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venerdì 9 agosto 2019

Trail of Tears - Existentia

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic/Symphonic, Tristania
Era il 2007 quando a distanza di due anni dal sorprendente 'Free Fall into Fear', i Trail of Tears, con il solo membro fondatore, Ronny Thorsen, tornavano sul mercato con la registrazione di 'Existentia'. Il sound della band norvegese non sembrava discostarsi più di tanto dai precedenti lavori, mantenendo quel feeling oscuro di fondo, costituito da riffoni di chitarra di chiara estrazione black sinfonica e da maestose tastiere di ispirazione Therion. Il dualismo tra le growling vocals di Ronny e le sempre brillanti e melodiche clean vocals di Kjetil (singer dei Green Carnation), completavano il quadro, contribuendo a fare da collante tra queste caratteristiche. Una dolce voce femminile, quella di Emmanuelle Zoldan, dava poi il suo contributo aggiuntivo, per un esito finale dell’album davvero convincente. 'Existentia', cosi come il suo predecessore, andava ascoltato e riascoltato per essere apprezzato fino in fondo; non fu un album così diretto, semplice da percepire, perchè parecchie erano le sfumature che si palesavano nella musica del combo scandinavo: si ritrovano infatti certe influenze provenienti da una corrente avantgarde che approdano come essenziale novità nel sound dei nostri. Echi riconducibili ai The Provenance, o ancora, ai Green Carnation, erano udibili nei solchi di questo notevole 'Existentia', un capitolo che ha preceduto una vera e propria rivoluzione in seno alla band. Si trovano peraltro anche reminiscenze power ed una bella dose di death goticheggiante che confluivano nel sound compatto dei nostri. Dal punto di vista strumentale poi, la band si presentava come sempre ineccepibile: ottima la prova dei singoli, anche se devo sottolineare la performance del tastierista, davvero bravo, cosi come l’inimitabile ugola di Kjetil, vero e proprio strumento musicale dall’enorme talento. Una produzione bombastica chiudeva un disco e forse un’era in casa Trail of Tears, visti gli scarsi successi ottenuti con i successivi due album che hanno condotto la band allo scioglimento nel 2013. Un peccato. (Francesco Scarci)

(Napalm Records - 2007)
Voto: 76

https://www.facebook.com/trailoftearsofficial/

Íon - Madre, Protégenos

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Rock Acustico, Antimatter
"Madre, proteggici...” Così apre il disco di Duncan Patterson, famoso per essere stato, in passato, il bassista degli Anathema e degli Antimatter, da cui fuoriuscì nel 2004, per dar vita a questo progetto denominato Íon. Dopo aver assoldato in giro per il mondo (Irlanda, Russia e Australia tanto per citarne alcune) un’innumerevole serie di musicisti dall’assoluto valore, il buon Duncan ha dato alla luce un album dalle variegate sfumature. 'Madre, Protégenos' potrebbe essere accostabile, cosi di primo acchito, a 'Planetary Confinement' degli Antimatter: atmosferico, introspettivo, direi quasi mistico, ma qui c’è dell’altro, in quanto Patterson, date le sue origini irlandesi, è stato palesemente influenzato dalla tradizione celtica, dall’ambient e dalla musica classica. Sfruttando inoltre, le performance di diverse vocalist originarie dalla Grecia, Italia e Messico, si possono respirare in questo lavoro, dall’approccio forse un po’ troppo minimalista, colori, culture e profumi di ognuna di queste nazioni. Altri elementi folkloristici, il flauto e il clarinetto, la viola e il mandolino, l’arpa e le percussioni, contribuiscono poi ad accompagnarci malinconicamente e poeticamente, in paesi lontani dove gustare le esotiche fragranze mediterranee. Il compositore irlandese ha concepito un qualcosa, lontano anni luce dai suoni degli Anathema: gli Íon (parole gaelica per indicare “purezza”) percorrono un viaggio spirituale all’interno delle proprie radici, che ha la sua summa in “Goodbye Johnny Dear”, canto degli emigranti irlandesi, scritto nel XIX secolo dal bisnonno di Duncan, Johnny Patterson. 'Madre, Protégenos' è sicuramente un disco d’indubbio valore, intimista e profondo in grado di spingerci, grazie alla sua magia, alla ricerca della nostra identità, il problema semmai è che il lavoro non sia alla portata di tutti. Se avete già raggiunto la della pace dei sensi, avvicinatevi tranquillamente a quest'album (che ricordo essere completamente acustico), altrimenti lasciate perdere, perchè le atmosfere pregne di tristezza e desolazione che si sentono lungo tutto il cd, potrebbero portarvi alla disperazione. (Francesco Scarci) 
 

