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martedì 26 giugno 2012

Nacthvorst - Silence

#PER CHI AMA: Black/Doom/Sludge, Isis
Emozionante! Difficile dare una simile definizione ad un album black doom, che ammetto non avermi colpito affatto per il suo poco brillante avvio, anzi, devo dire che al primo ascolto, questo “Silence” l’avrei proprio segato. Poi non so come mai, ascolto dopo ascolto, è stata una crescita emotiva, una sublimazione della mia anima che si è integrata alla perfezione con il cupo pessimismo del duo olandese. E quindi, abbandonato quell’incedere burrascoso sludgecore di “The Serpent’s Tongue”, ecco lasciare il posto nella sua seconda metà a commoventi atmosfere autunnali, che ci fanno totalmente dimenticare di avere per le mani un prodotto black, fino ad abbandonarci totalmente alle malinconiche melodie di pianoforte della strumentale “After…”. Straziante. “Nightwinds” irrompe con il suo feeling oscuro e lo screaming efferato di Erghal, ma il rifferama tipicamente estremo, finisce per lasciare ben presto il posto nuovamente ad un vorticoso giro sludge/post che, senza dubbio, si rifà ai mostri sacri del genere. Sono stordito e quando “Gentle Notice of a Final Breath” attacca nel mio stereo, ecco che i fantasmi degli Isis (in versione black, ma solo per le vocals) aleggiano intorno a me. Quanta nostalgia per una band che ci ha lasciati, ma quanta gioia per una nuova che si affaccia, proponendo qualcosa che rievoca in me forti emozioni del passato. L’incedere è ipnotico, le chitarre mai troppo pesanti; l’unica cosa che fa prendere le distanze dalla band di Boston, è solo questa voce un po’ troppo maligna per questo genere, tale da confondere i fan e probabilmente rischiare di dividerli tra chi è sostenitore della causa più “alternative” e chi rimpiange la fiamma nera del black depressive dell’esordio “Stills”. Sinceramente, come al solito me ne fotto e proseguo nel mio ascolto, senza curarmi del passato, delle mode o dei commenti della gente. “Silence” è un album favoloso, intensamente emotivo, brillante, nostalgico e la conclusiva “A Way of Silence”, racchiude nei suoi 15 minuti tutta l’eccellenza che questi due ragazzi provenienti dalla terra dei tulipani, hanno da sfoggiare. Veramente bravi! (Francesco Scarci)

(Aural Music)
Voto: 85
 

giovedì 21 giugno 2012

Bretus - In Onirica

#PER CHI AMA: Doom Metal, Pagan Altar, Cathedral, Reverend Bizarre
Da Catanzaro giungono degli ululati nella notte. E dicono chiaramente "E' finalmente arrivato l‘album dei Bretus, 'In Onirica'!", quindi prendetene ed ascoltatene tutti, miei cari seguaci del metallo oscuro. L'ingannevole packaging d'ispirazione naturalista e in font celtici, devo dire che mi ha spiazzato subito, in quanto mi aspettavo di trovarmi davanti un mutamento di sound vicino ai Mael Mordha. Non preoccupatevi, i rilievi psichedelici sono rimasti, ma c'è comunque un'inafferabile atmosfera uggiosa di boschi, verdi campagne incontaminate e druidi che si passano spinelli. Tutti elementi che richiamano anche una grande band del passato, i Pagan Altar. Difatti i Bretus non si discostano molto dal primo doom metal, e riescono a renderlo più personale, più tagliente e più pesante. Le composizioni vanno oltre all'apparente riffone colmo di droga e spessosità. Radicati all'interno delle strutture possiamo incontrare splendidi assoli anni '70, arpeggi delicati, un basso che sa gestirsi bene nel non risultare scontato, e delle tastiere responsabili dell'ambiente etereo che circonda tutta questa pubblicazione. Coglie subito la mia attenzione la voce, esattemente quella che chiunque voglia ascoltare del buon doom classico cerca. Le tracce sono varie e frutto di una grande creatività, addirittura “Leaves of Grass” mi ricorda molto le sonorità di “Led Zeppelin III” mentre accosto la chitarra di “Down in the Hollow” a “Utopian Blaster” dei Cathedral. Ma il quartetto calabro non si ferma qui, e in chiusura passano ad uno scenario più colorato e psichedelico, chiudendo con “The Black Sleep”, 8 minuti di delirio che richiama gruppi precursori del doom come i Black Widow. La produzione tende ad oscurare i suoni ed a tagliare le tonalità, ma questo contribuisce a creare l'atmosfera cupa ideale per questo disco. Un debut eccellente, per tutti gli amanti del doom classico, caratterizzato da una vena psichedelica. (Kent)

