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martedì 15 luglio 2025

Azathoth’s Dream - Solitary Forest Necromancy

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
After an interesting debut EP and the subsequent excellent full-length entitled 'Nocturnal Vampyric Bewitchment,' the USA-based duo Azathoth’s Dream is back for the rejoicing of 90s black metal die-hard fans. I personally enjoyed their debut album quite a lot, as it truly sounded like an honest and well-elaborated homage to black metal’s most authentic times.

Two years later, the duo is ready to unveil its new album, and the question is whether it will be on par with its predecessor or if it can improve upon it. 'Solitary Forest Necromancy' is the title of the new beast, and it follows the same patterns, for sure. The album is firmly rooted in the quintessential characteristics of the genre, with no big surprises regarding the elements that can be found in it, which is obviously good news for the average fan. The American duo has created ten pieces where rawness and atmosphere coexist in excellent balance. If we compare both albums, I would highlight that, in general terms, the atmosphere is even stronger here, but never to the detriment of the fierceness in the compositions. The keys play an important role, as their presence is notable. They are perfectly paced in the mix, and they embrace the rest of the instruments, creating a solid feeling of unity. Kudos for the production work, because even though the sound is raw and primitive, the guitars, keyboards, rhythmic section, and L. Azathoth’s vicious shrieks each have their own space to shine. Azathoth’s Dream's material is far from being complex, but it has the required variety in terms of guitar lines and tempo changes that make their compositions highly enjoyable and well-crafted. I personally appreciate it when a band tries to create compositions where the pace has its ups and downs and avoids sounding exasperatingly repetitive.

The album opener, "Denied", showcases the aforementioned characteristics with a fast-paced beginning, where L. Azathoth's screams lead the charge alongside the powerful guitars and hypnotic keys. Fast and slower tempos are tastefully combined to enhance the track's strong ambiance. This combination sounds even more inspired in "Ancient Black," which is one of the strongest tracks on the album. The guitar lines are particularly strong in the equally furious "Malevolent Enshrined," where the drums also sound remarkably powerful. The band slows down the pace a bit in the enjoyable track "Coven of the Ancient Black Flame," although, as is the case with the rest of the composition, you won't find a single song where fast or slow sections are completely absent. The mix of different rhythms is a key element of Azathoth's Dream and one that this project aims to preserve, which I consider a wise decision, as it is a fundamental ingredient of this well-crafted album.

'Solitary Forest Necromancy' is undoubtedly another solid step in Azathoth’s Dream’s career. The elements found in the previous works are still here, perfectly mixed and maintaining a great level of inspiration for our personal delight. (Alain González Artola)


Gravenia - S/t

#PER CHI AMA: Stoner Rock
Siamo in ritardo di qualche mese nella recensione dell'album di debutto, via Overdub Recordings, dei Gravenia, band romana dedita a uno stoner rock virato a una certa emozionalità di fondo, molto accentuata e tipica di alcune famose band della scena indipendente italica. Forse perché i Gravenia usano la lingua madre e una certa ricorrenza alla licenza poetica per esprimersi, (non certo tipica del genere che è di solito associato al grasso delle motociclette o ai tubi di scarico delle auto anni '70, ufo, horror b movie etc.) e uno stile adottato per le parti vocali, atipico per questo tipo di rock, che subito balzano alla mente i Verdena, quelli più suggestivi, appunto quelli che sapevano trasmetterti qualcosa. Ora, se prendiamo l'effetto emotivo de 'Il Suicidio dei Samurai', e lo accostiamo a un suono pesante, desertico, non necessariamente di matrice americana, mi rendo conto con mia grande sorpresa e felicità, che questo debutto è molto vicino al sound di dischi usciti nella prima ora, album che hanno segnato la prima ondata dello stoner rock europeo, come l'omonimo irraggiungibile degli olandesi 35007 e il suono della polvere stellare degli australiani, e poco conosciuti, Wrench ('Oscillator Blues'). Il gioco sonoro dei Gravenia è fatto, ed è molto coinvolgente. Canonici nella costruzione sonora, i nostri hanno saputo costruire comunque un album omogeneo che, seppur attingendo e rimanendo confinati nel recinto del genere in questione, osano dare quel tocco di originalità in più, basandosi sulla volontà di voler comunicare attraverso la loro musica. Questo crea inequivocabilmente la differenza che li vede in vantaggio verso altre stoner band che si limitano invece a imitare pedissequamente. "Belve", "Vetro", "Serpenti", "Orbita", sono brani perfetti dal suono pesante e cosmico, ben equilibrato e compatto, che per essere così grosso e ruvido, accostato a questo modo di cantare, risulta per certi aspetti anche raffinato, artisticamente attraente ed evoluto, emotivamente intrigante, perfettamente a suo agio nel cosmo più oscuro. Un disco, peraltro dotato di un'ottima produzione, che forse, a torto, verrà sottovalutato, solo perché il cantato in lingua italiana non ha il fascino della lingua d'Albione. Eppure, musicalmente si tratta di un disco di tutto rispetto, integrato a dovere nello stoner rock, ed emancipato a dovere, per la musica indie nazionale. Un disco intelligente, dinamico e per molti aspetti psichedelici anche riflessivo. Ascolto consigliatissimo. (Bob Stoner)

