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domenica 4 aprile 2021

Collectif Eptagon – A​.​va​.​lon

#PER CHI AMA: Suoni sperimentali
Il collettivo transalpino Eptagon, presenta la sua scuderia di collaboratori con una raccolta, in forma di doppio album, che per metà è finalizzata a raccogliere fondi destinati al Metallion store, uno dei pochi negozi di dischi rimasti fedeli alla causa della musica estrema e underground locale di Grenoble. Devo ammettere che è difficile giudicare un album così variegato, ben prodotto e dalle esposizioni sonore tanto colorate e diversificate tra loro, quindi, dovrò fare i complimenti all'associazione, alla qualità dei progetti tutti rigorosamente originari di Grenoble, ed infine un augurio che tutto questo materiale, registrato in un 2020 da dimenticare, con tutta il suo carico di energia espresso in un anno così buio, siano di buon auspicio a tutte le band per un futuro pieno di soddisfazioni. Dicevamo che l'album è variegato, essendo diviso tra stili e composizioni diverse tra loro, ma accomunato da una sorta di filo conduttore, qual è l'appartenenza underground di queste realtà sotterranee, un posto ideale dove far convivere death, black, sludge, post ed alternative, tecnico, d'atmosfera o aggressivo esso sia, con il dark jazz, la musica elettronica, il progressive e l'ambient, il tutto distinto e separato in singole pillole sonore di egregia qualità strumentale, esecutiva e di produzione. Nessuna sorta di lacuna nel suo lungo ascolto, suoni eccellenti, dinamica a mille e professionalità a go go. Da constatare e lodare che, per essere una compilation, la scaletta dei brani fila via che è un piacere, anche per chi predilige lavori più complicati. Il suo insieme si snoda proprio con la fluida progressione di un album ben ragionato e frutto di tanta passione, che si mostra con forza nella qualità d'esecuzione espressa dalle tante compagini qui presenti. Diciassette brani di carattere, che prediligono varie forme di metal nelle prime cinque canzoni, dal death dei Kisin, al doom rock dei Faith in Agony, al grind degli Epitaph, al prog death dei Demenssed fino agli sperimentalismi estremi dei Jambalaya Window. La sesta "Arashi" (Robusutà) crea una sorta di frattura nella trama dell'intero lavoro con un sound strumentale ammiccante ai giapponesi Mono. Da qui in poi, le sonorità prenderanno direzioni diverse, fatta eccezione per un ritorno di fiamma decisamente più metallico nel brano live dei Liquid Flesh. Un brano che, con la sua matrice ultra pesante e tecnica, si pone come apripista all'avanguardia jazz, dal gusto Zorn e oltre, degli Anti-Douleur ("Beyrouth"), per esporsi in territori più sperimentali ed oscuri, frastagliati e sofisticati. Elettronica, drone music, jazz sperimentale, ambient noir, noise, alternative elettro e via via, la personalità mutevole di questa raccolta di brani vive proprio dei suoi continui contrasti e cambiamenti, che si muovono in paesaggi estremi con una fluidità d'ascolto eccezionale. Volutamente non voglio proclamare quale brano e quale ensemble valga di più di altri presenti nella compilation (anche se, e vi chiedo perdono, devo dire che la voce di Madie dei Faith in Agony è davvero splendida), ma sarebbe un errore imperdonabile da parte mia e da chiunque ami la musica indipendente, underground e alternativa, voler giudicare, rinunciando ad un ascolto travolgente, libero, senza porsi troppe domande sul chi stia suonando meglio cosa. Rinnovo i complimenti a tutti i musicisti che hanno preso parte a questo progetto così ben strutturato. Esorto il collettivo Ep.ta.gon a non mollare la presa ora, e vista la qualità della carne sul fuoco, non possiamo aspettarci altro che pranzi reali con realtà musicali cosi variegate come queste. Una compilation da ascoltare tutta d'un fiato, a volume alto ma soprattutto a mente apertissima. (Bob Stoner)

martedì 30 marzo 2021

Dark Awake – Hekateion

#PER CHI AMA: Dark/Ambient/Neofolk
A cominciare dalla sua immagine di copertina, 'Hekateion', full length del 2020 dei Dark Awake, è un'opera che richiede decisamente un ascolto impegnato. Si propone sin da subito come un lavoro molto interessante, per veri appassionati, che mi porterà alla scoperta delle strade esoteriche narrate nelle note di questo penultimo disco della band greca (da poco è infatti uscito uno split album con i Kleistophobia). Devo riconoscere una certa forma di iperattività artistica che dal lontano 2008 non ha mai abbandonato il progetto ellenico, che ha sfornato numerose creazioni in ambito dark neoclassico, martial e neofolk ambient, fino ad oggi, con una continuità davvero invidiabile. Questo lavoro è un concept incentrato sulla figura di Ecate, antica divinità di origine pre-indoeuropea, venerata da greci e romani, un'opera da intendere come un accompagnamento ritual-esoterico atto alla scoperta della realtà oscura di cui la dea ne era la potente regina dell'oscurità. Il brano di apertura, la title track, è trafitto tutto il tempo da rumori e suoni spettrali, per una lunghezza assai impegnativa che supera i 23 minuti, tra estratti di rumoristica minimale, fruscii, echi e sussurri carichi di oscuro presagio. Il pezzo ha una trama molto noir e si rianima solamente nel finale, trasformandosi in una scarna e affascinante danza tribale, acustica e ancestrale, dal sapore etnico e sciamanico, come se il tutto fosse svolto in una foresta incantata, governata da forze sovrannaturali. La cosa che più colpisce però è il canto, una splendida interpretazione, drammatica ed ipnotica al tempo stesso, per una voce stregata che si destreggia, salmodiando, nel ricordo di Hagalaz' Runedance, Eva O e Diamanda Galas, nel nome delle regine del folk pagano e del goth rock più oscuro. Si avanza con un secondo brano ("Erebenne Arkuia Nekui"), figlio dell'amore per il drone e il dark ambient apocalittico espresso nei primi album dei Dead Can Dance, potente ed evocatore, mentre, "Triformis Dadouchos Soteira", il terzo brano che porta un titolo particolarmente suggestivo, si snoda anch'esso tra rumoristica d'ambiente, dark e nuovamente drone, contraddistinto da una pesante attitudine lugubre, travagliata ed inquietante, un vortice oscuro che paralizza e destabilizza l'ascoltatore. In chiusura "Damnomeneia", che parte con suoni industriali stridenti per entrare in un comparto etnico che ricorda certe escursioni nel mondo devozionale tibetano ma la sua indole cosmica, primordiale e oscura, lo rende alla fine poco propenso alla meditazione. Il suo tetro avanzare, scandito da lente percussioni, una minimale partecipazione dell'elettronica e la sua forte propensione cinematografica, lo propone come perfetta chiusura di un disco che farà la felicità degli amanti del genere. Cosi come in passato, anche qui i Dark Awake dimostrano le loro qualità, una qualificata capacità di rinverdire e far progredire un'idea sonora spesso sottovalutata dalla critica musicale. Un buon esempio di ambient dai potenti tratti dark, uno splendido e sinistro manifesto sonoro, un disco che nel suo genere può essere letto come variegato ed intenso, sicuramente interessante e ben strutturato. Il mondo oscuro e affascinante di una divinità, madre delle arti magiche e della stregoneria, messo in musica in maniera esemplare. (Bob Stoner)