(Arx Productions)
Voto: 80 
 

martedì 19 giugno 2012

Burnsred - Burnsred

#PER CHI AMA: Sludge/Doom, Mastodon, Unearthly Trance, Isis
Mi affascinano sin da subito questi Burnsred, gruppo di San Francisco portatore di uno sludge leggermente fuori dagli schemi, che loro tendono a denominare "progressivo" (anche se è un appellativo che affianco maggiormente ai Mastodon). Qui la pesantezza dello sludge è portata all'estremo. Non è la distorsione o certe sonorità di dimensioni esponenziali, come vorrebbe uno stampo di tipo post metal (di cui si evince una forte influenza), ad appensatire il sound della band californiana, ma sono i vari cambi di tempo. Queste inondazioni di lugubri riffoni ai quali si affianca una marcissima voce in scream, riescono a rappresentare il disagio più totale. Da ringraziare immensamente la parte ritmica che riesce ad arrivare a rallentamenti inverosimili, regalandoci queste quintalate di tensione doom. Ma la vera sorpresa di quest'album sono le parti che a mio parere richiamano questa decantata "progressività". I nostri mi scagliano infatti contro delle parti al limite dell'ambient, contornate di tastierine, noise, chitarre pulite, melodie e altre robe simili. Questi intermezzi calzano perfettamente con tutta la struttura sonora e compositiva della band, e posso definitivamente certificarlo quando la parte putrida dei Burnsred si scontra con questa loro anima tranquilla e sognante. In conclusione avrei preferito una registrazione più potente e brillante per far risaltare al massimo le malevoli sonorità di questo full-lenght, a cui non manca nulla, tranne quel pizzico di spessore. Consigliato a tutti gli amanti del downtempo e del marciume. (Kent)

(Self)
Voto: 80

Terraformer - The Sea Shaper

#PER CHI AMA: Post Rock strumentale
Devo ammettere che stavo per commettere un gravissimo errore. Cioè classificare i Terraformer nel consueto guazzabuglio di gruppi post rock, ma per fortuna ho ascoltato "The Sea Shaper" con giudizio (stavolta) e ho cambiato idea. Si, la struttura probabilmente riconduce al post, ma i suoni, curati con estrema attenzione, sono più rabbiosi e aggressivi. L'utilizzo del classico delay riporta alla mente certe situazioni già ascoltate, ma se non se ne abusa… Da chitarrista posso dare un parere personale alle sonorità delle sei corde dei Terraformer, dicendo che la distorsione è più vicina all’Hard/Heavy e questo crea una miscela personale. Innovativa sarebbe esagerato visto che ormai si è suonato qualsiasi strumento a corda con qualsiasi distorsore di suono esistente sulla terraferma... "Whale" ne è l'esempio lampante ed è diventata la mia traccia preferita, con le sue chitarre aggressive che lottano furiosamente con la linea melodica di basso e la batteria. Una perla musicale in fatto di composizione, i cambi di ritmica sono diversi, ma riconducono tutti ad una trama comune, tanto avvincente quanto potente. Quasi sette minuti che speri durino all'infinito. Non mi succedeva da tempo... La settima traccia "Cross Bearing" ha un riff iniziale che prende subito, ma anche "R'lyeh" lascia stupiti per la somiglianza sonora con i veterani Russian Circles, ma allo stesso tempo, ve li fa dimenticare, per la personale interpretazione terraformeriana. "Anacharsis" mantiene lo stesso stile, ma la traccia risulta più cupa, grazie al ritmo claustrofobico iniziale della batteria. Un mero alternarsi di rullante/tom/grancassa (non me ne voglia il batterista se ho cannato ad individuare i giusti fusti) che prende forma insieme alla chitarra. Un'altra canzone che conferma le eccelse capacità dei Terraformer e la loro maturità. Lancio una provocazione: ascoltate questo ottimo lavoro ed immaginatevi un vocalist dalla voce matura e roca, oppure più melodiosa alla Serj Tankian. Io dico che potremmo spegnere decine di canali Tv e radio che propinano musica "for the masses" ed iniziare a sentire, non solo ascoltare musica. (Michele Montanari)

