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giovedì 18 ottobre 2018

June 1974 - Nemesi

#PER CHI AMA: Instrumental Heavy Prog
Mettere insieme cosi tanti artisti in una sola release non deve essere stata cosa facile per Federico Romano, il polistrumentista che sta dietro ai June 1974, resosi famosi nel corso di questi 9 anni di militanza nell'underground, per le copertine dei suoi innumerevoli singoli, quasi sempre occupati da fotografie di splendide modelle. L'ultimo cd invece, 'Nemesi', prende le distanze da quel mondo patinato di magnifiche donne e sonorità electro dance e si lancia invece in un sound più radicato nell'heavy metal. Basti pensare che il buon Federico ha coinvolto gente del calibro di Andy LaRocque (King Diamond), Paul Masvidal (Cynic), James Murphy (Obituary), Patrick Mameli (Pestilence) e tra gli italiani, Tommy Talamanca (Sadist), Francesco Conte (Klimt 1918) e Francesco Sosto (The Foreshadowing), giusto per citarne alcuni. La base di partenza di questi dieci pezzi strumentali rimane comunque un sound sintetico, su cui, traccia dopo traccia, ognuna delle guest star darà il proprio contributo. Nell'eterea "Sognando Klimt", ecco Gionata Mirai de Il Teatro Degli Orrori a dare manforte con la sua chitarra, su una matrice sonica assai atmosferica. "Inoubliable" ha un riffing portante bello arrogante (bravo Tommy), stemperato poi dai delicati synth del mastermind romano. La violenta "Narciso" deve forse la sua rabbia alla presenza di John Cordoni Kerioth, ascia dei Necromass. Anche qui, gli arrangiamenti soavi di Federico smorzano però i toni inizialmente accesi della song. Mi concentro sulle song dei pezzi grossi: "Panorama" vede Andy La Roque duettare con Tommy a colpa di raffinati giri di chitarra, mentre la terremotante "Arcadia" che vede la partecipazione del chitarrista dei Cynic, mi stupisce non poco per il suo fare belligerante. Altra segnalazione per il sax delirante di Jørgen Munkeby (dei norvegesi Shining) in "Nothing Man"che caratterizza la song col proprio stile inconfondibile. Alla fine 'Nemesi' suona però come un'opera incompiuta, una parata di stelle che non ha suonato realmente col cuore. Buona musica non c'è che dire, ma francamente un po' freddina e priva di quella componente vocale che avrebbe dato quel quid in più per essere ricordata in questo A.D. 2018. (Francesco Scarci)

