brutal bass kicking galore. Pathology is down and dirty while still remaining professional. This ninth studio album is a series of brutal death metal mainstays done very well with enough personal touch to keep the music fresh and versatile as it plunges deeper into realms of revulsion. (Five_Nails)

The Chapel of Exquises Ardents Pears - TorqueMadra

#PER CHI AMA: Post Rock/Ambient
La Cappella delle Squisite Pere Ardenti non può non destare la vostra (cosi come la mia) attenzione. Un moniker cosi originale non lo avevo mai letto e vuoi anche che i membri di questa nuova band, includano musicisti di due interessantissimi ensemble, gli inglesi Stems ed i francesi Anathème, l'ascolto è diventato del tutto obbligatorio. Fatto questo preambolo, lanciamoci ad assaporare le quattro tracce di questo breve 'TorqueMadra', un EP che saprà accarezzarvi, coccolarvi ed edulcorarvi (ora al rientro dalle vacanze estive) con sensuali melodie autunnali che si aprono con lo strimpellio di "Decameron". Una song che accanto all'arpeggio di chitarra iniziale, vede dispiegarsi un coro di archi che rendono il tono di questa traccia strumentale incantato, direi fiabesco. Che cosa c'è di meglio quindi se non abbandonarsi alle ammiccanti e suadenti melodie rilassate che vedono irrobustire la propria proposta nella parte centrale di una song che comunque vanta tutti gli ingredienti necessari per regalarvi un buon platter di musica post rock? Ecco, arriviamo al solito dolente punto, per il sottoscritto almeno, ossia la mancanza di una voce che ci accompagni in questo breve viaggio che racconti qualcosa di più di ciò che vogliono realmente esprimere questi The Chapel of Exquises Ardents Pears, uno strumento indispensabile in qualsivoglia forma per completare un sound che percepisco monco, sebbene la sua struttura complessa si muova tra frangenti più intimistici ("L'Eloge de la Folie"), altri più ambient ("Rose-Croix") fino ad arrivare ad altri math rock oriented ("Il Principe"). Diamo un significato più profondo a questi titoli, diamo un'espressione alla musica, diamo spazio alle parole... (Francesco Scarci)

Hevein - Sound Over Matter

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Groove Thrash/Metalcore
La “Terra dei Mille Laghi”, da sempre è fucina di talenti infinita. 'Sound Over Matter' è stato il pass d’ingresso nel music business degli Hevein, act finlandese in giro dal 1992, ma che soltanto nel 2005 riuscì a sfornare il tanto sospirato album d’esordio, ma anche il solo prima dello split del 2012. C’è subito da dire che il tempo impiegato per uscire sul mercato, ha dato sicuramente i suoi effetti con un risultato abbastanza soddisfacente e di gradevole ascolto. Il sestetto scandinavo propina un sound ricco di piacevoli sfumature e sorprese. I dieci brani contenuti in 'Sound Over Matter' palesano prima di tutto un immancabile gusto per le melodie, ma anche la voglia di uscire dagli stereotipi e trasmettere tutta la loro passione per la musica... musica, che è un susseguirsi di emozioni, riffoni heavy che sfociano in territori thrash stile Bay Area, influenze derivanti dal crossover dei tedeschi Pyogenesis e da contaminazioni metalcore americane; e ancora, parti atmosferiche e l’accompagnamento di un violino, caratterizzano le ritmiche martellanti della band, con voci growl ma per lo più pulite, che si scatenano all’interno dell’album che risulta come uno spaccato di luci e ombre disseminato in un vortice di suggestive visioni autunnali. Gli Hevein sono dei bravi musicisti, capaci di spaziare dai suoni granitici tipici del thrash/metalcore a momenti più pacati e ragionati. Ascoltate “Only Human” e anche ai metallari più integerrimi si scioglierà il cuore. Come non citare poi l’ultima e immensa “Last Drop of Innocence”, dove i nostri sembrano trasformati in una nuova incarnazione dei Pink Floyd: le vibrazioni che trasmette questo brano sono veramente notevoli, con inevitabili e forti richiami anche ad 'Eternity' ed 'Alternative 4' degli Anathema. Ben prodotti da Mikko Karmila, gli Hevein si palesarono come un act dalle potenzialità enormi, peccato solo per il prematuro scioglimento. (Francesco Scarci)

