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martedì 11 marzo 2025

Räum – Emperor of the Sun

#PER CHI AMA: Raw Black
Dagli abissi di Liegi, ritroviamo i Räum che tornano a squarciare la realtà con 'Emperor of the Sun', secondo sigillo scagliato nel vuoto in questo inizio 2025, come sempre sotto l’egida della Les Acteurs de l’Ombre Productions. Dopo aver recensito, non troppo brillantemente a dire il vero, il precedente 'Cursed by the Crown', mi ritrovo oggi ad ascoltare una band che nel frattempo dovrebbe aver affinato la propria arte, costruendo un altare di gelo e fiamme che brilla di un’oscurità tanto feroce quanto ipnotica. Sette lame di un black metal che sanguina melodia (poca) e disperazione (tanta), laddove non c’è redenzione, ma un inno alla caduta, un’eco di grandezza e rovina che si riflette nei resti di un’umanità condannata a divorare se stessa. Il nuovo disco si apre con "Eclipse of the Empyreal Dawn" e uno squarcio di chitarre gelide che si leva su un drumming furioso, mentre folate atmosferiche s'intrecciano a un cantato che sembra emergere dalle viscere della terra. L’atmosfera è densa, quasi sulfurea, ma vi garantisco che lo sarà ancor di più in "Grounds of Desolation", un’eclissi che soffoca la luce con melodie eteree, un lamento da terre desolate spezzate da un black mid-tempo, che vede in un asfissiante break centrale, un interludio spoglio, quasi spettrale che lascia spazio a un vuoto che inghiotte. Ci eravamo persi "Nemo Me Impune Lacessit", ma che dire di un brano sparato alla velocità della luce e tagliente come schegge di ossidiana, grazie al suo black crudo, selvaggio e lacerante? E sulla medesima falsariga, ecco accendersi le fiamme di "Towards the Flames", un assalto furioso, al fulmicotone, con un riff impetuoso, uno screaming indemoniato che si eleva su un drumming martellante. Non troppa originalità per i nostri, ma questo già lo immaginavo. E la causticità sonora prosegue anche in "Obscure", un altro brano in cui non c'è il benché minimo avviso di tregua. Solo blast-beat feroci e chitarre in tremolo picking che urlano la propria malvagità, guidandoci attraverso il puro caos. Con la title track, il ritmo sembra finalmente rallentare in un'introduzione lenta e inquietante che dura, ahimè, solo pochi secondi. Poi spazio ad altre sciabolate ritmiche, sebbene il riffing torni a muoversi su ritmi più compassati e oscuri. Quello dei Räum è un suono alla fine troppo glaciale per i miei gusti, non che sia male ma mi trasmette poco, ma questo l'avevo già sottolineato un paio di anni fa. E la conclusiva "A Path to the Abyss" non stravolge la mia valutazione finale, vista la sua viscerale brutalità che chiude la porta di quell'abisso infernale in cui siamo sprofondati. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2025)
Voto: 64

https://ladlo.bandcamp.com/album/emperor-of-the-sun

lunedì 10 marzo 2025

Vuur & Zijde - Boezem

#PER CHI AMA: Post Black/Post Punk
'Boezem' degli olandesi Vuur & Zijde è un debutto audace e sorprendente, che fonde abilmente elementi di post-punk, shoegaze e black metal, in un'unica esperienza musicale avvolgente. La band, composta da membri di Terzij de Horde, Witte Wieven, Laster (tutta gente che abbiamo già incontrato qui nel Pozzo), ha creato un album che si distingue per la sua personalità e originalità, attraverso un viaggio sonoro peculiare, che vede aprirsi con "Onbemind", song roboante, melodica e malinconica, complice anche la voce della brava Famke, dotata di una timbrica pulita che si pone su un'architettura ritmica presa in prestito dal post black. L'impatto è dei migliori, perché decisamente inaspettato e soprattutto perché, a fronte di una possente ritmica, c'è sempre la calda voce di Famke (stravagante peraltro l'uso dell'olandese nelle liriche) a smorzare toni altrimenti collocati su un mid-tempo, sempre teso a improvvise accelerazioni, ma anche a momenti più onirici, proprio come accade nella seconda traccia. L'album è comunque un susseguirsi di buoni pezzi, con le chitarre sempre cariche di profondità malinconica, capaci di intrecciarsi e ben amalgamarsi con synth sognanti e ritmi a tratti, danzanti. Chiaro, ci sono anche momenti più ostici da digerire, e "Ús" è un bell'esempio di sonorità lente e dissonanti. Ci pensa poi "Omheind" a far ripartire le danze con il suo post punk incisivo e raffinato, con quel bel passo pulsante a guidarne le melodie, cosa che si riproporrà anche in "Adem". "Kuier" è decisamente lenta e oscura, più affine musicalmente a "Ús", ma forse la sua ridondanza ritmica la rende meno convincente rispetto alle altre. Meglio "II", sebbene anche qui, ci si attesti su sonorità claustrofobiche non cosi facili da digerire. Con "Nest" ci troviamo di fronte a pura e semplice furia black, corredata però dalla pulizia vocale di Famke a stemperarne ancora le frustate ritmiche. Alla fine, 'Boezem' è un album complicato che invita a inevitabilmente a numerosi ascolti per poterne cogliere ogni sfumatura più recondita. Bravi, buon esordio. (Francesco Scarci)