(Visionaire Records - 2018)
Voto: 65

https://visionaire.bandcamp.com/album/june-1974-nemesi

martedì 16 ottobre 2018

Sanguine Glacialis - Hadopelagic

#PER CHI AMA: Symph Avantgarde, Diablo Swing Orchestra, Fleshgod Apocalypse
La zona adopelagica è il dominio biogeografico che comprende le più profonde fosse dell'oceano. Si estende da 6000 metri di profondità fino al fondo dell'oceano. Pensate alla fossa delle Marianne, la fossa più profonda della Terra, li dove si ritiene che quasi tutte le creature abissali che vivono a queste profondità, traggano nutrimento dalla neve marina o, nei pressi di sorgenti termali, da varie reazioni chimiche. Se qualcuno di voi si stava giustappunto domandando il significato di 'Hadopelagic', secondo full length dei canadesi Sanguine Glacialis, ora è accontentato. La band originaria di Montreal, è guidata dal dualismo vocale della cantante lirica Maude Théberge abile a muoversi tra un cantato lirico ed un growling stile Cadaveria nei primi album degli Opera IX, in un condensato orchestrale di ben 60 minuti. Il cd si apre con le interessanti melodie di "Aenigma", song caratterizzata da un sound sinfonico in cui convergono tuttavia sonorità estreme, psicotiche linee di chitarra che evocano i nostrani Fleshgod Apocalypse, cosi come pure gli ultimi sinfonismi dei Dimmu Borgir, ma che poi, di fronte al cantato di Maude, ammiccano a realtà più commerciali, in stile Nightwish o Within Temptation. Il risultato però è ben più convincente, almeno per il sottoscritto, con la proposta articolata ed eclettica dei Sanguine Glacialis, cosi attenti nel proporre una gamma di colori davvero notevole nel proprio sound. Se pensate che l'inizio di "Kraken" apre tra funk, rock, symph, sperimentazioni a la Dog Fashion Disco, Devin Townsend e Diablo Swing Orchestra, per poi ritornare prontamente nei binari del death per una manciata di secondi e continuare successivamente a divagare in territori sinfonici, potrete solo lontanamente intuire quanto mi senta disorientato in un'escalation musicale davvero dirompente, tra scale cromatiche da urlo, ed una crasi sonica tra uno stile estremo ed un altro al limite dell'esotico. Tutto chiaro fin qui? Non proprio direi, nemmeno per il sottoscritto che ha avuto modo più volte di ascoltare il disco e cercato di codificarne il messaggio. I Sanguine Glacialis sono dei pazzi scatenati e lo dimostrano le divagazioni jazzy espletate nel finale della seconda song. "Libera Me" vede Maude scatenarsi in eterei ululati, mentre Marc Gervais ne controbilancia la performance con il suo cantanto gutturale. La song è comunque schizofrenica e perennemente votata al verbo stupire. Lo si deduce anche con "Le Cri Tragique d'une Enfant Viciée", brano in grado di saltare, con una certa disinvoltura, di palo in frasca. Con "Funeral for Inner Ashes" la proposta della compagine del Quebec sembra apparentemente più lineare: apertura affidata al pianoforte, poi una musicalità che procede senza troppi sussulti tachicardici fino a metà brano, dove il lirismo vocale della frontwoman è sostenuto da una batteria che potrebbe stare tranquillamente su un disco dei Cryptopsy, band non proprio citata a caso visto che Chris Donaldson dei Cryptopsy ha prodotto il disco in questione e forse una qualche influenza deve averla trasmessa ai nostri. La song prosegue comunque delicatamente verso il finale, in un duetto voce/pianoforte quasi da brividi. Il piano, sempre ad opera di Maude, apre anche "Oblivion Whispers", in cui i nostri musicisti non ci fanno mancare il loro apporto death sinfonico, in una traccia che ancora sembra evocare un ibrido epico tra Nightwish e Fleshgod Apocalypse, sorretti da una ritmica costantemente irrequieta in balia di una musicalità perennemente variegata; spaventoso a tal proposito il cambio di tempo a due minuti e mezzo dalla fine, in cui in un batter di ciglia, si passa dal death al rock e viceversa, con acrobazie da artista circense, costantemente in bilico tra difformi amenità estreme e passaggi rock/nu metal. Un album non certo facile da assimilare, da ascoltare e riascoltare anche quando un robusto riffing apre "Deus Ex Machina", per poi immergersi in suoni liquidi e psichedelici che arrivano ad evocare anche Unexpected o Akphaezya. Spettrale “Missa de Angelis" nel suo roboante inizio, poi quando le tastiere iniziano un po' a canzonarsi in stile Carnival in Coal o Solefald, la band entra nel solito vortice musicale dal quale risulta sempre più proibitivo uscire. E il centrifugato di quest'ennesima traccia, mette in mostra, ma non ce n'era più bisogno, tutto l'impianto ritmico, pirotecnico della band canadese, sempre in bilico tra mille ubriacanti generi musicali, qui peraltro assai folkish. Spero non si riveli un boomerang questa voglia di strafare per sorprendere costantemente i fan con trovate al limite del tollerabile. Le qualità tecnico-esecutive della band sono indiscutibili, ma in questi 60 minuti di musica c'è cosi tanta carne al fuoco, che il rischio di bruciare qualcosa è assai alto. Io non posso che premiare le sperimentazioni avanguardistiche dei Sanguine Glacialis ed un songwriting da urlo, con il monito di fare estrema attenzione che talvolta eccedere può rivelarsi a dir poco fatale. Nel frattempo, fate vostro questo mostro mitologico, lasciandovi sopraffare dalle melodie impervie e progressive di "Monster", ultima spettacolare perla di questo avventuroso 'Hadopelagic'. (Francesco Scarci)