giovedì 8 agosto 2019

Abhor / Abysmal Grief - Legione Occulta​/​Ministerium Diaboli

#PER CHI AMA: Black/Psych/Horror
Due nomi storici del metal nazionale hanno pensato bene di unire le proprie forze in questo split EP di soli tre pezzi, in cui i 13 minuti iniziali sono affidati a due song degli Abhor ed i rimanenti 13 minuti ad una sola song degli Abysmal Grief. L'esorcismo inizia con "Legione Occulta" che vede i padovani Abhor proporre il loro classico occult black maligno fatto di ritmi cadenzati, grim vocals ed in sottofondo, quella che sembrerebbe essere una reale registrazione di un esorcismo (palesato anche da un'inequivocabile cover cd). Non è da meno “Possession/Obsession” che prosegue sulla falsariga dell'opener sia in fatto di tematiche trattate che musicalmente, con quel rifferama un po' retro su cui va ad installarsi il mefistofelico organo di Leonardo Lonnerbach, che a mio avviso rappresenta il punto di forza del sound deviato e sghembo della band veneta che da oltre 20 anni calca il sottosuolo italico, il tutto senza dimenticarci ovviamente dello screaming ferale del buon vecchio Ulfhedhnir e dell'innata capacità della band nel creare splendide atmosfere da incubo (ascoltatevi a tal proposito il finale della traccia). È poi il turno dei genovesi Abysmal Grief, un altro in gruppo in giro da una ventina d'anni con un bel po' di esperienza in cascina ed una grande abilità di spiazzare l'ascoltatore con le loro insane trovate: in questo caso i 13 minuti di "​Ministerium Diaboli" altro non sono che un lungo e minimalistico rituale che dopo ben otto minuti muta in forma canzone, con una sezione ritmica vera e propria dai fortissimi connotati psichedelici su cui poggiano delle grida in sottofondo. Insomma alla fine un buon riempitivo, in attesa delle nuove release delle due band fiore all'occhiello del metal italiano. (Francesco Scarci)

mercoledì 7 agosto 2019

The Rite - The Brocken Fires

#PER CHI AMA/FOR FANS OF: Black/Doom, Celtic Frost, Cathedral
I The Rite altro non sono che un nuovo side project internazionale che vede la partecipazione di P. Guts dei nostrani Krossburst, in compagnia di A.th dei Black Oath, altra band italica, ed infine Ustumallagam dei blacksters danesi Denial of God. Il risultato di simile incontro non può portare inevitabilmente a nulla di buono, non tanto in termini qualitativi, ma in fatto di sonorità. Preparatevi pertanto ad affrontare un concentrato offensivo di black doomeggiante, che non vede grossi stravolgimenti al genere, se non una certa vena rituale in alcuni esoterici fraseggi dell'EP, che sembrano per certi versi richiamare Mercyful Fate o Death SS, anche se qui le voci si palesano arcigne e malvagie. Se le prime due tracce sono un intro a cui segue una sferzante tempesta black, è con la title track che si vedono le cose migliori della band, proprio per quel suo incedere lento e magico, fatto però di una magia nera pulsante oscuri malefici e quant'altro, che chiama addirittura in causa un che dei Cathedral più tenebrosi, uniti a Celtic Frost e Samael, per un risultato complessivo che riserva qualche buono spunto. Soprattutto quando i nostri affidano alla cover "Acid Orgy" (originaria dei Goatlord) la chiusura del disco per un melmoso finale che già mi aveva pienamente convinto anche con la quarta "Heed the Devil's Call". Come si dice, chi ben inizia è a metà dell'opera. (Francesco Scarci)

