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#PER CHI AMA: Post Black miscelato al Post Rock, Deafheaven |
Australia 2013: continua il trend ultra positivo per le band provenienti dal nuovo continente, che giorno dopo giorno continua a scodellare interessanti ed esaltanti nuove realtà musicali. E questi Encircling Sea, con le immagini contenute nel booklet interno (selvagge foreste pluviali) mi restituiscono il ricordo di quello che fu un viaggio che feci proprio laggiù, dieci anni fa. Ebbene, già visualmente la band si mostra accattivante: quando attacca l’infinita dirompenza di “Yearn” (18 minuti) vengo inglobato da una serie di sensazioni lontane, turbinii emotivi che mi lasciano cosi, senza fiato. La cavalcata serrata delle ritmiche non lascia alcun dubbio, se non di essere al cospetto di una realtà post black (se fossero americani direi Cascadian Black), con il comprensibilissimo screaming del bravo vocalist, a guaire come un dannato. Le atmosfere, lungo l’incedere della song si fanno più pesanti, la velocità tenderà lentamente a diminuire, andando a ingrossare le saggie orchestrazioni, sulla scia di sonorità più care ai Neurosis che ad esponenti del black. L’oscurità aumenta, i suoni, sempre più cupi, sfiorano i limiti del doom, il ringhio delle chitarre lascia il posto ad ambientazioni più compassate, verosimile preludio ad una esplosione che a breve non esiterà a riapparire. Il cantato si fa più delirante, le chitarre convergono verso suoni più heavy ma decisamente più pulite, avendo perso quello sporco alone alfiere della musica nera; ma come previsto ecco riesplodere la furia dei nostri per un prorompente finale di violenza, che sfuma nei conclusivi tre minuti di sonorità quasi post rock/ambient. Non mi sono ancora ripreso dalla prima micidiale song, una vera e propria cavalcata emozionale, che mi si prospettano altri 19 minuti con “Transcend”: per mia fortuna parte assai lenta, lasciando largo spazio a suoni più meditativi. Ma le classiche stilettate black sono là dietro l’angolo, e mi assalgono con tutta la loro miscela di ruvidi suoni e vocalizzi al vetriolo. Il muro sonoro che crea l’act di Melbourne si fa quasi insormontabile, mentre il mio respiro diviene più corto, complice la pesantissima aria che satura l’atmosfera. La ritmica è la classica mazzata in pieno volto, fortuna che fanno capolino delle tastiere che rendono il risultato più abbordabile ma anche inquietante; e addirittura ecco udire dei soavi gorgheggi di una giovane donzella, che riesce a conferire al tutto un’impronta quasi gotica, prima del ferale attacco black finale. È il turno di “Become” e del suo acustico approccio, che prende drasticamente le distanze da quanto proposto fino ad ora, sfociando quasi nel folk. Malinconico a tal proposito la presenza di un enigmatico violino che riprende quanto fatto magistralmente dai conterranei Ne Obliviscaris. La traccia si conferma delicata ed evocativa lungo tutti suoi dieci minuti. Un toccasana per riprendersi dagli iniziali quaranta esagitati minuti. Ed ecco lo scoglio più arduo, il picco della montagna più elevato da raggiungere, i venti minuti di “Return”, song che ancora una volta mostra tutte le influenze di cui è permeato questo lavoro: post metal, black, suggestive epiche visioni, rock, ambient e break acustici si amalgamano tutti alla perfezione in quello che è un altro degli intriganti lavori che dall’Australia veleggiano verso il sempre più statico e vecchio continente europeo. Bravi Encircling Sea, magari lavorerei maggiormente sulle durate delle canzoni, forse troppo monolitiche ed estenuanti alla lunga, comunque la strada intrapresa dai nostri, è veramente lastricata da mille splendidi propositi. (Francesco Scarci)