(Aesthetic Death - 2020)
Voto: 75

https://darkawake.bandcamp.com/album/hekateion

lunedì 22 marzo 2021

Farer - Nomad

#PER CHI AMA: Doom/Sludge/Post Core
Quattro brani per portarci all'Inferno senza ritorno. Ecco cosa ci propongono gli olandesi Farer con il loro debut 'Nomad'. Mi fa sorridere che si parli di EP, quando la lunghezza media dei brani viaggia sui 13 minuti fatti di un sound claustrofobico e malato, cosi come si presenta l'opener "Phanes", che con le sue urla stridenti e i suoi suoni glaciali, riesce a congelarci il sangue nelle vene. La musica che ci propone il trio dei Paesi Bassi, che vede in formazione due bassisti e nessun chitarrista, propone un causticissimo sound che miscela post metal, doom e hardcore, non disdegnando qualche divagazione in territori post rock. I suoni siderali, melmosi e angoscianti, potrebbero ricordare gli Amenra della prima ora, quelli più violenti ed ancorati alla tradizione hardcore, anche se verso il nono minuto del brano, emergono forti le influenze più recenti ed intimiste della band belga. La dronica cupezza sonora emerge palese nelle pulsanti note introduttive di "Asulon", che mostra come i nostri debbano sempre carburare per 2/3 giri di orologio prima di partire con la loro proposta sonora. E quindi ecco il classico minimalistico prologo in cui accanto a mezzo accordo ripetuto alla noia, esce finalmente una voce umana, calda e decadente. Lentamente la musica cresce e con essa ritornano le harsh vocals di uno dei due vocalist, mentre i bassi in sottofondo creano atmosfere intriganti al limite della psichedelia, con l'irruenza dello stoner e la profondità del doom, il tutto avvolto da un sound ai confini estremi della catarsi che ci accompagnerà fino alla conclusione di questo delirante pezzo. Con "Moros" le cose sembrano farsi un po' più abbordabili, proponendo i nostri un post metal dai tratti più commestibili e morbidi ma comunque assai particolari, che ci immergono in un nuovo trip dal quale sarà complicato uscirne immuni. La song scivola via tra sonorità molto delicate in cui ampio spazio viene concesso al lavoro delle percussioni e a strani effetti noise in background che serviranno a dare il via libera a violente deflagrazioni post hardcore, condite da una notevole linea melodica che a questo punto mi sorprende sapere costruita solo dai bassi. Fighi, non c'è che dire. Anche nella conclusiva "Elpis", dove i tre tulipani si concedono divagazioni shoegaze accanto a quelle inconfondibili note doom/noise/post core che delineano già con assoluta originalità, la spiccata personalità di questi tre stravaganti musicisti orange. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2020)
Voto: 75

https://farer.bandcamp.com/album/monad

lunedì 15 marzo 2021

Valse Noot – Utter Contempt

#PER CHI AMA: Noise Rock
I francesi Valse Noot sono in giro da un decennio e questo 'Utter Contempt' (il loro terzo lavoro, che arriva ben sette anni dopo la loro ultima fatica) è una piacevolissima scoperta. Il quartetto di Brest si immette nel solco di quelle band, penso ad esempio a Metz o Pissed Jeans, che hanno cercato di portare avanti un suono che ha i suoi riferimenti nel noise rock americano anni novanta, di capi scuola quali i grandissimi Jesus Lizard (la qual cosa, per il sottoscritto, è già un grosso merito), senza limitarsi alla mera emulazione ma provando a trovare una loro personale via espressiva. In questo caso i nostri cercano, in sette brani condensati in 30 potentissimi minuti, di portare il noise a lambire territori più vicini a certe divagazioni freeform, pur senza snaturarlo. Ecco quindi che la sezione ritmica si concede interessanti variazioni sul tema, mantenendosi nondimeno inesorabile e granitica, e se la prima parte della scaletta serve a scaldare i motori con brani più “quadrati” e dritti, nella seconda parte emerge un’interessantissima capacità di sperimentare e stupire, come in "Story of a Decadence", dove il caratteristico suono Touch and Go si fonde all’hard punk dei Motorhead, o in "Pigeonholed", dove l’incedere guerresco del basso si innerva di hardcore. In chiusura, la title track si concede anche qualche incursione di synth e un cantato di stampo screamo, per ribadire che nulla è precluso se fatto con le idee ben chiare Un disco sorprendente, fresco, dinamico e molto, molto potente. (Mauro Catena)