Voto: 66

The Rite is a rather new international band founded in 2017 by musicians located both in Italy and in Denmark. It’s increasingly becoming more common to see bands with members whose locations are quite far, thanks to internet and the new recording equipments, which make possible to compose and record music even if the members don´t spend a single second together. I don´t know if this is the case, but it´s clear that the current technologies made easier for P.Guts, who plays the drums, A.th who plays the guitars, bass and keys, and Ustumallagam, who is the vocalist, to create The Rite. It didn´t take too much time until they could release their first effort entitled 'The Brocken Fires', with the ex-member Gabriel on guitars, as all the members were already experienced musicians with several previous projects. Almost all of them were closely related to extreme metal subgenres as black metal or doom metal. Unsurprisingly, The Rite is a band which mixes black and doom metal and whose main influences are classic bands like Celtic Frost, Samael or Goatlord, among the others. As previously mentioned, The Rite released 'The Brocken Fires' only one year after the band´s inception and though initially it was only released as a cassette, this debut EP has caught Iron Bonehead Productions attention which has decided to re-release it on CD and vinyl. Thanks to this 'The Brocken Fires' is gaining a bigger attention through the underground scene. This initial effort consists in a short intro called "Prayer to Satan", three new tracks and a Goatlord cover entitled "Acid Orgy". All the tracks deliver a solid mix of black metal with heavy doom metal influences, especially in the somber tone of the compositions and the generally slower pace in comparison to an archetypal black metal song. This gives a greater room to the band to create truly heavyweight riffs that are the indisputable strongest point of this EP. The first track entitled "A Pact With Hell" is a fine example of this description, delivering powerful riffs which remind me in a few moments Celtic Frost and accompanied by solidly executed vocals by Ustumallagam. His vicious and strong voice is the perfect companion to the black/doom esque riffs, which at times can sound slightly more melodic, this is in my opinion, a nice point which enriches the composition and adds variety to this song. Another strong point is that the band tries to escape from creating songs with a monotonous pace and at times introduces fast sections, which are an interesting add. The aforementioned song and the last song created by the band, "Heed The Devil´s Call" have a quite similar structure and though both are solid efforts, is the second song, the homonymous "The Brocken Fires", which is in my humble opinion the highlight of this EP. Structurally, it’s the most varied one with slow, mid and also fast sections, the riffs are excellently composed and delivered with powerful notes, but not exempt from inspired melodies. Apart from that the band introduces some organs, which enhance the bleak atmosphere of the track giving the extra point that makes the song even better. In conclusion, 'The Brocken Fires' is a pretty solid debut by The Rite. Though it doesn´t hit the ground with something especially original, the ideas behind these compositions are pretty well executed and make this EP a work which deserves to a listen. (Alain González Artola)

(Iron Bonehead Records - 2019)

Scythe Lore - Through the Mausoleums of Man

#PER CHI AMA: Death Old School, primi Entombed, Vomitory, Aevangelist
In attesa di capire cosa ne sarà degli Aevangelist e delle loro dispute intestine cosi come quali novità attenderci dai nuovi Entombed AD, perchè non dare una chance al debut EP dei teutonici Scythe Lore. La proposta della misteriosa band germanica racchiude infatti le oblique e sinistre sonorità dell'estremismo odierno e penso appunto a Aevangelist e Portal, miscelate con il death old school di anni '90, Entombed e affini. Tutto è racchiuso all'interno di questo folle 'Through the Mausoleums of Man' e certificato attraverso le sei schegge impazzite che ci aggrediscono con la veemente "Eschatology Speaks All Tongues", ci demoliscono con la brevissima "Jhator", ci annichiliscono con la mortifera e più doomish "Behind 7 Walls and 7 Gates". Gli ingredienti sono i classici del passato con le ferali ritmiche del death metal made in Stockholm, le splendide rasoiate inferte dalle chitarre soliste (molto in stile 'Left Hand Path'), le growling vocals catacombali, il tutto riproposto con lo sghembo ardore del death sperimentale di oggi. Se proprio devo trovare un difetto alla proposta dei nostri, è una batteria plastificata che proprio non si può sentire e mortifica un po' il risultato finale di questo 'Through the Mausoleums of Man'. Per il resto lascio a voi il piacere di addentrarvi nelle paludose sabbie mobili delle restanti song, che non promettono assolutamente nulla di buono. (Francesco Scarci)

