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sabato 26 ottobre 2019

Treehorn - Golden Lapse

#PER CHI AMA: Stoner/Noise Rock, Post-Hardcore, Melvins, Unsane, Big Black
Gli appassionati di storia come me (appassionato suona meglio di nerd) si saranno sicuramente imbattuti nel termine “epoca d’oro”, usato per identificare l’apice di una civiltà, di una nazione, di una corrente di pensiero o artistica. Si tratta di fasi determinate dal contemporaneo verificarsi di condizioni favorevoli e che possiamo ritrovare anche su scala più piccola, come ad esempio nelle nostre vite: a tutti è capitato di attraversare un periodo particolarmente propizio durante il quale si saranno presentate occasioni lavorative, realizzazioni personali e conquiste sentimentali. Certo, nulla dura in eterno, l’epoca d’oro è destinata ad esaurirsi e magari ci saremo poi ritrovati a raccoglierne le macerie: è una legge storica ed è probabilmente il motivo per cui dovremmo soffermarci a godere di quei brevi momenti in cui tutto fila liscio, momenti d’oro appunto. In 'Golden Lapse', i Treehorn non raccontano di epoche d’oro, anche perché basta dare un'occhiata alle notizie di cronaca o scorrerne i commenti sui social per capire che sarebbe fuori luogo: l’intervallo di tempo di cui parlano potrebbe essere quello trascorso tra il 2014 a oggi, passato lontano dai palchi e senza dare segni di vita. Cinque anni di assenza sono praticamente un eone e un gruppo viene considerato spacciato per molto meno, tuttavia questa pausa è servita a far germogliare le idee del trio di Cuneo (zona dove peraltro non sembra mancare il terreno fertile per del sano rock pesante, basti pensare a Ruggine, Cani Sciorrì e Dogs For Breakfast), portando lo stoner/grunge del precedente 'Hearth' ad un nuovo stadio di evoluzione, ossia questi dieci pezzi stortissimi e furibondi che non appartengono completamente né allo stoner, né al grunge, né al noise o all’hardcore: sono dei Treehorn e tanto basta, i quali hanno miscelato questo e quel genere secondo una personale ed esplosiva formula. La prima traccia “The Recall Drug” mette subito in chiaro le intenzioni della band: è un missile sparato a velocità ipersonica verso coordinate tutte sbagliate e di cui è impossibile determinare la rotta, ma che sicuramente si schianterà su ciò che incontra. Pezzi come “Virgo, Not Virgin” (un richiamo a “Taurus, not Bull” presente su 'Hearth'), “The Same Reverse” e “Damn Plan”, si sviluppano tra spericolate cavalcate del più classico stoner rock ed improvvise destrutturazioni noise, dove la chitarra si lancia in tormentosi riff sghembi, sorretta dalle percussioni massicce e da un basso cupo e fangoso; in 'Golden Lapse' però c’è anche spazio per composizioni meno intricate e non per questo scontate o meno adrenaliniche, come “Onlooker” and “Hell and His Brothers”. “A Shining Gift” sembra essere uscita dopo un tamponamento a catena tra Unsane, Melvins e Big Black, mentre "Modigliani", che si apre con un feroce giro di basso, si avvicina invece al più malato post-hardcore, manifestando punte di estrema sofferenza e anche malinconia. Dopo il breve intermezzo atmosferico di “Lapse”, scandito da rade note di chitarra, ecco la conclusiva e pachidermica “Coward Icons” che tira le somme di tutto il lavoro. Quale sia il motivo conduttore dell’album è difficile stabilirlo: un invito al “carpe diem” probabilmente, tuttavia “Lapse” si può tradurre anche con “sbandamento morale” e i titoli di molte canzoni, così come l’artwork luciferino, potrebbero giocare sull’ambiguità del termine. In questi cinque anni di “ghosting”, ai Treehorn è accaduto quello che molti avrebbero sperato succedesse ai Tool negli ultimi tredici: trovare i giusti stimoli, le giuste energie, la coesione di tutti gli elementi della band, l’ispirazione più pura e quel pizzico di “machissenefrega, noi suoniamo” che è terreno fecondo per l’opera di un musicista. 'Golden Lapse' è un lavoro spaccaossa che gode di freschezza, suoni potentissimi e un efficace songwriting, il tutto magistralmente enfatizzato da una produzione fantastica (registrazione a cura di Manuel Volpe e master di Enrico Baraldi, scusate se è poco): prendetevi un attimo di tempo per ascoltarlo e vi garantisco che sarà il vostro momento d’oro. (Shadowsofthesun)

(Escape From Today/Brigante Produzioni/Vollmer Industries/Taxi Driver Records/Canalese*Noise/Scatti Vorticosi Records - 2019)
Voto: 80

lunedì 18 febbraio 2019

Space Aliens From Outer Space - Nebulosity

#PER CHI AMA: Kraut Rock/Progressive
Un astrofisico statunitense nel 1961 formulò un’equazione per determinare il numero di civiltà extraterrestri presenti nella Via Lattea in grado di comunicare, poco più di un simpatico esercizio matematico che non tiene conto di una considerazione fondamentale: è molto difficile che degli alieni avvertano il bisogno di parlarci, a meno che non vogliano tentare la masochistica impresa di salvarci dall’autodistruzione. 

