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lunedì 7 luglio 2014

Demonic Slaughter – Downfall

#PER CHI AMA: Black/Thrash, 1349, Pest, Belphegor, Mayhem
Per la Pagan Records è consuetudine portare alla luce band estreme sia nel suono che nel concetto musicale, quindi, non stupisce affatto la presenza di questo combo polacco (di Lublin) assoldato tra le proprie fila con un album durissimo e carico di tensione dal titolo 'Downfall', ultimo parto dei Demonic Slaughter attivi dal 2006 e arrivati nel 2013 con questo lavoro, al quarto full leght. Dicono di ispirarsi al black puro di Norvegia e nonostante la distanza che li separa geograficamente, nulla li discosta dai colleghi scandinavi per drammaticità sonora e interpretativa alla scuola. Di fatto stiamo parlando di un intenso black metal classico con belle aperture al thrash e una voce roca, malata e lacera salmodiante litanie nere che spopola per apparizione nei brani e che li rende omogenei e ipnotici. Certo, non stiamo parlando di psichedelia, ma di una forma narrativa particolare che induce con il contorno musicale, cavalcato per altro da chitarre molto interessanti, ad una sorta di catarsi nichilista atta a far emergere tutti i nostri lati più oscuri, un po' come alcuni brani dei Mayhem. Forse i brani nel totale risulteranno alquanto ripetitivi ma in 'Downfall' nulla è lasciato al caso e per assorbirlo meglio è chiaro che bisogna immergersi a fondo e magari riuscire nell'intento di ascoltarlo tutto in un sol boccone. "Martwa Cizsa" e "Darkness" sono due brani attraenti con quel tocco di rock gotico e d'atmosfera che si rifà ai migliori Forgotten Tomb e quella variazione al pulito epico molto ispirata del canto li rende i due migliori pezzi della raccolta. Così a tutti gli effetti, li potremmo raccomandare ai fans di Mayhem, 1349, Pest e Belphegor, sicuri di regalare un' ottima boccata di nero ossigeno color inferno. Da ascoltare. (Bob Stoner)

(Pagan Records - 2013)
Voto: 70

Abyssal - Novit Enim Dominus Qui Sunt Eius

#FOR FANS OF: Death/Black/Doom Metal, Mitochondrion, Impetuous Ritual
An emerging name in the recent Black Metal underground, the UK outfit bearing the name Abyssal is quickly growing in stature no thanks in part to albums like this one, one of the more impressive outings in the genre lately. Forging an obscure mixture of Death and Black Metal just at a pace more akin to Doom Metal, this sets up a rather curious mix since all three can be mixed together in small doses yet here they come together quite well as the main focus is on Blackened Death Metal. Dark passages, intense patterns and tremolo-picked rhythms flow freely throughout the album, and when mixed with the intense rhythm section full of relentless blastbeats, dramatic fills and a loud, thumping bass-line that adds a heaviness to the whole ordeal, this becomes an insanely chaotic framework to work with. At times utilizing more of a chugging riff-work that sounds right at homes with the more traditional Doom riffing that produces massive, churning patterns of dark, plodding paces with plenty of blasting drum-beats and furious riffing that all combine into a rather impressive and dark sound-scape. Other times, this seems content to offer up more straightforward pieces that meld a truer blackened Death Metal stamp on the proceedings, whipping whirlwind drumming and scorching, up-tempo riffing together for an extended run that offers plenty of enjoyment through the rather calculated mixture between the sprawling Doom chugs and incessant buzzing that helps make this release more atmospheric and dark than most traditional elements would ever offer. After a mere minute-long intro of discordant noise, proper first-song "The Tongue of the Demagogue" blasts through with intense drumming and vicious riffing that sets a high standard immediately against the sprawling pace, obscure instrumentation and unrelenting darkness that sweeps through the epic piece, setting the stage incredibly well for the onslaught to come. The more intense blasting of "Under the Wretched Sun of Hattin" gives more of a Death Metal feel before the churning Doom riffs come sprawling in to slow it down to a crawl before blasting back into action in the later half, effectively making this a big stand-out track as well. The wailing sounds of "Elegy of Ruin" lead right into the blasting fury of "The Headless Serpent," the best track here as the sudden change-over into the Doom riffing sets up a series of chaotic and memorable riffing that sets this one apart from the others here for its’ darkness and speed. "A Sheath of Deceit" comes close to matching the intensity and fury of the previous track and really stays up-tempo enough to work in some insane blasts and relentless leads following plenty of hellish, discordant riffing patterns which gives this two stand-out superb tracks in a row. That they’re the shorter tracks on this does offer up some pretty sharp clues about the band. One more pointless noise-collage interlude, "A Malthusian Epoch" begins sporting it’s Doom influences with some sprawling patterns and incessant buzzing riff-work before speeding into some tight, furious blasting that tries to lift the pace up but gets swallowed whole in the churning, heavy chugging that carries on throughout, leaving it a solid if unspectacular effort. Thankfully, "As Paupers Safeguard Magnates" brings about more energetic patterns and vicious riff-work even though it’s still in the league of featuring incredibly heavy, droning riffs, plodding Doom sections that actually border close to Sludge and a variety of organic, crushing tempo changes throughout the epic length, again being an album highlights. Ten-plus minute instrumental "Created Sick, Commanded to be Well" offers over-the-top progression, plenty of devastating drumming and a variety of riffing patterns from epically slow, droning marches to dry, atmospheric lulls to frantic buzzing to dynamic thrashing that gets a lot right but still ends up as not that enjoyable due to the extreme length. Finale "The Last King" returns to the darkened, blasting Doom with some frantic guitar rhythms and crushing patterns that keeps this a furious blast and sending it off on a high note. Really, all that really seems wrong with this darkened opus is the extreme lengths which can lead to places where it just drones on and on that can lead to boredom, but this is still a top-notch, quality release. (Don Anelli)