(Prophecy Productions - 2024)
Voto: 75

https://vuurenzijde.bandcamp.com/album/boezem

sabato 8 marzo 2025

Shepherds of Cassini - In Thrall to Heresy

#PER CHI AMA: Prog/Psych/Post Metal
Avevo recensito i precedenti due album, rispettivamente nel 2013 e 2015, e li intervistai nello stesso 2015. Poi, un silenzio durato ben 10 anni. E ora, dal cuore pulsante di Auckland, gli Shepherds of Cassini (SoC) riemergono con 'In Thrall to Heresy', terzo capitolo della loro personale saga. Ma questo non è un semplice ritorno, è una metamorfosi, un’opera che spinge il progressive metal in territori inesplorati, intrecciando complessità tecnica, psichedelia turbinante e un’architettura musicale che sfida le convenzioni. Qui, il quartetto neozelandese dimostra come il prog non sia solo un genere, ma un’etica, un viaggio attraverso otto brani che rifiutano la stasi per abbracciare l’evoluzione. Il disco si apre con "Usurper", un'epopea sonora che ridefinisce i limiti del progressive, grazie a giochi in chiaroscuro affidati a un elegante arpeggio di chitarra che andrà successivamente a fondersi con un basso maestoso e con la voce (che faccio tuttavia ancora fatica a digerire, nella veste clean) di Brendan Zwaan. Il flavour sonico ci riporta immediatamente ai Porcupine Tree, ma presto il tutto sarà travolto dal violino elettrico di Felix Lun, con un suono che stride come un oscuro presagio. La struttura del pezzo diventa ben presto un labirinto, tra esplosioni prog e rallentamenti di "opeth-iana" memoria, in bilico in un continuo stato tensivo. Ora ricordo perché li ho adorati nei precedenti lavori. Forse preferivo quando i vocalizzi valicavano il growl e il suono era più orientato al post metal, ma anche in questa nuova veste, è chiaro che i nostri abbiano parecchio da dire, tra assoli di violino (alla Ne Obliviscaris) ed escursioni nel prog rock. Tempo di un intermezzo spaziale e siamo a "Slough", un altro brano dall'intelaiatura sonica tipicamente prog, tra cambi di tempo, atmosfere mutevoli, un groove di basso in sottofondo che ribolle come lo stufato in una pentola a pressione, graffi di chitarra che agitano melodie cerebrali - scuola King Crimson - e furiosi crescendo esplosivi, coadiuvati qui anche da un cantato estremo. Difficile ipotizzare cosa aspettarsi in tutto questo marasma, se dopo le derive estreme, si sfocia in momenti di calma ipnotica che disorientano non poco. Ma questo è il bello degli SoC. "Vestibule" è una lunga (un filo troppo) intersezione di cosmic psych rock che fa da passaggio verso l'ignoto che si materializza con la successiva "Red Veil". Qui, un sincopato riffone di chitarra guida la sghemba melodia, a braccetto con il growling di Brendan, in un brano che potrebbe evocare un che dei Tool, in un pezzo comunque ostico, contorto, furioso, una continua danza tra imprevedibili punteggiature arpeggiate e roboanti partiture ritmiche, in un precario equilibrio tra melodia e prog sperimentale in un continuo crescendo dinamitardo. "Mutineers" è un altro sinistro bridge strumentale affidato a chitarra, violino e tastiere dissonanti, una distopica dilatazione del tempo che ci accompagna ad "Abyss". Qui, realmente si sprofonda in un abisso temporale di oltre 16 minuti che vede il brano spalancarsi con un basso ipnotico, preludio della fine del mondo. Effetti vocali filtrati, percussioni tribali, suoni di synth in sottofondo e la trasfigurazione di nuovi mondi in musica, narrati dalle efficaci clean vocals di Brendan, sono tutto quello di cui avete bisogno. Il brano evolve in una matrice sonora contrastata, da brezze eteree a sezioni più pesanti che si sciolgono in interludi post rock guidati dal violino imbizzarrito di Lun, in grado di guidare l'ascoltatore attraverso un'oscurità densa e affascinante (ascoltatevi gli ultimi due minuti della song e capirete cosa intendo), in un viaggio complesso e avvincente. In chiusura, un pianoforte introduce "Threnody" e la sua melodia fiabesca che chiude un disco pronto a lasciare il segno. (Francesco Scarci)
 

giovedì 6 marzo 2025

Voidwards - Bagulnik

#PER CHI AMA: Funeral Doom/Drone
Due sole lunghe tracce per un disco estremo ancorato in uno stallo stilistico che vede le sue salde basi a metà strada tra il doom più funereo e il drone ambient più sinistro. La cosa che colpisce di più, è che per capire al meglio lo spirito che anima quest'opera, bisogna conoscere la vera storia che ha ispirato queste due composizioni, che possono essere intese come parte di un concept album a tutti gli effetti. Siamo nel 1900, quando la popolazione di un paese nel nord della Russia è investita e tormentata da un'onda anomala di depressione, insonnia, morte e paure, una psicosi generale, fatta di allucinazioni, che si verrà a scoprire solo in seguito, provocate dalle neurotossine dei fiori di una pianta che cresce nella zona. Il ritrovamento di un diario da parte del vocalist Lejonis (voce, chitarra, violoncello), scritto da un'insegnante del luogo, fa conoscere al mondo questa storia oscura e offre al duo russo lo spunto necessario per dare vita a questa colonna sonora da incubo, intitolata 'Bagulnik', ovvero il nome del fiore incriminato, che in latino è chiamato Ledum palustre. Bella la grafica di copertina che supporta al meglio questo viaggio verso un paesaggio da incubo, desolato, colmo di disperazione. La sua atmosfera asfissiante e il suo passo funebre, si sposano perfettamente con la descrizione del booklet interno, permettendo un ascolto ancor più motivato e approfondito, poiché non conoscere l'origine da cui provengono queste sonorità, potrebbe non far comprendere la bellezza reale di questo album, e farci perdere la possibilità di immergersi in una natura così malvagia, violenta, oscura e devastante. Possiamo definirla una lunga colonna sonora che si srotola a passo lento con percussioni distanti e un sound grave, asfissiante, misterioso e lugubre, una voce gutturale che narra, ansimando nella lontananza, aumentando il collasso nervoso e l'allucinazione per l'ascoltatore, ma la cosa che rende il disco ancor più apprezzabile è che veramente sembra di essere di fronte a un film cupo, misterioso, inquietante e carico di tensione. Non è facile accostarlo a qualche altro titolo di questo genere musicale, quindi il mio consiglio è di leggere attentamente il booklet, chiudere gli occhi e gustarsi questo viaggio sonoro in tutta la sua raggelante bellezza. (Bob Stoner)

mercoledì 5 marzo 2025

Peacemaker - Internal Revolution

#PER CHI AMA: Thrashcore
Mi mancava ascoltare un po' di musica "marciona" e direi che 'Internal Revolution', secondo atto dei polacchi Peacemaker, incarna al meglio questa mia definizione. Questo disco è una dichiarazione di guerra alle schifezze commerciali che ammorbano l’aria, un pugno in faccia tirato da cinque tizi di Rawicz che non scherzano di certo. Nove pezzi, di cui gli ultimi tre pescati dritti dall’EP 'Words of My Life' del 2017, ti sbattono contro un muro di suono puro e semplice, a partire da "(We Come) From Nowhere". Qui i riff ti aggrediscono come un pitbull scappato dalla catena, con quel sapore thrashcore dei primi ’90 che urla Suicidal Tendencies nei cori e ti fa pensare ai nostri IN.SI.DIA che spaccavano tutto ai tempi d’oro. È roba che ti entra nelle ossa e non ti molla più. Il virus si diffonde veloce: "Stay Human" rallenta un filo, ma ti colpisce con una pesantezza che sa di Machine Head, anche se non siamo ancora al livello dei titani di Oakland. Eppure, se sei uno che vive per le chitarre che tagliano come rasoi e i ritmi che ti fanno sbattere la testa contro il muro, qui c’è pane per i tuoi denti. "Infected Mind" ti spara in faccia un’apertura che sembra un martello pneumatico, con cambi di tempo che tengono alta l’adrenalina e un finale dove la batteria pesta come se volesse sfondare il pavimento – roba da far tremare i vetri! La voce? È un casino strozzato, un mix tra un growl che non decolla e un pulito che inciampa, ma cazzo, funziona alla perfezione col sound corrosivo di questi cinque selvaggi. Il copione è quello classico del thrash ’90: "Today Is the Day" e la title track non inventano niente, ma ti trascinano in un vortice di riff compatti e ritmi che non accelerano mai fino a velocità folli, preferendo affogarti in una melma sludge che puzza di marcio. Poi arrivano i pezzi ripescati dall’EP – "The Rat Race Has Started" è un’esplosione breve e feroce, "99 Thousand of Lies" ti pesta con quel groove distorto che strizza l’occhio ai Pantera. 'Internal Revolution' non è un disco che rivoluziona il mondo, ma è un blocco di granito, genuino e incazzato, con le radici piantate dritte nei gloriosi anni ’90. Se sei uno di quelli che rimpiange i giorni in cui il thrash si suonava con le budella e non con i computer, questo album ti farà pogare fino a spaccarti il collo! (Francesco Scarci)

