Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Exhumed Records. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Exhumed Records. Mostra tutti i post

domenica 18 ottobre 2020

Vitam Et Mortem - El Río De La Muerte

#PER CHI AMA: Black/Death, Dissection, Morbid Angel
Il "fiume della morte", questo il titolo ovviamente tradotto in italiano del duo colombiano dei Vitam et Mortem che si pone come parallelo tra il fiume colombiano Magdalena, teatro di violenza e l'Acheronte, il fiume degli Inferi nella mitologia greca. La band, formatasi nel 2002, ha all'attivo sei album all'insegna di un death black melodico che farà la gioia di tutti coloro che seguono Dissection, Marduk e Morbid Angel, che mi sembrano le prime influenze che si palesano in "Los Cuerpos en el Río" che segue a stretto giro l'intro del disco. Il sound dei due di El Carmen de Viboral è un gorgo musicale in cui fluiscono le melodie e graffianti linee di chitarra dei nostri che mi evocano immediatamente gli svedesi Dissection, con quelle grandi aperture melodiche che si affiancano ad arrembanti cavalcate death. "La Danza de Los Gallinazos", meravigliosi a proposito i titoli dei pezzi, evoca invece a livello ritmico i Morbid Angel con quei riffoni belli pesanti e quelle voci abbastanza catacombali, sebbene poi i chorus, sembrino smorzare la violenza dei due sudamericani. Addirittura in "Aqueronte", le growling vocals cedono il passo ad un cantato più teatrale (ricordate gli Angizia?) con il sound che cambia, partendo da un ritmo marziale esplode in vertiginose schegge metalliche impazzite, tra saliscendi frenetici e oscure melodie, in un sound che potrebbe addirittura ricordare i Melechesh. Niente male affatto. Di contro la successiva "El Animero" non ha nulla di particolarmente interessante da offrire, è il classico brano che rimane nel mazzo e fa da riempimento. Molto meglio allora il brano che ne segue, "Barquero de los Muertos", più che altro per quella sua chitarra di sottofondo che evoca ancora una volta lo spettro dei Dissection in un contesto estremo dai tratti vagamente orchestrali. Una chitarra acustica spagnoleggiante apre invece "Plegaria a los Muertos", un pezzo death metal bello tirato e oscuro, sebbene poi riesca a regalare delle melodiche linee di chitarra, sfoggiando peraltro un'ottima tecnica individuale, ma non è certo la prima volta che lo si apprezza nel corso del disco. "Nomen Nescio" sarebbe una sorta di outro del cd, in realtà funge da bridge per i rimanenti due brani, "Yo Soy el Siguiente Muerto" e "Ritos de Muerte". Il primo è un vecchio pezzo della band risalente all'uscita del 2008 del disco 'Commanding the Obscure Imperius', qui riletto in chiave più moderna, strizzando sempre l'occhiolino ai Morbid Angel. La seconda è una cover dei Masacre (di cui avrei fatto sinceramente a meno), estratta dall'album 'Sacro' del 1996 della band originaria di Medellin che va comunque a completare un disco intrigante per una band da tenere assolutamente sotto stretta osservazione. (Francesco Scarci)

(Satanath Records/Exhumed Records - 2020)
Voto: 72 
 

mercoledì 8 gennaio 2020

Arallu - En Olam

#PER CHI AMA: Black Mesopotamico, Melechesh
Non più di un anno fa abbiamo recensito su queste pagine 'Six', sesto album degli israeliani Arallu. Autunno 2019 e i nostri tornano con un nuovo lavoro, 'En Olam' ed il loro inconfondibile sound black thrash mesopotamico. Non si scherza davvero con la rabbia distruttiva di "The Center of the Unknown", incendiaria opening track che solo dopo una martoriante parte thrash metal, dà sfoggio a quel marchio di fabbrica che da sempre rende gli Arallu e poche altre band (Melechesh su tutte) come alfieri del Mesopotamic sound, ossia di quelle melodie mediorientali abbinate al black, che rendono la proposta dei nostri cosi originale ed esotica. La title track si palesa in questa veste già dalle prime note con un sound decisamente più ritmato quasi tribale, con quelle splendide melodie che immagino accompagnare il sinuoso movimento di deliziose danzatrici del ventre. E mentre la mia fantasia mi guida verso bellissime donne, ecco che a scuotermi dal mio stato onirico, ci pensano le aguzze chitarre del quintetto israeliano. La musicalità di quel mondo antico si manifesta anche nella successiva "Devil's Child", brano dalle ritmiche serrate e dalle voci acuminate che mostra un bel break centrale a rallentare una song sin qui assai infuocata. La chiusura è affidata poi all'incisivo coro che inneggia proprio al titolo del brano. Non c'è tempo di prendersi pause, visto che "Guard of She'ol" irrompe a gamba tesa nello scorrere impetuoso di questo 'En Olam', che vede peraltro qui l'utilizzo da parte del vocalist, di un cantato pulito, per un esperimento davvero azzeccato. Parte decisamente in sordina invece "Vortex of Emotions", con un titolo del genere mi sarei aspettato ben altro: ci vogliono ben quattro minuti infatti ai nostri per provare ad aumentare il numero di giri al motore, con scarso successo a dire il vero, per un capitolo non troppo ben riuscito. "Achrit Ha'Yamim" è il classico intermezzo strumentale che ci introduce a "Prophet's Path" che mi sa tanto diventerà la mia song preferita dell'album, di certo quella più varia per la sua natura multietnica, peccato solo duri poco più di tre minuti. Le cose sembrano tuttavia progredire con le canzoni finali: davvero buona "Unholy Stone", che non so per quale motivo, riesce a trasmettermi quella sensazione di tensione e disagio che avvertii la prima volta che mi trovai in piena città vecchia a Gerusalemme. Lo stesso dicasi per la successiva e suggestiva "Trial by Slaves" che completa un trittico di song davvero interessante. A chiudere, la magia di "Spells", un gran bel pezzo all'insegna di un sound orientaleggiante che chiude degnamente il settimo sigillo targato Arallu. (Francesco Scarci)


(Satanath Records/Exhumed Records - 2019)
Voto: 74

https://satanath.bandcamp.com/album/sat266-arallu-en-olam-2019