(Self - 2013)
Score: 85

This is not a Brothel - S/t

#PER CHI AMA: Stoner/Rock, Kyuss, Queens of the Stone Age
I This is not a Brothel (TINAB) nascono a Caserta nel 2011 e si buttano nella mischia lavorando su materiale e suoni, riuscendo a lanciare questo debut album all'inizio del 2014. Oltre ai soliti sacrifici, il tutto è frutto del "sacro graal" del moderno musicista, il crowdfunding. Infatti la band si è portata a casa un discreto gruzzoletto che gli ha permesso di produrre un buon cd dalla qualità audio più che discreta. Registrazione e mixaggio sono stati fatti nel bel paese, mentre per il mastering hanno preferito spostarsi negli USA, valida alternativa per avere un sound che possa richiamare le band a cui si inspirano i nostri. Tra la lista dei loro preferiti si trovano band stoner per definizione (QOTSA, Kyuss), grunge (Pearl Jam) e alternative/post punk (Artic Monkey), ma di fatto le influenze e i suoni sono più morbidi. Infatti, brani come "Zany Zoo" si basano su riff carichi ma mai arroganti, lo stesso cantato è quasi fin troppo educato per i palati più esigenti. La canzone prende una buona piega verso la fine dove chitarra/basso e batteria cavalcano in sintonia, aumentando la carica sonora, ma ormai siamo alla fine e dobbiamo sperare in un brano successivo. "Domino Falls" inizia con un riff di chitarra quasi brit con un assolo molto flebile ad accompagnarlo. L'entrata della voce in stile Deftones, spazza via le apparenze e richiama invece un gruppo svedese a me e a Franz molto caro (i Lingua), portando quindi le sonorità dei TINAB lontane dallo stoner classico. Anche il break a metà brano risulta soft e strizza l'occhio alle ballate rock classiche. Poi tutto riprende con un po' più di carica, ma quello che continua a non convincere sono proprio i suoni di chitarra. Avrei optato per un suono più potente e compatto, tipo quello del brano successivo "Immaculate". Infatti la traccia viaggia veloce e potente, facendoci dimenticare alcune imperfezioni sentite in precedenza e regalandoci cinque minuti di buon sound. Basso e batteria sgomitano e determinano la buona riuscita della canzone, mettendoci anima e corpo per riuscire a trascinare l'ascoltatore e portarlo a saltare sotto il palco. Quest'album è una discreta prova delle capacità tecniche e artistiche dei TINAB che dimostrato comunque una certa maturità e mostrano la grinta giusta per lavorare bene. Con qualche aggiornamento possono sicuramente produrre del buon materiale che li distingua e li renda un gruppo e non solo un numero nel mare infinito delle produzioni underground. (Michele Montanari)

