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giovedì 1 agosto 2013

Aeternal Seprium - Against Oblivion's Shade

#PER CHI AMA: Heavy Power, Iron Maiden, Domine
Formatisi nel lontano 1999 a Contado del Seprio (Varese) con il nome Black Shadows, nel corso degli anni i nostri hanno modificato la line-up, mantenendo 3 dei membri fondatori (Leonardo Filace, Matteo Tommasini e Santo Talarico) e accogliendo, 3 anni dopo, il cantante Stefano Silvestrini. Nel 2007 l'act lombardo registra il primo demo, ”A Whisper From Shadows” con il nome Aeternal Seprium, nel frattempo entra un secondo chitarrista arrivando alla formazione odierna. Nel 2009 esce un altro demo ”The Divine Breath of Our Land”, e nel 2011 finalmente esce il primo e vero album, che mi accingo ad esplorare. Si parte con ”The Man Among Two Worlds” e “Vanaglory” di chiaro stampo "iron-maidiano”: vigorosa, ritmata, cantata con tutta l'energia che si ha in corpo. I testi sono sia in inglese che in italiano. Degni di nota sono gli acuti, più e meno prolungati, che conferiscono, in una, una nota di heavy metal più puro; nella seconda, è da ricordare il lungo e magistrale assolo di chitarra verso il terzo minuto. “Sailing Like the Gods of the Sea” si avvicina più al thrash, ma senza mai dimenticare l'influenza di Bruce Dickinson & soci: a volte la portanza vocale è talmente ricca e ingente, che mette la pelle d'oca a sentirla. “Soliloquy of the Sentenced” placa gli animi e diventa più modulata, epica: la batteria suonata con furore, le chitarre accordate più basse offrono toni smorzati che rendono una sensazione più composta. “In Sign of Brenno” a tratti ricorda i primi Metallica, ma sono più che altro piccoli lampi, anziché una vera e propria ispirazione. “Victimula's Stone” si avvale di un bel chorus che dà un maggiore impatto e un'aria più dinamica al tutto. “Solstice of Burning Souls”, alle prime note, sembrerebbe indirizzata verso una melodia più morbida, ma dopo quasi un minuto tutto torna come sempre. Da evidenziare soprattutto la preponderanza della chitarra messa a frutto: fa venire la pelle d'oca. Dicevamo delle parti cantate in italiano: è il caso di “L'Eresiarca”, ballad scritta e cantata nella lingua tricolore. Oserei pure ricordare un che di Marlene Kuntz in questa cantica proprio per il suo stile vocale. Piccole venature medievali si possono cogliere nel corpo di “The Oak and the Cross” e “Under the Flag of Seprium”, un omaggio alla loro terra natia. Si chiude questo mistico viaggio in terre e mondi lontani, pieni di battaglie e cavalieri: una pubblicazione prorompente e vigorosa che ti carica e ti porta ad affrontare meglio una lunga giornata nel segno del metal. (Samantha Pigozzo)

Kastete - Ideju Imperija

#PER CHI AMA: Hardcore Punk, Sick Of It All
Dopo qualche ascolto non trovo molto da dire su questo lavoro dei lituani Kastete, letteralmente "L'Impero delle Idee", titolo che speravo mi avrebbe condotto verso un'opera introspettiva e particolare. Si capisce subito che i Kastete sono un gruppo da palchi e non da disco. L'album alla fine è leggermente monotono, e presenta delle composizioni e liriche in classico stile punk hardcore che strizzano l'occhio a soluzioni più contemporanee vicine al metalcore, sopratutto nella parte finale del disco; lo stesso dicasi a livello grafico. Tanta (forse troppa) velocità, precisione e pulizia, rendono l'album a tratti ripetitivo e piatto, privo di quel mordente che da sempre caratterizza questo genere. A livello di strutture compositive, qualità sonora e presentazione visiva si tratta di un album eccellente, ed è proprio per questo che "Ideju Imperija" rischia di affondare in una palude di freddezza ed inespressività. (Kent)