(WormHoleDeath - 2018)
Voto: 80

https://sanguineglacialis.bandcamp.com/

lunedì 15 ottobre 2018

Nadir - The Sixth Extinction

#PER CHI AMA: Thrash/Death/Goth
Nati all'inizio degli anni '90 con il monicker Dark Clouds, cambiato poi in quello attuale circa un decennio più tardi, i Nadir ci offrono questo delizioso nuovo album, ultimo arrivato in casa della band ungherese che si dimostra prolifica come pochi in fatto di release. Ormai non si contano più gli album del combo di Budapest, nella loro pagina bandcamp se ne trovano undici a partire dal 2005 fino ad oggi e solo per questo dovrebbero ricevere un premio alla carriera. 'The Sixth Extinction' si riallaccia concettualmente al precedente lavoro da cui prende in prestito il titolo di coda per concepire e battezzare il nuovo nato. Il quintetto magiaro si sbizzarrisce nel riformulare le varie anime artistiche del gruppo, spostandosi tra death, doom, goth e thrash metal con naturalezza e soprattutto con notevole sicurezza, impatto e orecchiabilità. La costruzione dei brani è compatta, solida, ben sostenuta da una performance vocale di tutto rispetto, un ottimo artwork e chitarre sofisticate e taglienti. Di certo non vi annoierete con quest'album visto che al suo interno, brano dopo brano vi troverete richiami a Obituary, primi Paradise Lost e Rapture, con un tiro non comune ed un pathos diabolico e coinvolgente. I Nadir sanno esattamente come e cosa ottenere dalle loro composizioni, si nota e si sente che la gavetta è stata fatta, sono cresciuti a dismisura ed hanno appreso tutti i segreti per creare un buon album metal sotto tutti i punti di vista, dando vita forse alla loro release più matura, equilibrata, ricercata e intensa. Vi è un'anima oscura che esce allo scoperto, un lato melodico e drammatico che in realtà è presente in tutta la loro discografia, ma che qui affina le armi e si rende maestosa, moderna e drammatica, anche grazie ad una super produzione che alza la qualità d'ascolto e rende giustizia a dei musicisti di tutto rispetto. Come riuscire a staccare le orecchie dal tenebroso incedere di "Fragmented", resistere al passo in levare di "Along Came Disruption" che sembra una cover degli Alice in Chains suonata dagli Obituary, al magnifico, gotico e malinconico trittico di "Ice Age in the Immediate Future", oppure alla conclusiva, visionaria e più sperimentale "Les Ruins" con quel buio illuminato dagli stravaganti intro dei mitici Celtic Frost. Non esitate pertanto a farvi investire da questo disco, ascoltatelo e riascoltatelo per scoprire le mille sfaccettature in esso contenute e quanta passione stia dietro a queste note. Una medaglia d'onore più che meritata, una band degna di nota. Ascolto obbligato! (Bob Stoner)