(Overdub Recordings - 2024)
Voto: 82

https://www.facebook.com/graveniaband/

venerdì 11 luglio 2025

Aasar - I, the Hell

#PER CHI AMA: Blackened Deathcore
Secondo EP in due anni per i trentini Aasar, che con questo 'I, the Hell', propongono un nuovo colpo di scena nel panorama delle sonorità blackcore, seguendo il percorso tracciato dal precedente 'From Nothing to Nowhere'. Cinque i pezzi a disposizione per il quartetto nordico, con la rumba che prende il via con il rifferama sincopato della title track, un pezzo complesso e potente dotato di un'architettura musicale prettamente djent, arricchita però da blast-beat infernali, breakdown deathcore, vocals super caustiche, e un discreto senso della melodia, nonostante il corrosivo sound messo in piazza dai nostri, il che dimostra una certa versatilità nello stile della band. "Exiled" segue subito a ruota, caratterizzata da un bilanciamento più solido tra melodia e brutalità, complice una chitarra dal groove marcato in sottofondo, qualche orpello cibernetico qua e là, un'introduzione più atmosferica, e spruzzate di melodia che provano a smorzarne comunque la veemenza. Tuttavia la brutalità non tarda a farsi sentire, con accelerazioni implacabili, vocals al vetriolo e quel senso di vertigine apocalittico tipico dei breakdown. Che sia la top hit del disco? La risposta definitiva si avrà con il fade-out che introduce a "Crypt of Agony", che vede la collaborazione di Jake D. Sin (voce dei veneziani Unethical Dogma), la cui ugola s'intreccia con quella del frontman Simone Giacopuzzi, in un brano che fa del djent/deathcore, il proprio dogma, tra chitarrone super ribassate e tonfi ritmici che palesano nuovamente la potenza della band. "LiTh" tenta inizialmente di offrire una pausa con un'apertura più atmosferica ma ben presto, a prendere il sopravvento, sono ritmiche complesse e sinistre, accompagnate da urla graffianti e un predominante elemento deathcore, nonostante alcune spruzzate black metal siano riscontrabili durante l'ascolto. Ottima comunque la linea melodica di chitarra che guida l'ascolto, il basso pulsante di Daniele Nicolussi, senza dimenticare le funamboliche percussioni del mostruoso Denis Giacomuzzi che aggiungono ulteriore profondità al sound, riempiendoci i padiglioni auricolari di un sound mid-tempo ricco di intensità. Infine, "Spineless" chiude l'opera enfatizzando ulteriormente la spettacolare pulizia dei suoni, e la sua straordinaria e abrasiva densità ritmica. Pur non essendo un pezzo veloce, l'arrangiamento si dimostra incredibilmente energico, con una struttura che sarà capace di farvi colare il sangue dalle orecchie. Alla fine, non posso far altro che invitarvi alla cautela nel maneggiare questo pericoloso dischetto, rimanendo in attesa di un debutto su lunga distanza, che sembra già promettere grandi cose. E allora allacciate pure le cinture di sicurezza. (Francesco Scarci)

