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giovedì 1 maggio 2014

The Great Old Ones - Tekeli-li

#PER CHI AMA: Post Black, Altar of Plagues, Blut Aus Nord, Deafheaven
Ne avevo ricevuto un breve assaggio sul sito web della band e già stavo pregustando l'ascolto del full length. Finalmente ho fra le mani 'Tekeli-li', secondo atto dei francesi The Great Old Ones (TGOO) che tanto successo hanno riscosso, nei meandri dell'underground, col precedente 'Al Azif', tanto da creare una profonda attesa per il loro come back discografico. Non so se sia per il recente scioglimento degli Altar of Plagues o cos'altro, ma spasmodica è la ricerca di una band degna di questo nome che possa collocarsi nei cuori dei fan, per sostituire il mostruoso act irlandese, ormai andato. E questa volta la nostra ricerca pare essere andata a buon fine. I TGOO hanno colpito nel segno con uno splendido lavoro di sei pezzi, già di per sé magistralmente confezionato (bello il digipack, ancor di più il doppio Lp). Ma veniamo al roboante incedere dei brani che dopo la delicata intro, si materializzano in musica con "Antarctica", minacciosa song che delinea immediatamente il ruvido approccio post black del quintetto di Bordeaux, il cui concept si rifà ancora una volta al buon vecchio H.P. Lovecraft e al lamento, appunto il 'Tekeli-li', dei suoi mostri immaginari, gli Shoggoth (per ulteriori dettagli però, vi rimando alla lettura de 'Alle Montagne della Follia'). L'attacco è pesante e limaccioso, un effluvio di dolore perpetrato con lentezza disarmante, che ci prepara al fragoroso attacco che sarà inferto da li a poco, con le chitarre malate che sembrano fuoriuscire dalle viscere dell'inferno, confermando le già eccellenti (e malefiche) sensazioni che avevo avuto dall'ascolto del precedente album. Il vento soffia timido in "The Elder Things", song che mostra un lato più riflessivo dei TGOO, segnato da linee melodiche a cavallo tra il depressive e il black cascadiano, in un vortice sonoro che assume i connotati della doppia elica del DNA e cresce cresce, mutando in cancerogeniche cellule che conducono alla formazione di un mostruoso essere, lo Shoggoth, creatura amorfa dal catramoso aspetto esterno. Cosi come quel venefico ameba, la musica dei TGOO si plasma portando terrore e oppressione, complice anche le tenebrose ambientazioni e le orrorifiche vocals di Jeff Grimal, che nella successiva "Awakening" blatera qualcosa in francese, mentre la musica si propaga funerea come un blob assassino. Mancava una componente funeral nella matrice musicale del 5-piece dell'Aquitania e direi che qui calza a pennello, contribuendo ad alimentare quell'innato senso d'angoscia che l'ascolto di 'Tekeli-li' genera fin dalle sue note iniziali. Assai convincente però è l'evoluzione di questo brano che tra sfuriate black, rallentamenti parossistici, intermezzi psichedelici, harsh e clean vocals, forse si presenta come la traccia più varia della release, che sicuramente farà la gioia di chi ama Blut Aus Nord, Wolves in the Throne Room e Deathspell Omega, nomi di un certo spessore che decretano il raggiungimento di una invidiabile maturità artistica anche da parte dei TGOO, sebbene i soli 2 album all'attivo. Mentre sono qui a elaborare sensati pensieri, esplode la funambolica e strumentale "The Ascend", un aggressione sonora all'arma bianca, selvaggia e quanto mai avvincente, che dopo essersi scaricata, trova un po' di pace nei suoi 90 secondi finali. Pronti per la maratona conclusiva? Mancano infatti i quasi 18 minuti di "Behind The Mountains", ultimo monolitico atto che a fronte di un acustico prologo, trova ben presto modo di sfociare in violente scorribande black, in grado di alternarsi a squilibrati e schizoidi cambi ritmici, intimistici e malinconici break arpeggiati sorretti da urla ferali, dando dimostrazione di classe ed eleganza. Ebbene, non saprei che altro aggiungere se non che i The Great Old Ones possono essere dei predestinati. Mostruosi. (Francesco Scarci)