The Pit Tips

Bob Stoner

Solstafir - Kold
Megadeth - Super Collider
Blood Ceremony - The Eldritch Dark
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Francesco “Franz” Scarci

Tesseract - Altered State
Shade Empire - Omega Arcane
Vukari - Matriarch
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Mauro Catena

Fine Before You Came - Come Fare a non Tornare
Jack B. Kisberi - Another Nobody's Diary
Mark Lanegan Band - Blues Funeral
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Michele “Mik” Montanari

Santina è Morta - EP
Ministri - Per un Passato Migliore
Acid King - III
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Kent

Ulver - Blood Inside
Morbid Angel - Domination
Eyehategod - In the Name of Suffering
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Roberto "Godtech" Alba

Summoning - Old Mornings Dawn
Ulver - The Norwegian National Opera
Sólstafir - Svartir Sandar

lunedì 29 luglio 2013

Me After You – Foughts

#PER CHI AMA: Post Punk, Dark Wave, Shoegaze, Alternative
Sono giorni che non riesco a staccarmi dalle questo disco d’esordio dei Me After You, duo anglo-italiano con base a Copenhagen (!) che si autodefiniscono alfieri del Bluesgaze, sorta di ibrido tra blues e shoegaze, e di sicuro autori di un lavoro ricco di spunti interessanti, nel suo declinare un rock di stampo post-punk in maniera sicuramente originale e di impatto. Il suono della band (sapientemente curato in questo disco da Andy Miller, già produttore di nomi importanti come Mogwai e Arab Strap) si fonda sull’equilibrio tra Leonard Seabrooke e Federico Festino, uno responsabile delle notevoli parti di basso e in possesso di una particolarissima voce baritonale – che oscilla continuamente tra lo Ian Curtis più mesmerico e il primo, animalesco Nick Cave – laddove l’altro suona batteria e tastiere. Il disco è aperto da un vibrafono indolente che sfocia nell’ipnotica "Fat Man", sorta di inaudito ibrido tra Joy Division e certe asprezze math. "Out of My Mind", scritta e cantata da Festino, parte quasi come un pezzo electro-wave e presenta anche una parte declamata in italiano, un po’ sullo stile dei grandi Massimo Volume. E l’influenza della musica di Emidio Clementi e soci non si limita a questa citazione, tanto che a metà scaletta compare una convincente versione de “Il Primo Dio”, che pure tradotta in inglese conserva intatta la sua forza evocativa. L’album è pieno di brani davvero notevoli e molto originali nel loro coniugare senza soluzione di continuità marzialità new-wave ed esplosioni improvvise e quasi sguaiate, come nella splendida "Wipe the Blood". Il termine “Bluesgaze” sembra calzare a pennello alla solenne "Retrospecting", mentre la trascinante "Someone to Hate" pare un apocrifo dei R.E.M in chiave darkwave, e in un mondo perfetto sarebbe in heavy rotation su tutte le radio. Nella parte finale del disco i suoni e le atmosfere si appesantiscono, tanto che "Revolt!" sfodera un basso infernale e un incedere noise che non sfigurerebbe su un disco Touch & Go dei primi anni '90, mentre "Mama" viaggia dritta su binari distorti, come un treno senza controllo. Lavoro interessantissimo e – l’ho già detto? – estremamente originale, in grado di piacere tanto ai cultori della wave che portano fieramente la loro T-shirt di "Unknown Pleasures", quanto agli amanti del rock più viscerale e a tutti i curiosi sempre in cerca dell’ultima sensazione post-qualcosa. (Mauro Catena)

