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mercoledì 7 agosto 2019

Scythe Lore - Through the Mausoleums of Man

#PER CHI AMA: Death Old School, primi Entombed, Vomitory, Aevangelist
In attesa di capire cosa ne sarà degli Aevangelist e delle loro dispute intestine cosi come quali novità attenderci dai nuovi Entombed AD, perchè non dare una chance al debut EP dei teutonici Scythe Lore. La proposta della misteriosa band germanica racchiude infatti le oblique e sinistre sonorità dell'estremismo odierno e penso appunto a Aevangelist e Portal, miscelate con il death old school di anni '90, Entombed e affini. Tutto è racchiuso all'interno di questo folle 'Through the Mausoleums of Man' e certificato attraverso le sei schegge impazzite che ci aggrediscono con la veemente "Eschatology Speaks All Tongues", ci demoliscono con la brevissima "Jhator", ci annichiliscono con la mortifera e più doomish "Behind 7 Walls and 7 Gates". Gli ingredienti sono i classici del passato con le ferali ritmiche del death metal made in Stockholm, le splendide rasoiate inferte dalle chitarre soliste (molto in stile 'Left Hand Path'), le growling vocals catacombali, il tutto riproposto con lo sghembo ardore del death sperimentale di oggi. Se proprio devo trovare un difetto alla proposta dei nostri, è una batteria plastificata che proprio non si può sentire e mortifica un po' il risultato finale di questo 'Through the Mausoleums of Man'. Per il resto lascio a voi il piacere di addentrarvi nelle paludose sabbie mobili delle restanti song, che non promettono assolutamente nulla di buono. (Francesco Scarci)

Daniele Maggioli - La Casa di Carla

#PER CHI AMA: Alternative Pop Rock
La diroccata "Architetture" in apertura non è che un elegant-pop cantautoriale architettato, progettato e costruito attorno ad una semplice melodia di piano, contrappuntato da un esile substrato elettronico, vagamente reminescente il Battiato dei secondinovanta ("L'imboscata", "Gommalacca", "Ferro Battuto") e, nei contenuti, della figura biblica del patriarca Lot. Specularmente, l'arpeggio di piano nella conclusiva "Madame" tenderà a dissolversi, nel finale, in una lunga e catartica celebrazione del senso medesimo dell'assenza (pensate a Umberto Maria Giardini, a Dente, a quella gente lì, insomma). Sono apparentemente (e volubilmente) leggeri gli episodi intermedi: l'apocalyp/swing scanzonato e, persino in misura maggiore, lo psych/stomp in levare di Nosei/ana memoria ne "Il Cannibale". Giusto per vostra informazione, le cinque canzoni contenute ne 'La Casa di Carla', sono state pensate dall'autore nel 2014 per lo spettacolo teatrale "Approssimazioni", prodotto e ideato da un certo Alex Gabellini. (Alberto Calorosi)