(NGC Prod/Satanath Records/Grimm Distribution - 2017)
Voto: 75

https://nadirhun.bandcamp.com/album/the-sixth-extinction

Agatha - The Golden Prison

#PER CHI AMA: Dark Ambient, Obscure Noise, Raison d'être
Nato come estensione dell’associazione culturale Teuta Gwened, Gwened Music non è né un’etichetta discografica, né il moniker di un artista ben definito: parliamo infatti di un collettivo di musicisti veneti che abbracciano l’etica DIY. Difficile reperire maggiori informazioni in rete, tuttavia la pagina Bandcamp raccoglie una trentina di album di diversi artisti e tra questi spicca l’ultima fatica del progetto Agatha, intitolato 'The Golden Prison'. Il lavoro si compone di due soli brani di considerevole durata, per un totale di circa mezz’ora di estraniante dark ambient, in cui spadroneggiano oscure pulsazioni elettroniche e sinistri effetti noise. La copertina descrive perfettamente il mondo in cui ci apprestiamo ad entrare facendo partire la prima traccia: una vecchia bambola dagli occhi chiusi appoggiata ad una finestra, gocce di pioggia sui vetri e figure sfocate di grigi edifici all’esterno, il tutto nelle tonalità di giallo dorato tutt’altro che confortante. Quale sia per l’autore la “prigione dorata” che dà il nome all’opera (e alle tracce) è difficile dirlo con esattezza, ma l’atmosfera dipinta dalla fredda elettronica dei synth e dagli ossessivi effetti ambientali sembrano trattenerci insieme alla bambola dell’artwork in una stanza in cui il tempo si è cristallizzato, e solo debolmente il frastuono della vita quotidiana di una qualche metropoli vi riesce a penetrare. E se lo sviluppo della prima traccia ci porta ad un finale in cui la melodia ci concede un barlume di speranza e di possibilità di fuga, ecco che la seconda ci riconduce immediatamente nell’ombra, tra oscure voci campionate, rumori sconnessi e ripetitivi. No, forse la speranza non è all’esterno: meglio rimanere con quella bambola cieca al di fuori del tempo. (Shadowsofthesun)

Tyakrah - Wintergedanken

#PER CHI AMA: Black/Doom/Folk, Agalloch
Dalla città di Münster ecco arrivare i Tyakrah, fautori di un suono che richiamerà di sicuro l'attenzione dei fan degli Agalloch. 'Wintergedanken' è un dischetto infatti dal forte sapore invernale, che vanta parecchi rimandi alla band di John Haughm e soci, in particolare a quel 'The Mantle' che fece sognare tutti gli amanti del black doom folk e non solo, compreso il sottoscritto. E quando "Gefrorne Tränen" entra nel mio stereo dopo la timida intro, ecco avvertire quelle stesse sensazioni positive di quando ascoltai per la prima volta il capolavoro della band americana. Certo, sono passati 16 anni dall'uscita di 'The Mantle', eppure c'è ancora chi sogna di trovarne un seguito altrettanto bucolico, magari partorito nelle campagne della Renania. E quindi perchè no, non raccogliere la sfida e pensare che i Tyakrah possano rappresentare quel seguito virtuale, questo perchè a parte l'asprezza della componente ritmica, la song si lancia in lunghe progressioni strumentali, dilatazioni cariche di pathos e profonda malinconia che mi convincono appieno. La title track non tradisce e prosegue con questo tipo di approccio, miscelando il classico sentore black (limitato essenzialmente solo alla voce) doom (per quel riffing lento e sinuoso) con splendide fughe chitarristiche pregne di una emozionalità strappa lacrime, legata all'uso sfrenato di un tremolo picking estremamente efficace, anche nelle parti più violente. L'intensità crescente del disco viene amplificata dalla solennità dell'interludio "Eisige Andacht". Tocca poi a "Fährten im Schnee" ripristinare il flusso sonoro con la prima parte del cd, sebbene sembra essersi perso quel tocco di magia iniziale. Sia chiaro, la song non è brutta però sembra deprivata di quella forte emotività caratterizzante i primi due pezzi e maggiormente focalizzata sulla brutalità di un black glaciale. Ci prova prima una voce pulita a ripristinare il corso delle cose, con risultati non del tutto convincenti, poi una chitarra decisamente più ispirata. "Erstarrende Nacht" prosegue mostrando il lato più collerico del duo germanico tra sfuriate black, harsh vocals e splendidi solismi che alla fine premiano la proposta di J.R. e I.XII, i due musicisti fautori di questa interessante proposta. Rimango ora in trepidante attesa per il futuro dei Tyakrah, godendomi intanto le gradevolissime atmosfere di 'Wintergedanken'. (Francesco Scarci)

