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sabato 11 maggio 2019

The Worst Horse - The Illusionist

#PER CHI AMA: Hard Rock/Stoner
Una mitragliata hard-stoner-fucking-rock’n’roll ci getta violentemente in questo 'The Illusionist'. L’opener “Tricky Spooky” ci aggredisce e ci trascina giù, vorticosamente nel disco, al grido rabbioso dei milanesi The Worst Horse. Un grido che sale dal basso e si protrae fino alla successiva “313 Pesos”, che non accenna a diminuire i toni, con l’imposizione del suo groovvone metallico e fregiandosi di richiami (e ricami) hard blues, sempre ovviamente con gli amplificatori sparati al massimo. 'The Illusionist' è in realtà un concept, improntato appunto sulla figura appunto dell’Illusionista. Questo tetro personaggio è artefice ma allo stesso tempo vittima di malvagità, ormai schiavo di quei mostri interiori che ha voluto seguire ma che ora si impongono al suo volere, gli stessi mostri che sovente s'impossessano anche dei cupidi esseri umani. Le tetre fantasie che s'incontrano nei brani, sono infatti profonda allegoria di una realtà che troppo spesso cede alle malvagità, quei demoni che raschiano il fondo dell’anima umana e tuttavia ne sono anche parte integrante. La title-track, coi suoi richiami ai Motorpsycho più recenti, funge appunto da descrizione-presentazione del nostro Illusionista e della sua eterna caduta. L’album procede senza intoppi, sempre sfoggiando riffoni e groove trascinanti in puro stile Worst Horse, tra pure sonorità stoner alla The Sword ed ispirazioni dark-blues sabbathiane. Elemento fondamentale, anche per lo storytelling del concept, le vocals potenti e laceranti (come nel brano “XIII”) di David Podestà, fondatore del gruppo assieme al guitar-man Omar Bosis. Dopo essere passati per oscuri anfratti e scabrosi pensieri, arriviamo in conclusione, dove ci aspettano sette abbondanti minuti con la sparata hard-rock “It”, brano solido, dal titolo già decisamente evocativo in ambito di demoni e terrori. La struttura è decisamente articolata rispetto agli altri brani, ma pur sempre coesa, traduzione di un ottimo lavoro a livello compositivo e di arrangiamenti del trio milanese (oggi quartetto con l’ufficializzazione dell’ingresso del nuovo bassista). Da segnalare anche la presenza su quest’ultima traccia di un ospite d’eccezione: Luca Princiotta (Doro Pesch, Blaze Bayley) come chitarra solista. Diretto e deciso, ma molto più profondo del previsto nelle tematiche, questo concept-album è sicuramente un’eccellente prova da parte dell’ensemble milanese, che prima di 'The Illusionist' aveva pubblicato un EP omonimo, 'The Worst Horse'. Negli ultimi anni la frequente attività live deve aver temprato le corde di questi ragazzi dal grande potenziale, che ci regalano un’altra piccola chicca da inserire nell’ampio panorama dello stoner-rock nostrano, arricchito però da quell’anima groove ed aggressiva che li contraddistingue. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Karma Conspiracy Records - 2019)
Voto: 82

