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giovedì 12 ottobre 2023

Collapse Under the Empire - Recurring

#PER CHI AMA: Instrumental Post Rock
Eravamo in pieno periodo Covid quando ci siamo soffermati a recensire 'Everything We Will Leave Beyond Us', ottava fatica dei teutonici Collapse Under the Empire (CUTE). Chissà se finalmente quel tutto, menzionato nel titolo ce lo siamo finalmente lasciato alle spalle? Nel mentre ognuno di noi sta pensando alla propria risposta, ecco arrivarci fra le mani il nuovo 'Recurring' e nove nuove tracce che portano i nostri a proseguire nella loro esplorazione musicale di un post rock sofisticato, svolazzante, onirico, data la sua capacità di muoversi su molteplici binari, cosi come già materializzato nell'opener "Genesis", che dal classico post rock strumentale si muove sinuoso in territori più progressive o synthpop, grazie a quelle importanti porzioni orchestrali che tendono ad occupare tutto il suono dei nostri e a palesare i punti di forza e debolezza di un disco che vuole narrare il perpetuo ciclo di vita e morte del nostro pianeta, tema tra i più ricorrenti nelle più recenti release. E cosi, a narrare questa costante ripetizione di distruzione, purificazione, pace e redenzione, i nostri giocano con i molteplici umori, narrazioni strumentali, chiariscuri, saliscendi emozionali che si manifesteranno via via anche nelle successive song, dall'umorale ed estremamente atmosferica (ma soprattutto malinconica) "Revelation", che la indicherò alla fine come uno dei miei pezzi preferiti, alla più ipnotica e cerebrale "Mercy", grazie alle sue doti cinematiche e all'espandersi di delicate atmosfere shoegaze da metà brano in poi. "Absolution" sembra addirittura enfatizzarne i toni attraverso quell'uso (abuso?) di synth che si affiancano alle chitarre riverberate e che sembrano donare al disco evocativi tratti cosmici che mi hanno portato a pensare a band quali God is an Astronaut o Exxasens. Il duo di Amburgo si prende un momento di pausa in "Requiem", una sorta di bridge ambient evocante le vibrazioni cosmiche del film 'Gravity', che ci introduce a "Forgiveness", il più post rock dei brani inclusi in 'Recurring', ma anche quello più dinamico, con quel suo rincorrersi delle chitarre e la quasi soverchiante stratificazione di piano/tastiere in anfratti nebulosi di un cosmo oscuro e gelido. Ma le chitarre tornano fragorose nel finale di un brano turbinoso e affascinante. "Salvation" è invece più spinta verso territori sintetici, con le chitarre qui relegate in secondo piano che tuttavia non perdono la loro forza motrice. A seguire, "Apocalypse" si muove su analoghe linee elettroniche che nella loro iniziale ridondanza, non incontrano appieno il mio gusto, e in realtà, questo sarà anche il brano che ho trovato meno convincente nella proposta dei CUTE, sebbene un finale imponente, figlio di un'ariosa emozionalità cinematica, e all'utilizzo di delicati archi in sottofondo. La conclusiva "Creation" si muove su suadenti note di sintetizzatore a cui faranno da contraltare in più di un'occasione, esaltanti partiture di chitarra che esaltano finalmente il risultato complessivo, per il gradito ritorno di una band davvero competente nel proprio genere. (Francesco Scarci)

mercoledì 11 ottobre 2023

Alea Jacta Est - Ad Augusta

#PER CHI AMA: Hardcore
"Il dado è tratto". Con la locuzione "alea iacta est" i latini erano soliti esclamare per una decisione presa o una sfida lanciata. I francesi Alea Jacta Est lanciano cosi la loro sfida con un nuovo EP, 'Ad Augusta', che sancisce il ritorno sulla scena dopo un bel po' di silenzio (sette anni dall'ultimo 'Dies Irae'). La band di Tolosa rispolvera il proprio hardcore attraverso sette nuove tracce pronte ad incendiare le nostre orecchie. Al via un intro e poi il rombo delle chitarre di "FFWF" (acronimo per "Fight Fire With Fire") che si accende ed esplode tra un rifferama compatto bello carico di groove e le urla del frontman che s'incrociano con quelle di diversi cori (che mi hanno evocato quelli di 'Under the Influence' degli Over Kill). Poi una bella spinta (non eccessiva sia chiaro) da parte delle chitarre che portano una dose di adrenalinica energia che prosegue nella più robusta "Get Revenge", con quel suo vigoroso sound spezzato da continui breakdown metallici, mentre il vocalist continua a vomitare tutta la propria rabbia. Niente di nuovo all'orizzonte, niente di particolarmente tecnico poi (gli assoli sono infatti rigorosamente banditi) e la band continua a macerare strada in "Enough is Enough", con quel blend di hardcore e metalcore, con tanto di riffoni belli pesanti e ultra ritmati, voci tra il graffiante, caustico e growl, senza mai tralasciare gli immancabili chorus, atti a inveire contro il mondo, trademark del mood hardcore tipicamente statunitense. Si continua con "The King is Down" e anche qui non manca una certa ruffianeria nella linea delle chitarre, cosi come nell'utilizzo di parti parlate in francese che fanno da ponte con la successiva "As Fast as I Can", che prosegue nella sua opera distruttiva, qui particolarmente esasperata nella parte finale del brano. Il dischetto si chiude con "Fake Power" che, se vogliamo trovare il pelo nell'uovo, non si discosta di una virgola dai precedenti brani ascoltati, se non per una sezione ritmica un filo più violenta, ma che apporta poco o niente all'intera release. Un lavoro onesto e poco più. (Francesco Scarci)