(Satanath Records/Slaughterhouse Records - 2017)
Voto: 75

https://satanath.bandcamp.com/album/sat181-tyakrah-wintergedanken-2017

venerdì 12 ottobre 2018

Anaal Nathrakh - A New Kind of Horror

#PER CHI AMA: Industrial/Grind/Black
Per amare gli Anaal Nathrakh dovete essere fan di Judas Priest e Napalm Death allo stesso tempo. Se questa condizione è soddisfatta, amerete anche questa nuova release del duo di Birmingham, intitolata 'A New Kind of Horror'. Perchè la mia dichiarazione iniziale? Semplicemente perchè il disco è costituito da spaventose schegge grind, un trademark per il duo britannico, che irrompono con "Obscene as Cancer", sulle quali si piazzano le vocals, sia in growl/scream che urlate, in stile Rob Halford, il frontman dei Judas Priest. Questa similitudine sarà ancor più forte nella successiva "The Reek of Fear", song dal riff stridulo e nevrotico. Godetevi questi trenta minuti e poco più di musica apocalittica, dove verrete aggrediti dalle ritmiche forsennate della band, da quelle loro chitarre al fulmicotone alleggerite da una costante (ed importante) presenza melodica, in cui la componente vocale si sdoppia appunto in un grugnito ferale e in vocals tipiche heavy metal. In tutto questo dicevo, rimane costante la portanza melodica, le incursioni industriali, forti soprattutto in "Forward!", una song mid-tempo che ricorda le prime cose dei Fear Factory. Un album davvero buono, che vede alcune novità a livello di songwriting a tratti epico, quasi sinfonico, che nelle tracce "New Bethlehem/Mass Death Futures" (spettacolare la sua melodia) e nella maestosa "Are We Fit For Glory Yet? (The War To End Nothing)", ne scorgo gli apici di un album che farà la gioia dei fan. Ottimo comeback discografico, probabilmente un filo sotto rispetto ai precedenti ma eccezionali lavori inseriti nella discografia della band inglese. (Francesco Scarci)

giovedì 11 ottobre 2018

Decayed - The Burning of Heaven

#FOR FANS OF: Black/Death
Reveling in the black metal sound that typified the extremity of the early '90s, Decayed is one of Portugal's early adopters of the intense esoteric style and has run with it for decades. Having released eleven full-length albums by the debut of 'The Burning of Heaven' as well as numerous demos, splits, EPs, and compilations, the trio has been a prolific – albeit marginal and overlooked – member of the scene since 1990.

After a short prologue, the title track storms out the gate with the untamed fury that only heavy metal can bring. Shrieking guitar solos and throats ripping from agonized screams, a harsh atmosphere of raw resonance as the pitter-patter of double bass falls like rain below a hail of cymbal strikes, Decayed brings Armageddon and it is none too discomforting even through a crushing change of pace halfway into this eleven minute thrashing. Instead, Armageddon is a party as Heaven burns and the slaughter is merely the sick game in which Decayed is enthralled. Punishing that petulant paradise with perdition's passionate press, armies of angels melt under the crush of demonic weight like so many damned souls plunged into the lake of fire. Revenge is here for the dark deity and it comes in sweeps and blasts as this absolute monster of a title track tears through.