Allone - S/t

#PER CHI AMA: Death/Doom/Black/Viking, Bathory
Gli Allone sono una band inglese almeno sulla carta, perchè poi vai a sfrucugliare sul web e scopri che uno dei due membri, Andrzej Komarek, altri non è che il bassista e chitarrista dei polacchi Praesepe ed ex-chitarrista dei Diachronia, una band di cui non sentivo parlare da oltre un decennio. Gli Allone, che includono nelle proprie fila anche l'inglese P.K. ed una infinita serie di guest star polacche tra cui l'ex chitarrista dei Vader, il chitarrista dei Macabre Omen ed un altro ex questa volta dei Themgoroth, hanno avuto la buona sorte di firmare per la Aesthetic Death, che li supporta in questo loro debut album omonimo. Che non siano degli sprovveduti e che il loro background affondi nel death doom, lo si evince dall'opener "Alone with Everybody I", una traccia monolitica di otto minuti, dotata di un riffing solenne su cui si stagliano le vocals pulite e disperate di P.K., in pieno stile Quorthon, in una song che richiama incredibilmente e in più occasioni, 'Twilight of the Gods' dei compianti Bathory. Epici, non c'è che dire soprattutto per aver risvegliato in me sentori che avevo completamente perso dai tempi di 'Nordland I e II'. E allora abbandoniamoci agli arpeggi del duo anglo-polacco, alle suggestive ambientazioni al limite del viking, ma non solo, visto che l'incipit della lunga ed ispirata "A Challenge to the Dark", strizza l'occhiolino anche agli Shining (quelli svedesi mi raccomando) cosi come pure ad una versione più edulcorata dei Praesepe stessi. Un lungo entusiasmante prologo acustico che ci prepara all'arrivo di grim vocals che ci mostrano una versione degli Allone decisamente più virata al black metal, ma niente paura, la band sa come mantenere salda l'attenzione sulla propria proposta e lo fa propinando una serie di eccellenti cambi di tempo, ottime melodie e litanici chorus di sottofondo che rendono il tutto ancor più interessante, aggiungendo peraltro alle proprie influenze un che dell'avanguardismo degli ultimi Obtained Enslavement, un pizzico di insania alla God Seed ed una vena progressiva alla Enslaved. Niente male davvero, anche se con "Alone with Everybody II" si va a pestare il pedale di un ibrido black death assai melodico, ma che poche migliorie apporta al suono fin qui goduto; forse la song meno riuscita delle quattro, ma che si eleva tranqullamente oltre la sufficienza, soprattutto grazie ad un finale più avvincente. Si arriva alla fine con la strumentale "Ruins", oltre 11 minuti di melodie raffinate (e spoken words) che suppliscono all'assenza della voce che fino a qui aveva fatto bene, in ogni sua forma espressiva. Ottimo debutto, band assolutamente da tenere nei radar. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2019)
Voto: 76

https://allone2018.bandcamp.com/album/allone

lunedì 5 agosto 2019

Deathcrush – Megazone

#PER CHI AMA: Noise/Crust/D-Beat/Digicore
Interessante debutto sulla lunga distanza (fuori per Apollon Records) di questa giovane band norvegese che riesce nell'intento di proporre qualcosa che sia fuori dalle righe e non inquadrato negli schemi. Quindi, l'accostamento di generi come il noise, il digitalcore, il crust punk, con il sound laccato ed oscuro degli anni d'oro dell'epoca Batcave, riesce a generare quel suono genuino, moderno, trasversale e ricco di pulsioni alternative che incuriosisce ed appassiona non poco ogni amante di novità soniche. La musicadei Deathcrush è prevalentemente una sorta di catarsi ritmica che ricorda una via di mezzo tra gli Amen e gli Atari Teenage Riot, lasciati in ammollo negli acidi del noise ribelle dei primi, seeminali, The Curve, con una voce femminile in quasi tutte le canzoni (in "Push,Push,Push" emerge anche la parte vocale maschile), che emula il proibito dei Garbage, il rock dei The Primitives e il controcorrente di Kim Gordon. Se poi ci versiamo sopra una buona dose di nero alla Alien Sex Fiend o Cabaret Voltaire, con quel gusto macabro, robotico e noir che, nonostante la forte voglia di spaccare, si trascina appresso un'orecchiabilità fenomenale, arriviamo alla giusta conclusione che questo 'Megazone' è un gran bel disco, adrenalinico e tagliente, sensuale, aggressivo, devastante come possono esserlo solamente i sussulti giovanili di anime sotto effetto di urgenza creativa. L'artwork, a mio avviso poi, è ben fatto ma non così interessante (dal taglio punk di primi anni '80) e meriterebbe di più, visto il valore della musica al suo interno e la capacità di risvegliare seriamente nell'ascoltatore, il concetto di piacere verso un suono il cui battito è da vera e credibile rockstar alternativa. Le tracce sono tutte sparate in faccia, di corta durata o al massimo superano di poco i quattro minuti, rendendo l'ascolto velocissimo, immediato e senza lasciar prigionieri. Desta un po' di sospetto la conclusiva traccia nove, "State of the Union" (uscita peraltro come singolo), con i suoi finti 24 minuti dichiarati: dopo i primi consueti quattro minuti inizia infatti un interminabile silenzio (modello traccia fantasma) fino ad un minuto dalla fine del disco dove riemerge uno spezzone di brano al rovescio, cosa riciclata che poteva andar bene al vecchio Marilyn Manson o ai Nofx d'annata. Ad ogni modo, l'album resta un grande disco (bello anche il video di "Dumb") per il trio di Oslo, dinamico, giovane e piacevolmente rumoroso nel suo aspetto acido e trasgressivo, scritto da giovani che cercano di non farsi sommergere dalla deformazione imposta dalla grande metropoli. Bello in tutte le sue tracce che potrebbero essere tutte delle potenziali hits, un disco da ascoltare in pompa magna e pieni di voglia di ribellione. Ottima prova al fulmicotone! (Bob Stoner)