martedì 4 marzo 2025

Deus Sabaoth - Cycle of Death

#PER CHI AMA: Symph Black/Doom
Dal gelo infernale dell’Ucraina, emergono i Deus Sabaoth con 'Cycle of Death', un debutto che lacera il silenzio sotto il vessillo indipendente di un’auto-produzione. Sette tracce che si accodano a un black melodico, in un’ode alla desolazione che non si limita a urlare nel vuoto, ma lo veste di armonie strazianti e sinfoniche. Qui non troverete il caos primordiale tipico del black nudo e crudo: qui la melodia è un’arma, affilata e intrisa di un dolore che si riflette nelle steppe desolate e nel peso di un’esistenza vana. Forgiato in un paese spezzato dalla guerra, il disco respira un’atmosfera di resilienza e malinconia, un rituale che rifiuta la luce per abbracciare l’eterno crepuscolo. Il disco si apre con "The Priest", il cui gelido rifferama s'intreccia a un cantato gutturale che sembra sputare veleno sugli altari corrotti di quel prete menzionato nel titolo del brano. La melodia, di chiara ispirazione classica, si srotola come un lamento funebre, mentre la batteria martella con furia controllata. "Mercenary Seer" apre con un arpeggio ben calibrato, ma è solo un inganno, visto che il brano esploderà in un vortice di riff taglienti e ritmi serrati che richiamano un che dei Cradle of Filth, complice l'evocativo black melodico che si fa traino come un’àncora in un mare in tempesta. L'alternanza vocale tra scream/growl e salmodianti voci pulite, fa il suo dovere mentre le chitarre si rincorrono come gazzella e leone nella savana. Ancora un arpeggio ad aprire elegantemente la title track, contraddistinta da uno stile barocco presto travolto da chitarre possenti e un growl davvero lacerante, che andranno a intrecciarsi a orchestrazioni intriganti ma forse ancora un filo da affinare e ripulire a livello di suoni. Però il brano ha il suo fascino, e si lascia facilmente ascoltare assimilandosi a una versione death dei CoF, ma alla fine lascia il segno, prima dell'arrivo inesorabile di "Executioner". Qui, ritmi doom sembrano imperversare nelle note del trio ucraino, creando un'atmosfera di condanna in un pezzo in cui la melodia, guida come una lama che affonda piano le carni. Ancora musica classica in apertura - un po' sullo stile degli austriaci Angizia - con il turno della più densa "The Blind", un altro pezzo che fondamentalmente, si accoda alle precedenti song, pur abbracciando uno stile più lento e compassato, che vedremo riproposto anche nella successiva "Faceless Warrior". Forse è proprio in questa leggera staticità di fondo, in tema di variazioni al tema, che rischiamo di trovare il punto di debolezza dell'album, che ha ancora nella conclusiva "Beginning of New War", l'ultima arma a disposizione. Qui, riff glaciali e blast beat irrompono veementi, mettondosi a braccetto con la melodia che mostra comunque un ruolo cardine nell'economia di un brano feroce eppure elegante. Alla fine 'Cycle of Death', pur non inventando nulla di nuovo, mostra le più che discrete capacità compositive del terzetto ucraino. Certo, c'è ancora da affinare la tecnica, migliorare la pulizia del suono, ma diciamo, che la strada imboccata, sembra quella giusta. (Francesco Scarci)

Hell:On - Shaman

#PER CHI AMA: Thrash/Death
Quando il vento gelido delle steppe ucraine si mescola al clangore di un death brutale e primordiale, ecco nascere 'Shaman', settimo sigillo degli Hell:On. Avevo amato il precedente 'Scythian Stamm' e quindi, le mie aspettative per questo nuovo lavoro, devo ammettere fossero piuttosto elevate. Questa nuova fatica del quintetto di Zaporizhia si presenta come un rituale sonoro, un viaggio nelle tenebre che ci ricorda che la musica non è solo una forma d'arte, ma un modo per esplorare i recessi più profondi dell'anima. L'apertura dell'album, "What Steppes Dream About", è un pezzo che evoca immagini di antichi rituali tribali, sostenuta da un riff di chitarra che s'insinua come un serpente venefico. Il growl del frontman solca l'aria, trasmettendo un senso di invocazione, come se stesse chiamando a raccolta le forze oscure dei nostri antenati, mentre le chitarre di Hellion e Anton, costruiscono un muro di suono che crolla in un assalto death metal. "When the Wild Wind and the Soul of Fire Meet" è la classica quiete prima della tempesta: in principio, solo flebili suoni poi sostituiti da riff travolgenti e una batteria martellante che si fondono in un crescendo implacabile, atto a creare un muro sonoro che travolge l'ascoltatore, in un finale sincopato che mi ha evocato i primissimi Septic Flesh. Ma è forse con "Tearing Winds of Innerself", che la tempesta interiore prende forma in un assalto di blast beat e killer riff, un tornado sonoro che squarcia ogni difesa, anche laddove persistono le porzioni tribali, ma che prende il sopravvento quando i nostri ci lasciano cadere in un ubriacante maelstrom sonoro e ci avvolgono in un epico assolo conclusivo che lascia un’atmosfera incandescente. Si prosegue con il misticismo sciamanico di "Preparation for the Ritual", che va a fondersi con una brutalità sonora, creando un incantesimo che non lascia scampo, in una sorta di versione death metal dei Melechesh. Con "He with the Horse’s Head", il galoppo ritmico è un’eco di zoccoli su una pianura arida, mentre le chitarre intrecciano melodie mediorientali a un death metal possente, e in cui va sottolineata, ancora una volta, la performance solistica delle due asce e il dualismo vocale di Olexandr Bayev, abile a muoversi tra growl e vocals strozzate in gola. La caduta si approfondisce in "A New Down". Riff spezzati si uniscono a un ritmo forsennato, in una furente cavalcata che mi ha ricordato i Sepultura di 'Arise' uniti ai Death di 'Human', mentre un assolo vertiginoso squarcia la matrice sonora nella seconda metà del brano. Il drumming è un ruggito continuo, un tuono che non si ferma davanti a nulla, anche nella successiva "I Am the Path". Qui, la batteria di Leshiy colpisce con precisione brutale, alternando raffiche a pause cariche di un silenzio inquietante, mentre le chitarre s'intrecciano in armonie oscure e taglienti, e la voce ruggisce come un oracolo posseduto. A chiudere il disco, ecco la title track, un pezzo che apre con roboanti ritmiche scuola Morbid Angel, per poi cedere il passo a un’atmosfera doomeggiante, che è un misto tra misticismo e nichilismo. Alla fine, 'Shaman' non raggiungereà i livelli eccelsi del suo predecessore ma comunque si dimostra come un album solido, un rito, un cerchio di fiamme e teschi che chiama a sé gli spiriti di un tempo, di un’Ucraina ferita che respira guerra e sopravvivenza. (Francesco Scarci)