(Seek & Strike - 2025)
Voto: 74

mercoledì 9 luglio 2025

Shining - Divided You'll Stand & United You'll Fall

#PER CHI AMA: Black'n Roll
Sono sempre stato un fan degli svedesi Shining, eppure da qualche anno a questa parte, ho come l'impressione che Niklas Kvarforth e soci, stiano rilasciando un po' troppi riempitivi (tra live, Ep e demo) che francamente, non ho trovato di grandissima qualità. Questo EP, intitolato 'Divided You'll Stand & United You'll Fall', sembra voler andare nella stessa direzione, dal momento che su sei tracce, tre sono delle cover, una è già stata proposta e infine c'è un riempitivo di 27 secondi. Si parte subito con la roboante "Chief Rebel Angel", cover degli Entombed, il cui legame musicale con gli Shining, davvero mi sfugge. Fatto sta che la band svedese fa il suo compito alla grande con un sound roccioso, la voce di Niklas intrisa di una forte componente emotiva e per questo assai convincente, ma che comunque, con quello che è il sound depressive black dei nostri, c'entra poco nulla. Godibile, ma non capisco. Si passa quindi a "Pick Up the Bones" di Alice Cooper e potrete immaginare come il sottoscritto ci possa capire ancora meno, se non intuire una forma di bizzarro entusiasmo da parte di Niklas nell'esplorare brani completamente avulsi dal suo territorio. Con "Joakims Höghussång" possiamo saggiare finalmente lo stato di forma del sestetto di Halmstad, con un pezzo oscuro, lento e inquietante che sembra quasi presagire significative evoluzioni stilistiche future. "Crawl Across Your Killing Floor" è un altro pezzone rock, del buon caro Glen Danzig, che viene reinterpretato con grande personalità da Niklas e farà la gioia di chi attende con ansia il nuovo disco degli Shining, atteso peraltro a fine ottobre. Gli ultimi due pezzi sono l'inutile "Då Döden Äntligen Vunnit" e la violenta e in totale stile Shining, "Ugly and Cold", song che era già apparsa però su un 12" nel 2022 e che fondamentalmente, poco aggiunge a questo lavoro. Per quanto mi riguarda, preferisco i full length dei nostri a queste mosse un po' troppo commerciali al mio naso. (Francesco Scarci)

martedì 8 luglio 2025

Wardruna - Birna

#PER CHI AMA: Folk/Ambient
Leggere Columbia Records (alias Sony Music) accanto al nome dei Wardruna, devo ammettere mi faccia un certo effetto. La band norvegese d'altro canto, ha avuto un successo cosi importante negli ultimi anni (complice anche la partecipazione sonora alla serie TV Vikings e al videogioco Assassin’s Creed Valhalla) che gli varrà anche la possibilità di suonare all'Anfiteatro degli scavi di Pompei quest'estate. Fatto sta che 'Birna' è il sesto album del duo scandinavo che tra le sue fila in passato, ha visto anche la presenza di Gaahl. 'Birna', che in norreno significa "orsa", rivela un concept nel suo titolo, ossia il ciclo di vita dell'orsa, la sua morte e rinascita. Il disco, forte di una produzione a dir poco spettacolare che enfatizza ogni singolo strumento, include dieci tracce che vedono intrecciarsi elementi folk, ambient e ritual music, per un'esperienza sciamanica, evocativa, spirituale, capace forse alla fine di riconnetterci alla natura, sin da quel battito di cuore che apre "Hertan", un pezzo solenne, che stabilisce sin da subito che cosa attendersi dall'ascolto dei 66 minuti di musica che costituiscono questo lavoro monumentale. Un disco che vede un massiccio utilizzo di strumenti tradizionali, come la talharpa, il flauto, la lira, il corno di capra e l’arpa a bocca, combinati poi con suoni della natura, atmosfere ipnotiche e meditative ("Birna"), suggestioni ritualistiche che a occhi chiusi, inducono immagini che ci riportano a uno stato di primordialità e al contempo di sacralità ultraterrena. Suoni di ruscelli aprono "Ljos Til Jord", accompagnati poi da eteree voci femminili che accompagnano quella di Einar Selvik, su di un tappeto ritmico tribale. "Dvaledraumar" ha la pretesa di durare oltre 15 minuti, con un tema ambient per la maggior parte del suo tempo, il che, devo ammettere, alla fine stufa un pochino. Trovo infatti che i Wardruna siano più intriganti nei brani più brevi, caldi ("Hibjørnen"), o comunque formati da una struttura canzone più consolidata ("Skuggehesten"). Tuttavia, 'Birna' alla fine è un signor album che segna il ritorno di una delle band in ambito ambient folk, forse più influenti al mondo. (Francesco Scarci)