(Produzioni dal Basso - 2014)
Voto: 70

The Pit Tips

Don Anelli

Alterbeast - Immortal
Warfather - Orchestrating the Apocalypse
Mistress - Brains and Bruises

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Francesco "Franz" Scarci

Anathema - Distant Satellites
Hercyn - Magda
Ifing - Against This Weald
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Kent

Pallbearer - Sorrow And Extinction
Conan - Blood Eagle
Altar Of Plagues - Teethed Glory and Injury
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Claudio Catena

Mastodon - Once More Round the Sun
Explain - Just the Tip
Turbonegro - Retox
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Bob Stoner

The Bellerophon Project - Mental Abscess
Cephalic Carnage - Lucid Interval
Agalloch - The Serpent and the Sphere
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Filippo Zanotti

Aeons Confer – Symphonies of Saturnus
Ea - A Etilla
Opeth - Still Life
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Mauro Catena

Hawkmoth - Calamitas
Estoner - The Stump Wil Rise
Afghan Whigs - Do to the Beast

mercoledì 2 luglio 2014

Aphonic Threnody – First Funeral

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Mournful Congregation, Skepticism, Mono
La band italo-inglese ci porge il loro primo full lenght, uscito sotto le ali protettrici della Avantgarde Music nel 2013, e ci accompagna nella zona più buia del funeral doom, in maniera originale e determinata. Debitrice nel sound dei maestri del genere, 'First Funeral' si distingue per un sound ferale, maligno e glaciale. Il contesto è arcano, infangato nelle paludi del destino più tetro e geneticamente occulto e depressivo, proprio come da canoni preimpostati dal genere. La prova è di elevata maturità e trova nelle parti più lente e atmosferiche la giusta causa per un lavoro tutto da amare. Non prevalentemente drammatico, essenzialmente votato ad un romanticismo sonico e noise che lo estrae dal solito profilo di doom band. Le chitarre creano mantra sonori malinconici ed ipnotici che legati al rallentare delle ritmiche e ai drone inseriti con discrezione, lasciano forme sognanti di oscuri presagi, raccontati da una voce sgraziata e gutturale quanto basta per entrare nella coltre di nebbia più densa. Tutto il lavoro esalta le doti del genere, che fa contrarre lo stomaco e mordere le labbra come se qualcosa o qualcuno fosse venuto a mancare inspiegabilmente ed è proprio qui che la forza della band esprime tutto il suo carattere musicale. Le composizioni sono sulfuree e magiche con una componente marcatamente mistica, create per forzare il bisogno di occulto nell'ascoltatore. Un suono sofferto e ricercato, molto rock, malato, con una matrice quasi cinematografica, come se vi fosse un ponte che collega il funeral al post rock, composizioni geniali che intrecciano le forme più cristalline e classiche del genere con un suono più moderno e noisy, rendendo il tutto catartico e spettrale. Il perfetto punto d'incontro tra i mitici Skepticism, i Mono di 'Hymn of the Immortal Wind' e i Mournful Congregation. Ascoltate gente, ascoltate! (Bob Stoner)