Much of the album flies by like winged demons farting fire, distant screams become a chorus of horror descending upon cities, rending stereocilia from inner ears, and melting the membranes of eyes. The shrill “Son of Satan” hails the newborn Antichrist with its unambiguous and direct victuals of Satanic allegiance before the mystical prognostications of “Dark Soul - The Prophecy” begin the march to a universal war that makes all historical human horrors seem like skirmishes in scale. The chaotic onslaught of “War of the Gods”, the heaving weight of “Defy Thy Master”, and the liberal use of crisp cymbal crashes throughout “The Mirror of Usire” furiously wrap up the main album while a second segment comes to the fore.

As if the depravity of the underworld and the genocide of a realm of righteous supernatural beings wasn't enough, 'The Burning of Heaven' comes with an added EP hailing the 'Night of Demons' with its own coven of horny witches starting the show. Covering Motorhead in “Deaf Forever” and following it up with a shift into “Cravado Na Cruz” that again joins the chorus of songs reveling in an inverted revelation and wreaking havoc with genuine glee, Decayed refuses to let up as it peppers bits of campy fun into its frenetic standard. Unlike many a modern black metal band reveling in melancholy and lamenting the task of turning terror and torture into a fresh tome, Decayed ensures that the wickedness of a smile on one's face is the last thing many a weeping angel may see as it serenades unholy hosts with such unrepentant and charming madness. (Five_Nails)

Xoresth - Vortex of Desolation

#PER CHI AMA: Funeral Doom/Drone
Da un po' vado dicendo che quello delle one-man-band sembra essere un fenomeno che va diffondendosi a macchia d'olio in tutto il mondo. Ecco che il progetto di oggi ci conduce in Turchia a Izmir per l'esattezza, città natale di Dorukcan Yıldız, il factotum che si cela dietro al moniker Xoresth. La proposta del musico turco è all'insegna di un funeral doom dai tratti fortemente dronici che nelle tre song a disposizione, assume connotati fortemente caratterizzanti. Si perchè mai mi sarei sognato di miscelare questi due generi già di per sè assai ostici. Potete immaginare quindi il mio stupore quando "Illusion Before the Matter" si palesa nel mio stereo con il suo carico mortifero legato al funeral, il tutto inserito in un contesto dronico di riverberi che amplificano l'effetto apocalittico del doom con esiti davvero interessanti, ma soprattutto ipnotici, con il drone che tuttavia stempera la pesantezza di un genere che rischierebbe di stritolarci come le spire di un boa costrictor. Niente male affatto, non me l'aspettavo. Con maggiore curiosità mi avvio ad ascoltare gli oltre dieci minuti della tremolante title track. Qui ve lo anticipo, si sprofonda all'inferno, c'è poco da fare se non mettersi l'elmetto e avviarsi a scendere nelle viscere della terra. La sensazione è quella di ritrovarsi in una grotta profonda dove l'ansimare legato alla fatica eccheggia sulle pareti di quell'antro cavernoso e dove la sensazione di carenza d'ossigeno preme forte sul petto, generando un angosciante carico di ansia. Si, "Vortex of Desolation" è una song fortemente ansiogena e tenebrosa, quasi quanto la sensazione di buio assoluto che sperimentai una volta in una spedizione speleologica. Fa paura, ma è estasiante, da provare almeno una volta nella vita. Nel frattempo, Dorukcan Yıldız ci ha già introdotto nell'ultima spaventosa traccia, "Nefes", che guarda caso deriva dall'arabo respirare. Allora non mi sbagliavo con quella sensazione di privazione di ossigeno lamentata poc'anzi. In quest'ultimo brano infatti, quella percezione si acuisce ulteriormente. Ora ci si trova nelle tenebre, di fronte alla Signora Morte in persona, con spiraglio alcuno di rivedere la luce, solo ombre, voci terrificanti e un senso di fine assai palpabile in una song ambient/drone decisamente claustrofobica e assai ostica da digerire che relega questa release ad una nicchia di fan ancor più limitata. Da sperimentare però almeno una volta nella vita, questo rimane il mio comando. (Francesco Scarci)