lunedì 8 marzo 2021

Volvopenta - Simulacrum

#PER CHI AMA: Experimental/Post Rock/Noise
Quest'album parte con un sound soft, un post rock ambientale così carezzevole da rendere la pelle vulnerabile e le sensazioni sublimi per ognuno dei sensi. Quando s'inserisce la batteria poi, sento solo i piatti metallici che toccano l’inconscio, ed il cantato si mescola ai ripetuti di corde pizzicate. È la magia, la malia di "Kargus", la traccia d'apertura di questo 'Simulacrum', opera seconda dei teutonici Volvopenta. La premessa mi porta in etere a sognare. Mando on air "Tele 81". Sorprendente. Una seducente base ritmica evoca gli anni trenta. Un respiro affannoso in musica, lento. Momenti di voce che gridano la rivalsa alternati a loop sonori ipnotici. La batteria con il suo ferro fa sempre da subliminale. Lo stile è unico, assai originale. Sospende, lasciando i sensi xerostomici con la sete a volerne ancora. Quando parte la siderale "Barfly", le luci soffuse si spengono definitivamente. Scrivo nel buio, lasciando all’udito l’assoluto dei sensi. Molto, molto intenso il corpo di questa song, talmente intenso da materializzarsi. Qui la musica, un robusto post rock, diviene carne, sangue ed il buio si fa vista altrove. Provate l’esperienza. Scorre la musica come un fiume che leviga il proprio letto. Una cura. Un vello. Una sensazione che si rinnoverà anche in "Interlude 1". Un sorso di "Ghost" ed avrete nell'etere uno sperimentale retroattivo rivisitato di punk, rock, shoegaze e dark, il tutto servito in un solo calice. Ubriachiamoci insieme. Il secondo momento panoramico lo troviamo in "Interlude 2". Altra cura, altro rimedio per l’anima. Enantiomero dell’1. Complementare all’1. Graffia invece, vibra "One to Five". Imprevista. Futurista. Al contempo retro style con i suoi suoni elettrificati, ma nostalgici come un chiacchiericcio di foglie che vorticano nel vento lentamente. Un moto in musica circolare a tratti ellittico. Ora la nostalgia è la mia, per essere giunta all’ultima traccia, la strumentale "Flint". L’ascolto, la sigillo con un'iperbole ascendente in un ossimoro di musica dalle venature sanguigne, delicate, molto ben interpretate ed estremamente malinconiche. L’ascolto è per anime senza pace. La troverete. La musica è per musicisti senza stile. Vi ispirerete. La dolcezza è per chi come me si sente cullata tra le parole e la musica pregiata dei Volvopenta. (Silvia Comencini)

(Tonzonen Records - 2021)
Voto: 84

https://volvopenta.bandcamp.com/album/simulacrum

mercoledì 3 marzo 2021

Wojtek - Does This Dream Slow Down, Until It Stops?

#PER CHI AMA: Sludge/Noise, Converge
I Wojtek prendono il loro nome dall’orso, adottato dall’esercito polacco, che aiutò a trasportare casse di munizioni per la battaglia di Cassino durante la Seconda Guerra Mondiale e, curiosamente, lo condividono con un paio di band indie pop scozzesi (pare che dopo la guerra l’orso abbia trascorso la sua vecchiaia nello zoo di Edimburgo), che però, come vedremo, non corrono certo il rischio di essere confuse per il quintetto padovano. Giunti alla terza uscita in meno di un anno e mezzo, da quando cioè la band è nata dalle ceneri degli ottimi Lorø, i Wojtek continuano il loro percorso in direzione di uno sludge feroce e potentissimo, nel solco di mostri sacri quali Converge, Neuroris e Meshuggah. Ed è il caso di parlare di percorso, perchè questo EP di quattro brani (per meno di venti minuti) mostra decisi segni di evoluzione di un linguaggio che, per quanto ben definito nei suoi riferimenti cardinali, risulta meno brutale dei primi due episodi, più ragionato e personale, come se i vari elementi che caratterizzavano il suono senza compromessi degli esordi, avessero avuto il tempo di sedimentarsi. E quindi la struttura complessa dell’iniziale, splendida, "Catacomb", così come ad esempio le incursioni drone-noise di "Rednetrab" o la coda di "Desensitized", mostrano incoraggianti segnali di una maturazione che forse non è ancora giunta a compimento, ma che lascia intravedere un’interessante “via europea” per un linguaggio altrimenti già ben codificato. Come già il precedente 'Hymn for the Leftovers' (recensito su queste stesse pagine), anche questo 'Does This Dream Slow Down, Until It Stops?' esce in una versione fisica molto curata, in questo caso una musicassetta dal packaging decisamente accattivante. (Mauro Catena)

(Shove Records/Teschio Dischi/Fresh Outbreak Records/Ripcord Records/Violence In The Veins - 2021)
Voto: 76