(Columbia Records - 2025)
Voto: 77

https://www.wardruna.com/

lunedì 7 luglio 2025

Aeba - Rebellion – Edens Asche

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Symph Black
Tedeschi e prodotti dalla Last Episode, non potevano far altro che black sinfonico. 'Rebellion – Eden Asche' è stato il secondo full length per gli AEBA che realizzarono nel 2001 un mattone di sessantasei e passa minuti di metal tendenzialmente aggressivo e discretamente suonato. Va subito segnalato l’utilizzo di una drum machine, benché le ritmiche siano assimilabili a quanto potrebbe fare un batterista in carne e ossa. I tempi sono in genere sostenuti ma non raggiungono mai velocità stratosferiche. A essi vorrebbero far da contraltare gli intermezzi atmosferici realizzati grazie ad arpeggi e tastiere, ma in verità non ho mai trovato troppo emozionanti questi stacchi, così come non mi è piaciuto granché il ruolo della tastierista. Le tastiere sembrano infatti un po' tagliate fuori dal songwriting, nonostante la presenza di questo strumento non sia relegata a qualche intervento. Alcune parti maestose–trionfali fanno la loro figura, va però detto che i sessantasei minuti di questo cd sono dati anche dall’eccessivo ripetersi di certi riffs e stacchi (soprattutto quelli più azzeccati), che finiscono così per venire a noia. Per questo, le canzoni risultano decisamente prolisse e meno varie di quanto la loro durata potrebbe far pensare o sperare (provare per credere: ascoltatevi la sesta traccia!). Nulla di eclatante le chitarre: potrebbero intrecciare meglio le rispettive linee, ma suonano invece spesso identiche. Le parti vocali, che si dividono i due chitarristi, non sono niente male, e le urla acute e ruvide o più roche nei momenti recitati, sembrano ben adattarsi alla musica. Senza aver mai avuto la pretesa di essere una new sensation o scopiazzare palesemente, questi AEBA cercavano in definitiva, di suonare symphonic black metal in maniera personale. Questo non sempre è riuscito, ma gli sforzi sono stati apprezzati. Una critica oggettiva va fatta anche alla produzione: nonostante gli strumenti si sentano singolarmente bene, manca quel tocco che renda coeso l’insieme e doni maggior compattezza, e quindi anche aggressività e potenza, al sound dei quattro teutonici. Chi ama parecchio il genere dovrebbe apprezzare; quanto agli altri, vi sfido ad arrivare fino in fondo.

(Last Episode - 2001)
Voto: 65

https://www.metal-archives.com/bands/Aeba/

Fleet Foxes - Shore

#PER CHI AMA: Indie/Alternative/Folk
L'acqua. Vista dalla spiaggia. 'Shore'. Nuotare, crogiolandosi nella dimessa rivelazione dell'amore sentimentale ("Wading in Waist-High Water") o nell'amore ammirato per i miti del rock ("Sunblind", una sorta di non-solo-white hymnal annata twenty-twenty), con un'attitudine laicamente ma catarticamente battesimale. O più semplicemente, rievocare le onde dei ricordi passati, nelle istantanee della memoria ("For a Week or Two"), opposte agli angoscianti marosi dei presenti avvenimenti mondiali. Omaggiare Victor Jara (l'uomo, più che l'artista) significa cantare le sue canzoni sulla spiaggia ("Jara" introduce, nelle parole dell'autore, il suo personale concetto di headbanging, il che è tutto dire), e poi diciamocelo, cavarsela nella vita è un po' come navigare ("I'm Not My Season"). Se da un lato i riverberanti chiaroscuri della bellissima "Featherweight", al contempo semplicissimi e complessissimi, o la dissolubilità sussurratamente progressive di "Quiet Air / Gioia" riportano al precedente 'Crack-up', è altrettanto vero che complessivamente quest'album, maieutico e al contempo massimamente terapeutico (le ansie da foglio bianco raccontate in "Can I Believe You", ma anche quelle per il mondo che rotola a rotoli in "A Long Way Past the Past"), intende allontanarsene per sonorità e approccio tematico, riapprodando per quanto possibile, a quel freschissimo spleen pastorale, ruralissimo (ma soltanto sotto tortura userò il termine "pasturalissimo"), che rendeva grandi, anzi enormi, i primissimi lavori. (Alberto Calorosi)