A Torino, vertice di geometrie esoteriche e infrastrutturali, l’improbabile si è trasformato in realtà quando dei missionari cosmici, gli Space Aliens From Outer Space, hanno deciso di atterrarvi per portare il loro“messaggio di luce” alla nostra triste umanità, un tentativo di primo contatto che giunge al suo quarto stadio con 'Nebulosity', album firmato dall’etichetta nostrana Escape From Today e dalla belga Cheap Satanism. 

Il progetto è un mix di rock psichedelico, progressive rock ed elettronica, a metà strada tra la synth-wave e le colonne sonore di John Carpenter, il tutto efficacemente accompagnato da un’estetica sci-fi che trasforma Paul Beauchamp (Almagest!, Blind Cave Salamander, Coypu), Daniele Pagliero (Lo Dev Alm, Frammenti, All Scars Orchestra), Francesco Mulassano e la nuova arrivata dietro le pelli, Maria Mallol Moya (Gianni Giublena Rosacroce, Lame, Natura Morta) in una vera e propria delegazione proveniente dalle stelle, pronta a sconvolgere gli arretrati terrestri con abiti argentati, attrezzature futuristiche ed un sound fuori dal comune. 

L’opera si configura come il racconto di un viaggio tra gli spazi siderali che ha inizio con le maestose melodie di sintetizzatore di “Asterism”, che si snodano tra percussioni lisergiche e il pervasivo uso del vocoder di Paul, da sempre marchio di fabbrica del gruppo. La navigazione si fa decisamente più turbolenta in “Trajectory”, brano appesantito da decisi colpi di batteria e caratterizzato dagli avvolgenti tappeti di tastiera che sembrano farsi largo tra asteroidi in collisione ed esplosioni di supernove, per poi stabilizzarsi con “Entanglement”, in cui le varie componenti elettroniche della band si inseguono lungo orbite fantascientifiche, richiamando Kraftwerk e Tangerine Dream, per poi ricompattarsi nella ritmica magnetica di “Propulsion”, durante la quale i nostri quattro esploratori sembrano voler aumentare la potenza dei motori per lanciarsi nella seconda parte dell’album. 

Con “Into The Nebula” affrontiamo un brusco cambio di rotta che ci porta attraverso territori meno idilliaci, ma ogni timore viene spazzato via quando Maria Mallol inizia a maltrattare piatti e pelli in un crescendo di dinamica, operazione che si ripete anche in “The Outer Realms”, brano estremamente ritmato e ricco di variazioni in cui la nuova batterista offre una grande prova. In “Particle Horizon” l’elettronica eterea ci lascia galleggiare come particelle neutre in precario equilibrio tra forze gravitazionali contrastanti, una sorta di quiete prima della tempesta sonora di “Starchaser”, brano ispirato all’omonimo film di animazione del 1985 e quasi stoner per potenza, perfetta colonna sonora della furiosa battaglia spaziale che si consuma tra le armate dell’ennesimo tiranno planetario e le infine vittoriose forze in lotta per la libertà. 

Gli Space Aliens From Outer Space rappresentano senza dubbio un’anomalia nel panorama musicale underground, forti di coordinate musicali inusuali e di una grande cura dei dettagli, tuttavia 'Nebulosity', se da un lato valorizza il percorso sperimentale della band, dall’altro si mostra più concreto e (paradossalmente) più umano, probabilmente grazie alla scelta di contenere la durata dei pezzi senza indugiare eccessivamente in esplorazioni sonore e all’aggiunta di una batterista in carne ed ossa, in grado di ricondurre le astrazioni elettroniche a strutture e ritmiche più definite. L’ascolto risulta pertanto piacevole per tutti i quarantacinque minuti di durata e l’unica pecca potrebbe essere nell’assenza di un vero e proprio fulcro, un pezzo in grado di catalizzare l’attenzione e magari anche di strizzare l’occhio a chi non è avvezzo a queste sonorità. 