(Useless Pride Records - 2023)
Voto: 65

https://www.facebook.com/aleajactaest.eu

martedì 10 ottobre 2023

Signs of the Dying Summer - Promenada Ciszy

#PER CHI AMA: Depressive Black
"L'estate sta finendo..." cantavano i Righeira in Italia nel 1985. La band di quest'oggi deve aver preso ispirazione da quel mitico tormentone di quasi 40 anni fa. A parte i miei deliri giornalieri, oggi abbiamo a che fare con i Signs of the Dying Summer (segni di un'estate che sta morendo, tradotto letteralmente) e del loro secondo lavoro 'Promenada Ciszy', edito dalla Putrid Cult, etichetta polacca attiva nel mondo black/death dal 2011. Tornando al terzetto di oggi, posso aggiungere che l'album include sei tracce (più la cover "Stalemate" dei Katatonia), tutte con lo stesso titolo del disco, a parte la progressione numerica accanto al titolo e il genere? Trattasi di black dalle forti tinte malinconico/depressive che mi conquistano sin dal primo tocco tastieristico dell'iniziale "Promenada Ciszy 1", song che parte sparata al fulmicotone, per poi fare una bella inversione di marcia, tra spettrali tastiere blackgaze, cori quasi celestiali ed una marcata linea melodica che smorza la furia bieca dei momenti più violenti. Insomma, pensavo si trattasse del classico album di infernale black old-school, vista anche la cover in bianco e nero, e invece mi sono dovuto ricredere e anzi, apprezzarne i contenuti. Contenuti che si confermano egregiamente curati anche nel secondo capitolo del cd che inizia addirittura con un trittico formato da clean vocals (stile Rammstein), synth e batteria, in un suggestivo e psichedelico impianto sonoro di facile presa, che contribuisce immediatamente a metterci a proprio agio prima della iper melodica spinta black che completa, in modo intrigante, la proposta del trio di Poznań. Coinvolgenti direi, non me lo sarei mai aspettato, devo ammetterlo. E si continua con soffuse melodie anche nel terzo frammento di questo lavoro, una song che sembra lanciarsi in digressioni dark wave interrotte da brevi scorribande black, per un effetto conclusivo davvero interessante. Più violenta e thrash oriented, la quarta traccia che picchia come il classico fabbro, tra nitrogliceriniche ritmiche e rasoiate alla sei corde, prima di abbandonarsi ad una parte più atmosferica a metà brano che ammorbidisce l'approccio qui più nichilistico della band. Risultato positivo, ma in questo modo i nostri sembrano appiattirsi con la moltitudine di band che pullula nella scena. Meglio "Promenada Ciszy 5", dove emerge anche una vena post punk, che confluisce in un sound sempre più strutturato e ricco di sorprese, che in coda va palesemente ad evocare spettri dei Katatonia che furono. E 'Promenada Ciszy', nella sua sesta tappa, propone un pezzo bello acido che chiama in causa con più evidenza, gli amici Shining, sebbene mostri poi atmosferiche infiltrazioni dark post punk. In chiusura dicevo, la cover dei Katatonia è servita. Utile per farmi rivivere emozioni che non provavo da tempo, ma inutile per una rivisitazione non troppo convincente che tuttavia non inficia la mia valutazione finale di questo lavoro. Bravi. (Francesco Scarci)

Dominance - Slaughter of Human Offerings in the New Age of Pan

#PER CHI AMA: Black/Thrash
Ricordate i deathsters italiani Dominance? Ecco quelli di oggi non c'entrano niente, visto che sono polacchi, 'Slaughter of Human Offerings in the New Age of Pan' è il loro debutto, e questi qui suonano poi black metal. Vi ho disorientati a sufficienza? Allora lascio la parola alla musica del trio originario di Szczecin che si propone con otto tracce, 30 minuti e pochi spiccioli di black thrash old-school, pieno di rabbia e sofferenza che si concretizza attraverso le note abominevoli ed efferate di "Battlefield", dotata di un riffing affilato come un rasoio, screaming vocals super caustiche, velocità vertiginose e giusto una parvenza di melodia a completare un quadro che si confermerà assai similare anche lungo la seconda "Blood Countess", song che sfodera tuttavia un poderoso assolo, qualche ritmica più thrashettona ma comunque un sound schietto e privo di troppi compromessi. Le polveri continuano a bruciare in "Deadly Winter", la traccia più breve del lotto, ma che mette in bella mostra un'interessante linea di basso su un'incessante ritmica che vede qualche sporadico rallentamento. La furia nichilistica del trio della Pomerania dell'ovest si fa ancor più largo in "Ritual", un pezzo in cui si avverte maggiormente la vena scandinava (Marduk e Dark Funeral) nelle taglienti linee di chitarra, sparate costantemente a velocità iper mega sostenute, che si protrarranno anche nelle successive e maligne song, che vedono i nostri affrontare nelle loro liriche, guerra, odio e morte, temi ahimè molto di attualità negli ultimi tempi. La summa di tutto questo si concretizza in "Human Holocaust" e il suo incipit thrash old-school (scuola Sodom), a cui si aggancia poi un riffing marcescente di scuola nordica. Il disco insiste su queste coordinate anche nelle ultime song che vanno a sottolineare quanto la band sia radicata in antichi stilemi musicali di cui apprezzarne comunque la solida coerenza. (Francesco Scarci)

martedì 3 ottobre 2023

Apparatus - HM-2

#PER CHI AMA: Death/Black/Grind
Un lavoro di soli 4 minuti e 51 secondi srotolati in ben tre pezzi non credo mi sia mai capitato di recensire, ebbene c'è una prima volta per tutto e la mia prima volta è in compagnia dei danesi Apparatus, folle quintetto di Copenaghen che, con questo 'HM-2', approda al quarto EP della propria discografia (ora vado a controllare anche le durate degli altri lavoretti) a cui aggiungere anche due Lp e un demo. La proposta del combo danese? Il sito dell'Enciclopedia Universale della musica metal parla di "Experimental Blackened Death Metal", e in effetti, ascoltando una dopo l'altra "I", "II" e "III", i tre pezzi che compongono questo mini dischetto, ci sento subito influenze apocalittiche (ecco il blackened) che esplodono però in un bestiale death/grind, con tanto di voci urlate sovrapposte ad altre growl, per una mazzata "in your face" non troppo piacevole. Ecco, non mi è ben chiara la definizione di sperimentalismo ipotizzata dalla band in questa scarna proposta musicale, forse la durata dei brani, e se penso in particolare al terzo, di soli 35 secondi, mi sembra di trovarci schegge grind/hardcore che potrebbero emulare i primi Napalm Death. Ascoltando i precedenti album della band nord europea, questo 'HM-2' sembra più una provocazione che altro, lontano dagli standard sperimentali, jazz, death, doom del passato. A me francamente non è piaciuto. (Francesco Scarci)