(Avantgarde Music - 2013)
Voto: 75

Atlas Volt – Eventualities

#PER CHI AMA: Alternative, Hard-Prog, Porcupine Tree
C’è un motivo per cui non amo i concorsi di bellezza, per cui la Miss di turno non riesce praticamente mai a colpire la mia fantasia, per cui li trovo il piú delle volte grotteschi e molto tristi. Non dico che sia sbagliato in assoluto, ma voler giudicare la bellezza con dei parametri arbitrari e assurdamente limitanti, semplicemente, non fa per me. Ecco perchè, forse, rimango freddino davanti a questo EP d’esordio degli Atlas Volt, duo anglo-americano di stanza a Malmö, Svezia: nonostante ne apprezzi l’impegno, nonostante ne riconosca l’abilità tecnica, nonostante sia sinceramente colpito dallo sforzo (auto)produttivo, non posso dire di essere entusiasta di fronte a un risultato formalmente ineccepibile, che probabilmente vincerebbe qualche premio in un concorso di bellezza, ma che non riesce a solleticare la mia fantasia. Non voglio essere frainteso, per cui scinderó nettamente l’aspetto tecnico-formale da quello che è, ci tengo a sottolinearlo, un giudizio puramente soggettivo. La fredda cronaca: tutta la musica racchiusa in questo EP è stata scritta, suonata, registrata e prodotta in proprio, con notevole perizia e risultati tecnici sinceramente strabilianti, tanto da fare invidia a piú di un lavoro uscito su major. Lungo tutta la durata del disco è evidente la ricerca del dettaglio, del suono perfetto, dell’arrangiamento raffinato, delle armonie vocali. Cura del dettaglio altresí evidente nel curatissimo packaging. I cinque brani di 'Eventualities' sono abbastanza diversi tra loro in termini di atmosfere e riferimenti stilistici. Si va dalle suggestioni alternative di "Shine Your Own Light", ballata elettro acustica con accattivanti inserti elettronici, alle pessimistiche riflessioni unplugged sul senso della storia della breve "History is Written in Blood". Il cuore del disco sta peró nei tre lunghi pezzi conclusivi: si passa dalle atmosfere vagamente psichedeliche della solenne "Find Myself Lost" (che ricorda un po’ i Porcupine Tree quando rifanno i Pink Floyd, con tanto di chitarroni sul chorus, un tantino fuori luogo) alla conclusiva "Taken by the Tide", tanto riflessiva e seriosa nelle intenzioni, quanto un po’ inconcludente nel risultato finale. Dovendo citare un solo pezzo, peró, non si puó prescindere da "Mother Nature’s Infanticide", robusta apologia ecologista davvero ben congegnata nelle architetture che mescolano le atmosfere world di un canto di Muezzin con solidissimi riff a la Dream Theater. Non è dunque ancora ben chiaro dove vogliano andare a parare gli Atlas Volt, tanto ogni pezzo di questo lavoro sembri tirare in una direzione diversa (ma questo non è per forza un male). Non resta che augurare ai due di continuare a produrre musica con la stessa passione, sperando di poter aggiungere un po’ piú di contenuto a quello che ora, a conti fatti, risulta essere solo un bellissimo contenitore. (Mauro Catena)