https://wojtek3522.bandcamp.com/album/does-this-dream-slow-down-until-it-stops

domenica 7 febbraio 2021

Kaouenn - Mirages

#PER CHI AMA: Electro Ambient
Un mantice respira mentre mando on air la prima traccia di 'Mirages', intitolata “Psychic Nomad”. L’album dei Kaouenn si preannuncia gitano sin dalle prime note. In pochi istanti i suoni iniziano a far vivere atmosfere tribali, ritmi mediorientali, performance propria della techno nostalgica. Un tripudio sonoro organizzato in un’orgia musicale di elementi elettronici e acustici. Segue “Immaterial Jungle”. Liane frustano timpani già ipnotizzati dal vento che sposta preoccupazioni e pensieri. Questo sound non lascia spazio a bene e male. Rapisce semplicemente. Corda metallica che fa scintille sulla superficie incontaminata dell’apparenza. D’improvviso abbandono e leggerezza. Luci soffuse e volume. Provateci! Perdo la cognizione del tempo e mi ritrovo in “Reachin’ the Stars”. Dal Medio Oriente ci ritroviamo questa volta catapultati in Scozia in questa intro di cornamuse elettriche. Il brano si assesta poi su una ripetuta elettrificata ideale per un castello maledetto. Un trip che dura otto minuti, otto. Lunghissimo come si conviene all’ipnosi indotta. Questo pezzo farà per voi, una seduta spiritica con un tocco di psicoanalisi. Abbandono. Ancora volume. Buio. Riemergo dal frastuono del silenzio per portare alla luce “Mirage Noir”, ove assistiamo al featuring di Above The Tree alla chitarra. Spero abbiate il senso del ritmo e comunque durante l'ascolto sarete obbligati a trovarlo. Parte la cassa ed il capo si muove. Sfreccia l’elettrico del piano, torna a calmare un fiato gorgogliando. Introspettivo. Ambient spinto. Musica che parla intercalata dall’urlo della chitarra metallica. In loop se fossi in voi. Senza guardarmi indietro perché il loop è virtuoso, passo il testimone a “Into a Ring of Fire”. Preparatevi un’amaca in riva al mare, assaporate l’odore di iodio e la risacca che culla occhi chiusi. In questa song c’è il dark nella voce e la luce nello sciabordio della musica. D’improvviso un temporale. Lampi e saette. Non c’è quadro più bello dell’elettricità sull’acqua. Veniamo a “Indina”. Scenario inaspettato. Immaginate una chiesa sconsacrata. Un organo che suona senza interprete. Navate altissime. Il vuoto tutt’intorno. La musica che irraggia come pioggia nell’aria. E voi sotto la pioggia pervasi da gocce costanti in un deserto bagnato. Siamo quasi al termine di questo viaggio, ma come diceva il saggio, non conta la meta. Quanto mai vero perché ora mandiamo “Flood of Light”. Un crepuscolo endorfinico di luce nascente spezza il ritmo circadiano. Ci fa smettere di essere giorno e notte. Ci porta in una dimensione sospesa dove esiste solo la musica a mezz’aria. Una dimensione in cui respirare. Ed il mantice vuole la sua contropartita. L’epilogo di “K2” ci fa trattenere l’aria. Tamburellano le attese mentre si svela questa traccia (ove graffia l'indelebile chitarra di Sara Ardizzoni - Dagger Moth). Serrata l’attesa sinchè il manto cade. Siamo in una stanza dove tutto è psichedelico, nucleare, improbabile, remoto, futurista, bianco, nero, colorato. La degna chiusura di un album dagli ossimori pregiati ove la mente può spaziare o alienarsi in angoli remoti. Le emozioni possono ascendere o fermarsi. L’acqua può diventare fuoco ed il fuoco acqua. (Silvia Comencini)

(Bloody Sound Fucktory - 2021)
Voto: 82

https://bloodysound.bandcamp.com/album/mirages

sabato 23 gennaio 2021

Pontecorvo - Ruggine

#PER CHI AMA: Stoner/Punk/Noise
Uscito in piena quarantena, questo 'Ruggine', primo long-playing dei Pontecorvo, rappresenta un’ottima medicina per le difficoltà che tutti noi stiamo sperimentando da un annetto a questa parte. Non che il concentrato di stoner, noise e bluesaccio slabbrato del gruppo milanese sia un inno all’ottimismo o evochi paesaggi utopici, ma la grinta e la sfrontatezza sfoderata in queste sette tracce di musica ad alto contenuto di decibel, vi forniranno la spinta necessaria per sopravvivere.

È impossibile non lasciarsi trascinare dal tiro dell’introduttiva “Cade” o dalla sferragliante cavalcata di “Gaviscon Blues” che, a differenza di quanto annunciato nel titolo vira con naturalezza su territori di stampo punk. I Pontecorvo riempiono con grande abilità questi venti minuti scarsi di diverse soluzioni sonore e dinamiche, arrivando a toccare persino lidi sludge nei pachidermici riff di “Freddo” e “Qualche Santo”, al punto che giunti al termine della conclusiva “Prendere Sonno”, coricarsi sarà decisamente l’ultimo dei vostri desideri: il fuoco di queste rabbiose chitarre divamperà dentro di voi e il vostro cuore batterà al ritmo implacabile della batteria.

Registrato, mixato e masterizzato presso quell’istituzione della musica indipendente che è il Trai Studio, 'Ruggine' avrebbe meritato di uscire in un periodo più favorevole. Sicuramente è l’ottimo biglietto da visita di una band che in sede live promette di rendere anche il doppio. (Shadowsofthesun)

martedì 29 dicembre 2020

Queen Elephantine - Tribute to Atrophos Vol II

#PER CHI AMA: Experimental/Kraut/Psych
Li avevamo incontrati qualche mese fa in occasione dell'EP Vol I di questa serie digitale intitolata 'Tribute to Atrophos'. Ritroviamo ora i Queen Elephantine con il secondo dei tre volumi di improvvisazione musicale. Questo nuovo capitolo include tre lunghi pezzi che ci condurranno nei meandri più bui delle menti di questo collettivo che dall'India ha messo poi radici a Philadelphia. Qui i nostri, in periodo di clausura da Covid, si sono divertiti a ridefinire gli spartiti del proprio sound imbastendo estemporaneamente fraseggi free-jazz guidati da un basso ipnotico e sovversivo ("Synthetic Mist"). Diciamo che qui di regole scritte non ce ne sono, la band fa un po' come diavolo gli pare senza seguire dettami specifici di un genere piuttosto che di un altro. Come avevo già sottolineato in precedenza del primo EP, la band sembra giocare a strimpellare con i propri strumenti come se fosse alla ricerca del riff perfetto da buttare nero su bianco per il prossimo album. E allora ecco il giochicchiare con le chitarre, un drumming quasi impercettibile che potrebbe far pensare alle deviazioni più psichedeliche e malate dei The Doors. La seconda "Burning Spectre" è anche più cerebrale, fortuna nostra che il brano va poco oltre i sette minuti, mai una passeggiata da affrontare con questi pazzi furiosi. C'è da divertirsi nel capire che cosa possa venir fuori da queste sperimentazioni, quindi l'ideale è non aver alcun tipo di pregiudizio e lasciarsi guidare da quello che potrebbe poi evolvere in blues rock, prima del finale affidato ai 13 lunghi minuti di "Ash". Una combinazione di kraut rock, noise, psych e urla sciamaniche contraddistinguono un pezzo che si conferma noiosetto almeno fino al minuto 5, prima che i nostri si mettano a danzare attorno al fuoco con una danza etnica che troverà il suo finale approdo in tremebondi suoni dronici. Solo per pochissimi fan. (Francesco Scarci)