Kaal Nagini - Refracted Lights of a Blind God

#PER CHI AMA: Death/Grind
È sempre piuttosto facile recensire questo genere di lavoro, soprattutto se alle spalle c'è un'etichetta come la Iron Bonehead Productions, le cui produzioni sono spesso a senso unico. Fatto sta che questo 12", intitolato 'Refracted Lights of a Blind God' degli indiani Kaal Nagini, potrebbe essere la colonna sonora perfetta per una bolgia infernale, il classico gorgo da cui sarà impossibile fuggire. Si, perchè quando "Nameless Archetype of Pantheonless Antiquity" irrompe nel mio impianto stereo, la sensazione è quella di essere inghiottiti in un buco nero, in un wormhole spazio-temporale, in un maelstrom o in quel diavolo che vi pare, e la cosa più chiarà è da quel luogo ameno, dimenticato da qualunque dio esista, non ne verrete fuori perchè sarete smembrati, scorporati, dilaniati, squartati, fatti a pezzi da una tenaglia cosmica senza precedenti. È chiaro il concetto, credo di essere stato sufficientemente schietto e diretto per dirvi come i quattro pezzi inclusi in questo EP vi tormenteranno l'anima da qui all'eternità con i loro claustrofobici e annichilenti ritmi infuocati, per non parlare di quell'indecifrabile voce demoniaca che non farà altro che aumentare il vostro stato di disagio totale. La band di Kolkata ha preso gli insegnamenti di Altarage, Portal, Ulcerate, Gorguts, Abyssal e Disembowelment (per ciò che concerne le parti più rallentate, tipo nel finale di "Lord of the Two Doors and the Seven Portals"), e le ha portate ad un livello superiore o forse meglio dire inferiore, di nefandezza sonica. Pertanto, vi sentite realmente pronti per essere divorati dall'antro della bestia? Non dite poi che non vi avevo avvertito... (Francesco Scarci)

lunedì 2 ottobre 2023

Black Mold - The Unnatural Red Glow of the Night

#PER CHI AMA: Black/Hardcore
Sei pezzi in poco più di 13 minuti per i portoghesi Black Mold che, in questo 'The Unnatural Red Glow of the Night', propongono musica scritta e registrata in realtà tra il 2019 e il 2020, tra i regni dell'oscurità e la caduta della luce, cosi come riportato nella loro pagina bandcamp. La proposta del nichilista e misterioso gruppo lusitano si muove poi nei meandri di un black punk nudo e crudo che tuttavia, nel corso del suo sviluppo, ha modo di incontrare antri più atmosferici ("Venomous Light") a fronte di un pezzi più schietti e grezzi, anche per ciò che concerne la registrazione, direi piuttosto scarna e lontana da ogni ricerca di bombasticità. Uno dopo l'altro i brani dei Black Mold ci sbattono in faccia un po' come quando in motorino gli insetti si spiattellano contro la visiera del nostro casco. E cosi, prima "The Mark of Sisyphus" e poi "Rudiments of being Human", impattano violente nelle nostre orecchie con chitarre scarnificate ed un cantato rabbioso, ma sempre comprensibile. "In the Forest", "Seclusions" e "Pointed Towards Abstraction" rappresentano pura furia punk hardcore, dove la parola compromesso non è contemplata, dove non si fanno prigionieri, dove la sola legge che conta è quella acuminata dell'arma bianca. Fate pertanto estrema attenzione. È una minaccia e non una raccomandazione. (Francesco Scarci)

giovedì 28 settembre 2023

Sznur - Ludzina

#PER CHI AMA: Black/Thrash
Già autori di quattro album, tornano sulle scene i polacchi Sznur (traduzione per corda) a distanza di un paio d'anni da quel 'Dom Człowieka', già edito dalla Godz of War Productions. Come da linee guida dell'etichetta polacca, ci troviamo di fronte ad un black thrash sparato ai mille all'ora che mostra come unico punto di originalità, una copertina raffigurante una porzione di pelle con alcuni peli (e brufoletti) sopra e nel retro, le sagome dei tre misteriosi musicisti che compongono la band. Ecco, ben poco direi per un lavoro come 'Ludzina' che racchiude sette tracce (tra cui la trascurabile bonus track "Wojna (Defekt Muzgó Cover)" compare solo nei formati fisici) piuttosto piattine. Il disco si apre con le spiazzanti melodie folk-polkloriche di "Kurwy" (traduzione per "puttane") a cui fanno seguito delle rasoiate chitarristiche dotate di un pizzico di melodia che prova a stuzzicare i soli fan della band. Io non sono ahimè tra quelli e mi lancio subito all'ascolto della successiva "Płyny" (traduzione per "fluidi") e ancora una bella dose di schiaffoni in faccia, con un'attitudine che per certi versi mi ha evocato quella degli Impaled Nazarene, ossia sfuriate metalliche, testi decisamente misantropici, a tratti di carattere medico (il che mi ha evocato i Carcass di 'Necroticism...'), ritmiche affilate come pesci barracuda e voci caustiche quanto basta. La recensione si potrebbe chiudere qui, visto che anche le successive "Dwóch", "Pole", "Ul" e "Stosunek" si muovono su binari similari che uniscono un violentissimo black glaciale, qualche variazione vocale, divagazioni black'n'roll che tuttavia aggiungono poco o niente a una scena che inizia a peccare di estrema prevedibilità. Tutto questo, non per dire che 'Ludzina' sia un brutto lavoro, ma non resterà di certo negli annali della memorabile musica black. (Francesco Scarci)