(Archivist Records Ukraine - 2025)
Voto: 80

https://hellonband.bandcamp.com/album/shaman

lunedì 3 marzo 2025

Aquilus - Bellum II

#PER CHI AMA: Atmospheric Black Metal
Gli australiani Aquilus emergono come un’ombra misconosciuta nel vasto abisso del panorama estremo. Il loro primo vagito, 'Griseus', mi aveva avvinto nel 2011, un lamento primordiale che mi aveva rapito l’anima, per poi svanire in un silenzio tombale durato un decennio, un vuoto che mi aveva indotto a considerarli perduti nelle tenebre. Dieci anni di muta oscurità, spezzati solo dall’eco lontana di 'Bellum I' nel 2021, e poi, come un fulmine che squarcia un cielo catramoso, l’anno scorso è giunto, inatteso, 'Bellum II', secondo capitolo di una saga maledetta. La formula di questa one-man-band orchestrata dall’enigmatico Waldorf, si erge ancora come un monolito, un’opera titanica che intreccia il black metal atmosferico a spettrali influenze classiche, trascinando chi osa ascoltare in un viaggio sonoro che è al contempo epico e soffocante. L’album si spalanca con “By Tallow North”, un breve squarcio che non è solo un’introduzione, ma un’entità a sé, un portale che proietta immediatamente in un regno di maestà oscura ed eterea grandezza. Qui, riff taglienti come lame si fondono a melodie fragili come cristalli di ghiaccio, plasmando un paesaggio sonoro che geme sotto il peso di emozioni torbide. Ma è con “Into the Earth” che si precipita nel cuore del disco: ogni traccia si dipana come una piccola epopea, un intrico di dettagli sonori e mutamenti repentini che incatenano l’ascoltatore in una morsa implacabile. Siamo nei territori del black atmosferico, eppure chiamarlo così appare un insulto, una semplificazione che non rende giustizia alla complessità di questi passaggi strumentali, intricati come ragnatele di un’antica cripta, che tessono atmosfere cinematografiche e spettrali. È come assistere a un film muto e funereo, dove melodie struggenti, orchestrazioni sinistre e fughe vertiginose si intrecciano, tenute insieme solo dal filo rosso dello screaming lacerante del polistrumentista australiano, un urlo che sembra provenire da abissi insondabili. Le tracce più lunghe, come “Nigh to Her Gloam” – un colosso di quasi diciassette minuti –, si snodano come serpenti attraverso una serie di movimenti inquieti: raffiche di pura ferocia si alternano a pause di quiete ingannevole, dove arpeggi di chitarra dalle venature folkloriche, emergono come fantasmi di un passato dimenticato. È qui che si manifesta la genialità compositiva di Waldorf, un demiurgo che plasma il caos con mani insanguinate. E poi c’è “My Frost-Laden Vale”, un’altra suite di oltre diciassette minuti, un abisso in cui il mastermind di Melbourne, scatena una tempesta di visioni: dai primi sussurri atmosferici, che evocano una primavera morente, si scivola in sezioni più oscure, squarci cinematografici che si tingono di una dolcezza malinconica, quasi insopportabile, in contrasto con le sferzate più brutali dell’album. Il risultato è un’aberrazione gloriosa, un’opera che travalica i confini del genere, un’esperienza sonora che si insinua nella mente come un veleno, costringendo a contemplare il baratro e risvegliando emozioni che è meglio lasciare sopite. (Francesco Scarci)

(Northern Silence Productions - 2024)
Voto: 85

https://aquilus.bandcamp.com/album/bellum-ii

domenica 2 marzo 2025

The Halo Effect - March of the Unheard

#FOR FANS OF: Melo Death
I actually care about both releases from this Gothenburg project! However, the newest here I care for even more than their debut, 'Days of the Lost' (2022). The reasons are that the guitars explore even more diversity in the riffing & connectedness at the same time! It's not an oxymoron of a statement, it's actually exploring more creativity here, though both releases I've been really happy with. It's as of no surprise to me though, especially because Jesper when he was in In Flames & Niclas was in Gardenian that their riffs were always powerful & blatantly melodic! This LP is a blend of the melodic death found in more modern recordings by Dark Tranquillity, especially Mikael's switch constantly from screaming to clean, reminiscent of DT's 'Projector' (1999) release.

I got the 15 song digipack with 54+ minutes of music! I'm a little biased here though, as I've favored the Gothenburg scene since its origin, but I AM careful at the same time! I care about the music scene there. However, I favor the music & not so much of these metal band's lyrics. There's only a few modern metal bands where I actually like the lyrics on top of the music!

I would venture to say that these members have been rather busy since their project debut was released in 2022, this being quite an anticipated follow-up! I saw that there are many that are entirely disappointed listeners, just not on my part! I've found them to be entertaining & hugely emotional, I also enjoyed the keyboards augmenting the overall sound!

I hope that these guys continue on for a while longer & to my attention, they are also really good live! Not certain as to why fans are turning away and many referring to them as "has been" musicians. I don't think that at all & I feel the huge emotional vibe in the music/vocals & recording that made this impeccable to me! There really isn't anything I'd change here!

Melodic death refuses to die! Make this album one of your own because it's a testament to that statement! (Death8699)


giovedì 27 febbraio 2025

The Pit Tips

Francesco Scarci

Saor - Amidst the Ruins
Wardruna - Birna
Clouds - Desprins

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Alain González Artola

Kanonnefieber - Die Urkatastrophe
Alcest - Les Chants De l'Aurore
Monasterium Imperi - Mechanticles

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Death8699

Midnight - Hellish Expectations
Sathanas - Into The Nocturne
The Haunted - The Haunted Made Me Do It

Necrodeath - Arimortis

http://www.secret-face.com/

#FOR FANS OF: Black/Death/Thrash
Not an entirely long LP, roughly 39 minutes but, wow! How much these 3 sub-genre metalers (black/death/thrash) have amped up their game! I had 'Defragments of Insanity' (2019) & didn't hold onto it because it didn't really resonate with me. Then I heard this and, damn! I've been hooked! It seems a lot better sounding than many previous releases by the band, I suppose they said "let's go all out & see where it takes us!" That's a hypothetical, but really they are sounding awesome! The guitars are wicked & everything here (I'm guessing) made sense to them. Upon release, it made sense to me hearing new material that's not recycled over & over like it happens with so many bands in any type of music. But these dudes did one heck of a good job! The guitars don't repeat over & over, they stuck with solid riffs that sound in their own style, lead guitar outputs well executed too. They actually have a music video out for one of the songs here called "Storytellers of Lies".
 