(Atypeek Music - 2020)
Voto: 68  
 

Nàresh Ran - Re dei Re Minore

#PER CHI AMA: Drone/Experimental/Noise
Il numero uno dell'etichetta discografica Dio Drone, solida label italiana dal respiro internazionale, impossibile da identificare nei generis e contraddistinta da uscite di grande qualità in ambito sperimentale, licenzia la sua nuova fatica sotto il nome di Nàresh Ran ed esce allo scoperto con un disco crepuscolare dall'emblematico titolo 'Re dei Re Minore', un'opera avvolgente, che imprime una forte dose di mistero e una trasversale, perversione oscura, assai intrigante. Mi sembra doveroso ricordare, che Nàresh Ran predilige i suoni, i rumori, gli ambienti sonori on the road, captati, raccolti, registrati per strada, con metodi di registrazione filtrati da mezzi poco consoni o quasi mai convenzionali. Il disco pullula di ronzii, fruscii e rumori d'ambiente, rubati ovunque, per ottenere nell'insieme, tappeti sonori che nessun synth potrebbe ricreare elettronicamente. L'apertura è affidata alla lunga traccia intitolata "Kutna Hora", un brano molto lungo che mostra un legame con il precedente lavoro dell'artista fiorentino, 'Martyris Bukkake'. Una song che galleggia a mezz'aria, tra mistico devozionale e l'ambient drone più radicale, mostrando tra le sue trame, un volto angelico subito contrastato da un monolitico e perpetuo cupo senso di desolazione, un vortice di ipnotica e disturbata malinconia, che nel finale si amplia di rumori e interferenze progressive che caricano ulteriormente il senso di vuoto del brano. Il secondo brano,"Veglia", ha un'attitudine più quieta e all'apparenza più distesa, cosi composto dal senso circolare di un loop spettrale su di un tappeto di tanti rumori e synth per un effetto cosmico, interstellare in stile Martin Nonstatic e in genere Ultimae Records, ma con un suono più caldo, profondo, meno sintetico e con più umanità dietro le quinte. Il terzo brano è "A_R", un groviglio molto intimo di suoni d'ambiente e rumori, interferenze lievi che donano, seppur celata e nascosta tra le righe, una cadenza, un ritmo che fin qui non era mai apparso, e poi cicale, insetti, bassi gravi, si mobilitano per inspessire una trama già complessa, ricercata, con un finale astrale dove compare, brevemente, per la prima volta, anche una voce umana distorta. Forse la traccia migliore dell'album dal punto di vista compositivo. Devo ammettere però, che con la conclusiva ed inaspettata traccia, "Re_Minore", l'impennata artistica si fa più coraggiosa e oltraggiosa. Con l'aggiunta di un vero e proprio recitato/cantato in lingua madre, alla maniera dei Massimo Volume, a cavalcare un loop di piano drammatico, sottomesso alla lettura poetica di un testo doloroso, ci si inoltra in un concetto molto vicino alla Sindrome di Stoccolma, per cui la tortura dell'aguzzino diviene il piacere che porta all'unica via di fuga per la vittima. Una performance intrigante, aggressiva e sconvolgente che conclude il disco con un pugno allo stomaco di chi ascolta. Una traccia dai toni malati e dai tratti realistici, dove il male descritto tocca l'ascoltatore in prima persona. Una canzone estremamente intrigante e molto, molto pericoloso, nella sua drammaticità corrosiva, un buco nero per la psiche dell'ascoltatore. 'Re dei Re Minore' alla fine è un album che indica chiaramente un'evoluzione nell'espressività dell'artista, un balzo in avanti verso una capacità compositiva libera e personale, una ricerca complessa fatta di tanti piccoli tasselli che compongono un mosaico di grande valore. Un film sonoro imperdibile, sofisticato, intricato, nero e con un finale devastante. (Bob Stoner)

(Toten Schwan Records - 2020)
Voto: 80

https://nareshran.bandcamp.com/album/re-dei-re-minore

sabato 12 dicembre 2020

Sens Dep - Lush Desolation

#PER CHI AMA: Shoegaze/Ambient, Mono, Slowdive
Nato nel 2009, il progetto australiano dei Sens Dep vede la luce inizialmente come supporto sonoro verso visual media e colonne sonore per film. La band è costituita per due quinti da ex membri della band post rock Laura, valida compagine con all'attivo tour insieme a Cult of luna, Isis e Mono, oltre che numerose pubblicazioni tra album, singoli ed Ep. Andrew Yardley, Ben Yardley (ex Laura) e Caz Gannell sperimentano a lungo con la nuova creazione e servirà un periodo di ben quattro anni di incubazione, passati tra le lande selvagge della Tasmania, per renderla concreta e definirne le caratteristiche estetiche attuali. La cosa bella che si nota al primo ascolto, è che la linea continua con il passato post rock non si è spezzata ma, semplicemente, molto molto evoluta con il passare del tempo. Certo, la concezione musicale in stile soundtrack prevale sempre ed anche l'amore per rumori e interferenze ambientali gioca un ruolo fondamentale nel fluidificare sonoro delle composizioni, fino a renderle inevitabilmente, una sorta di film da ascoltare in perfetta solitudine. La struttura di 'Lush Desolation' si potrebbe spiegare come un percorso immaginario in montagna, dove si parte dalle prime quattro tracce impregnate di umore grigio e una tensione d'ambiente di grande effetto, cariche di feedback di chitarra e tappeti di synth dal sapore cosmico complici ritmi lenti o appena abbozzati, con all'interno sempre una certa malinconia che riporta spesso alla mente distese ampie e paesaggi riflessivi. Percorrendo la salita della nostra ipotetica montagna, ci si addentra nella vetta del disco che cresce enormemente con la comparsa di una voce calda ed ipnotica (in stile Chapterhouse epoca 'Whirlpool') nel brano "Nebuvital", portando la musica ad una dimensione di canzone assai intima, rarefatta, circondata costantemente da un senso profondo di desolazione. Nei tre brani successivi questo cambiamento aprirà il suono ad un approccio mesmerico ai confini della realtà, omaggiando band del calibro degli Slowdive, The Telescopes e Loop, trasportandoli in un contesto più moderno, tecnologico e siderale, con monumentali muri di chitarre distorte, infinite e liberatorie, cadute a pioggia su tappeti ritmici pulsanti e rallentati, una visione lisergica in slow motion per parlare, con i testi delle canzoni, del rapporto complesso che esiste tra uomo e natura. Compare anche un volto acustico in "Bound" ma lo shoegaze è padrone in questa casa e lascia poco spazio a ciò che non lo è. La traccia in questione nasconde una chicca al minuto 3:27, che non vi svelerò ma che si fa apprezzare parecchio, una gemma che innalza il valore di produzione dell'intero album, mostrando che la band di Melbourne ha ottime idee da estrarre dal proprio cilindro, anche per gli audiofili più esigenti e perfino per gli amanti di certa musica elettronica d'ambiente. Altra hit potenziale è "To Build a Fire" che, avvolta nella sua malinconia, invita alla strada in discesa dalla nostra montagna sonica. E la discesa non pregiudica la qualità della proposta e negli ultimi brani, prima della chiusura, si esaltano il distorto, la ritmica e l'ambiente. È tuttavia nella magia della conclusiva "Luckless Hunter" che si tocca l'apoteosi compositiva, tra shoegaze, post rock, l'infinito mondo dei Mono e riverberi degni dei più corrosivi My Bloody Valentine, passati in acido e rallentati a più non posso. Non che avessi dubbi, poiché le premesse di questo album erano già una garanzia, ma il debutto dei Sens Dep è veramente una catarsi magica, da cui sarà difficile staccarsi e lasciarla cadere in tempi brevi nel dimenticatoio. Ascolto obbligato. (Bob Stoner)