(Custom Made Music, 2013)
Voto: 75

http://www.meafteryou.net/

Cardiac - Incurante dello Sguardo Umano

#PER CHI AMA: Rock acustico
Tornano i Cardiac e lo fanno in maniera unplugged, questo a conferma che il loro recente set acustico inizia ad avere un ruolo importante per la band, non solo a livello live. "Incurante dello Sguardo Umano" è un piccolo cameo composto da cinque tracce incastonate ad arte, il tutto racchiuso in un semplice folder in cartoncino, ma dalla grafica e fotografia ben curate. Premetto che questo EP va ascoltato con un impianto hi-fi buono in modo da poter cogliere tutte le sfumature del mixing e mastering, nonché gli intrecci degli arrangiamenti. Quello che colpisce è che la mancanza della botta elettrica non si senta, la forza dei testi e delle note trasuda in ogni singolo passaggio che ora sussurra all'orecchio dell'ascoltatore, ora invece piange la sua rabbia. "Ballando con gli Angeli" si muove in punta di piedi tra veloci riff di chitarra e linee di basso/batteria che corteggiano la suadente voce dei Cardiac. Il tutto in continua metamorfosi durante gli abbondanti sei minuti di canzone, inversioni di rotta, cambi di ritmo ed esplosioni musicali. "Semmai" esprime un flebile disagio interiore attraverso gli arrangiamenti in minore e la ritmica psicotica, ma poi tutto cambia e il pezzo si riscatta verso l'alto, dove l'orizzonte porta luce e tepore. Personalmente preferisco la versione elettrica dei Cardiac (ogni buon rocker ha le distorsioni nel sangue), ma questo EP permette di apprezzare un lato più intimo della band. Dopo tutto il set acustico non è da tutti, occorre mettersi in gioco e lavorare molto sugli arrangiamenti se si vuole uscire con un prodotto ben fatto e non banale. Se MTV rispolverasse quel vecchio programma che negli anni novanta ha ospitato grandi band in chiave non elettrica, i Cardiac meriterebbero di condividere il palco con qualche mostro sacro del rock. I Cardiac centrano il bersaglio con questo "Incurante dello Sguardo Umano" e ora possono guardare avanti con fiducia al prossimo lavoro. (Michele Montanari)

Church of Void - Winter is Coming

#PER CHI AMA: Doom, Heavy, Grand Magus, Pentagram
I Church Of Void sono una band finlandese nata pochi anni or sono, che esordisce con questo EP (limitato a 200 copie), con un sound che oserei definire "fuori moda". Non me ne vogliano i nostri, ma il cd richiama infatti sonorità vicine alle produzioni degli anni 2000: si tratta di un heavy rock sporcato di doom, con delle lievi brezze che mi ricordano l'ultimo (opinabile) periodo dei Lake of Tears (anche in termini vocali). "Winter is Coming" è un lavoro che nel complesso non mi attrae affatto, a causa di una continua preponderanza verso l'old school (emblematica a tal proposito l'oscura "Strongholds of Karan Varn" e la canonica "The Hours is Getting Late" dove emergono echi di Black Sabbath); retrò anche i nomi oscuri dei componenti (Magus Corvus, G. Funeral o H. Warlock, Byron V. e A.D.) mentre le tracce si mostrano vicine all'epic doom dei Candlemass. Tuttavia il disco non prende le distanze da sonorità moderne e ciò alla fine non esclude un discreto lavoro in termini di resa sonora e composizione (da migliorare la produzione), anzi direi che potrebbero tranquillamente piacere molto a quegli ascoltatori più orientati verso la scena heavy americana o a quei fan che apprezzano maggiormente un sound più tranquillo proprio sul versante del doom, soprattutto con riferimento anche agli ultimi Paradise Lost (si ascolti la title track). Ampi sono i margini di miglioramento, da risentire su full lenght. (Kent)