(Anti-Records - 2020)
Voto: 75

https://fleetfoxes.bandcamp.com/album/shore

giovedì 3 luglio 2025

Helheim - HrbnaR / Ad Vesa

#PER CHI AMA: Black/Thrash
Non sono sicuro se il nuovo album degli Helheim rappresenti realmente un passo avanti nella carriera della band norvegese. Da anni si distinguono nella scena musicale estrema grazie alla loro riconoscibile fusione di black metal preponderante e qualche accenno di viking folk, ma 'HrbnaR / Ad Vesa' non riesce a convincermi del tutto. Pur essendo attivi dal lontano 1992, e mantenendo un ruolo significativo nell'underground grazie alla loro capacità di innovare rimanendo fedeli alle radici del genere, questo nuovo lavoro sembra avere qualcosa che non quadra pienamente. Non so se la mia perplessità derivi dalla decisione di dividere l'album in due sezioni, la prima compiuta da H’grimnir e la seconda da V’gandr, o dalle voci pulite che, a mio avviso, non reggono il confronto con gli altri lavori. Oppure, potrebbe essere la musicalità, che in alcuni momenti appare appesantita da eccessive dissonanze sonore. Fatto sta che rimango incerto nell’esprimere un giudizio definitivo. Non fraintendetemi, non stiamo parlando di un disco mal riuscito, ma semplicemente io, dagli Helheim, tendo ad aspettarmi sempre livelli qualitativi elevati. Analizzando la prima metà del disco, emerge un black metal capace di conquistare, con momenti significativi come le malinconiche note di "Sorg er Dødens Spade" o l'impetuosa brutalità di "Livsblot", un brano che non lesina in ferocia e si muove abilmente attraverso chitarre affilate arricchite da linee melodiche ben calibrate. I testi, radicati nella mitologia norrena, aggiungono spessore a una sezione che regala ulteriori colpi ben assestati. Tra questi spicca "Mennesket er Dyret i Tale", che bilancia con intelligenza, furia e mid-tempo, culminando in un assolo di grande impatto emotivo. Tuttavia, quando si arriva alla seconda metà del disco, il distacco con la prima metà si fa più evidente. Si nota una maggiore enfasi sulle sezioni ritmate che, in alcuni casi, sforano nella ridondanza ciclica. La ruvidità di "Fylgja", o le suggestioni cupe e opprimenti di "Hamingja", mantengono in parte il tipico stile norvegese grazie alle distintive linee di chitarra, ma alla fine, resta quel non so che di incompiuto e poco convincente. A spezzare la monotonia interviene "Hugr", un pezzo ipnotico dal basso che richiama vagamente atmosfere pink floydiane. Tuttavia, anche qui l’eccessiva ripetitività di fondo unita a una più forte componente thrash, riscontrabile anche nella conclusiva "Hamr", finisce per risultare quasi fastidiosa. Per chi segue gli Helheim da tempo, questo disco offrirà comunque materiale interessante e momenti godibili. Se però siete nuovi nel loro universo musicale, consiglierei di iniziare con lavori per me più rappresentativi, come 'Heiðindómr Ok Mótgangr' o 'Yersinia Pestis'. (Francesco Scarci)

(Dark Essence Records - 2025)
Voto: 70

https://helheim.bandcamp.com/album/hrabnar-ad-vesa