(Ladlo Productions - 2014)
Voto: 85

http://www.thegreatoldonesband.com/

sabato 19 maggio 2012

The Great Old Ones - Al Azif

#PER CHI AMA: Post Black, Wolves in the Throne Room, Altar of Plagues
La Francia continua a mietere vittime, non c’è dubbio. La corrente musicale che si è sviluppata nel paese d’oltralpe è di primissimo livello e sono fermamente convinto che abbia ormai scalzato i paesi nordici dal trono che occupavano fino a qualche anno fa in ambito estremo. Non posso esimermi anche questa volta di non citare le band grandiose che popolano l’underground “galletto”: Blut Aus Nord, Deathspell Omega, fino agli ultimi mirabolanti Pensées Nocturnes e Alcest, solo giusto per citarne alcuni, perché la lista sarebbe infinita. E oggi, ancora un’altra band proveniente dal paese dei nostri cugini, precisamente da Bordeaux. È il turno dei The Great Old Ones, portentoso five-pieces, dedito ad un post black di derivazione statunitense, scuola Wolves in the Throne Room, giusto per darvi un indizio di massima. Inutile negare che poi l’ensemble ci metta molto del suo, proponendo nella propria line-up ben tre chitarristi, il cui compito è quello di ergere un muro sonoro violento, maligno ed evocativo, che si esplica egregiamente nel corso dei suoi sei pezzi qui contenuti. D’altro canto, il titolo dell’album, “Al Azif” non lascia margini di interpretazione, trattandosi infatti del titolo originale in arabo, del famigerato “Necronomicon”, il testo di magia nera, uscito dalla penna di Howard Phillips Lovecraft, quindi che cosa meglio di un esempio di black metal diabolico per narrare tutto ciò? La band transalpina pertanto percorre il sentiero della fiamma nera, affidando il tutto a sonorità oscure, selvagge che trovano tuttavia sprazzi di quiete in frangenti che sfiorano il post rock o lo shoegaze (assai palese in “Jonas”). Eccolo quel qualcosa in più che va ben oltre la già valida proposta degli americani WITTR, perché a mio avviso i The Great Old Ones, hanno sicuramente molto da offrire, ben più degli esimi colleghi d’oltreoceano: i suoni avantgarde dei nostri si fondono inequivocabilmente con la furia cieca del black più bieco, in un sound che puzza di morte, complice sicuramente una registrazione cupa che non lascia trasparire altro che sensazioni negative. Angoscia, malinconia, senso di soffocamento (l’inizio di “Rue d’Auseil” non è niente male a tal proposito) impregnano “Al Azif”, un album il cui solo tenere in mano il cd, trasmette sensazioni poco rassicuranti. Sei songs, sei capitoli che potrebbero tranquillamente fare da colonna sonora ai vostri incubi più reconditi, esplicati attraverso le malvagie vocals di Jeff Grimal, accompagnato dalle coreografiche ed efferate pulsioni sonore degli altri componenti della band che candidano i The Great Old Ones ad essere una delle sorprese dell’anno in ambito estremo. Le melodie fangose dello sludge, le turbe psichedeliche dettate da un riffing estremamente ricercato, gli ottimi arrangiamenti, gli inframezzi acustici, la complessità di song altamente strutturate, un packaging limitato a 300 copie davvero interessante, contribuiscono a rendere “Al Azif” un album sicuramente appetitoso agli amanti del genere, a chi segue un genere che sta trovando la sua massima affermazione in act quali Altar of Plagues o i new comer californiani Deafheaven che da poco hanno solcato il suolo italico in compagnia dei Russian Circle. Insomma, a parte tutte queste divagazioni, avrete capito che sono entusiasta di fronte alla proposta di questa ennesima band transalpina; un complimenti anche alla Ladlo Production che continua la sua opera di ricerca intelligente nell’underground europeo, dopo aver assoldato nel suo rooster i belgi Cult of Erinyes, sempre recensiti su queste pagine. Maledetti! (Francesco Scarci)

(Ladlo Productions)
Voto: 85