Wagars – Wagars

#PER CHI AMA: Black/Crust, Black Kronstradt, Disfear
Da Riga giunge l'ombroso e freddo sound dei Wagars, band che esordisce a colpi di black/crust con questo omonimo EP della durata di una ventina di minuti. Le tracce sono molto semplici e dirette, figlie di un black melodico di stampo svedese e della rabbia del crust anni '90, ma il segno particolare dell'opera è l'opacità del suono, a causa di un leggero oscuramento delle frequenze chitarristiche in sede ritmica, miglioria che permette di far depositare un lieve strato di cenere sul disco, e che ricorda molto le prime produzioni dei Wolfpack (ora Wolfbrigade). Nonostante la prevedibilità imposta dal genere, il combo lettone riesce a creare delle situazioni interessanti nel poco tempo a disposizione, riuscendo a inserire all'interno delle tracce anche diverse contaminazioni moderne che richiamano il passato, con alcuni spunti arpeggistici degni dei Amebix. L'unico dubbio che versa su questa release riguarda la sua chiusura, fuoriluogo e sotto la media. Un vero peccato perchè la penultima traccia era un estrapolato di un discorso di Imants Ziedonis (famoso poeta lettone), ottimo per chiudere in bellezza questo debutto. Questo EP è solamente un'aspettativa, una introduzione di quello, che si spera scriveranno di buono, i Wagars a breve. La strada è giusta, è sufficiente continuare così. (Kent)

(P3lican)
Voto: 65

http://wagars.bandcamp.com/

venerdì 26 luglio 2013

Raedon Kong - Raedon Kong

#PER CHI AMA: Prog Metal, Stoner, Doom Metal, Zeni Geva, Rush, Neurosis
Veramente un prodotto inusuale quello dei Raedon Kong, duo dalla Louisiana capace di incorporare gran parte delle sonorità degli anni '70 in un unico prodotto, senza mai ricorrere a facili e spudorati copia-incolla come in questo tetro periodo musicale, a cui stiamo assistendo quotidianamente soprattutto nell'ambito del doom metal. Le influenze del combo statunitense spaziano tra il progressive di scuola inglese, krautrock e doom primordiale, creando una emulsione sonora che definirei come una sorta di "Mastodon non commerciali". Il full-length apre con "Heavy Lite", song dalla ritmica articolata e dalle chitarre brillanti che in un'escalation strumentale fiorisce in una derivazione stoner posta in chiusura; segue "End of Days" che rivela il lato classico del loro universo, uno sludge pesante ma sempre attento alla musicalità. "Forgotten Son" mi rimembra un avantgarde simile ai Virus che sfocia in un doom metal tradizionale ingigantito dallo spessore chitarristico e dalla voce potente. Per finire, "Ash is the Omen" divaga tra atmosfere post rock vicine ai Russian Circles, prima di ritornare alla base prog doom, vero trademark di questa band. Nulla da dire, un grande disco, colmo di musica interessante e personale, da ascoltare assolutamente per aprire la mente a nuove idee o per evocare richiami dal passato. (Kent)

mercoledì 24 luglio 2013

Kalmankantaja – Kalmankantaja

#PER CHI AMA: Black/ Drone Sunn O))), Wolves in the Throne Room, Bedeiah
Il duo in questione arriva dalla gelida Finlandia e porta con sè una forma artistica molto interessante e particolare, una sorta di catarsi psichedelica scritta in tinte di nero, una forma di black metal oscurissima, visionaria, intimista e carica di (ir)reale misantropia. Il cd omonimo non è altro che una compilation che raccoglie i primi lavori dell'act di Hyvinkää, di cui abbiamo comunque voluto dare un tributo a tutte le cover art, oltre che quella che raccoglie tutti i brani.


Dei 3 cd che ci sono pervenuti, "Elama on Kuoleva Huora" è il primo demo di questa band con 4 brani per un totale di circa 32 minuti convogliati per due quarti sulle coordinate stilistiche di Burzum ma molto più laceranti, spirituali e sepolcrali, melodici e cupi come i migliori My Dying Bride, freddi ma non senz'anima; mentre nella seconda metà di questo demo dimostrano una capacità interpretativa dei sentimenti più profondi e tristi degna di nota. Il terzo brano dona il titolo all'intero lavoro e ci offre una veste molto diversa e folklorica dei Kalmankantaja giocato su di un arpeggio di chitarra sofferto, pulito e avvolgente mentre "Katku Kärsivä Valkeudesta" è un brano dalle tinte forti senza via d'uscita esasperato nell'intrecciarsi di drones funerei e nebbiosi, contornato di screaming lancinanti e disperati. Un biglietto da visita stupendo per chi ha imparato ad amare band come Wolves in the Throne Room, di cui questi Kalmankantaja potrebbero essere cugini se solo non prediligessero ritmi più lenti e doom.