(Spinefarm - 2005)
Voto: 75

http://www.hevein.com/

martedì 22 agosto 2017

V/A - Mixed by Focal - Polarity

#PER CHI AMA: Electro Techno Music/Ambient
Difficile giudicare un lavoro così imponente, trattandosi fondamentalmente di ambient music, ritengo che sia da considerare una vera chicca per stoici appassionati del genere, una sfida che la sempre verde Ultimae Records ha voluto lanciare ai suoi più tenaci seguaci. Una collezione di hand - mixed monumentale che supera l'ora di durata per entrambi i lati, per così dire se fosse un vecchio vinile, uno etichettato come "Ambient Side" l'altro come "Techno Side", contenenti entrambi brani di autori noti, appartenenti all'etichetta transalpina, da Aes Dana a Deadbeat e molti altri, passando per gli alter ego, Focal e Kinosura, dello stesso autore dell'opera, ossia Amaud Galoppe. Celato sotto lo pseudonimo di Focal, Amaud si diverte a reimpastare e rivisitare i brani suoi e dei colleghi come se dovesse preparare una pozione magica che nella parte ambient acquista un valore assai alto in termini di profondità e devozione, mentre nella parte techno, disperde un po' della sua carica evocativa in favore di un sound ricercato, coinvolgente ma sterile in fatto di esplorazione cosmica e spirituale, più incentrato su ritmi frastagliati e suburbani e con l'orizzonte aperto a lussurie drums'n'bass/acid house e dance music. Il lavoro è sicuramente notevole per quanto riguarda l'ambient side (il mio preferito) con un gusto sonoro adorabile. Molto più leggera ma non scialba o banale, l'altra sua espressione in forma techno, da locale notturno di classe ad alta fedeltà, con il classico sound teutonico in salsa psichedelica e un moderato impulso nelle percussioni e nei bassi. Si continua sulla falsariga del genere coniato ad immagine dell'etichetta francese, con un'altra opera di prim'ordine, decisamente sempre sopra alla media, con qualità e resa sonora ai confini della realtà, dove l'uomo e la macchina s'incontrano in scenari da film cerebrali, astratti e psicologici, mari di droni digitali coloratissimi e oceani cristallini, mostrandosi come una vera autorità in campo ambient elettronico. Bella anche la possibilità di ascoltare il full mix (ovviamente da ascoltare in toto nella sua forma integrale) di entrambe le versioni, oppure, in brani singoli a 24bit che troviamo sulla pagina bandcamp dell'etichetta, accompagnati da un bel artwork alchemico, derivato dall'opera degli artisti plastici Suzy Lelièvre e Raphaël Kuntz. Buon ascolto, cercate solo di non perdervi in questo nuovo fantastico viaggio mistico verso luoghi e mondi immaginari. (Bob Stoner)

(Ultimae Records - 2017)
Voto: 80

https://ultimae.bandcamp.com/album/polarity

ÆRA - Of Forsworn Vows

#FOR FANS OF: Black, Emperor, Satyricon
"An Affirmation of Forsworn Vows" astutely builds its intensity to blasting height with a grating guitar texture that becomes a template for devastation later in the song. In regular black metal fashion, the tireless strings fill the air with choking clouds of sawdust as ÆRA extracts beautiful moments out of the ever-shredding grain beneath each riffing stroke. ÆRA 's rough and tumble black metal sound makes for good battle music when it erupts in fury before diving deeper into entangling its lead riff around a trestle table celebrating victory.

With plenty of atmospheric synth, a jagged juxtaposition of dragging tempo and raging temperament, and a hypnotically repetitive style that consistently forces itself onward to the next great change, this band concisely and distinctively demonstrates its handle of some of black metal's most recognizable aspects throughout 'Of Forsworn Vows'. Plenty of cymbal crashes and tinks cut through the wailing walls of guitar in the most intense moments of “Litany of Iron I: Ancient Graves of the Fallen – II: Rekindled Fires” before entering into the hall of a Satyricon style riff. ÆRA lyrically touches on notions of living and dying by the sword while surrounded by fallen brethren, ancestral rites to lands that face relentless savage sabotage, and metaphysical slaughters across mythical worlds that mimic diabolical discord on Earth. Though the band's name may translate to honor in Icelandic, the extensive violence described in “Die Wulvsara (Am Ende der Zeit)” shows that little honor will result from Ragnarok, but with how tremendous the battle is promised to be there is no place that anyone would rather be. There is elegance in this closing track as the percussion hammers home the wailing lead riff and its sobbing rhythm rejoinder while a synth backdrop uplifts the impact of the charge through Emperor's echos. After nearly eight minutes of a slow-moving build to the battle, the pieces are all set to take each other in a fierce exchange that leaves no sword unbloodied and no winner atop the mountain of carnage.