(Self)
Voto: 80
 

sabato 16 giugno 2012

Eclectika - The Last Blue Bird

# PER CHI AMA: Black/Thrash/Post Rock, Dol Ammad, Limbonic Art
Quello che ho fra le mani è forse uno dei più difficili cd che mi sia capitato di recensire, ma che comunque mi ha stupito maggiormente, per il tipo di sound proposto. “L’ultimo Uccello Azzurro”, citazione che sembra presa dal film K-Pax, è un concentrato di suoni abbastanza affascinanti, anche se poco ben amalgamati tra loro: black furioso, passaggi thrash, ambientazioni sinfoniche e parti post rock, convergono interamente nella release della band francese. A mio avviso, se si fossero curati molti particolari, questo debutto poteva essere davvero una bomba, invece molte ingenuità ed imperfezioni, sicuramente dovute all’inesperienza del trio, lo hanno relegato in secondo piano. L’album si apre con un paio di brani dal rifferama tipicamente black sul quale si staglia lo screaming selvaggio di Aurelien Pers, le growling vocals di Sebastien Regnier e si inserisce la notevole voce soprano di Alexandra Lemoine. Una forte componente tastieristica (simile ai primi lavori dei Limbonic Art) contraddistingue questo debut; arcani passaggi strumentali (“Les Arcanes du Bien-etrè” e “Asylum 835”), gotiche ambientazioni, pompose cavalcate power e discreti assoli, completano il sound della band transalpina, che ha forse avuto il solo demerito di non esser stato in grado di rendere un po’ più omogeneo questo platter, che nasce da una grande ambizione di fondo, essere originale il più possibile. Di certo poi, una scarsa produzione penalizza il suono degli strumenti, non giovando quindi, all’esito finale di “The Last Blue Bird”. Nonostante questa serie di mezzi passi falsi, in fase di produzione, a me questo lavoro non dispiace affatto, forse per il coraggio che la band mette, nel tentativo di cercare una nuova strada per uscire dal vicolo cieco, in cui il metal estremo si è cacciato. Gli Eclectika sono una band potenzialmente dal grande talento: serve solo un po’ di esperienza per fare il grande salto in avanti; ce ne fossero di band cosi coraggiose in giro, il metallo pesante ne gioverebbe enormemente! (Francesco Scarci)

(Asylum Ruins)
Voto: 65

http://eclectika.bandcamp.com/

Infection Code - Intimacy

#PER CHI AMA: Noise/Post Hardcore, Today is the Day, Godflesh
“Pensavo che l’amore fosse un sentimento che…” Così esordisce questo stralunato lavoro degli Infection Code, che ha visto addirittura la band recarsi a San Francisco per il mixaggio, la masterizzazione e la produzione di “Intimacy”, sotto la supervisione di Billy Anderson (Neurosis, Eyehategod, Brutal Truth). Il quarto lavoro dei nostri, registrato presso i Nadir Studio di Tommy Salamanca, si rivela decisamente l’album più intimista e sperimentale mai creato prima d’ora: dall’iniziale “(E)motionless” infatti, si capisce subito che tra le mani non abbiamo qualcosa di puramente convenzionale. Per chi segue la scena post hardcore, il nome che per primo può venire alla mente è quello dei Jesu, in una versione però più selvaggia, brutale e oscura. Le sonorità contenute in “Intimacy” possono ricordare i suoni sintetici dei primi Ministry, ma non solo, perché “Bleeding” mi riporta alla mente certe sonorità punk-dark tanto in voga nei primi anni ’80, una sorta di Fields of the Nephilim in acido. Le influenze dei nostri, in questa claustrofobica release, non si fermano tuttavia qui: sludge, psichedelia e industrial si fondono in questo magnetico lavoro, che sicuramente farà la gioia anche dei fans di Mastodon, degli amanti degli schizoidi ed imprevedibili Fleurety, nonché per chi adora le angoscianti atmosfere dei Neurosis. Album pazzesco, questa release degli Infection Code, che per i primi 300 fortunati aveva previsto anche in un vinile colorato. Altra chicca imperdibile è la versione claustrofobica di “Heart Shaped Box” dei Nirvana, rivista in chiave industrial/cibernetica con la voce malata di Blood a dare quel tocco di follia che non guasta, mentre una serie di sampler la rendono, nella parte finale, quasi irriconoscibile. Abbandonati gli esordi industrial death/grind, gli alessandrini Infection Code ci regalano un gran bel lavoro, speriamo solo che la gente abbia la mente abbastanza aperta per capirlo; fortemente consigliato a chi ama la sperimentazione e l’avantgarde. Pazzoidi! (Francesco Scarci)