(Godz ov War Productions - 2023)
Voto: 62

https://godzovwarproductions.bandcamp.com/album/ludzina

mercoledì 27 settembre 2023

Aset - Astral Rape

#PER CHI AMA: Esoteric Black
Quanta curiosità avevo nell'ascoltare il debutto degli Aset, nuovo progetto che racchiude membri dei francesi Seth, dei finlandesi Oranssi Pazuzu e di un'altra indefinita band tenuta al momento misteriosa. Dietro ad un progetto cosi ambizioso, anche una etichetta ambiziosa, l'onnipresente Les Acteur de l'Ombre Productions. La domanda cardine è ora "gli Aset incarnano le due band madri o propongono tutt'altro in questo 'Astral Rape'"? Beh, non facile rispondere a questo quesito, visto che ascoltando l'opener "A Light in Disguise", finisco per cogliere più la maestosità dei blacksters francesi piuttosto che la psichedelia dei gods finnici, che comunque si muove nel sottofondo di una proposta che vede come influsso principale i Deathspell Omega (che siano loro la terza band che vuole rimanere nell'anonimato? Banale speculazione la mia, attenzione). Suoni obliqui, completamente sbalestrati, dotati di una certa animosità che si traduce in chitarre sparate a tutta velocità e smorzate da un cantato tra il litanico e l'harsh black. Ecco come si presentano gli Aset. Che il disco graviti nei pressi di un'intelaiatura metallica sghemba è dimostrato anche dalla seconda iconoclasta "Abusive Metempsychosis" che, a fronte di ritmi forsennati, trova in alcuni rallentamenti atmosferici di scuola mesopotamica (penso ai Melechesh), pochi secondi in cui ritemprarsi lo spirito. La discesa negli abissi prosegue con la deviata ma più compassata "A New Man for a New Age", in cui il cantante sperimenta vocalizzi simili a quelli del buon Attila Csihar, e che vede ad un terzo del brano, una super frenata a livello ritmico da cui ripartire più infervorati che mai, grazie ad una rutilante enfasi ritmica. Fin qui tutto bene, ma in tutta franchezza, mi sarei aspettato qualcosa di ben più originale dai nostri, considerata soprattutto la presenza di musicisti schizzato come quelli degli Oranssi Pazuzu e invece, 'Astral Rape', anche nello svolgersi delle successive "Lord of Illusions" (violentissima peraltro nel suo morboso incedere), "Astral Dominancy" e la più sludgy "Serpent Concordat", si conferma un lavoro ordinario, in cui l'unica eccezione sembra essere rappresentata dalla più ritualistica "Force Majeur" che appare più ricercata a tutti i livelli, musicale, atmosferico, e vocale, senza dover per forza puntare sulla furia bieca delle sue chitarre (seppur comunque presente). In soldoni, 'Astral Rape' è un disco interessante ma non troppo, forse penalizzato dall'eccessivo carico di aspettative che ci avevo messo sopra. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2023)
Voto: 70

https://ladlo.bandcamp.com/album/astral-rape

Hell's Coronation - Transgression of a Necromantical Darkness

#PER CHI AMA: Black/Doom
Torna a soffiare il vento gelido dalla Polonia, torna la Godz ov War Productions con un'altra delle sue creature malvagie, ecco a voi gli Hell's Coronation, che con 'Transgression of a Necromantical Darkness', tagliano il traguardo del secondo Lp, a cui aggiungere poi quattro EP, quattro split ed una compilation. Non certo degli sprovveduti quindi i due polacchi di Danzica, uno dei quali è Skogen della band black omonima. La proposta del duo della Pomerania è comunque all'insegna di un black doom soffocante, votato all'occultismo, cosa che si evince peraltro dal negromantico titolo dell'album e dai sei pezzi qui inclusi. Fin dall'iniziale "Spirituality of Burning Black" poi, la band lascia aleggiare quell'alone di malignità nelle sue note e nell'arcigna performance vocale del suo frontman, mentre la musicalità del duo affonda le proprie radici in un black mid-tempo dalle tinte fosche e misteriose, che tuttavia latita dall'evidenziare picchi di sostanziale originalità, tanto meno palesare una spiccata inadeguatezza che spesso oggigiorno contraddistingue una miriade di band. I due musicisti si lanciano quindi in un ambito che in passato ha fatto breccia tra gli amanti del black ellenico, con act del calibro di Necromantia, Varathron e un che dei primi Rotting Christ, senza dimenticare gli albori dei Samael o in fatto di liriche, perchè no, l'esoterismo dei nostrani Abhor o dei Mortuary Drape. In definitiva, quello che mi ritrovo fra le mani è un disco genuino di black metal che non spinge assolutamente mai sull'acceleratore, ma che non vede nemmeno grosse variazioni al tema, che è comunque dotato di una discreta vena melodica e atmosferica, che poggia essenzialmente su una ritmica compassata, e cresce attraverso qualche breve effluvio solistico, con le grim vocals di Zepar (peraltro un factotum strumentale) e qualche trovata percussiva ("Primordial Wrath of Old Death"), che mette in mostra le abilità esecutive del buon Skogen o ancora, un'apertura tastieristica ("From His Blood" ad esempio), che va a mostrare un lato fin qui sconosciuto dei nostri. Per il resto, 'Transgression of a Necromantical Darkness' è un lavoro onesto, senza troppi grilli per la testa che potrebbe aver presa per gli adepti del black dell'ultim'ora. Per chi come me, che ascolta il verbo della fiamma nera da trent'anni, beh, non me ne vogliano gli Hell's Coronation, ma qui ho trovato poco o nulla che possa soddisfare il mio palato. (Francesco Scarci)