(Apollon Records - 2019)
Voto: 74

https://deathcrush.bandcamp.com/album/megazone

Erancnoir - S/t

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
Middle East is not known for being an easy place to play any kind of modern music, not to mention metal and, for obvious reasons, any subgenre closely related to extreme metal. The combination of particularly conservative societies and the extremely restrictive applications of religious beliefs, in this case the Muslim religion, make truly difficult to have an active scene. But even in the hardest scenarios passion, talent and inspiration can arise from the shadows and show to us that good music can appear in any place. Iran, or Persia if you prefer, is a country with a vast heritage, both historically and culturally, and it is known that its inhabitants are usually quite cultured people. But it is surprising how a single person can almost create a little scene around him. This is the case of Harpag Karnik, the young Persian behind the excellent projects like Forelunar, Ethereldine or the band I am reviewing right now, Erancnoir. All these projects play atmospheric black metal with distinctive touches and characteristics, but all of them are focused on a very well executed and emotionally intense atmosphere. His creativity seems to be unstoppable as he has released a healthy amount of releases in only two years, which is undoubtedly pretty impressive.

This time is the moment to review one of his most impressive personal projects, Erancnoir, which released its third and homonymous album just one year after the debut, which is truly amazing. I have known one-man bands which have a similar or even higher rate of releases, but Erancnoir is, without any doubt, on the top in terms of quality. 'Erancnoir' doesn´t differ too much from its previous works and like happened with the sophomore work 'Frostfallen', it contains two and remarkably long tracks with a combined length of around forty minutes. Both tracks have similar structures, which try to explore the darkest realms of atmospheric black metal. Keys play an important role, but they are not overused. For example, in the first track entitled 'Erancnoir' they initiate the track with a mystic intro, which immerses you in a vast and desolated landscape. This initial calm section is abruptly broken by a furious walls of guitars and blasting drums with a remarkably fast pace. This speediness is kept for a few minutes making the song quite grim, still atmospheric thanks to the accompanying keys. As mentioned, the song has a rather homogeneous structure but it is still able of capturing the attention due to its hypnotic nature and a little changes in its rhytmh. Vocals are, as expected, quite high pitched and indecipherable, but reasonably well performed. As the song slightly slows down, we can enjoy some nice touches like an accompanying guitar or keys which enrich the song and reinforce its captivating nature. The next track, 'Mehr', follows a similar path including the expected intro, this time way shorter. The initial furious part evolves to a very nice mid-tempo section, where the keys play a bigger role until the song becomes a pure ambient track. This supposes a beautiful ending for the album like the calm after the storm.