Il secondo cd dal titolo "Tekopyhyyttä Pyhässä Temppelissä" (che tradotto significa: L'ipocrisia nel santo tempio) riparte laddove il demo si era egregiamente fermato e fa emergere un lato sperimentale ancora più elevato portando a due soli pezzi il contenuto di questo lavoro, molto lunghi e drammatici. I suoni sono squisitamente underground molto ricercati e figli di quel black metal iperboreo e zanzaresco ma rivisitati con gusto e un pizzico d'avanguardia sonica che li spinge oltre. Ascoltate gli screaming del brano omonimo dell'album e ditemi se non meritano qualche riflettore in più. I tredici minuti abbondanti della successiva traccia partono con un mid tempo attraente, sempre funerei e tetri, mai uno spiraglio di luce, interpreti convincenti di un'oscurità vissuta, una macabra forma d'arte nera. Il suono di Kalmankantaja non vive di qualità tecniche ma espressive al punto che durante l'ascolto si ha l'impressione di essere di fronte ad un ibrido fra black metal, psichedelia, shoegaze e dark ambient.


Il terzo cd dal titolo più semplice "III" porta tre brani divisi nei titoli di part I, part II e part III a sottolineare quasi una forma di concept album, le cui tracce sono divise ma potrebbero far parte benissimo di un unico lunghissimo brano decadente e sciamanico, un lungo scorrere di emozioni nere e ombre che rendono per certi aspetti unici questi due musicisti finlandesi. La musica affila le armi e nel primo brano il sound dei Wolves in the Throne Room fa da maestro; in realtà i Kalmankantaja hanno molto in comune con la band americana anche se spostano sempre il tiro verso un approccio più sperimentale e ancora più sotterraneo con un'attitudine gelida alla Sunn o))). Il duo predilige i testi drammatici, estremi, depressivi e rivolti alla forza e maestosità della natura. La musica rispecchia i testi esageratamente, portando con sè una sensazione di vuoto profondissima e una disarmante vena di solitudine che affascina sempre di più ad ogni ascolto. Tre lavori di non facile assimilazione ma che una volta appresi e compresi possono dare molte soddisfazioni alle vostre orecchie e ai vostri stati d'animo. Ascoltare per credere. Non tutto il nero vien per nuocere...(Bob Stoner)

Karm Rage - SoCiym

#PER CHI AMA: Thrash metal
Ecco, prendete “SoCiym” degli ucraini Karma Rage e ascolterete un disco talmente thrash metal vecchia scuola che uno dice: “ma cavolo... è un album del 2012?!” Loro sarebbero anche da ammirare, mi sembra che cantino in ucraino (o forse russo?) e questa è una scelta coraggiosa, e tutto sommato non ci sta neanche malissimo. Non mi sbilancio sui testi, però prometto che, appena torna dalle ferie, chiedo alla badante di Odessa del mio vicino una valutazione. Cosa ascolterete se piazzerete il ciddì nel vostro lettore? Come vi dicevo thrash di quello classico, batteria che picchia, un basso dal suono oscuro e le chitarre che ci sparano riffoni al rasoio. Ecco: le chitarre sono il punto più forte dell’album. Si sente che i due chitarristi ci sanno fare, parti lente e veloci si susseguono come si deve e gli assoli sono a modo. Il cantato è quello tipico del genere con parti ora ringhiate, ora più calme e mi sembra il lato più debole del loro lavoro. Il disco è ben prodotto, tutto si sente come si deve. Le tracce si somigliano in maniera davvero preoccupante, vi consiglio “Кто ты есть?” (che dovrebbe voler dire “chi sei tu?” - Спасибо Google traduttore) che mi è parsa la migliore. Riassumendo, un disco carino, che potrà piacere a chi si avvicina per la prima volta la genere thrash, gli altri si annoieranno. (Alberto Merlotti)