(Beyond Productions)
Voto: 80
 

Hollow Corp. - Cloister of Radiance

# PER CHI AMA: Sludge, Cult of Luna, Isis
E in Francia andiamo a scoprire il debut degli Hollow Corp., band che propone un metalcore (a tratti), fortunatamente arricchito da una forte componente sludge ed industriale, in grado di farmi apprezzare notevolmente quest’album. L’apertura è affidata ad “Elevation” song dall’incedere dapprima veloce, che mi fa credere di trovarmi fra le mani l’ennesimo disco metalcore, ma che poi subisce un rallentamento, presagio di ciò che ci aspetta da questa intrigante release. Dalla successiva “Inferno” infatti, si capisce che il sound proposto dal combo transalpino è più orientato verso lidi sludge piuttosto che metalcore, con brani caratterizzati da lunghezze abbastanza impegnative (sui sette minuti) e da sonorità contraddistinte da un grado di saturazione dell’aria sempre più elevato: la velocità infatti non è mai considerevole, grazie anche ad atmosfere che si fanno sempre più cupe e angoscianti, con giri di chitarra schizoidi che si ripetono (in stile Meshuggah), stordendo non poco il nostro cervello. “Code” e soprattutto la successiva e lunga “Peripherals”, riescono, grazie al loro frustrante incedere monolitico e all’ingegnoso inserto di melodie industrial/psichedeliche (al limite del lisergico), a sballare letteralmente l’ascoltatore, catturandone l’attenzione e tenendone vivo l’interesse fino in fondo. Non c’è nulla di scontato in “Cloister of Radiance”, anche se alla fine si rivela un prodotto di non certa facile assimilazione. Duro da digerire, ma sicuramente di grande presa per un pubblico esigente, che ha ancora voglia di essere stupita, gli Hollow Corp. escono vittoriosi da questa loro prima prova. Da segnalare l’ottima la prova del vocalist, capace di districarsi tra il cantato in growling, screaming e clean. Hollow Corp., un nome da segnare assolutamente sul vostro taccuino! (Francesco Scarci)

(Dental Records)
Voto: 75

Tephra - A Modicum of Truth

# PER CHI AMA: Sludge, Neurosis, Mastodon, Isis, The Ocean
Chissà, forse abbiamo trovato la risposta europea al magnetico sludge statunitense: i Tephra arrivano dalla Germania con il loro suono da giorno dell’Apocalisse. L’album raccoglie 70 minuti di oscure atmosfere e sinistre melodie: “A Modicum of Truth”, partendo dalla tradizione americana, unisce ad essa, bastarde linee doom, sludge e metal. La principale influenza per il quintetto di Berlino, nato nel 2003, viene dai mostri sacri Isis e Neurosis, senza tralasciare tuttavia una forte ascendenza che gli svedesi Cult of Luna hanno avuto sui nostri. Pur certamente non brillando per originalità, la band teutonica riesce comunque ad infondere, attraverso gli undici brani ivi contenuti, tutto il proprio disagio, con dei pezzi altamente emozionali, carichi di disperazione, odio e dolore. Come già mi era successo, ascoltando le ultime fatiche dei Cult of Luna, anche qui la band sembra disegnare, con la propria musica, aspri paesaggi invernali, grazie al loro caustico sludge, reso ancora più distorto e corrosivo, dalla forte componente post-hardcore, individuabile soprattutto nelle linee vocali di Ercument Kalasar. La musica invece, nel suo altalenare di emozioni, passa da picchi di profonda depressione ad altri momenti in cui l’aria si fa cosi rarefatta che diventa quasi impossibile respirare: è il caso di “Big Black Mountain” e “Changes”, due ottimi episodi che insieme a “Until the End”, rappresentano forse al meglio il cd. Ottimo quindi, il passo avanti compiuto dall’act tedesco, rispetto al non brillantissimo esordio del 2005: sicuramente le capacità per emergere, in un territorio tutto da esplorare, ci sono, e i Tephra hanno la giusta carica per farlo… (Francesco Scarci)

(Riptide Recordings)
Voto: 70