Viene quindi da chiedersi se con questo album il messaggio di Paul e compagni sia un mero invito a contemplare l’immensità del cosmo e ad omaggiare gli artisti che da questa si sono lasciati affascinare, oppure un‘esortazione ad uscire dal nostro piccolo mondo ed esplorare nuove possibilità (musicali e non), cosa non facile in un contesto storico in cui coloro che mostrano curiosità e apertura al diverso sono visti con sospetto, proprio come “alieni provenienti da un altro spazio”. (Shadowsofthesun)

(Escape From Today/Cheap Satanism - 2018)
Voto: 75

giovedì 12 ottobre 2017

Paolo Spaccamonti & Paul Beauchamp - Torturatori

#PER CHI AMA: Sperimentale/Drone, Ulver
Paolo e Paul, due musicisti particolari, il primo torinese (ma di origini lucane), il secondo americano ma trapiantato nel capoluogo piemontese. Un album, due brani, "White Side" e inevitabilmente anche un "Black Side", a definire i due lati del vinile (in vinile rosso) e le due facce della stessa medaglia di un disco tutt'altro che facile da ascoltare. Una proposta musicale in cui s'incontrano due amici e le loro anime sperimentali che si traducono in questo condensato musicale intitolato 'Torturatori'. Non conosco la ragione di questa scelta, posso solo dire che il loro torturare in realtà si svela dapprima in raffinate linee di chitarra acustica di stampo neofolk coadiuvate successivamente da una svalangata di suoni apparentemente improvvisati che ci accompagnano per quasi quindici minuti di musica minimalista, ipnotica e surreale, un ambient dronico, un'ipotetica colonna sonora per un film come 'Blade Runner 2049' anche se verso il decimo minuto, i nostri tornano a lanciarsi in un altro oscuro arpeggio di chitarra. Una proposta quella del duo italo-americano, che per certi versi mi ha ricordato quello di t.k. bollinger, anche se l'artista australiano può vantare nelle sue composizioni, anche un cantato che qui manca totalmente. Pertanto, spazio alle chitarre, ai synth, ad atmosfere rarefatte e oniriche, soprattutto nella seconda song, in cui il suono della sei-corde è decisamente più ribassato, e molto più spazio viene concesso ai suoni cibernetici affidati ai sintetizzatori di Paul Beauchamp, qui emulo di quelle sonorità alla Vangelis che popolavano il primo 'Blade Runner'. Un disco alla fine parecchio sperimentale per le nostre orecchie e i nostri sensi, per quanto in realtà, i due musicisti non offrano proprio sonorità avanguardistiche. Un'esperienza simile all'ascolto degli album strumentali degli Ulver, un ascolto da provare in rigoroso silenzio e nel buio più assoluto. (Francesco Scarci)

martedì 20 agosto 2013

Tons - Musineè Doom Session

#PER CHI AMA: Doom Metal, Sleep, Iron Monkey
"In the beginning God created the heavens and the earth. And the earth was without form, and void..." Vi devo confessare che inizialmente "Musineè Doom Session", debut album dei Tons, non mi aveva preso molto, probabilmente a causa dello scream troppo acido e violento di Paolo che non reputavo adatto ad un complesso doom metal; dopo svariati ascolti (confermati ulteriormente in un ultimo periodo di ascolto su vinile) devo dire che la formula proposta dai Tons è decisamente valida. Ad una prima ispezione del disco (che lo si può trovare in due versioni, il packaging originale a mo' di confezione o la versione cartonata serigrafata limitata a cento copie numerate, questa molto minimale ma di gran classe), mi balza subito agli occhi i titoli delle canzoni che richiamano grandi classici della musica metal, però migliorati. L'opera si apre con la title-track (con i passi della Genesi riportati all'inizio), traccia con riff pesantissimi e trascinanti, un ottimo inizio per catturare l'attenzione e chiarire sin da subito le intenzioni del trio torinese: tanta saturazione, tanti picchi di volume, tanta lentezza ma con ritmi capaci di far scuotere la testa (come adesso mentre scrivo questo in treno e tutti mi guardano male). Il suono già traboccante dalle distorsioni di chitarra e basso, viene ulteriormente caricato dalla voce creando un muro sonoro invalicabile. La struttura delle composizioni è pressochè semplice, su tutte spicca "Once Upon a Tentacle" traccia più breve e minimale del disco, e "Ketama Gold" traccia a mio parere più debole a causa della prima parte interamente strumentale leggermente prolissa, dato che si sposta su tre riff nel giro di quattro minuti abbondanti. Questa primo full length dei Tons è un chiaro centro pieno nella prolifera nuova scena doom italiana (una traccia come "Tangerine Nightmare" ne è la prova), capace di distanziarsi dagli stilemi classici, ma senza cadere nella banalità delle sonorità valvolari e stonerose. (Kent)

(Escape From Today Records)
Voto: 75

https://www.facebook.com/TONSBAND