(Metal Scrap Records)
Voto 55

https://myspace.com/karmarage

King Howl Quartet - King Howl

#PER CHI AMA: Blues Rock/Stoner
Fantastico, cominciare il lunedì mattina con un bel cd, ti mette sempre di buon umore, soprattutto quando non hai un cazzo voglia di lavorare. E allora via, con queste 11 tracce direttamente dalla grande isola (Sardegna), assaporiamo un po’ di aria nuova e dimentichiamoci per un attimo la cappa calda e umida che ci opprime in questi giorni... Come dichiarano loro stessi, i KHQ (King Howl Quartet) ululano al cielo la loro passione per la vita e per il blues rivisto in chiave stoner per alcune sonorità grosse e panciute, in chiave funk/post punk per quelle più ritmate. Ma passiamo alla ciccia, visto che avrete già l'acquolina alla bocca per cotanta roba. "Mornin" è una sorta di rash cutaneo che in vero stile Quentin Tarantino, fastidioso e pungente, con una bella botta di batteria e chitarre che grazie a sapienti break iniziali, crea un insano dondolamento dell'estremità superiore del corpo umano. Da subito ci si accorge delle pregevoli doti strumentali del gruppo e dal vocalist che s’infila tra i vari arrangiamenti e ne esce vincitore. "Drunk" sfoggia un bel riff con slide che conferma le origini blues del nostro gruppo sardo e regala sonorità tradizionale unite a distorsione che il vecchio BB King non avrebbe mai pensato di abbinare. Un losco personaggio come Jack White invece ci sguazza da anni. Breve cavalcata che si fa apprezzare e vi porta a volerne ancora. Passiamo quindi al mio pezzo preferito, "My Lord", forse perchè trasuda stoner alla Kyuss e Queens of the Stone Age come un viaggiatore del deserto che cerca una bettola aperta dal tramonto all'alba. In questa traccia i KHQ mostrano di avere le palle quadrate perchè uniscono un sound perfetto per il genere ad arrangiamenti azzeccati. Cavoli, non sono ancora arrivato alla fine del cd e già adoro 'sti ragazzotti. Le altre tracce sono più in stile traditional blues e mi sarei aspettato che la band avesse osato un pò di più. Va bene non allontanarsi troppo dalle proprie radici, ma nessuno li avrebbe bruciati vivi sul rogo per qualche sperimentazione psicotica qua e la. Non male come lavoro, speriamo piaccia ai puristi e a chi il blues tradizionale non lo ascolta più di tanto. (Michele Montanari)

mercoledì 17 luglio 2013

Alchemist - Embryonics

#PER CHI AMA: Death Progressive, Avantgarde,
Purtroppo questo doppio cd ha costituito il canto del cigno di una delle formazioni che più ho amato nel corso della mia militanza metallara, gli Alchemist, band australiana, che nonostante sei ottimi album è rimasta sempre reclusa nell’underground della musica estrema, come oggetto di culto per pochi appassionati. “Embryonics” raccoglie il duro lavoro di otto lunghi anni a partire dagli esordi, attraverso i primi cinque album della band, andando a rispecchiare fedelmente la filosofia musicale dei quattro ragazzacci di Camberra. Se non conoscete il sound proposto dagli aussie boys, riuscireste mai ad immaginare i Pink Floyd di Syd Barrett che suonano un brutal death thrash? Eh si capisco, è davvero dura concepire un suono del genere, però gli Alchemist fanno tutto ciò e forse ancor di più, proponendo della musica spettacolare: una miscela stracolma di melodie che spaziano da suoni space rock, a momenti progressive, passando attraverso momenti etnici (con l’utilizzo anche del didjeridoo, strumento tipico aborigeno), accelerazioni death metal, frammenti di rock anni settanta, fughe psichedeliche alla The Doors, per continuare ancora lungo la strada delle sperimentazioni elettroniche e della pura musica heavy metal, il tutto condito con belluine vocals. Potrei continuare ancora a lungo tante sono le influenze che confluiscono e si amalgamano alla perfezione all’interno della musica di questi pazzi scatenati. Inutile citare una canzone piuttosto di un’altra; trattandosi di una raccolta il consiglio che posso darvi è di dargli assolutamente un ascolto e poi fare come me: andare ad acquistare tutti i loro album, partendo dal bellissimo, originalissimo e schizoide esordio “Jar of Kingdom”, attraverso il più brutale ma al tempo stesso più creativo “Lunasphere” e l’intimistico “Spiritech”, fino ad arrivare agli ultimi due assoluti capolavori “Organasm” e “Austral Alien”. Ragazzi, vi garantisco che nelle 28 tracce qui contenute, per una durata di più di due ore e mezzo di musica, ne sentirete davvero delle belle, perchè il sound degli Alchemist è davvero unico e bizzarro. Adam, Roy, John e Rodney avrebbero meritato un riconoscimento da un pubblico più vasto, che fosse in grado di apprezzarne le raffinate sperimentazioni musicali e la loro follia, in modo tale da liberarli da quel limbo musicale in cui sono rimasti imprigionati ingiustamente. C’è ben poco altro da aggiungere, gli Alchemist sono semplicemente geniali, peccato solo ci abbiano lasciati!!!! (Francesco Scarci)