Nine songs OK, but just all of them are simply wicked! I just heard this once & was blown away. And part director Milos Forman's 'Amadeus' (1984) where Mozart accused the Italians as being "musical idiots!" was well, far off! I think listeners on this will definitely disagree with that film based musical-judgment as it pertains to Italian artists.
 
Four people in this band right now: Flegias, who sounds black metal-like on voice, the guitars by Pier Gonella are death/thrash sounding & the remainder of the band (GL & Peso) keep up rather well! I was hoping to get a copy of this LP on Amazon, but it's temporarily out-of-stock! I've heard prior releases from the band, just I've not been as interested in them until hearing this! They've been around rather a while, 1984-1985 or thereabouts!
 
This exceeded my expectations by a ton, how can you possibly like metal & pass this one up!? Be ready for an onslaught of noise coming out of your speakers & your brain having a super hard time keeping up with it all! (Death8699)
 
(Time To Kill Records - 2025)
Score: 83
 

lunedì 24 febbraio 2025

Häxkapell - Om Jordens Blod Och Urgravens Grepp

#FOR FANS OF: Black/Folk
The Scandinavian music scene is full of talented musicians, which explains the quantity and quality of projects in the metal scene. The musicianship, displayed in these projects, proves how crucial it is to teach young people to play and love music. It also shows how a single member can create a very competent project with little or no help from other musicians. Today, we focus on one of these intriguing projects, called Häxkapell. It was founded in the northern lands of Sweden by the musician Oraklet, who plays all the instruments except for the drums, with some guest appearances.

After its remarkable debut 'Eldhymmer', and as a celebration of its ten years of existence, the interesting Swedish solo project is back with its sophomore effort, entitled 'Om Jordens Blod Och Urgravens Grepp'. I like the fact that the lyrics are written in Swedish as it gives authenticity and personality to Häxkapell’s music. I have always considered that the black metal genre, where this project is firmly rooted, gives a great room to sing in each own's language, as the genre has proven to be a great portrait of different cultures’ expression. Häxkapell’s musical approach does make a strong connection between this metal subgenre, as its music has an influence from Sweden’s folklore and cultural heritage. Häxkappel’s compositions are not a generic black metal collection of songs, but compositions that have an intimate connection to that land and its history. The wise use of atmosphere and resources like acoustic guitars or folk instruments reinforce this idea. For example, a song like "Vindar Från Förr" successfully combines a strong folk touch thanks to the violin and clean vocals, with the trademark high-pitched screams and the traditional black metal riffing. This essence is also immediately felt in the album opener "Satans Rötter". Its riffs and vocals remind me of the traditional approach of pagan black metal bands, with this barbaric and powerful riffing, hammering drumming, and a great combination of aggressive vocals, which are dominant, and the clean ones. All in all, the purest black metal essence is clearly present in many sections, which sound darker and more aggressive, thanks to the well-known use of tremolo picking. There are many moments to choose, but the listener will easily appreciate it in a quite straightforward composition like "Metamorfos".

The way an album ends is essential, as it leaves you with a greater or worse impression of it. Häxkapell surely was conscious of this fact, and it closes this second album with a magnificent track called "Den Sanna Modern Talar". This is the longest and most epic piece, with an excellent combination of all the elements used by this project throughout 'Om Jordens Blod Och Urgravens Grepp'. It’s a fast, yet varied track that combines folk and black metal elements in a very inspired way, achieving a majestic and energetic tone that makes you headbang like a beast. I personally love how powerful riffs are combined with the violin or the acoustic guitars, and the result sounds so well fused. The excellent clean vocals are also an interesting addition, as they enhance the majestic yet mature tone of this track. This is certainly a tasteful way to end an album.

In conclusion, 'Om Jordens Blod Och Urgravens Grepp' is a step forward as it successfully continues with the fundamentals seen in the first album, but with improved compositions and a great variety, which results in a phenomenal album. (Alain González Artola)


Tritonica – Per Grazia Ricevuta

#PER CHI AMA: Math/Prog Rock
Quale sia il confine che ancora deve essere valicato non è dato sapersi per il nuovo corso dei Tritonica, dove l'assidua ricerca dell'indefinito e del multi forma è divenuta una ossessione, un graal fatto di note da ricercare a ogni costo, una scatola sonora piena zeppa di idee, colori e umori di ogni tipo. Quindi, dopo un cambio di formazione che ha visto l'innesto del sax - che ha giovato molto a questa band - e conseguente radicale svolta stilistica, i nostri si ripresentano sul mercato con questo album dal titolo quanto mai azzeccato, ovvero 'Per Grazia Ricevuta'. Questo nuovo EP spinge ulteriormente verso nuovi orizzonti la band capitolina che, senza riguardi trita e macina generi di diversa natura. Così, in maniera naturale, ci si avvia a un intruglio sonoro che vede le basi ritmiche nell'alternative rock, che sia di stampo metal, rock, jazz core o prog è indifferente o meglio, con l'aggiunta di quel modo folle di vedere il jazz, come poteva essere visto da James White e i suoi Contortions, e in tempi moderni il riferimento va all'intramontabile Zorn, anche se la musica dei Tritonica nasconde molto di più tra i suoi ricercati intrecci sonori. C'è infatti un'attitudine che mi ricorda il rock in opposition nella sua sostanza. Questo però non è tutto, perché l'intro di basso di "Coagula pt.3", ad esempio, potrebbe essere perfettamente l'inizio di un brano dei Tool, anche se poi ci si inoltra in terre sperimentali e frastagliate dal sapore free jazz, rivisto in una matrice math rock. Questo disco farà veramente la felicità dei cultori del crossover (se ancora possiamo usare nel 2025 questa etichetta) alla ZU o Mr Bungle, un caleidoscopio di motivi e generi musicali da inseguire, il cui unico intento è quello di liberare la fantasia delle composizioni, che in "Suqutra" tocca perfino sentori del prog rock dei 70's in tinta barocca, senza perdere mai di vista il lato più duro, metallico e rumoroso della faccenda, e senza peraltro mai cadere nella banale riproposizione di un genere o di uno stile compositivo. Fantasia libera tutti! Sembra questo il leitmotiv che porta la band romana ad alzare l'asticella dei suoi brani, peraltro con notevoli risultati di qualità e tecnica, così da ottenere un sound variopinto e indefinibile, per un disco tutto da ascoltare e godere fino all'ultima nota. Un disco prevalentemente strumentale, dove la voce è usata solo a tratti e alla maniera degli esperimenti vocali di Joan la Barbara. Un album infine che ha la pretesa e la magia di farti ascoltare tra le note dei suoi soli quattro pezzi, un'infinità di influenze musicali, illudendo vanamente l'ascoltatore di essere a conoscenza, nota dopo nota, di quale musica questo disco tratta. Pirotecnico e fantasioso, un gioiellino sonoro che magari non sarà consono con le tendenze attuali, ma che fa riscoprire un modo di fare musica e ascoltarla, ancora carico di fascino e curiosità. Da ascoltare e riascoltare, ottima uscita! (Bob Stoner)
 