https://theworsthorse.bandcamp.com/album/the-illusionist

Kamala – Your Sugar

#PER CHI AMA: Psych Rock/Jazz
È un tocco di sana vena artistica quello che supporta la creatività di questa band tedesca, una verve che da tempo non sentivo, forse dai tempi dei super album di Paul Weller oppure degli Aztec Camera, album incantevoli come lo è 'Your Sugar', raffinato, ricercato e colorato. Non mi trovo d'accordo con la dicitura esposta sull'adesivo di copertina che etichetta il quintetto di Lipsia come "the new way of jazz & krautrock", cosa che a mio avviso svia la vera identità della band, ovvero, personalità jazz molto classica in salsa pop, innesti di soul e R'n B e una propensione psichedelica ed easy listening di classe, ottimi musicisti ma di krautrock neanche l'ombra. Questo non è un male visto che la band si contraddistingue per un sound vivace e frizzante, con un cantato intenso e caldo, chitarre avvolgenti che a volte sfiorano certa pop/wave degli anni '80, (il ricordo vola verso Johnny Marr) un paragone di dovere è anche l'accostamento a band di culto dell'acid jazz negli anni '90/2000 come potevano essere gli splendidi Corduroy, con la sofisticata raffinatezza e nobiltà stilistica degli album degli Style Council, mischiata al suono morbido e ultra dilatato dei Kikagaku Moyo (vedi l'album 'Masana Temples') anche se, in termini allucinogeni, molto meno spinti ma comunque capaci di tener sempre aperta la porta verso l'approccio psichedelico. Musicisti di ottima qualità che offrono composizioni aperte e solari ("Chronic Burden" è un gioiellino), dal taglio sonoro molto inglese, un'opera completa e fantasiosa, un percorso che nella sua mezz'ora abbondante di musica ci fa riscoprire il gusto per certe forme di jazz morbide e suadenti, a volte più sbarazzine e pop rock oriented, mai banali o lasciate al caso, a volte più intensamente elaborate ed intriganti. Tutti i sette brani dell'album sono di ottima fattura e nessuno sfigura all'interno della compilation (uscita per Tonzonen Records), mostrando una produzione più che eccellente con una profondità, una definizione e pulizia di suono degni di nota e assai appetibili per chi apprezza veramente la registrazione del suono reale che in più di un momento rispolvera il sound del buon vecchio, classicissimo, caldissimo disco in vinile di alcuni capolavori del jazz internazionale. Il disco, che crea una frattura ed al contempo un'evoluzione con i lavori precedenti della band, è contagioso, di qualità, fatto apposta per chi ama la musica di scoperta e multicolore. (Bob Stoner)

(Tonzonen Records - 2019)
Voto: 78

https://kamalapsych.bandcamp.com/album/your-sugar

Gabriel Lemaire, Matthieu Prual, D'Incise, Toma Gouband, Mathias Delplanque - Sans Titre #1

#PER CHI AMA: Experimental/Alternative
Due lunghi brani (assolutamente senza titolo) nati da una performance musicale live di tre ore al museo d'arte di Nantes, costituiscono il contenuto sonoro di questo cofanetto creato sotto la buona stella della sperimentazione ambientale rigorosamente suonata con l'aggiunta di live sampling e processori. Vi troviamo cinque musicisti tutto d'un pezzo, Gabriel Lemaire, sax alto e baritono, Matthieu Prual (la mente del progetto), sax alto e clarinetto, D'Incise, Orla keyboards, objects, electronics, Toma Gouband, batteria, percussioni, singing stones e Mathias Delplanque, live sampling e audio processing. Abili suonatori che sfidano le teorie della composizione rompendo gli schemi, creando arie statiche con piccole divagazioni sul tema, ritmi percussivi mai invadenti ma molto disturbanti a livello emotivo, aiutati nel loro intento da una tensione sempre presente, nulla di oscuro o violento ma una pressione continua sul tasto dell'emotività che spinge lentamente l'ascoltatore ad una crisi di nervi. Per 35 minuti filati, ci si intossica di visioni astratte dal ritmo lento, a volte ossessive, a volte sospese, a volte surreali, oblique, decise nel descrivere un certo disagio con profondità e realistica intensità. Non è un disco di facile ascolto, non è immediato, possiamo considerarlo una colonna sonora ben fatta con una produzione seria e una registrazione dal vivo di alta qualità. Un tipo di ambient ostica, dura e rarefatta che ha bisogno di essere compresa e considerata nella completezza dell'opera con più ascolti. Rumori e umori che si fondono per creare un paesaggio irrequieto, tesissimo. Dietro questi suoni (il disco è uscito per la francese Ormo Records) ci sono musicisti istruiti, che sanno creare e si sente. Non si arriva a questo tipo di ambient rumoristica senza attraversare i campi infiniti della musica classica e il jazz d'avanguardia o la sperimentazione tout court. Un buon estratto per ricercatori di musiche surreali, ipnotiche e sperimentali di lusso. Musica per fluttuare in un mare di pensieri pesanti e neri come la pece. (Bob Stoner)

mercoledì 24 aprile 2019

Il Re Tarantola - Scopri come ha fatto Il Re Tarantola a fare 50000 Euro in una settimana