ÆRA has a first start that frequently hits at moments of Satyricon and Drudkh through this hypnotizing EP. With a good handle on their black metal and a raw production that affirms this proud and open-ended atmosphere, it will be an interesting evolution to hear how this group climbs further up the stairs of speed and momentum to materialize a monumental sound in the treble-tinned ears of black metal fans. (Five_Nails)

Postvorta - Carmentis

#PER CHI AMA: Post Metal, Isis, Cult of Luna
Quando si parla di post-metal in Italia, non si può assolutamente prescindere dal conoscere i Postvorta. Dopo gli enciclopedici 'Aegeria' e 'Bekoning', due colonne portanti in stile dorico del metal nostrano, i nostri ci offrono un’altra opera degna e figlia diretta dei suoi predecessori: 'Carmentis', edita da Third I Rex in UK e da Argonauta in Italia. Il nome sembra fare riferimento alla dea romana Carmenta, protettrice delle gravidanze e dotata del dono della profezia. Anche l’artwork rievoca lo stesso significato, il feto umano nell’utero richiama infatti il susseguirsi inesorabile del ciclo della vita e della morte nella sua fase di rinascita e di costruzione di un nuovo inizio. Premetto che la mia opinione su questo progetto verrà sicuramente influenzata dal fatto di averli visti live svariate volte e aver condiviso con loro il palco, ma credo questo sia solamente una conferma della qualità musicale e dell’imperturbabile identità artistica che i Postvorta portano avanti da parecchio tempo. Veniamo al dunque, 'Carmentis' è un porta d’entrata per l’universo del nulla, è un tempio all’ignoto e alla catarsi, dove ogni forma di pensiero umano si sgretola davanti alla maestosità estemporanea del suono. I pezzi principali sono incorniciati da due tracce soniche "15" e "13", rispettivamente intro e outro del disco, a rafforzare l’approccio post alla stesura dell’opera. In "15" si percepisce subito una voce femminile che danza assieme ai suoni ancestrali delle chitarre, a richiamare di nuovo il tema della maternità e della rinascita. Le colonne portanti dell'album poi sono i tre brani centrali, che assieme sommano a quasi 35 minuti. "Colostro", il primo dei tre, inizia con un breve ambiente sospeso a tratti quasi rassicurante, che ricorda “Carry” degli Isis, sostenuto solo dalla batteria e da pochi eterei intrecci di note. Il brano presto divampa come un incendio estivo alimentato dalla voce decisa e imperiosa di Nicola che si staglia sulla struttura di cemento armato, alluminio e ghiaccio creata dalle tre chitarre e della solida sezione ritmica dei Postvorta. Non pensare ai Cult of Luna all’ascolto di questo pezzo ed in generale di questo disco, sembra quasi impossibile. La sensazione è quella di entrare nella sala del trono di un monarca antico e dimenticato, inginocchiarsi a lui con rispetto e devozione per ascoltare i suoi ordini impastati nell’eco dell’alto soffitto della sala. La volontà del Re è guerra, morte e distruzione ma si percepisce la sua infinita saggezza forgiata da innumerevoli battaglie che convive con l’esasperato senso di appartenenza alla propria gente e ad un profondo amore verso i propri sudditi. Alla fine del pezzo si sente l’aria fredda che entra dagli spifferi delle vetrate dietro il trono e mi accorgo di non essere più in ginocchio ma seduto, da suddito sono diventato il Re stesso. "Cervice" mi catapulta direttamente sul campo di battaglia, gli eserciti sono schierati e marciano attraverso una landa desolata ed ostile. Il bagliore delle armature e il rumore ritmato della marcia inondano la valle, pare invincibile la mia armata, niente e nessuno potrà mai sconfiggere un tale dispiegamento di forze. Tornano gli ambienti onirici che levitano a mezz’aria per poi tornare a tuffarsi nel fango di sontuosi riff sludge fino ad arrivare alla coda dronica dove le melodie si distruggono e si gettano nel pezzo successivo, "Patau". L’immaginario a questo punto subisce un lieve turbamento, il pezzo è il più travagliato e il più potente del disco, come se l’esercito antico avesse inaspettatamente incontrato il proprio nemico. Non sembra tuttavia essere l’orda di selvaggi sanguinari che vuole invadere le terre del Re, ma una violenta e implacabile tempesta di ghiaccio e neve che sorprende l’accampamento nel cuore della notte. Il vento taglia la pelle, ghiaccia i cavalli e scoperchia le tende. I soldati non possono nulla, le armi di ferro non hanno nessuna utilità. Rimane solo accettare il proprio destino e soccombere alla forza infinita della natura che così come ci ha creato, ci può distruggere in un soffio. Il disco si chiude con "13" e i suoni di archi antichi e note desolanti, come a rimirare alla luce dell’alba, il campo di battaglia per l’ultima volta. Una valle cosparsa di cadaveri congelati, di armi intatte e animali morti coperti da una coltre bianca immacolata. Il silenzio regna sovrano, non una goccia di sangue è stata versata. Onore ai Postvorta. (Matteo Baldi)

