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#PER CHI AMA: Doom, Solitude Aeternus, Candlemass |
Attesissimi da più parti (non di certo dal sottoscritto), tornano i doomsters tedeschi Mirror of Deception, con un album che mi ha lasciato del tutto basito per la pochezza di idee proposte. Conoscevo la band teutonica e sinceramente mi aspettavo qualcosa di più da questo lavoro, considerato anche il fatto che erano passati diversi anni dalla precedente release. “A Smouldering Fire” si presenta subito di difficile impatto con songs che faticano ad entrare nella testa e con un vocalist che di sicuro non rimarrà negli annali. La band prova subito a partire ripescando il sound dei mostri sacri Candlemass, ma ben presto mi rendo conto che è la noia ad avere il sopravvento. Le tracce si rivelano estremamente semplici e prive di quel feeling epico che da sempre contraddistingue invece la band svedese. Non so che dire, che cosa pensare, sono quasi spiazzato da una proposta che mi aspettavo di tutt’altro livello anzichenò. L’acustica “Heroes of the Atom Age” apre a quella che forse è la migliore traccia dell’album, “Bellwethers in Mist”, song che richiama anche qualcosa di “Hammerheart” dei Bathory, forse un po’ più potente ed epica delle precedenti, ma che comunque non porta la band germanica oltre ad una sufficienza striminzita. La successiva “Unforeseen” infatti si rivela uno strazio per le mie orecchie che continuano a considerare i veri alfieri del doom le band provenienti dall’est Europa. Un altro pezzo acustico e si arriva a “Lauernder Schmerz” song peraltro cantata in tedesco e quindi non potete immaginare il mio fastidio. L’album scivola via nell’anonimato più totale, con pezzi abbastanza altalenanti che ben presto, fortunatamente, si dissolveranno del tutto dalla mia mente. Se siete dei fan della band invece sappiate che la prima stampa dell’album vedrà la luce in un doppio cd con rarità e demo tracks. Inutile per chi non ama il genere, già di per sé difficile da digerire, se poi fatto non proprio con tutti i sacri crismi, può diventare un supplizio non indifferente! (Francesco Scarci)
Voto: 60
Curiosando sul loro sito ufficiale, sono rimasta incuriosita dalla definizione che danno alla loro musica: “unorthodox doom metal”. Formatisi in Germania nel 1990, iniziano a lavorare al loro album di debutto verso dicembre 1997 (dopo tre demo), album che vedrà la luce solo nel 2001, con tanto di tour promozionale. Dopo 3 album usciti in 9 anni, e svariati cambi di line-up (di nuovo), mi accingo ad ascoltare il loro quarto album, “A smouldering fire”, uscito nell'ottobre 2010. "Isle of Horror" si apre con un riff di chitarra pesante e grave, che già pregusta alle atmosfere cupe e alla voce tendente al solenne (sembra più una filastrocca che un canto vero e proprio). I riff di chitarra e batteria tendono a ripetersi, mentre la voce tende ad essere un po' lagnosa. "The Riven Tree" ricalca in parte le atmosfere precedenti, modificando la voce: più melodica, che ricorda vagamente Serj Tankian. Il brano si avvicina così più allo stile alternative metal, lasciando in disparte la vena doom. "Heroes of the Atom Age" è strumentale, caratterizzata dalla sola chitarra suonata lentamente, dando una sensazione di malinconia. "Bellwether in Mist" desta da subito, grazie anche alla voce che parte all'inizio accompagnata da batteria e chitarra: riprende il ritmo di “The Riven Tree”, dove la chitarra si amalgama alla voce, creando un brano molto melodico e non troppo invadente: si posso anche udire i cori del batterista nel ritornello. Con "Unforseen" si fa più sul serio, tornando alle atmosfere cupe della opening track e facendo largo uso di note di basso, specialmente nella parte più lenta. La voce rimane sempre sul pulito, accompagnata anche da cori. Solo da metà in poi il ritmo si fa un po' più serrato, la rabbia emerge, per concludersi con un ritmo che nuovamente cambia, fino a rallentare del tutto. "December", prettamente strumentale, posta a metà dell'album, continua sulla stessa linea della precedente mentre "Lauernder Schmerz" è l'unico brano cantato in madrelingua (il titolo si può tradurre come “il dolore che attende con impazienza”). In "Walking Through the Clouds" le cose cambiano: la voce si arricchisce anche di frasi parlate (e non solo cantate), e la musica lascia in disparte la vena malinconica: a mio avviso questo è il brano più bello di tutto l'album. Con "Leguano" abbiamo la terza e ultima traccia strumentale, dove la chitarra si avvale della collaborazione di maracas. "Sojourner" presenta un cantato tendente all'acuto: qui la batteria è picchiata con forza, mentre la chitarra è portata al limite più profondo, fino quasi a fondersi con il basso. Ascoltati i primi secondi di "The Flood and the Horses", mi è saltato alla mente un paragone a dir poco assurdo: i Placebo. C'entrano ben poco, a dir la verità, ma il fatto di cantare con una tonalità medio-alta, i riff che si avvicinano più al rock che al metal, una refrain che porta la testa a ondeggiare avanti e indietro, mi ha colpito non poco. Con la conclusiva "Voyage Obscure" si arriva alla fine di questo viaggio: la band ci lascia una buona impressione, con un lavoro ricco di sonorità (anche se a volte gli accordi si ripetono) che spaziano nelle più varie sfumature dell'alternative metal. Hanno sicuramente sfatato il mito che “Germania = industrial metal”, dimostrando quanto la scena teutonica possa sfornare musiche per ogni palato. (Samantha Pigozzo)
(Cyclone Empire)
Voto: 75