Daniele Maggioli - La Casa di Carla

#PER CHI AMA: Alternative Pop Rock
La diroccata "Architetture" in apertura non è che un elegant-pop cantautoriale architettato, progettato e costruito attorno ad una semplice melodia di piano, contrappuntato da un esile substrato elettronico, vagamente reminescente il Battiato dei secondinovanta ("L'imboscata", "Gommalacca", "Ferro Battuto") e, nei contenuti, della figura biblica del patriarca Lot. Specularmente, l'arpeggio di piano nella conclusiva "Madame" tenderà a dissolversi, nel finale, in una lunga e catartica celebrazione del senso medesimo dell'assenza (pensate a Umberto Maria Giardini, a Dente, a quella gente lì, insomma). Sono apparentemente (e volubilmente) leggeri gli episodi intermedi: l'apocalyp/swing scanzonato e, persino in misura maggiore, lo psych/stomp in levare di Nosei/ana memoria ne "Il Cannibale". Giusto per vostra informazione, le cinque canzoni contenute ne 'La Casa di Carla', sono state pensate dall'autore nel 2014 per lo spettacolo teatrale "Approssimazioni", prodotto e ideato da un certo Alex Gabellini. (Alberto Calorosi)

Allone - S/t

#PER CHI AMA: Death/Doom/Black/Viking, Bathory
Gli Allone sono una band inglese almeno sulla carta, perchè poi vai a sfrucugliare sul web e scopri che uno dei due membri, Andrzej Komarek, altri non è che il bassista e chitarrista dei polacchi Praesepe ed ex-chitarrista dei Diachronia, una band di cui non sentivo parlare da oltre un decennio. Gli Allone, che includono nelle proprie fila anche l'inglese P.K. ed una infinita serie di guest star polacche tra cui l'ex chitarrista dei Vader, il chitarrista dei Macabre Omen ed un altro ex questa volta dei Themgoroth, hanno avuto la buona sorte di firmare per la Aesthetic Death, che li supporta in questo loro debut album omonimo. Che non siano degli sprovveduti e che il loro background affondi nel death doom, lo si evince dall'opener "Alone with Everybody I", una traccia monolitica di otto minuti, dotata di un riffing solenne su cui si stagliano le vocals pulite e disperate di P.K., in pieno stile Quorthon, in una song che richiama incredibilmente e in più occasioni, 'Twilight of the Gods' dei compianti Bathory. Epici, non c'è che dire soprattutto per aver risvegliato in me sentori che avevo completamente perso dai tempi di 'Nordland I e II'. E allora abbandoniamoci agli arpeggi del duo anglo-polacco, alle suggestive ambientazioni al limite del viking, ma non solo, visto che l'incipit della lunga ed ispirata "A Challenge to the Dark", strizza l'occhiolino anche agli Shining (quelli svedesi mi raccomando) cosi come pure ad una versione più edulcorata dei Praesepe stessi. Un lungo entusiasmante prologo acustico che ci prepara all'arrivo di grim vocals che ci mostrano una versione degli Allone decisamente più virata al black metal, ma niente paura, la band sa come mantenere salda l'attenzione sulla propria proposta e lo fa propinando una serie di eccellenti cambi di tempo, ottime melodie e litanici chorus di sottofondo che rendono il tutto ancor più interessante, aggiungendo peraltro alle proprie influenze un che dell'avanguardismo degli ultimi Obtained Enslavement, un pizzico di insania alla God Seed ed una vena progressiva alla Enslaved. Niente male davvero, anche se con "Alone with Everybody II" si va a pestare il pedale di un ibrido black death assai melodico, ma che poche migliorie apporta al suono fin qui goduto; forse la song meno riuscita delle quattro, ma che si eleva tranqullamente oltre la sufficienza, soprattutto grazie ad un finale più avvincente. Si arriva alla fine con la strumentale "Ruins", oltre 11 minuti di melodie raffinate (e spoken words) che suppliscono all'assenza della voce che fino a qui aveva fatto bene, in ogni sua forma espressiva. Ottimo debutto, band assolutamente da tenere nei radar. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2019)
Voto: 76