lunedì 26 ottobre 2020

Nagaarum - Covid Diaries

#PER CHI AMA: Experimental Black, Fleurety
Il coronavirus non è stato solo fonte di dolore per la gente, ma anche di ispirazione. L'avevamo apprezzato qualche settimana fa con la triplice release dei Queen Elephantine, lo rivediamo oggi con questa uscita chiamata inequivocabilmente 'Covid Diaries', che arriva sei anni dopo quel 'Rabies Lyssa' che profetizzava l'arrivo di una pandemia nel 2019. A proporlo è un amico del Pozzo dei Dannati, ossia il musicista ungherese Nagaarum, uno che da queste parti ha bazzicato parecchio. Il nuovo disco, uscito per la Aesthetic Death, altra etichetta amica, consta di sei tracce. Si parte con l'inquietante epilogo di "Prelude for 2020", quasi a prepararci psicologicamente a questo funesto anno di morte. L'aria è pesantissima e rappresenta fedelmente, attraverso le sue nebulose atmosfere, questi folli mesi che stiamo vivendo. "The First Ingredients" sembra addirittura peggio, con un ambient noise davvero paranoico, quasi a descrivere quella sensazione di vuoto sperimentata durante il famigerato lockdown. Ecco, ho rivissuto quei terribili momenti di isolamento sociale patiti in primavera, quando la tempesta del malefico Covid si abbatteva sull'Europa. Fortunatamente, "Superstitious Remedy" somiglia maggiormente alla forma di una canzone, certo, di non facile digestione, ma pur sempre dotato di una musicalità ostica che trova comunque spiragli di melodia grazie anche all'apporto vocale di una gentil donzella, Betty V. "Competitors" è un dialogo surreale (ma interessante da seguire attraverso le liriche contenute nel cd) tra robotici vocalizzi di donna (e la voce narrante di un uomo) che in realtà rappresentano le voci dei personaggi Vera, Yersinia e Rosie, ossia la personificazione delle manifestazioni dell'epidemia. Più vicino alle passate produzioni di Nagaarum è invece un pezzo come "I Am Special", sospinto da un mix tra avantgarde, doom e depressive, in quanto di più orecchiabile si possa pretendere di ascoltare su questa release. L'ultimo pezzo è affidato alla lunghissima "Liquid Tomorrow", dove la voce narrante di Roland Szabó (amico del frontman magiaro) sembra chiudere in bellezza con un'ultima dose di positività e quelle nubi ancor più cupe che incombono sulla società. Musicalmente, la proposta del factotum ungherese ricalca qualcosa che apprezzai enormemente venticinque anni orsono, ossia il debut 'Min Tid Skal Komme' dei Fleurety, attraverso un black psichedelico davvero ispirato, ove ancora una volta, la voce di Betty V. dà il suo enorme contributo. Alla fine, 'Covid Diaries' è un album introverso, cupo, non certo un lavoro per tutti, ma lo consiglio di sicuro a chi ama la sperimentazione votata a esplorare i meandri più oscuri della psiche umana. (Francesco Scarci)

domenica 25 ottobre 2020

Watertank - Silent Running

#PER CHI AMA: Stoner/Shoegaze/Grunge, Torche, Quicksand
Se il nome della band a molti dirà poco, l’artwork (una specie di larva lovecraftiana che galleggia in mezzo all’etere) rivela ancora meno del contenuto di questo 'Silent Running'. Mi sembra chiaro che i Watertank da Nantes si trovino maggiormente a proprio agio imbracciando le chitarre e mostrando tutto il loro potenziale dal vivo, piuttosto che nell’attività di promozione. Sì, perché chi avrà il coraggio di andare oltre la copertina poco accattivante e addentrarsi nell’ascolto di questi dieci pezzi tiratissimi si renderà ben presto conto che la proposta di questo gruppo, ennesima freccia scoccata dall’arco dell’etichetta transalpina Atypeek Music, è di assoluto valore.