(Godz ov War Productions - 2023)
Voto: 65
 

martedì 26 settembre 2023

Thierry Arnal - The Occult Sources

#PER CHI AMA: Drone/Ambient
Se anche per voi è tempo di nottate insonni, incubi notturni, angosce che lacerano l'animo, o pensieri che s'instillano e minano pericolosi la vostra già precaria stabilità mentale, beh allora vi suggerirei di posticipare l'ascolto a tempo debito, di questo 'The Occult Sources', opera ambiziosa del musicista francese Thierry Arnal, uno che in passato ha suonato con Fragment., Amantra, Hast & more, rilasciando i suoi lavori peraltro, su etichette tipo Denovali e Avalance, tanto per citarne un paio rilevanti per gli appassionati. Perchè il mio diretto consiglio iniziale di evitare un lavoro di questo tipo? Semplicemente a causa dei contenuti qui presenti, le cui venti scheggie impazzite di questo lavoro, enfatizzerebbero non poco, le emozioni, i sentimenti, le percezioni negative che potreste aver in seno, rischiando di portarvi quasi al delirio mentale. Non era in effetti il momento ideale nemmeno per il sottoscritto di imbarcarsi in una simile avventura o incubo musicale che dir si voglia, attraverso un flusso musicale che abbraccia paralleli mondi fantastici, esoterici, orrorifici, cibernetici e mistici, che non starò certo qui a svelarvi, tanto meno a descrivere traccia per traccia. Vi basti sapere che i segmenti qui inclusi potrebbero evocare i fantasmi di tre lavori di colonne sonore degli Ulver, 'Lyckantropen Themes', 'Svidd Neger' e 'Riverhead', grazie a quella semplicistica ma altrettanto efficace capacità di coniugare ambient, elettronica, drone e immersivi sperimentalismi avanguardistici, totalmente deprivati di una componente vocale, che qui certo avrebbe stonato. Largo allora a campionamenti in loop, strali cinematici, suoni post-atomici, mondi distopici, onde gravitazionali e altri simili suoni del cosmo più profondo, atti per lo più a trasferire un'insana sensazione di desolazione all'ascoltatore inerme. Preparatevi allora con la giusta tuta spaziale, ossigeno a sufficienza per affrontare una camminata di oltre un'ora nello spazio, uno scudo termico che vi scaldi di fronte al gelo emanato da questi suoni glaciali e sintetici e non mi rimane altro che farvi un grosso in bocca al lupo per la missione che vi apprestate ad affrontare durante l'ascolto di 'The Occult Sources', ne avrete certamente bisogno. Speriamo solo non facciate la stessa fine di 'Gravity'.  (Francesco Scarci)

Chorosia - Stray Dogs

#PER CHI AMA: Sludge/Doom
È un EP di una mezz'ora importante quella della multinazionale che risponde al nome di Chorosia (il cui moniker sul disco lascia intendere peraltro tutt'altro nome). Fatto sta che 'Stray Dogs' è un lavoro che arriva a due anni dal precedente - il secondo - Lp della band viennese (che include membri provenienti da Lussemburgo, Germania, Bosnia e appunto Austria), anche se l'anno scorso i nostri hanno rilasciato addirittura una Live Session di quattro pezzi. La proposta dei nostri si muove all'interno dei confini di certo post metal/sludge che chiama immediatamente alla mente i Neurosis per l'intelaiatura ritmica e le vocals un po' acide del frontman. Tuttavia la traccia d'apertura, nonchè anche title track, nei suoi oltre 10 minuti, palesa porzioni atmosferiche che si affiancano a sfuriate più brutali, senza perder comunque di vista una buona dose di melodia che si esplica in partiture dai toni mediorientali, che evidenziano quindi una certa ricerca musicale da parte dei nostri. Questo sarà ben evidente negli ultimi due giri di orologio di un brano complesso, ben strutturato e dotato di quella capacità di far collidere come sempre l'ossessività dello sludge con il groove dello stoner. Decisamente più thrash metal oriented è invece "The Shrike (Fire Assault)", costruita su un riffone d'annata su cui si inserisce la voce sporca del vocalist e un drumming non del tutto lineare. Fantastico però il cambio di tempo che porta all'assolo conclusivo che ci consegna una band in cui convive un'anima hard rock combinata con una stoner. "Tintinnabula" è il classico elemento acustico-strumentale che funge da raccordo tra la prima metà del disco e la sua seconda parte che include ancora "Reflections" e "Hands, Switchblades, and Vile Vortices". La prima delle due è un'altro pezzone di poco più di dieci minuti che si apre con atmosfere soffuse, un blando crescendo ritmico corredato da timide voci pulite che amplifica la sua veemenza verso il quarto minuto, irrobustendo il quadro ritmico e al contempo inacidendo le vocals, per completare il tutto con un bel vibrante assolo conclusivo che toglie le castagne dal fuoco dall'elevato rischio di intorpidimento mentale nel quale la band si stava infilando. Chiusura affidata infine a "Hands, Switchblades, and Vile Vortices", traccia decisamente più nervosa, rabbiosa e con una combinazione di riff che si dipana tra sludge, death-doom e sonorità oblique di dubbia natura, che chiudono un disco non troppo facile da assimilare, ma che farà comunque la gioia degli amanti del genere. (Francesco Scarci)