https://allone2018.bandcamp.com/album/allone

lunedì 5 agosto 2019

Deathcrush – Megazone

#PER CHI AMA: Noise/Crust/D-Beat/Digicore
Interessante debutto sulla lunga distanza (fuori per Apollon Records) di questa giovane band norvegese che riesce nell'intento di proporre qualcosa che sia fuori dalle righe e non inquadrato negli schemi. Quindi, l'accostamento di generi come il noise, il digitalcore, il crust punk, con il sound laccato ed oscuro degli anni d'oro dell'epoca Batcave, riesce a generare quel suono genuino, moderno, trasversale e ricco di pulsioni alternative che incuriosisce ed appassiona non poco ogni amante di novità soniche. La musicadei Deathcrush è prevalentemente una sorta di catarsi ritmica che ricorda una via di mezzo tra gli Amen e gli Atari Teenage Riot, lasciati in ammollo negli acidi del noise ribelle dei primi, seeminali, The Curve, con una voce femminile in quasi tutte le canzoni (in "Push,Push,Push" emerge anche la parte vocale maschile), che emula il proibito dei Garbage, il rock dei The Primitives e il controcorrente di Kim Gordon. Se poi ci versiamo sopra una buona dose di nero alla Alien Sex Fiend o Cabaret Voltaire, con quel gusto macabro, robotico e noir che, nonostante la forte voglia di spaccare, si trascina appresso un'orecchiabilità fenomenale, arriviamo alla giusta conclusione che questo 'Megazone' è un gran bel disco, adrenalinico e tagliente, sensuale, aggressivo, devastante come possono esserlo solamente i sussulti giovanili di anime sotto effetto di urgenza creativa. L'artwork, a mio avviso poi, è ben fatto ma non così interessante (dal taglio punk di primi anni '80) e meriterebbe di più, visto il valore della musica al suo interno e la capacità di risvegliare seriamente nell'ascoltatore, il concetto di piacere verso un suono il cui battito è da vera e credibile rockstar alternativa. Le tracce sono tutte sparate in faccia, di corta durata o al massimo superano di poco i quattro minuti, rendendo l'ascolto velocissimo, immediato e senza lasciar prigionieri. Desta un po' di sospetto la conclusiva traccia nove, "State of the Union" (uscita peraltro come singolo), con i suoi finti 24 minuti dichiarati: dopo i primi consueti quattro minuti inizia infatti un interminabile silenzio (modello traccia fantasma) fino ad un minuto dalla fine del disco dove riemerge uno spezzone di brano al rovescio, cosa riciclata che poteva andar bene al vecchio Marilyn Manson o ai Nofx d'annata. Ad ogni modo, l'album resta un grande disco (bello anche il video di "Dumb") per il trio di Oslo, dinamico, giovane e piacevolmente rumoroso nel suo aspetto acido e trasgressivo, scritto da giovani che cercano di non farsi sommergere dalla deformazione imposta dalla grande metropoli. Bello in tutte le sue tracce che potrebbero essere tutte delle potenziali hits, un disco da ascoltare in pompa magna e pieni di voglia di ribellione. Ottima prova al fulmicotone! (Bob Stoner)

(Apollon Records - 2019)
Voto: 74

https://deathcrush.bandcamp.com/album/megazone