I primi brani "Envision" e "Suffogaze" ci presentano riffoni pesanti e ritmiche frastagliate, solide fondamenta sulle quali i Watertank costruiscono impalcature sonore fortemente melodiche, nelle quali trovano spazio elementi noise-rock, shoegaze e persino incursioni nel pop più intelligente. In queste trame, dove versi onirici e rilassati si alternano a ritornelli abrasivi, non è difficile cogliere l’influenza - talvolta fin troppo marcata - dei ben più noti Torche, oltre che ad un’infarinatura di Helmet, Quicksand e Foo Fighters. È soprattutto il cantato di Thomas Boutet a fare da collante nelle transizioni tra cavalcate impetuose e momenti più rilassati, la cui convincente interpretazione, mai sopra le righe, ma puntuale nel seguire ogni evoluzione dinamica della componente strumentale, offre all’ascoltatore un punto di riferimento costante.

Le canzoni godono di un approccio estremamente diretto e di una durata contenuta che limita divagazioni superlfue a quello che sembra essere l’obiettivo della band, ossia confezionare un lavoro di facile fruizione e allo stesso tempo mai banale. È quindi difficile non venire contagiati dai rimbalzi ritmici di "Burning World" e dai ritornelli energici della title-track, benché inevitabilmente il disco paghi dazio a livello di personalità. È anche vero che convincere il pubblico ad ascoltare un disco di sano rock underground stia diventando sempre più difficile e, in quest’ottica, la formula dei Watertank potrebbe rivelarsi vincente. (Shadowsofthesun)


venerdì 25 settembre 2020

Queen Elephantine - Tribute to Atrophos Vol I

#PER CHI AMA: Avantgarde/Psych/Jazz
Il Covid-19 è tutt'ora fonte di grande dolore ma è stato anche innesco di diverse opere artistiche (libri, dischi, cortometraggi). I Queen Elephantine sono tra quelli che hanno sfruttato il momento di difficoltà proponendo i rilascio di nuovi EP in formato digitale. Il collettivo di Hong Kong, originario però dell'India e con base oggi a Philadelphia, ha rilasciato ad aprile, nel pieno della prima ondata di coronavirus, il cui presente 'Tribute to Atrophos Vol I', primo (di tre?) EP votati all'improvvisazione totale. Li avevamo lasciati sul finire del 2019 alle prese con 'Gorgon', li ritroviamo oggi più stralunati che mai con quattro nuovi eterei pezzi che miscelano casualmente psych e kraut rock, avanguardistico, jazz, drone e stoner con un'alchimia sciamanica misticheggiante. Questo almeno quanto trasmesso dalla trascendentale opening track, "I Alone Am Right", che per undici minuti entra nel mio cervello e con la sua infima retorica cervellotica, insidia i pochi neuroni residui nella mia materia cerebellare, con un sound lisergico e desertico. Ancor più complicata "I Am Left Alone", proprio perchè sa di jam session a tutti gli effetti, quasi che il collettivo indiano si sia messo li un angolino a strimpellare in attesa di far uscire le idee migliori da registrare. Quindi, non è il caso di aspettarsi nulla di travolgente visto che si tratta di pura improvvisazione dettata dalla noia che sembra per lo meno cresca in intensità perchè si è trovata la giusta chiave per costruire una song. E anche con le seguenti "Surfacing" e "Sunk", il canovaccio della estemporaneità non cambia. La prima delle due song ha un andamento oscuro quasi dronico, bloccato in un ipnotico loop di chitarra astrale. La seconda invece è più noise rock oriented (sebbene qualche accenno in sottofondo alla musica indiana), con chitarra e batteria lasciate come cani sciolti a cazzeggio per quattro minuti di puro divertimento. (Francesco Scarci)

domenica 26 luglio 2020

Violent Magic Orchestra - Principle of Light Speed Invariance

#PER CHI AMA: Electro Black/Techno/EBM, Hocico
La musica dovrebbe essere evocativa e simbiotica dell'attuale clima sociale. Ecco come si presentano i giapponesi Violent Magic Orchestra, che altro non sono che alcuni membri dei Vampillia, la cantante Zastar e Kezzardrix, con alcuni precedenti componenti della band, Pete Swanson (ex Yellow Swans) ed Extreme Precautions (Mondkopf). La proposta del collettivo di Osaka non può che proporre inevitabilmente musica folle che parte dalla techno music della opening track "You Are Hate", su cui piazzarci giustamente black metal e industrial. Scelta scellerata per i più ma ascrivibile a pura genialità per il sottoscritto, visto che alla fine mi fa apprezzare anche la techno, con i vocalizzi in scream, il tutto a ricordare i messicani Hocico. Si procede sugli stessi stilemi anche con la debordante seconda traccia, "Massive Aggressive", meno di due minuti di techno-industrial, noise, grind e quant'altro di folle ci si possa inventare. Ma d'altro canto da musicisti di questo tipo, era lecito aspettarsi solamente delirio musicale, mitigato in conclusione dalla poetica sintetica di "New World Ballad", una ballata dance su cui impiantare i vocalizzi disperati black della frontwoman. Se non avevo per nulla apprezzato la violenza caustica del precedente 'Catastrophic Anonymous', con questo nuovo EP, mi apro al nuovo mondo targato VMO.

(Never Sleep - 2020)
Voto: 74

https://violentmagicorchestra.bandcamp.com/

domenica 14 giugno 2020

Chat Pile - Remove Your Skin Please

#PER CHI AMA: Noise/Sludge, The Jesus Lizard
I Chat Pile è una band originaria di Oklahoma City che lo scorso anno se n'è uscita con due EP, di cui questo 'Remove Your Skin Please' è il secondo rilasciato sul finire dell'anno. Quattro pezzi all'insegna di un noise sludge con qualche venatura psych e grunge. Ascoltando l'opener "Dallas Beltway" penserei ad una versione più violenta dei The Doors, con la voce del frontman a blaterare come se fosse un novello Jim Morrison e la musica in sottofondo a mostrare un certo disagio interirore nel suo disarmante incedere, cosi sporco ed infimo, dotato però di una forte carica grooveggiante che alla fine me la fa adorare, ricordandomi un che dei The Jesus Lizard. L'inizio di "Mask" è ancor più coinvolgente, con quella sua vena post-punk che esce preponderante e le vocals sempre lamentose, a tratti parlate, comunque intrise di una elevata dose alcolica che le portano a sbraitare il loro disappunto con un fare grunge (mi sono venuti in mente anche i primissimi Nirvana) ma sul finire sfociano addirittura in un growling death metal. "Davis" è il terzo brano e sapete che potrebbe stare su un disco degli Ulcerate per quella sua ferocia sbilenca che non lo fa etichettare come death metal puramente per i vocalizzi puliti e urlati del cantante che ad un certo punto sembra addirittura dire "fottetevi". La canzone è comunque singolare tra parti psych noise e devastanti deragliamenti a livello ritmico che la spingono alle soglie del death metal. Peculiari e intriganti. La conclusiva "Garbage Man" è l'ultimo delirante episodio di un mini album che non è facilmente collocabile in un contenitore preciso. Qui infatti ci potrete sentire un mix tra hardcore, punk e sludge, il tutto cantato da un vocalist ormai alcolizzato. Sarebbe interessante ora saggiarli su un terreno più scivoloso, quello del full length, vediamo se sapranno accontentarci. (Francesco Scarci)