(GPL Music Corporation - 2025)
Voto: 75
 

martedì 18 febbraio 2025

Oranssi Pazuzu - Muuntautuja

#PER CHI AMA: Psych Black Sperimentale
Converrete con me che gli Oranssi Pazuzu siano un unicum nel panorama estremo. 'Muuntautuja' è il loro sesto album sempre focalizzato a mescolare elementi black metal, psichedelia ed elettronica, in un'opera che sfida ancora una volta, ogni tipo di convenzione. Con questo lavoro, la band finlandese riesce a mantenere la propria identità unica esplorando nuovi territori sonori mantenendo comunque intatta quell'atmosfera oscura e ipnotica, marchio di fabbrica del combo di Tampere. I brani oscillano tra momenti di intensa aggressività (come nell'iniziale "Bioalkemisti" o nell'ancor più sghemba "Voitelu") e sezioni più tranquille e riflessivo (come accade nella title track, che segna una transizione verso un sound più minimalista e fluido, con l'elettronica che gioca un ruolo centrale, ove dominano sintetizzatori inquietanti e ritmi pulsanti), creando comunque un flusso sonoro avvolgente. I brani possono passare da esplosioni di rumore a momenti di calma quasi meditativa (ascoltare l'angosciante "Hautatuuli"). Un break rumoristico ("●") e siamo già proiettati verso un finale apocalittico con un trittico di song che vede in "Valotus" un esempio di umorale rumoristica espansione primordiale, song straniante dotata di un finale in cui il black sfocia in un puro noise dronico. "Ikikäärme", la traccia più lunga del disco, ha un incipit inquietante e un carattere comunque assai stralunato, quasi stessimo assistendo a un incubo a occhi aperti; il pezzo alterna comunque parti aggressive a sezioni atmosferiche che evocano immagini di paesaggi alieni. La conclusiva e ambientale "Vierivä Usva" conferma l'audacia di un lavoro che si configura a essere come una vera e propria odissea sonora, capace di condurre l’ascoltatore attraverso territori sconosciuti al di là delle Colonne d’Ercole. (Francesco Scarci)

Evoking Winds - Your Rivers

#PER CHI AMA: Black/Epic/Folk
L'album 'Your Rivers' degli Evoking Winds si è rivelato per il sottoscritto una delle sorprese più entusiasmanti del 2024, consolidando il talento di questa band bielorussa che continua a stupire con la sua capacità di fondere black metal e folk in un equilibrio impeccabile. Giunto al loro sesto lavoro, il gruppo dimostra una maturi artistica notevole, spingendosi verso nuove direzioni sonore senza tradire il proprio stile distintivo. Questo disco, composto da dieci tracce per un totale di 51 minuti, si distingue per la sua atmosfera incredibilmente evocativa e malinconica, un viaggio musicale che intreccia riff di chitarra possenti con melodie folk ricche di profondità e intensità emotiva. Brani come l'opener "Verily Said" o le straordinarie "The Lights of Skellige" e "Lilac and Gooseberries" sono perfetti esempi della versatilità della band: momenti di feroce aggressività si alternano a sezioni melodiche e contemplative, intrise di una magia eterea che deve molto anche alla presenza di vocalizzi femminili sognanti. La strumentazione usata dalla formazione a otto elementi, è un vero punto di forza dell’album: flauti, arpe, cornamuse e ben tre chitarristi creano un senso dinamico e stratificato, arricchendo ogni traccia con contrasti affascinanti. Questo connubio tra strumenti acustici e parti elettriche si fa particolarmente evidente in episodi come "Brotherhood of Brenna" o la title track, dove soluzioni orchestrali amplificano l'aspetto epico e cinematografico del disco. La produzione è impeccabile, riuscendo a valorizzare ogni dettaglio senza mai sacrificare l’impatto emotivo o l’intensità dei brani. Blast beat furiosi, tremolo picking raffinati e arrangiamenti curati convivono in un insieme che non stanca mai, offrendo un’esperienza sonora a dir poco immersiva. I testi affrontano con sensibilità e profondi temi universali come i mutamenti del mondo, i conflitti, l’amore, la morte e il ciclo perenne della vita, conferendo ulteriore spessore a un’opera già straordinaria sotto il profilo musicale. Seppure disponibile solo in versione digitale unico piccolo rammarico 'Your Rivers' si guadagna, senza esitazione, un posto tra i migliori album dell’anno, almeno per il qui presente. È un lavoro imprescindibile per chi cerca autenticità, innovazione e una freschezza rara nel panorama musicale contemporaneo. Una scoperta che merita tutta l’attenzione possibile. (Francesco Scarci)

giovedì 13 febbraio 2025

Hippotraktor - Stasis

#PER CHI AMA: Post Metal/Djent
Io non gli avevo dato molto credito all'inizio ma 'Stasis', dei belgi Hippotraktor, è uno di quegli album che ha ricevuto un'accoglienza entusiasta da parte della critica e dei fan, consolidando la band come una delle nuove promesse nel panorama post-metal. Alla fine anche il sottoscritto si è ricreduto, e non è rimasto immune al fascino emanato dal secondo album del quintetto di Mechelen, per un disco che si distingue per la sua fusione di generi, combinando elementi djent (l'opener "Descent", cosi come la title track, con il loro groove sincopato alla Meshuggah, ne rappresentano il manifesto programmatico), post-metal (palesi, a tal proposito, le influenze di scuola The Ocean in "The Reckoning") e progressive metal (e qui, "Echoes" e "The Indifferent Human Eye", potrebbero essere dei buoni esempi della combinazione di questi ultimi due generi). In questo modo, la band riesce a mantenere un equilibrio tra complessità e accessibilità, con brani che si sviluppano in modo dinamico e coinvolgente, mantenendo la componente melodica una parte importantissima nell'economia del disco. Questo approccio diretto è, alla fine, una delle caratteristiche distintive dei nostri, che sembrano non amare le introduzioni lente, privilegiando l'immediata immersione dell'ascoltatore nel cuore dell'azione, in cui a primeggiare sono le vocals pulite del chitarrista Sander Romi (che strizza l'occhiolino al bravissimo frontman dei The Ocean), a cui fanno da contraltare i grugniti di Stefan de Graaf, mentre la ritmica è un macigno che si muove talvolta sinuosa ("Renegade"), e in altri casi più robusta ("Silver Tongue"), comunque garantendoci alla fine un ascolto coinvolgente, ispirato, e certamente destinato a lasciare il segno nel panorama post moderno, soprattutto tra tutti quelli che amano un sound più ricercato e originale, io in primis. (Francesco Scarci)