In conclusion, Erancnoirs´s third instalment is another excellent piece of atmospheric black metal where structures don´t vary too much, though this is not especially problematic as its great melodies and spellbinding nature are the reason behind its quality. We can only hope that Harpag with continue its impressive rate of great releases in the upcoming years. (Alain González Artola)


(Morrowless Music - 2019)
Score: 82

https://erancnoir.bandcamp.com/

mercoledì 31 luglio 2019

Umberto Maria Giardini - Futuro Proximo

#PER CHI AMA: Alternative Rock
Transitori ("Onde"). Distanze ("Il Vento e il Cigno"). Impossibile misurare lo spazio e il tempo se non attraverso le emozioni. Una conseguita, irrevocabile impossibilità di comunicare (cfr. la amniotica "Avanguardia") raccontati con un ermetismo gentile e obliquamente naif ("Noi, l'antimateria della realtà", "Mea Culpa"), imprescindibile tratto cantautoriale di U-M-G, the-artist-formerly-known-as-Moltheni. E poi c'è l'ignoto. Orizzontale: il futuro blandamente distopico fatto di nuovi amori tridimensionali, multinazionali, Cina e Islam, quello di "Alba Boreale". Verticale: il ficcante misantropismo che emerge dalla colloquiale "Caro Dio", collocabile grosso modo tra il Battiato di "New Frontiers" e il Ligabue di "Hai un Momento, Dio" ("Nel comportamento umano colgo lacune di concetto / valanghe nel cervello"). I suoni ventosi a tratti ricordano i momenti migliori dei CSI, con tinte dream-progressive, cfr. "Dimenticare il Tempo" e i 5/4 de "Il Vento e il Cigno", la wave (soprattutto nel titolo), cfr. "Onda", e sparute inclinazioni nordic-prog, cfr. l'eccellente strumentale "Ieri nel Futuro Proximo". Ascoltate questo disco cercando di contare tutte le volte che U-M-G trasforma in E le I con accento tonico (in "Dementecare el Tempo" ad esempio, ne troverete parecchie). (Alberto Calorosi)

(La Tempesta Dischi - 2017)
Voto: 76

https://www.facebook.com/UmbertoMariaGiardini/

lunedì 29 luglio 2019

Alice Tambourine Lover - Down Below

#PER CHI AMA: Psych Alternative Rock
Ottima nuova uscita per il duo bolognese degli Alice Tambourine Lover che, con un'apparente semplicità musicale, espressa attraverso chitarre cristalline e liquide, piccoli rintocchi ritmici ed una splendida voce femminile, vellutata, delicata e sognante, sfornano una perla sonora degna di lode. In una giornata strana, in attesa del temporale, mi appresto ad ascoltare questo 'Down Below', disco dalla copertina intrigante, dai colori vividi e psichedelici. Una psichedelia intima, vissuta, polverosa, sabbiosa, una calda estate ed un tramonto introspettivo che chiudono il giorno con un pizzico di nostalgia costruttiva. Ecco, questa è la giusta visione con cui inquadrare un disco completo, potrei dire quasi perfetto, carico di emotività ed esistenza liquida, un viaggio lisergico tra le note acustiche ed una manciata di soffici riff che colpiscono dritti al cuore. Senza dimenticare l'ambientazione Paisley Underground del contesto, il tocco alt country a stelle e strisce ed il rustico ruggito solitario alla Mark Lanegan, reso ancor più intenso dal bel duetto con il noto cantante, musicista e produttore, Dandy Brown (Hermano, Orquesta del Desierto, John Garcia) nella magnifica "Dance Away". Una registrazione ed un missaggio con i fiocchi a cura di Luca Tacconi ai Sotto il Mare Recording Studios, che rende omaggio all'America desertica e solitaria, attraverso un ampio set di strumenti, foot tambourine, armonica, resonator, dobro, percussioni varie, chitarre acustiche ed elettriche, in una sospensione eterea senza tempo che permette di viaggiare indisturbati tra un brano e l'altro, coi capelli al vento a bordo di una vecchia cabriolet yankee anni '50 per le polverose distese di campi americani. Otto brani ammalianti che toccano l'apice artistico del duo formato da Alice Albertazzi e Gianfranco Romanelli, senza mai scadere nella ripetitività e ricreando anzi una magia cristallina brano dopo brano. Complice l'ipnotica, delicata, suadente e spettrale voce di Alice, quanto poteva esserla quella di Kendra Smith in 'Empty Box Blues' dei mitici Opal qualche decennio fa, ci lasciamo trascinare dalle canzoni dei nostri in un vortice allucinogeno di grazia, libertà e sofisticato misticismo rock (ascoltatevi i capolavori "Follow" e "Into the Maze"), tutte composizioni dotate di un sound complesso, rarefatto e magico. Il grado di orecchiabilità dei brani è altissimo e mostra uno spessore artistico di tutto rispetto, una conoscenza del genere assai avanzata ed una padronanza della propria arte da far impallidire band molto più in voga nel panorama internazionale. Un disco bellissimo, un'opera che riempie l'anima, una nobile band da seguire ad occhi chiusi. (Bob Stoner)