martedì 9 giugno 2020

Diablerets - II: Scarborough

#PER CHI AMA: Drone/Ambient
Non sono proprio un grande fan dei Diablerets e credo l'abbia inteso anche il mio interlocutore che mi ha inviato la loro ultima fatica, dicendomi "dagli un ascolto ma non è proprio necessario che tu lo recensisca". Credo che tema un altro giudizio caustico da parte del sottoscritto dopo aver bistrattato il 7" del 2015 e non aver certo avuto parole al miele per il loro atto I del 2014. Il duo elvetico torna con le stralunate atmosfere di 'II: Scarborough' e le conusuete demoniache presenze si palesano già dall'opener "Scarborough", ossia una località turistica della contea del North Yorkshire sulla costa est inglese che deve aver particolarmente ispirato il duo svizzero (visto che qui hanno anche registrato l'album). La proposta è nuovamente all'insegna del drone più minimalista e durante il suo ascolto solo gli incubi più reconditi potranno affiorare dalle vostre distorte menti. Se non sapessi che il disco è uscito nel 2019, avrei immaginato che fosse stato concepito nel periodo di lockdown e che tutti i pensieri più insani fossero stati partoriti dalle menti alterate di Liönhell e AsC13 durante la loro reclusione forzata. I quasi 13 minuti di "Ravenscar" (altra località inglese) sono quanto di più proibitivo io sia stato in grado di affrontare in vita con il morboso dronico incedere dei nostri che viene invaso da uno spaventoso rituale con tanto di voci raccapriccianti in sottofondo, sebbene ci sia una parvenza di musicalità in background rilasciata da un malefico organo. Poi solo suoni del mare forse registrati proprio sul litorale britannico a chiudere il pezzo. "Devil's Dyke" fortunatamente dura un po' meno sebbene il risultato non cambi poi molto, fatto salvo per l'apocalittica presenza al microfono di R.M. degli Urna. Sono comunque suoni solo per menti stabili, io che stabile non lo sono, ho rischiato di finire pazzo e schiacciato dalla delirante componente sonica di questi artisti strampalati. "Coffinswell" e "Leatherhead" sono gli ultimi due oscuri episodi di questa dannata e mortifera release, il cui target francamente, si mantiene relegato ad un ristrettissimo numero di fan, che ancora una volta, non include il sottoscritto. Malvagi. (Francesco Scarci)

domenica 7 giugno 2020

Neumatic Parlo - All Purpose Slicer

#PER CHI AMA: Indie Rock, Radiohead
Il debutto su Unique Records dei tedeschi Neumatic Parlo, avviene sotto forma di EP. Un assaggio breve, composto da quattro brani dal tono ispirato e una verve indie di curata matrice anglosassone. La piccola compilation è figlia delle intuizioni elettroniche in ambito rock dei Radiohead, quelli della seconda fase di carriera, e di suggestioni più recenti della scena indie attuale, pescate nella musica alternativa internazionale, tra Block Party e Fontaines D.C.. Questi giovani nipotini dei Gang of Four (epoca 'Shrink Wrapped') provenienti da Düsseldorf, ripercorrono le vie ritmiche della new wave in chiave moderna, spingendo sui suoni sintetici di batteria e un sound etereo, cristallino. "Science Fiction Movie" è una canzone che spiazza per la splendida vena pop, con un cantato ed un'atmosfera che mi ricordano molto il genio di Matt Johnson con i suoi The The in una veste rimodernata e attualizzata, rivolta al pubblico giovanile del nostro tempo. Molto bella la tensione che si plasma su tutte le tracce a livello vocale, sicuramente degna e colma dell'ottimo insegnamento della scuola espressiva di Thom Yorke, mentre musicalmente, avrei spinto per un approccio più rock e meno elettronico come anima portante del lavoro. Comunque, al netto del mio personale parere, calcolando la volontà di emergere che pulsa in una giovane band e valutando quel tocco fruibile nelle tracce come un ulteriore trampolino di lancio voluto e ricercato, a mio avviso questo disco d'esordio, ascoltato in profondità, si rivela un buon lavoro, che lascia presagire ottimi prosegui per il futuro. Da segnalare, oltre alla notevole prestazione vocale, una sorta di sensazione che in lontananza ci sia un certo amore per le chitarre noise, una tensione costante e un'attitudine post punk che preme continuamente dietro l'angolo, lasciandomi immaginare eventuali sviluppi compositivi in ambito psichedelico/emozionale per un futuro di alto livello. In "Morning Metamophosis" si mescolano le due anime della band: una estremamente emotiva, che si palesa con una parte iniziale splendida, assai vicina alle atmosfere dei già citati Radiohead. La seconda, con quella sua evoluzione ritmica pulsante, diretta e sobria, mette in risalto il lato più punk della band teutonica, anche se qui l'ingresso di batteria e un arrangiamento non proprio all'altezza delle composizioni precedenti, mostrano il lato ancora acervo del combo teutonico. Nel complesso però, 'All Purpose Slicer' è un debutto ben confezionato che ci consegna una nuova band da tenere sotto osservazione per il prossimo futuro. (Bob Stoner)