(Pelagic Records - 2024)
Voto: 80

https://hippotraktor.bandcamp.com/album/stasis

martedì 11 febbraio 2025

Unreqvited - A Pathway to the Moon

#PER CHI AMA: Post Black/Shoegaze
Il buon William Melsness (aka 鬼), nonostante la sua giovane età (30 anni compiuti da poco), è arrivato al ragguardevole traguardo del settimo album con gli Unreqvited, senza contare poi EP, split sotto lo stesso moniker e altri album sotto il nome H V N W R D ., The Ember, the Ash, il fantasy dungeon dei Ilúvatia o l'emo dei Write Home. Insomma, un artista a tutto tondo che in 'A Pathway to the Moon' trova, a mio avviso, la sua consacrazione. Il nuovo album si presenta come un'opera audace e intensa, che esplora le profondità dell'emozione umana attraverso sonorità ricche e stratificate che portano avanti il marchio distintivo del blackgaze/post black degli Unreqvited. Dopo l'intro di rito, ecco esplodere, quasi inaspettatamente, il black di "The Antimatter", un brano che sembra coniugare l'orchestralità dei Dimmu Borgir con atmosfere più eteree, mescolando splendide melodie con passaggi più violenti (quasi djent), creando un contrasto in grado di destabilizzare chi conosce bene la one-man-band canadese, tra cui il sottoscritto. Riconosco invece il marchio di fabbrica del polistrumentista nord americano in "The Starforger", un pezzo onirico, dannatamente malinconico, quasi straziante nelle sue melodiche linee di chitarra e nel dualismo vocale tra voci pulite e scream. Un brano, subito eletto come il mio preferito, che avvolge come un tenero abbraccio da cui sarà difficile staccarsi. Ma il disco è un susseguirsi di emozioni in grado di indurre una profonda analisi introspettiva. Pezzi come "Void Essence/Frozen Tears" e "Into the Starlit Beyond", offrono altri esempi ineccepibili di un sound incentrato su uno shoegaze evocativo, coinvolgente, delicato che merita di essere ascoltato e soprattutto vissuto, con tutto quell'impatto emotivo che da essi ne deriva. 'A Pathway to the Moon' è un gioiello che vede ancora in "Departure: Everlasting Dream", l'ideale colonna sonora del nuovo capitolo della saga di Avatar, 'Fuoco e Cenere', di prossima uscita, per quella sua capacità di creare paesaggi sonori complessi ed evocativi. Un lavoro questo che, enfatizzato da una produzione spettacolare, permetterà di accogliere nuovi adepti tra i fan degli Unreqvited, per un viaggio sonoro che merita di essere esplorato da chiunque. (Francesco Scarci)

Volt Ritual - Swamp Lake City

#PER CHI AMA: Stoner/Doom
Giusto un paio di pezzi per il nuovo EP dei polacchi Volt Ritual, intitolato 'Swamp Lake City'. Quello, da pochi giorni uscito, dovrebbe essere (almeno stando a Bandcamp) il secondo EP per i nostri (all'attivo peraltro anche un full length), che s'inserisce nel filone stoner/doom rock, un lavoro che segna un passo in avanti nella carriera musicale del terzetto di Bielsko-Biała. Il sound della band è caratterizzato dai classici riff pesanti, accompagnati da sonorità distorte tipiche di un certo occult doom rock, coadiuvato dalle altrettanto classiche influenze stoner, in grado di aggiungere anche un pizzico di psichedelia ai due brani qui contenuti. Ecco, quanto certificato almeno nell'iniziale "The Giant Awaits", una song piuttosto canonica per il genere, in cui la produzione risulta comunque solida ed equilibrata, esaltando la pesantezza sonora, senza perdere la chiarezza necessaria per apprezzare le diverse sfumature musicali. Ovviamente, non siamo di fronte a nessuna evoluzione sonora o invenzione di chissà quali nuove sonorità, in quanto il disco si muove sulla combinazione di momenti aggressivi con fasi più riflessive e atmosferiche. La voce grungy (a volte un po' troppo in ombra) di Mateusz è tesa a flirtare con quella del vocalist dei Fu Manchu. Un bel chitarrone apre "Miasto Wśród Bagien", una traccia cantata in polacco che sembra evocare, nelle sue note piuttosto lineari e dirette, anche spettri garage/punk rock, al pari di derive di scuola Electric Wizard. Il brano alla fine sciorina un orecchiabile bridge ma l'acme del brano, si registra esattamente a metà con una deliziosa parte atmosfera ricca di riverberi di grande efficacia. La chiusura percussiva, dotata di una tribalità coinvolgente, chiude un EP che sembra promettere interessanti sviluppi futuri ma che verosimilmente, necessita di un'ulteriore sgrezzata per permettere al trio di indossare il giusto abito per le grandi cerimonie. (Francesco Scarci)

lunedì 10 febbraio 2025

The Bottle Doom Lazy Band - Clans Of The Alphane Moon

#PER CHI AMA: Doom/Stoner/Psichedelia
Ci hanno impiegato ben nove anni i doomsters francesi The Bottle Doom Lazy Band a tornare sulle scene con un nuovo full length, sebbene in mezzo siano usciti un EP nel 2020 e un live album, l'anno successivo. E cosi a squarciare questo lungo silenzio, ecco 'Clans of the Alphane Moon', nuovo album pubblicato dalla Sleeping Church Records. Un lavoro che combina gli elementi pesanti del doom di Pentagram e Trouble (aver detto Black Sabbath sarebbe stato troppo scontato) con influenze spaziali e psichedeliche, andando a creare un'atmosfera coinvolgente che sicuramente ridarà entusiasmo ai vecchi sostenitori della band. Il disco, come da tradizione, è caratterizzato da riffoni belli tosti che, sin dall'iniziale "Ride the Leviathans", fondono nelle loro note, stoner e doom. Ispirandosi alla cultura fantascientifica degli anni '60 e '70, il disco, nel suo litanico incedere, va aumentando i giri del motore con la sinistra "Crawling End", e un giro di chitarra ripetitivo e per questo, parecchio ansiogeno, su cui si andrà a porre la teatrale voce di Bottleben. Poi è ancora l'opprimente sezione ritmica a prendere il sopravvento, con una porzione percussiva davvero impressionante che ci accompagnerà fino a "To the Solar System". Un altro brano intenso che mi ha fatto pensare ai Candlemass di Messiah Marcolin, e comunque a un genere dotato di un canovaccio ben preciso, dal quale fuggire sembra essere compito assai arduo, se non affidandosi a una componente solistica imprevedibile, strumento che sembra non mancare ai nostri e gli consenta di prendere le distanze dai vari mostri sacri del genere. Un bel basso pulsante apre "Castle Made Of Corpses", un brano oscuro che ricorda storie di orrore, e che vede le chitarre intrecciarsi con il basso, lungo il suo ardimentoso cammino. La successiva "The Technosorcerer" (il brano più lungo del lotto) non è da meno per tenebrose ambientazioni e una ridondanza, nella sua componente ritmica, che vede sviluppare, in psichedelici giochi di luce, una significativa evoluzione della narrazione sonora. Quasi dodici minuti di sonorità asfissianti che vanno, grazie a Dio, via via crescendo fino a un finale chiuso, in realtà, un po' in sordina. "Flames of Sagitarius" vira verso suoni decisamente più classici e se da un lato, è un piacere rievocare certe sonorità, dall'altro, sembra anche voler dire che 70 minuti per un disco sono forse un po' troppi per rimanere ad alto livello tutto il tempo. E stancamente (sfiancato già da oltre un'ora di musica), mi appresto ad abbracciare "The Dying Earth", ultima e gustosa traccia di un lavoro mastodontico che magari non brillerà in originalità, ma comunque ci restituisce una band dotata di buon gusto e sfumature innovative, capace di incorporare elementi psichedelici e sperimentali nel proprio sound. (Francesco Scarci)