(Grazil Records - 2023)
Voto: 70

https://chorosia.bandcamp.com/album/stray-dogs

lunedì 25 settembre 2023

SVRM - .​.​. а с​м​е​р​т​ь в​в​і​й​ш​л​а у т​е​б​е в​ж​е д​а​в​н​о

#PER CHI AMA: Depressive Post Black
Avevo recensito lo scorso anno il loro vecchio EP, ‘Червів майбутня здобич’, ritorna oggi la one-man band ucraina di Kharkiv, con un nuovo brevissimo EP, ‘.​.​. а с​м​е​р​т​ь в​в​і​й​ш​л​а у т​е​б​е в​ж​е д​а​в​н​о’, la cui traduzione starebbe per ‘...e la morte è stata con voi per molto tempo’. Inevitabile che in queste parole si legga tutto il male che si sta perpretando in quelle terre nel conflitto russo-ucraino. Lo stesso male e dolore che ho sentito nelle note delle due song, “I” e “II”, che proseguono con quella mistura di post black, doom e parti atmosferiche che il buon Сергій Ткаченко (aka S., la mente dietro alla band) finisce per trasmettere lungo i sofferenti minuti di questa release. Nulla di nuovo dal fronte orientale, se non un depressive sound, soprattutto nella seconda “II”, che gronda rabbia nell’accelerazione post-black delle sue chitarre, disperazione dalle parti di tastiera e morte dalle grim vocals del mastermind ucraino, a cui dare sicuramente un significato e non lasciar scivolare via. (Francesco Scarci)

(Self – 2023)
Voto: 66

https://svrm.bandcamp.com/album/--11

martedì 19 settembre 2023

Steamachine - City of Death

#PER CHI AMA: Groove Death/Metalcore
Con un incipit di "pensees nocturnes" memoria, si apre l'album dei polacchi Steamachine, 'City of Death'. Se la title track nonchè traccia d'apertura, ci dice che siamo nei paraggi di un death melodico dai tratti piuttosto compassati, tanto che sembrerebbe addirittura una lunghissima intro tra scanzonati cori, riffing di circensi reminescenze, e vocalizzi growl, la successiva "Show of Death" sembra meglio demarcare i tratti di questo stralunato quartetto. La song infatti, un filo più robusta, ritmata e dinamica della precedente, apre con scoppiettanti e marcati riff pregni di un esorbitante quantitativo di groove e deliziose melodie che trovano in un breve break atmosferico, il punto di ristoro del brano. Voler però catalogare a tutti i costi la proposta dei quattro musicisti originari di Olsztyn, peraltro al loro secondo album in due anni, potrebbe però essere oltremodo oltraggioso, data l'eccelsa capacità di far transitare più generi nella stessa cruna dell'ago, che vanno da sporadiche capatine black al deathcore progressivo e l'esempio più calzante potrebbe essere rappresentato da "Monsterland", senza tralasciare death, dark, prog, metalcore, steampunk, alternative e thrash metal. A proposito di quest'ultimo ecco che "Sinister Reflection" sembra far confluire influssi industriali sopra un rifferama thrash metal oriented, con tanto di voci nu-metal e sonorità parecchio sinistre, cosi come vuole il titolo. Robusta, cattiva, acida nelle sue partiture vocali (sebbene corredata da clean vocals che andrebbero invece riviste) è invece "Acrobats of the Abyss", che tuttavia nel corso dell'ascolto mostra parti sperimentali di synth e keys che si abbineranno ad una costante ricerca di cambi di tempo. La song poi s'interrompe bruscamente per lasciar posto alla più oscura "Journey of Madness", piacevolissima da un punto di vista musicale, ma che lascia intravedere che forse l'elemento debole della band sia la voce, qui lontana dall'essere convincente. Molto meglio invece nella più pazza e schizoide "Toys Factory", che chiude brillantemente con le sue più malinconiche melodie il disco, prima delle tre bonus track "The Book of War" I, II e III, che altro non sono che i tre pezzi inclusi nell'EP uscito a maggio di quest'anno, tre brani che palesano un mood più orrorifico e tenebroso e che nella parte II vede peraltro un fantastico assolo messo in mostra. Gli Steamachine sono una bella band che davvero non conoscevo, she sembra avere qualche punto in comune con i Pyogenesis di 'A Century in the Curse of Time', ma con una maturità e personalità davvero invidiabili. (Francesco Scarci)

domenica 17 settembre 2023

Palmer Generator - Ventre

#PER CHI AMA: Instrumental Psych/Math Rock
È il terzo lavoro dei Palmer Generator che mi appresto a recensire. Dopo lo split con i The Great Saunities e l'album 'Natura', eccomi qui a parlarvi oggi di 'Ventre', quinta fatica della famiglia PG (vi ricordo infatti che i membri della band marchigiana sono padre, figlio e zio). Ancora quattro i pezzi che compongono questo disco (come fu per 'Natura') per una durata complessiva di 39 minuti, quindi pronti per delle mezze maratone musicali? È un inizio comunque lento ma progressivo quello del trio di Jesi, con le melodie di "Ventre I", un pezzo di quattro minuti e pochi spiccioli, di sonorità ipnotico-strumentali, che ammiccano a destra e a manca, a tutte quelle che rappresentano palesemente le influenze musicali dei nostri, dal psych-math rock, al noise e il post rock. Non manca quindi niente per chi è avezzo a questo genere di suoni, che in questo caso, si confermano comunque tortuosi e un po' ostici da digerire nelle loro oscure dilatazioni spazio-temporali. Se il primo brano ha una durata "umana", già con "Ventre II" ci dobbiamo preparare a 10 minuti di sonorità più psichedeliche: l'apertura è affidata ad un semplice ma disturbante giro di chitarra che per oltre 120 secondi riesce nell'intento di intorpidire le nostre fragili menti. Poi parte un riffing circolare, dal mood un po' introverso, che continuerà un'opera di rincoglionimento totale per dei cervelli già comunque in panne. Lo dicevo anche ai tempi di 'Natura' che i suoi suoni ridondanti ci trascinavano in un vortice sonico da cui era difficile uscirne integri mentalmente, non posso far altro che confermarlo anche in questo nuovo disco, che trova comunque modo di stemperare i suoi loop infernali con porzioni sonore più oniriche, come quelle che aprono "Ventre III", una montagna da 15 minuti da scalare, riempita in realtà nei suoi primi cinque giri di orologio, da una blandissima spizzata strumentale che va tuttavia lentamente crescendo, irrobustendosi, e al contempo dilatandosi e diluendosi in strali psichedelico-siderali (mi sembra addirittura di udire una sorta di vento galattico dal decimo minuto in poi) che si dissolveranno in suoni dronico/ambientali nei suoi ultimi tre minuti. In chiusura, i nove minuti di "Ventre IV" che gioca su una robusta altalena sonica di "primusiana" memoria, tra giochi in chiaroscuro di basso, chitarra e batteria che approderanno ad un flebile e compassato atmosferico finale. Bella conferma, senza ombra di dubbio. (Francesco Scarci)