#PER CHI AMA: Indie/Alternative
Un argomento dettagliatamente eviscerato nella sterminata letteratura musicale pop-punk italiana degli ultimi trent'anni (cfr. Senzabenza, Voina, Four Flying Dick et tantissimi al.): la fenomenologia comportamentale intergenerazionale della sfiga, ("Boero", "Agguati") anche sentimentale ("La Maglietta di Joe Cocker"), perché, amici, nella vita quello che conta ("Sono un Campione a Ballare da Seduto") alla fine è soltanto fanculo riderci sopra (nella copertina il re Tarantola taglia la strada a un gatto nero seduto alla guida della propria auto). Ma anche dada/msoniane epopee turistiche intergalattiche ("Suono per Pagarmi le Multe che Prendo Quando Vado in Giro a Suonare" - sì, è il titolo della canzone), metodi alternativi di fisioterapia applicata ("La Nostra Evoluzione Artistica Deriva Solo dalle Sigarette") e, vedi tu, un'arguta riflessione sulla incolmabile distanza interposta tra noi e certi portaceneri ("Mi Odio"). La vivace, a tratti irresistibile ironia esistenzial/social/scatologica del peloso monarca a otto zampe (a.k. anagraficamente Manuel Bonzi) pesca davvero ovunque, con una predilezione per certi paradossali ribaltamenti di sensibilità freak/antoniana, evidente per esempio nel singolo "Sono un Campione a Ballare da Seduto" ("A guardarmi così non mi dareste una lira / ma se mi conosceste un po' probabilmente dovrei pure pagarvi"). I suoni, a volte un po' artigianali, ("La Maglietta di Joe Cocker") attingono con disinvoltura anche a Blink 182, Green Day, Tre Allegri Ragazzi Morti ecc. ecc. (Alberto Calorosi)

Trevor and the Wolves - Road to Nowhere

#PER CHI AMA: Hard Rock, AC/DC
Nel primo album solista pubblicato dalla catarrosissima voce solista dei genovesi Sadist, rileverete fin da subito un'attitudine elettivamente e ostentatamente wild, pronta a riflettersi innanzitutto nella copertina, qualcosa a metà tra il vicino scorbutico di Dinamite Bla e un Rufus Ruffcut post Wacky Race e, subito dopo, nella ruvidità lignea e immediata dei suoni (chitarra, batteria, riuscite forse a non battere il piede per terra? Sì? Sul serio?) in modi non dissimili da cert'altri celeberrimi boscaioli a corrente alternata/diretta e provenienti dai famigerati antipodi. Riff asciutti, batteria metronomica: l'AB/CD del sound AC/DC omaggiato nella iniziale "From Hell to Heaven Ice" si propaga in realtà per tutto l'album, soltanto saltuariamente (e timidamente) virante verso sensazioni vagamente spacy (il blue-oyster chitarrismo percepibile in "Burn at Sunshine"), o NWOBHorrorM (una fuggevole capatina nel confortevole death metal sound della casa, è gentilmente offerto in "Bath Number 666"), oppure "motörheadeliche" (in "Wings of Fire" e "Lake Sleeping Dragon" ad esempio) o infine hardfolk/ancorapiùhardblues (nel violino scorticato di "Red Beer" o nella kilmister-sadness-blues "Roadside Motel"). Devozione, professionalità e un songwriting indubitabilmente ebanistico. (Alberto Calorosi)