Hellstorm – Into the Mouth of the Dead Reign

#PER CHI AMA: Thrash/Death, Destruction, Celtic Frost, Kreator
Attivi fin dal 1997, i milanesi Hellstorm hanno dato alle stampe un demo, un EP e due full lenght, di cui l'ultimo dal titolo "Into the Mouth Of the Dead Reign" uscito nel 2012 per la onnipresente etichetta italica Punishment 18 Records. "Into the Mouth of the Dead Reign" è un album che merita grande attenzione e mette in luce una band veramente interessante, capace e determinata. La caparbietà di questa band ha fatto si che l'anima dei Destruction, l'irruenza dei Kreator e la morbosita di certi Celtic Frost arrivassero a fondersi sfoderando una decina di brani variegati e intelligenti in sapor di horror movie e metal, tanto metal. Tantissimo metal!!! Possiamo dire che gli Hellstorm suonano thrash, che hanno influenze death e hanno un chitarrista fantasioso e ricercatore di riff al vetriolo sapiente come pochi, un ottimo cantante, che mostrano un gusto per la ritmica d'insieme con un risultato finale davvero efficacissimo; gli assoli sono bellissimi con suoni claustrofobici come solo i Celtic Frost di "Morbid Tales" riuscivano a fare ma la cosa più importante è che questa band ha la stoffa per suonare questa musica nel modo migliore e l'attitudine perfetta per fregiarsi dell'etichetta di metal band come solo i grandi gruppi possono avere. Dentro questo lavoro si trovano un sacco di spunti splendidi. La potente "Dead Walk" dopo l'intro iniziale di rito parte in modo allucinante con ritmiche di chitarra da strapparsi i capelli! "The Deepest Night" (la nostra preferita) sciorina degli assoli splendidi e mostra un tiro spaventoso. La dirompente "The Wicked Mirror" è un mid-tempo doom con assoli sputa fuoco e una grinta che va avanti a spada tratta fino alla finale decima traccia "Journey to North", una ballata malinconica, epica e riflessiva che incorona i 42 minuti circa di questo maestoso lavoro dall'anima forgiata nel metallo più puro. La sensazione che ci resta alla fine di questo album è la stessa di quando si ascoltano i maestri luminari come Wasp, King Diamond o Dio, eminenze sacre del regno metallifero. Gli Hellstorm suonano thrash alla grande, non suonano come cloni, sono originali, oscuri, vivono e sudano la loro musica e si sente. Il combo lombardo alla fine confeziona un disco maturo, credibile dall'inizio alla fine, godibilissimo, pesante e accessibilissimo, da ascoltare tutto d'un fiato e ad alto volume. Un album per chi ama il metal, imperdibile! (Bob Stoner)

(Punishment 18 Records)
Voto: 85

http://www.hellstorm.it/