(Third I Rex/Argonauta Records - 2017)
Voto: 80

https://3rdirex.bandcamp.com/album/carmentis

Ergotism - Notre Terre, Nos Aieux, Notre Fils et Nos Morts…

#PER CHI AMA: Pagan Black, Falkenbach, Otyg
Egregia riedizione in cd della prima opera uscita indipendente nel 2015, dell'oscuro combo francese degli Ergotism che ben figura tra le fila della combattiva etichetta teutonica Pesttanz Klangschmiede e che convince a pieno merito. La teatralità evocata dal canto pagano e violento, ricorda le malate escursioni dei Peste Noir in una versione più viking metal, per un dichiarato amore per il versante tedesco. Evocativo ed ancestrale, l'album del duo transalpino si snoda tra echi di Otyg, Tyr e un black metal riesumante i gioielli iniziali dei Covenant (leggasi 'In Times Before the Light') e tutto quel filone teutonico con il suo freddo e nervoso sound. Il suono è qui tagliente e guerriero, glaciale e ben congegnato nelle sue vocals che variano e s'intrecciano spesso tra screaming ed epiche liriche in puro stile vichingo. "Vinctus de Morte" è apoteosi per le mie orecchie con il suo inusuale, statico, alquanto violento e sensazionale finale che esalta la forma compositiva degli Ergotism (da non confondere con altre omonime band francesi e non, che si trovano su bandcamp), che riescono a dare una nobiltà alla parola pagan e black metal con una chiusura del brano cosi emozionale che vorrei non finisse mai. Il pagan, il folk ed il black convivono nella giusta misura e ad ogni nota che avanza, l'atmosfera diventa sempre più battagliera, cupa, nebbiosa ed originale. La band, senza mai dimenticare la melodia ed il pathos, scrive tracce esaltanti, ricordando maestri del calibro dei Falkenbach, arte che si manifesta e ne contraddistingue il sound, snodandosi in valide aperture acustiche ed eteree in stile Agalloch, come nel brano "Lux Davina". "Victoria & Honorem" è imperiale nel suo approccio apocalittico, maestoso manifesto sonoro decadente, carico di splendore e orgoglio che riflette il suo titolo fieramente. Tutti i titoli sono in lingua latina eccezion per "La Danse des Mort" affidata, in maniera divina, al francese. I titoli peraltro riescono a caratterizzare ancor di più questo primo full length e se osserviamo il titolo dell'album fissando la sua copertina, è naturale accostare questo lavoro al concetto di vero e proprio inno guerriero, all'arcigna volontà di sopravvivenza di un popolo. Il disco è alla fine perfetto per chi ama questo tipo di musica, epica, profonda, nobile ed introspettiva. Insomma, un disco d'altri tempi. (Bob Stoner)