(Nadir Music - 2018)
Voto: 65

https://www.facebook.com/brutaltrevor%20/

The Shadow Lizzards - S/t

#PER CHI AMA: Stoner/Groove Rock, Led Zeppelin
Un chitarrismo apertamente 1969/hendrixiano ("Power On" e tante al.) o jimmypage/esco ("Overhaul" e le restanti al.), a tratti eminentemente strumentale (cfr. la lunga coda psych di "Breathtaker", le divagazioni bluesy stile Gov't Mule di "Sea of Curls" e "Go Down"), una voce (non sufficientemente) rauca d'ordinanza, una batteria non sempre mixata a dovere ("Rip Me Off"), qualche timida testardaggine stoner (la paranoid-sabbatiana e successivamente iper-spacey "Warzone") e, splat, giù tonnellate di quella specie di gelatina hammond ("Go Down", "Power", "Rarity" e tutte le al.) color profondo purple utilizzata da qualche anno a questa parte dagli ingegneri del sound più astuti come principio attivo antichizzante: il frondosissimo album d'esordio delle Luccertole (sic) ombreggiate di Norimberga si colloca con monolitica intenzionalità nella prima periferia del popolosissimo empireo zeppelin-centrico, notoriamente pullulante di reggiseni sventolanti e ipertricotici beati in stato sempiterna rock-fattanza, ad osare là dove osano (si fa per dire) autori del calibro di Mountain ("Top of the Mountain", ovviamente), "Rival Sons" e soprattutto "Graveyard". Una manna sonora alla psilocibina per il vostro unico, rugginoso ganglio uditivo rimasto. (Alberto Calorosi)

(Tonzonen Records - 2018)
Voto: 75

https://theshadowlizzards.bandcamp.com/

Ritchie Blackmore's Rainbow - Memories in Rock II

#PER CHI AMA: Hard/Heavy, RJ Dio
Volonterosamente determinato a riempirvi gli scaffali e al contempo vuotarvi le tasche con quella nota logica di marketing cara alla politica italiana denominata annusa-le-mie-scorregge-puzzolenti, il Becchino Permamentato formerly-known-as-guitarist, sbatte fuori il terzo live-fotocopia in meno di due anni. Duemila16: 'Memories in Rock', di cui avrete senz'altro ammirato la copertina raffinata grosso modo come un bootleg filippino degli anni novanta. Duemila17: 'Live in Birmingham 2016', in cui avrete indubbiamente gradito la scaletta clonata (fuori "16th Century Greensleeves", dentro "Burn" e "Soldier of Fortune") come una pecora cinese canterina. Duemila18: 'Memories in Rock II', di cui avrete sicuramente apprezzato la clonazione al quadrato, nella copertina, uguale nientemeno che a 'Rainbow Rising', e nella scaletta (dentro tutti i summenzionati, più "All Night Long", "Temple of the King" e crepi l'avarizia, pure un fottuto inedito). Già, l'inedito. Il primo da ventitré anni a questa parte. Si parla di almeno diecimila metallari nel mondo ricoverati per complicazioni cardiache. Quasi la metà sarebbero reggiani. Un franoso mezzotempo 101% AOR aperto da un truffaldino (ma decente) riff Dio-era e nevrilmente percorso dai consueti clichet chitarristici di Mr. Becchino P. che potrebbe stare giusto sul lato B di 'Bent Out of Shape' o nelle bonus track di una qualunque release della Frontiers. Oppure qui. Si intitola "Waiting for a Sign". Un titolo, se ci pensate, straordinariamente comico. (Alberto Calorosi)

(Minstrel Hall Music - 2018)
Voto: 45

http://www.ritchieblackmore.info/

Swans - S/t

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Post Punk/No Wave
Già nell'EP d'esordio, i suoni vi risulteranno circolari come tangenziali cittadine e ossessivi come bollette, ciò che forgia a fuoco, è arcinoto, l'intera discografia della band, oltreché la vostra pazienza. Le dissonanze siderurgiche generate dalla chitarra sconquassata di Bob Pezzola, quando non intersecano scelleratamente il sax lancinante, ma soprattutto lancinato, di Daniel Galli-Duanis, individuano quella traiettoria urgentemente e furiosamente percorsa nei dischi successivi e, al contempo, una ancora identificabile prossimità con certi scenari coevi etichettati fantasiosamente almeno quanto certi copricapi floreali britannici del periodo. Post-punk, noise-rock, no wave. Joy Division, Bauhaus, Birthday Party ("Take Advantage"), persino i Talking Heads di 'Fear of Music' ("Sensitive Skin"). Il songwriting di Michael Gira è scorticante, sì, ma solo se contestualizzato, altrimenti vi risulterà comicamente orwelliano e un cicinino acerbo. “Play with a pig, and you become a pig / play in the mud, and you sink in the mud / fall in a hole, and you stay in a hole / you'll be there to look at”, "Take Advantage". Niente da obiettare. Ma tutto qua? (Alberto Calorosi)