sabato 27 luglio 2019

Ordinul Negru - Lifeless

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Hellenic Black Metal, Rotting Christ
L'avevamo anticipato meno di un mese fa, in occasione della recensione di 'Nostalgia of the Full Moon Nights', che quest'anno la Loud Rage Music aveva fatto uscire qualche re-issue dei vecchi album degli Ordinul Negru. Dopo aver quindi tributato quell'album, ci spingiamo un po' più indietro verso le radici della compagine rumena, da sempre guidata dal buon vecchio Fulmineos. Ed eccoci quindi a parlare di 'Lifeless', il quarto disco dei nostri, che vedeva il solo polistrumentista gestire gli Ordinul Negru. E con un album di oltre 60 minuti e undici pezzi, non deve essere stata proprio una passeggiata. Il disco di primo impatto, risente fortemente del black metal ellenico, scuola Rotting Christ, il che, solo per questo, lo rende differente da 'Nostalgia...', che subiva invece una forte influenza norvegese. Interessante pertanto ascoltare le melodie dal sapore mediterraneo dell'opener "Wolves from the Ancient Forest" che pongono la one-man-band rumena molto vicina, per affinità musicali, agli esordi di Sakis e soci, penso a 'Thy Mighty Contract' o ancor prima, all'EP 'Passage to Arcturo'. Un po' fuori tempo massimo qualcuno avrebbe da obiettare, però il sound ellenico è un qualcosa che pare essere rimasto immutato nel corso del tempo attraverso le release dei Rotting Christ stessi ma anche di Necromantia, Varathron, Zemial, Thou Art Lord e molti altri. Allo stesso modo, la musica degli Ordinul Negru sembra possedere in questo 'Lifeless', la stessa insana magia di quei protagonisti che hanno reso illustre la scena. Quello che fa specie alla fine è che il nostro mastermind di oggi non sia greco, per il resto trovo che 'Lifeless', per quanto mostri ancora lacune importanti su più livelli (produzione, mixing, suoni rozzi e primitivi), incarni alla grande l'indomito spirito guerriero mediterraneo, il che si traduce in battagliere, feroci, tiratissime song, quali le brevi "Warewolf", "Eve Tales" o la più atmosferica "The Cold Spirit Arouse from a Forgotten Soul", passando poi per le più strutturate e lunghe (entrambe oltre i nove minuti) "Morbid Prophecy" e "Serpent's Promise" che delineano un black dalle tinte oscure, contraddistinto da un mid-tempo dotato di mistiche atmosfere orrorifiche declamate dalle magnetiche screaming vocals di Fulmineos, uno che vi ricordo aver cantato anche nei mitici Negura Bunget. Un pezzo che ho particolarmente apprezzato, più per le sue trovate tastieristico-sperimentali, è "Snow Covers the Blood of the Warrior", ma in generale è tutto l'album a convincermi, con la consapevolezza che è stato concepito oltre dieci anni fa con tutti i limiti del caso legati anche alle pesanti influenze che subisce. Fatte tutte le dovute premesse, trovo che l'occultismo di cui 'Lifeless' è intriso, lo renda più convincente del suo successore. (Francesco Scarci)

(Banatian Records/Loud Rage Music - 2008/2019)
Voto: 72

https://loudragemusic.bandcamp.com/album/ordinul-negru-lifeless