mercoledì 16 agosto 2017

Anakim - Monuments to Departed Worlds

#PER CHI AMA: Techno Death, Nile, Obscura, Atheist
Ci ha impiegato ben sei anni la band di Weymouth per rilasciare il famigerato album di debutto. Sei lunghissimi anni, in cui mi sembra che il combo inglese si sia dedicato piuttosto agli altri progetti di cui fanno parte i membri della band, Imperium, Guerrilla, Basement Torture Killings, Chainsaw Castration ed Oncology, giusto per fare qualche nome. E dai moniker di queste band si potrebbe anche evincere il sound che gli Anakim vanno a proporre. Ma infiliamo 'Monuments to Departed Worlds' nel lettore e vediamo di che pasta sono fatti questi cinque ragazzoni britannici, dediti ad un brutal techno death dalle tinte progressive. Lanciandoci all'ascolto di "Sands of Oblivion", la song che viene subito dopo l'intro, non si viene infatti assaliti da velocità supersoniche o da grotteschi attacchi di brutal death gorgogliato dalla classica fognatura dei sobborghi di una qualsiasi città disagiata del mondo, gli Anakim ci offrono infatti un death melodico che prende le distanze da un po' tutto quelle sonorità estreme che saturano la scena. I suoni sono ritmati, le voci ovviamente growl e fortunatamente riusciamo ad evitarci il pig squeal vocale che mi infastidisce non poco. Le chitarre tessono trame ricercate soprattutto a livello solistico, peccato solo che il suono rischi di risultare eccessivamente ovattato e non sia cosi semplici isolare, almeno mentalmente, ogni singolo strumento, con un risultato alla fine parecchio impastato. I nostri proseguono nel picchiare che è un piacere anche nella successiva "Xenognosis", che evidenzia la ricercatezza inseguita dai nostri con un misto di tribalità sorretto da mastodontiche bordate ritmiche (spaventoso a tal proposito, il lavoro di Ewan Ross alla batteria, anche se non mi convince al 100% il suono che ne viene fuori - e non per la tecnica - ma per una certa vicinanza a 'St. Anger' dei Metallica) e rasoiate chitarristiche. "Wraith" è un po' più diretta nel suo approccio, mostrando i muscoli del quintetto del Dorset, con un apparato ritmico bello robusto che vede anche nelle linee di basso del bravo Ant Ridout, un valido alleato a costruire un muro sonoro che ammicca agli Obscura come punto di riferimento per i nostri. La song, dopo un delizioso assolo di Joe Ryan, assume connotati più psichedelici con una spettacolare break centrale e un finale da applausi. Bravi, bravi davvero: non è facile proporre pezzi tostissimi e lunghi senza rischiare di sfiancare l'ascoltatore. Il macello sonoro prosegue con la più canonica "Born of the Serpent's Tongue", una song che a parte i repentini cambi di tempo, non ha altro con cui mettersi in luce, e allora meglio skippare a "Diluvian Wrath" e al riffing acuminato con cui apre, che lascia il posto ad un sound stritolatore frantuma ossa, che in questa song ha un che di ossessivo e ansiogeno. Fortuna nostra è la presenza di uno splendido break acustico che taglia quella tensione che stava dilaniando i miei ultimi neuroni superstiti, per lanciarsi ad un finale più rockeggiante, reso più brillante da uno splendido assolo heavy. Un sound che avvicina i nostri ai Melechesh, prende il sopravvento in "Before the Throne of Ereshkigal", una song che richiama palesemente la mitologia sumera e il mito di Ereshkigal, moglie di Nergal e dea degli Inferi, una canzone che si muove tra un arzigogolato techno death in stile Nile e velati riferimenti black. "The Ouroboros Cycle" strizza infine l'occhiolino al techno death di Atheist o dei primissimi Cynic, mantenendo comunque intatta la carica distruttiva degli Anakim, soprattutto nella seconda metà del pezzo. Si arriva con le ossa ormai maciullate alla conclusiva "Child of Chaos" e mi rendo sempre più conto che affrontare quasi un'ora di suoni cosi potenti, è impresa ardua. Ci pensa l'ultima traccia a lanciarsi in un ultimo arrembaggio a cavallo tra black e death, a sancire cosi la fine di un primo divertente (ma impegnativo) lavoro di debutto per questi interessantissimi musicisti inglesi. Ben fatto. (Francesco Scarci)