(Bloody Sound Fuctory - 2023)
Voto: 75

https://palmergenerator.bandcamp.com/album/ventre 

sabato 16 settembre 2023

Post Luctum - Covers EP

#PER CHI AMA: Death/Dark/Doom
Non so se siano finite le idee o cosa, ma in questo periodo mi sono capitati già diversi album ricchi di cover. Quello degli americani Post Luctum, lo trovo forse più affascinante, perchè suonare “A Forest” dei The Cure in una versione vicina ai Paradise Lost di ‘Icon’, è tanta roba. D’altro canto, la one-man band statunitense si cimenta nel death doom e quale brano migliore poteva stare in questo ‘Covers EP’, se non uno dei classici dei Cure più oscuri e darkeggianti? Perchè poi non fare meglio e coverizzare proprio un pezzo di Nick Holmes e soci, ossia quella “Joys of the Emptiness”, inclusa in quel meraviglioso ‘Icon’ che, per quanto mi riguarda, rappresenta l’apice della band di Halifax. La riproposizione è perfetta, fedele all’originale, anche a livello vocale. Che spettacolo riascoltare un brano che ha contribuito alla mia crescita di metallaro. Nel frattempo si arriva al termine di questa breve cavalcata di cover che ci porta a “Lucretia, My Reflection” dei Sister of Mercy e a una band che ha permesso a band, i Tiamat giusto per fare un esempio, di diventare grandi. E il cantato sofferente e sussurrato del vocalist, qui non potrà non evocarvi quello di Johan Edlund in ‘A Deeper Kind of Slumber’. Poi il brano dei Sister of Mercy dovreste anche conoscerlo, con quel basso pulsante iniziale, sonorità post punk anni ’80, qui riproposte in una versione più attualizzata, corredata peraltro da growling vocals, in linea con la proposta dei Luctum. Insomma, una decina di minuti per riassaporare vecchi brani del passato. (Francesco Scarci)

Anomaly - On the Cursed Wings of Stolas

#PER CHI AMA: Melo Death
Un po’ di aria fresca dagli States in compagnia degli Anomaly e del loro death progressivo parecchio ispirato. Il quintetto di Milwaukee ci propone il loro nuovo ‘On the Cursed Wings of Stolas’ a distanza di poco meno di un anno da quel ‘Somewhere Within the Pines’ che ben aveva impressionato la critica. Il dischetto si apre con i fraseggi della title track, tiratissima nella sua intelaiatura metallica, interessante nella sua porzione melodica e soprattutto nelle parti atmosferiche che interrompono quelle cavalcate sparate ai mille all’ora da parte del quintetto del Wisconsin. Accattivante anche l’uso di una voce cibernetica che fa da contraltare al growling del frontman Neil Tidquist, cosi come pure notevole è la performance a livello solistico, che per certi versi mi ha evocato gli svedesi Scar Symmetry cosi come pure l’utilizzo dell’elettronica che conferisce un certo senso cinematico alla song. Più rocciosa “Beyond the Kardashev Scale” nelle dinamitarde ritmiche e in un refrain chitarristico ubriacante grondante tonnellate di groove, anche laddove rallenta i giri del motore per alcuni secondi. Tutto infatti è lanciato a velocità supersoniche senza comunque mai perdere di vista la melodia, elemento imprescindibile dell’act nord americano, quasi quanto il lavoro eccelso a livello delle chitarre, in grado di regalarci spesso splendidi assoli interrotti da break atmosferici. “Architect” mantiene il ritmo infernale inalterato, sciorinando un rifferama graffiante ma melodico, cercando di ipnotizzarci al contempo, con il lavoro alle keys e fustigandoci con un drumming incessante e fantasioso, in grado di confermare le ottime sensazioni avute sin qui, durante l’ascolto di questo brillante lavoro di melo death. (Francesco Scarci)

domenica 10 settembre 2023

Myrdød - Consciousness 6​.​337​.​9664

#PER CHI AMA: Black/Death/Grind
I Myrdød non li conoscevo, nonostante abbiano sul groppone già tre Lp e sei EP, incluso questo ‘Consciousness 6​.​337​.​9664’. Un lavoro, quello della band di Bethlehem – Pennsylvania, che sprigiona tutta la maligna forza black death del duo formato da Søppelskaler e Fractal Creature. Si parte con l’atmosferica intro per poi lasciarsi travolgere dalla furia dirompente di un sound che sembra ammiccare in primis ai Morbid Angel, in una versione più destrutturata e schizoide, con tanto di vocals che si muovono tra lo screaming, il growling e il pig squeal. Le ritmiche sono serratissime, dall’urticante “Invisi-Tomb” fino alla più grind/sperimentale “Flesh Shelter” (il cambio di tempo nel finale è ai limite del delirio), passando per la più controllata (vi prego, passatemi il termine) “Force of Ungloth”, in una sequenza ubriacante di ritmiche sparate in your face e cesellate da un lavoro alla chitarra solista (e un basso in sottofondo che macina km e km a braccetto con una batteria al limite del disumano) che aprono ad ampi margini di crescita per il duo statunitense. Mi preme come sempre sottolineare che non abbiamo nulla di originale in mano ma, se vi piacciono sonorità in linea con Morbid Angel, Anaal Nathrakh, Cattle Decapitation e compagnia bella, beh una chance a questi pazzi scalmanati, la darei anche. (Francesco Scarci)