(Self - 2013)
Voto: 65

Mekigah - The Serpent's Kiss

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Dark/Gothic, New Wave, Dead Can Dance, Mercyful Fate
Li abbiamo conosciuti lo scorso anno in occasione del loro secondo Lp, 'The Necessary Evil'; ora vi racconto invece del loro esordio. Sto parlando degli australiani Mekigah e del loro strampalato sound decadente, dove riesce a trovare posto addirittura un sax. Sax che fa la sua comparsa nell'intro iniziale che apre 'The Serpent's Kiss', album del duo australiano formato da Kryptus e Vis Ortis, aiutati da un innumerevole numero di amici. Sono le ambientazioni a la Dead Can Dance a trovare maggiormente spazio in questo concept, con suoni e voci eteree (a cura di Sam Star, nel ruolo di Eva) che si alternano su un tappeto sonoro, che pesca talvolta dal doom d'oltremanica. Diciamo che il risultato che ne viene fuori è qualcosa di inusuale, che mette in risalto (e che verrà confermato successivamente) l'originalità e la stravaganza di questo ensemble. Ovvio che non c'era da stupirsi: pensando all'Australia infatti, mi viene da dire che il 90% delle uscite di quel paese siano originali. Il cd nel frattempo continua ad andare nel mio lettore e, detto dei vocalizzi eterei di "Eve Awoke" e "Campfire", si passa ad una song dove finalmente fa la sua comparsa anche la voce pulita del frontman Dave O'Brien (Lucifero), mentre le chitarre si rincorrono veloci e melodiche. Il suono di una spinetta introduce "Death's Embrace", song melliflua che mi ha ricordato gli olandesi Gandillion e che permette per la prima volta un duetto tra le voci maschili e femminili, mentre la proposta musicale inizia a godere di una spinta maggiore. Meno ambientazioni dark dunque e qualche accelerazione in più all'insegna di suoni più spettrali che possono anche richiamare i Mercyful Fate. Le tracce scivolano via veloci, data anche la loro esigua durata (tra i due e i cinque minuti, con punte di sette) e per il fatto che molte delle 18 song qui incluse fungono semplicemente da interludio acustico o da ponte narrativo tra un pezzo e l'altro. Quando guardo il lettore alla fine della lunga e goticheggiante "Trial by Air" (scuola primi Tristania e mia song preferita), mi ritrovo già a metà del disco che di interessante ha ancora da offrire "Trial by Fire" dove compare finalmente anche il growling del vocalist in una song che sembra più un richiamo di una sirena, a cui è stato affiancato un demone malvagio e la successiva "Trial by Water" song dall'incedere malefico e sinistro, seppur possa suonare come una traccia progressive. Si prosegue con "Trial by Earth" e ahimè inizio a soffrire dei primi segni di insofferenza nei confronti della dolce fanciulla alla voce, un po' troppo piatta alla lunga. Poco importa, perché il ritmo qui è a tratti ben più vivace e guidato dalle vocals maschili. Ancora un paio di intermezzi che coniugano la musica classica con un feeling orrorifico e poi "Return to the Garden", song che vorrei ricordare più per la sua teatrale cavalcata che altro. Mi sa tanto che alla fine 18 brani siano un bel mattone da digerire (quasi 70 minuti di musica) e complice una minor fluidità nella proposta del combo oceanico, inizio ad auspicare fortemente la conclusione del lavoro che giunge con "Exeunt" che mette la parola fine a questo primo concept album degli australiani Mekigah, ma sancisce le ottime qualità di questi ragazzi, dei loro angeli e demoni. (Francesco Scarci)

(Self - 2010)
Voto: 70

domenica 29 giugno 2014

North - Metanoia

#PER CHI AMA: Post Sludge, Rosetta, Isis, Cult of Luna
Questa recensione è assolutamente dovuta, in quanto Zach, il batterista dei North, mi ha permesso di recuperare sei cd, che avevo dato per persi, in una storia per cui non mi dilungherò in ulteriori dettagli. E allora andiamo a scoprire il sound del terzetto dell'Arizona, un post-metal cupo e feroce, che con il loro ultimo 'Metanoia', mutua qualche influenza dallo stoner e non solo. Si tratta di un EP di quattro pezzi, uscito in vinile, cdr e addirittura cassetta: l'album apre con "Atrabilious", pezzo assai ruvido (come le vocals di Evan) che in un'alternanza di chiaroscuri, o se preferite di partiture soft brutal soft, combina sapientemente gli insegnamenti di scuola Isis e Cult of Luna, con le proprie personali intuizioni. "Nefelibata" parte piano, direi sognante e psichedelica, in cui tutto suona perfetto tranne le vocals un po' fuori posto di Evan, troppo sopra le righe; avrei prediletto infatti una voce meno cattiva e più pulita, che meglio si amalgamasse con lo stile space rock di questo pezzo. Con "Hiraeth" le atmosfere si fanno più tenebrose e ancor più rarefatte: il sound si fa decisamente più lento, quasi doom, e le urla di Evan meglio si stagliano su questa tipologia musicale, in cui le chitarre creano dei giri psicotici e dissonanti. Non è facile l'ascolto di questo disco, meglio sottolinearlo, causa i notevoli cambi di tempo, di ritmo e di atmosfera: quando si parla di manovra fluida in una squadra di calcio, visto il Mondiale che si sta giocando, direi che i North necessiterebbero di una maggiore fluidità. La conclusiva "Master" è un altro pezzo di post metal oscuro, che si dimena pure tra lo sludge e l'hard rock. 'Metanoia' alla fine è un discreto EP di 4 pezzi che merita un vostro ascolto, cosi per farvi un'idea dei nostri e che vi spinge a conoscere altri album forse più interessanti (non me ne vogliano i North), come 'The Great Silence' o 'Siberia'. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 65

https://www.facebook.com/NorthAZ