Weather Systems - Ocean Without A Shore

#PER CHI AMA: Prog Rock
Sono sempre stato un grande fan degli Anathema e il loro split del 2020 è stato un macigno da sopportare. Per alleviare questo dolore, ecco arrivare i The Radicant (nuova creatura di Vincent Cavanagh, ex voce degli Anathema, che magari avremo modo di recensire più avanti) e 'Ocean Without a Shore' dei Weather Systems, un significativo ritorno per l'altro fratello, Daniel Cavanagh e con lui, l'ex batterista della band inglese, Daniel Cardoso. È però quest'ultimo lavoro a suonare come ideale progressione musicale degli Anathema, riflettendone la sua evoluzione artistica anche nel moniker, che altro non è che il titolo dell'album dei nostri del 2012. E allora, a fronte di tutte queste situazioni, e alla voglia di Daniel di non porre la parola fine alla band che ha guidato in compagnia dei fratelli per trenta lunghi anni, ecco la proposta che non ti aspetti, con un sound che appunto prosegue la parabola stilistica degli Anathema, attraverso nove nuove composizioni. E si parte dalle splendide melodie di "Synaesthesia" e "Untouchable - Part 3" che proprio al disco 'Weather System' afferiscono musicalmente, esibendo melodie al chiaroscuro, tocchi di una malinconia disarmante, la collaborazione alla voce con vari personaggi (Soraia, Petter Carlsen e Oliwia Krettek) che ci permettono di avere tra le mani un lavoro introspettivo che strizza l'occhiolino a Porcupine Tree e Pink Floyd, sempre votato alle sperimentazioni psichedeliche ("Do Angels Sing Like Rain?"), ai loop ritmici ("Ghost in the Machine"), ai reprise di vecchi e strazianti brani ("Are You There? Part 2"), che fanno capire quanto sia ancora forte e durevole il legame con il passato dei nostri, cosi come il contatto con le ultime cose più elettroniche di 'The Optimist' ("Still Lake"). Insomma, 'Ocean Without A Shore' sembra rivelarci una sorta di continuità musicale quasi a dire che gli Anathema non sono ancora morti. Quale somma gioia per il sottoscritto. (Francesco Scarci)

(Music Theories Recordings - 2024)
Voto: 77

https://weathersystems.bandcamp.com/album/ocean-without-a-shore

venerdì 7 febbraio 2025

Until Death Overtakes Me - Diagenesis

#PER CHI AMA: Funeral Doom
'Diagenesis' è un'opera che trasforma il funeral doom in una potente esperienza catartica. La one-man band belga Until Death Overtakes Me, guidata dall'enigmatico Stijn Van Cauter, consegna al pubblico il suo tredicesimo album, un viaggio musicale che trascende la mera fruizione sonora per diventare una meditazione profonda su morte, trasformazione e rinascita. Ogni traccia, dalla durata monumentale di circa un quarto d'ora, si configura come un capitolo indipendente di una narrazione cupa, permeata da malinconia e dalla totale assenza di speranza, con titoli capaci di evocare immagini intense e riflessioni spirituali. L’album si apre con "Ascension", un brano che agisce come portale verso un abisso insondabile. Le chitarre si insinuano lentamente, simili a vapori irrespirabili che sgorgano da una ferita nella terra, mentre i synth ambient costruiscono un’atmosfera intrisa di suggestioni ritualistiche e oscure. La voce di Van Cauter emerge come un ruggito cavernoso che recita versi intrisi di morte e devastazione. Tra inni solenni e lamenti desolati, "Ascension" mantiene una delicatezza sonora quasi eterea, come se volesse preparare l’ascoltatore a un imminente cataclisma musicale. È una perfetta introduzione al resto del disco, capace di catturare e inquietare, trascinando chi ascolta in un vortice sonoro dal quale sarà difficile far ritorno. Il viaggio continua con "End’s Lure", un'immersione totale nel tema della trasformazione. La batteria segna un ritmo sepolcrale, quasi a scandire il lento fluire di ere geologiche, mentre le tastiere disegnano melodie rarefatte dall'impronta eterea. Il brano avanza con un’evoluzione lenta ma inesorabile, creando una sensazione di metamorfosi tanto sonora quanto spirituale. La successiva "White Light" non è da meno: il suo andamento lento e insondabilmente oscuro, evoca immagini di raggi luminosi che filtrano a malapena attraverso fenditure nella roccia. Il pezzo dissolve le barriere tra reale e trascendente, grazie a un impianto sonoro minimalista che invita alla contemplazione. A chiudere l'opera troviamo "For", il brano più breve della raccolta (poco più di 13 minuti). Questo pezzo avvolge l’ascoltatore in paesaggi sonori opprimenti e introspettivi, fungendo da degna conclusione per un album che non teme di addentrarsi nei temi più profondi e tenebrosi dell’esistenza. "For" suggella l'esperienza d'ascolto con una performance che lascia un segno indelebile, consigliata solo a coloro che ricercano nella musica qualcosa che vada oltre il semplice ascolto, verso una dimensione emotiva e introspettiva. 'Diagenesis' è molto più che un album: è una davvero ostica opera immersiva che invita alla contemplazione del mistero della morte e delle sue trasformazioni. Perfetto per chi desidera perdersi in paesaggi sonori oppressivi e avvolgenti, questo lavoro si distingue per la sua capacità di trasformare l’oscurità in arte catartica. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2024)
Voto: 73

https://udom.bandcamp.com/album/diagenesis