(Shadow Speculum Productions – 2023)
Voto: 66

https://myrdod.bandcamp.com/album/consciousness-63379664

sabato 9 settembre 2023

Ævangelist - Palaces in the Æther

#PER CHI AMA: Black/Death
Con gli Ævangelist faccio sempre un gran casino nel capire se stiamo parlando della band finlandese o di quella americana, poi fatalità decidono puntualmente di far uscire i loro album in modo concomitante. Speriamo risolvano al più presto le loro beghe legali e si riesca ad avere un’unica band. Quella di oggi è comunque la formazione di Tampere, quella guidata dal buon Matron Thorn (Benighted in Sodom, ex Bethlehem e Leviathan), che propone un nuovo EP, ‘Palaces in the Æther’, dopo essere uscita non più di due mesi fa con ‘X​α​ρ​ί​σ​μ​α​τ​α’. E il tetro, caotico e scomposto sound dell’ensemble nordico torna a colpire in quest’unica traccia, che apre con quella che pare essere la voce di una sirena pronta a voler ammaliare l’ascoltatore incauto, prima di gettargli addosso quel magma sonoro che in tutte le sue forme, caratterizza da sempre il moniker Ævangelist. E quindi, largo al caos sonoro, un viaggio diretto nel centro delle viscere della Terra dove affrontare bestie demoniache (le vocals di Matron Thorn sono assimilabili a quelle di una mostro infernale) immersi in un maligno calderone infuocato dove trova forma il black spaventoso, obliquo, mefitico, terrificante, e allo stesso tempo cosi affascinante di questa band. Quel senso di totale frastornamento che provo quando ascolto una release di questi pazzi scatenati lo potrei provare solamente quando con l’altra loro versione americana, anche se, in tutta franchezza, devo ammettere di apprezzare maggiormente questi Ævangelist, cosi psicotici, nichilisti e alienanti. (Francesco Scarci)

Ibridoma - Norimberga 2.0

#PER CHI AMA: Heavy/Thrash
Ci arriva con oltre un anno di ritardo l'ultimo lavoro dei marchigiani Ibridoma, intitolato 'Norimberga 2.0'. Un lavoro, il sesto per la band, che mantiene inalterate le caratteristiche di base del combo italico, ossia un heavy metal bello tosto, cantato prettamente in inglese ma con qualche eccezione in italiano (ad esempio nella palesemente influenzata dai Megadeth - era 'Countdown to Extinction' - "Ti ho visto andare via"). Il full length si muove lungo dieci pezzi che dall'iniziale e già citata "Ti ho visto andare via", giunge alla conclusiva "Eyes of the Stranger", in quasi 40 minuti di sonorità che confermano quanto i nostri siano a tratti solidi e rocciosi nella loro proposta, genuini e forse per questo ancora un po' troppo poco maliziosi, nonostante 20 e passa anni di carriera. Con questo voglio dire che sebbene ci siano sonorità interessanti, belle linee di chitarra o taglienti assoli, buone melodie (e penso a pezzi come "Woman From the Stars", la massiccia title track, con tanto di voci growl, o ancora alla carica di groove "House of Cards"), trovo ci siano cose che suonano troppo obsolete in un contesto musicale che è in costante e rapidissima evoluzione. Le vocals del buon Christian Bartolacci ad esempio, fatico a digerirle, troppo ancorate ad un passato italico che vedeva la figura dei vocalist sempre deficitaria e qui, in tutta franchezza, la voce acuta del frontman sembra essere ancora l'elemento penalizzante per i nostri. Non me ne voglia la band, forse non sarò avezzo al loro sound, ma senza il cantato di Christian e con un qualcosa più personale e di impatto a livello musicale, li avrei ascoltati molto più volentieri. Poi c'è il problema di quei brani più mollicci, leggasi "Coming Home", "Where Are You Tonight" o la conclusiva "Eyes of the Stranger", che proprio mi portano a sbadigliare dall'inizio alla fine, fatto salvo per eventuali bridge e assoli di chitarra. Poi il quartetto si riprende lo smalto migliore con una più arrembante "Into this Sea" che mi evoca spettri di Annihilator, Pantera e ancora Megadeth, soprattutto in alcuni episodici utilizzi della voce. Risultato godibile per carità, ma avrei gradito qualcosa di più ricercato, sfrontato direi e accattivante altrimenti, esaurito un paio di ascolti, il cd rischia di finire nel dimenticatoio dove conservo altre tonnelate di dischi. Ci pensa tuttavia l'ottima ritmica di "Pandemia" a restituire quel filo di positività che mancava al lavoro, anche se le corde vocali del cantante, meriterebbero qui una revisione. Il disco alla fine non è malvagio, soprattutto a livello tecnico-compositivo. Certo, necessiterebbe di una serie di aggiustamenti a molteplici livelli, ma sono certo che i fan degli Ibridoma, che nel frattempo l'album, in questo anno abbondante, devono averlo ascoltato e consumato, non se ne lamenteranno. Quelli che invece si avvicinano alla band per la prima volta ecco, se non hanno un background profondo come quello del sottoscritto, beh un ascolto potrebbero anche darlo. Chi vive invece di pane e metal sin dagli anni '80 (e parlo ancora del qui presente), di lavori del genere ne ha ascoltati a bizzeffe e preferisce ancora oggi i più datati originali. (Francesco Scarci)

(Punishment 18 Records - 2022)
Voto: 64

https://ibridoma.bandcamp.com/album/norimberga-20