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domenica 9 ottobre 2022

Amon Amarth - The Great Heathen Army

#FOR FANS OF: Viking Metal
This is a solid release. I'm not a big fan of this band but I'll have to say that they did a good job with the guitar riffs. That's what stands out the most for me. And the vocals go well with the music. They're really in sync altogether. The production quality is solid too. I'm not a fan of the lyrical concepts, but they did well altogether on this release. There's a few guest musicians on here briefly you can hear the power metal vocals on one of the later track ("Saxons and Vikings"). I'm a bit surprised there hasn't been all high ratings for this album. It's really a good album, it has all the makings of quality melodic death metal.

The music carries with the vocals quite good! The rhythms/melodies are quite good for a band that I've overlooked for far too long. These guys do a good job of piecing the music together and making it work well. The tempos weren't exceptionally fast. In fact, they had some pretty wicked rhythms and melodies. About 43 minutes of sheer melodic death galore. And the Viking spirit reigns supreme on here. The tempos are pretty slow on here but wholly melodic. They seem to piece everything together where it flows. The only thing that I dislike somewhat are the vocals. I just think that they could've been arranged better.

Overall, I think this album is solid. The vocals aren't my favorite but the music hit-home with me! The riffs are ok, not their greatest but still catchy and full of life! The vocals go well alongside the music. Though I have to be in a certain mood to tolerate the vocals. I like the melodies and it's consistent the whole album. For the naysayers, they say that they're not a fan of their music. I think that since they're in the melodic death metal genre, they're pretty solid on here. I actually got the CD of this I was tired of the digital download. To me, it's important to show respect for the band not just streaming music.

The production quality was good on here and the sound to the music was solid, well mixed. They definitely got their act together for this one. I don't think it's better than a "75" on here. I think they deserve it. You'll have to test the waters with this one. I suppose that you'll really like it or just think it's garbage. I liked it and I thought it was consistent. The guitars were my favorite instrument throughout. As I say, you have to be in the mood to play this, otherwise it might be irritating. If you're a die-hard fan, that statement doesn't apply. Since I'm not overly familiar with the band, I thought this is a solid release! (Death8699)


(Metal Blade Records - 2022)
Score: 75

https://www.amonamarth.com/

Aemeth - Demo 2002

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Brutal Death
Death metal rabbioso che sfocia nel grind per questa band italiana. Voce cavernosa ed una buona velocità contraddistinguono tutte le canzoni. La produzione è buona; un po' secca forse, ma che però fa risaltare bene tutti gli strumenti. Sei pezzi, tutti abbastanza originali, ben arrangiati soprattutto per quello che riguarda le chitarre. Non ho alcuna nota biografica per questo gruppo. So solo che il produttore è Joe Testa, che firma anche un assolo come guest musician nella quinta traccia "The Path of Losers". Anche nei mid-tempo si creano delle belle atmosfere e la ritmica si fa sentire molto bene in tutte le tracce e questo mi ricorda, anche se un po' lontanamente, i Deicide. Un buon CD, consigliato non solo agli affezionati al death.

sabato 8 ottobre 2022

ACOD - Fourth Reign over Opacities and Beyond

#PER CHI AMA: Symph Black/Death
Devo essermi perso qualcosa. Avevo recensito i marsigliesi ACOD nel 2015 in occasione del loro ‘II The Maelstrom’ e li ricordavo con un sound all’insegna del death thrash. Li ritrovo oggi, dopo aver saltato l’ascolto del terzo ‘The Divine Triumph’, e mi ritrovo una band di tutt’altra pasta e genere. Detto che questo ‘Fourth Reign over Opacities and Beyond’ apre con un intro dal piglio sinfonico orchestrale, ma ci poteva stare dopo tutto, quando “Genus Vacuitatis” irrompe nel mio stereo, ecco lo shock, la band non suona più quel monolitico sound tritabudelle in stile Machine Head, ma ora propone un symph black death che potrebbe ammiccare alla proposta pomposa, ma comunque robusta, dei Septicflesh. Ecco si, in questa veste gli ACOD li apprezzo molto di più, soprattutto perchè non dimenticano le loro origini, una bella dose di death metal nelle ritmiche c’è sempre, ma ora decisamente contaminate dalle sinfoniche partiture che compaiono nei pezzi, congiunta con una bella dose di melodia, suoni di archi, la presenza di una voce femminile che rendono il tutto un filo più accessibile, e che francamente preferisco. “The Prophecy of Agony“ si apre con un tono più compassato, ma le chitarra sono pronte ad esplodere in un tappeto ritmico composto, con la voce del frontman Malzareth a richiamare scomodi paragoni con il buon Nergal. In tutta onestà però, devo ammettere che il lavoro mi piace molto, direi che questi sette anni che non ho assolutamente calcolato la band hanno giovato e la progressione è parecchio significativa. Abili anche nell’alternanza vocale tra grim vocals e voci pulite, la band sciorina una dopo l’altro pezzi assai azzeccati, dove l’atmosfera si mette a servizio di un sound potente, a tratti tagliente (“Sulfur Winds Ritual”), ma gonfio di rabbia (grazie ad un riffing di scuola Morbid Angel), traboccante energia e dinamismo sonoro, cosi come pure una sottile vena malinconica, complice un tremolo picking. Forse il pezzo migliore del lotto. Ma il disco rimane pieno di sorprese soprattutto per i cambi di tono o genere: “Nekyia Catharsis“ mostra infatti un carattere più darkeggiante, tanto da richiamarmi i fasti dei finlandesi Throes of Dawn ma pure i Rotting Christ per quelle sue atmosfere più spettrali ed un utilizzo prezioso della chitarra qui votata ad un melo death dal forte piglio orchestrale, cosi come pure un utilizzo costantemente efficace delle voci pulite. Tutto molto positivo, anche l’incipit di “Artes Obscurae” che segue a ruota l’intermezzo occulto di “Infernet’s Path“. Un pezzo decisamente compassato l’inizio del primo con una bella dose di groove, ma quello che sentiamo dopo saranno saette di chitarra, ritmiche possenti ancora di scuola americana, pomposissime tastiere, vorticosi giri delle sei corde, voci gracchianti, echi a Dimmu Borgir e Cradle of Filth per un finale davvero in crescendo. Vogliamo poi citare l'artwork di Paolo Girardi? Lascio giudicare a voi. Io mi devo solo mettere ad ascoltare il disco precedente e capire se mi sono perso qualcosa di significativo. (Francesco Scarci)

Hidden - Spectral Magnitude

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Black
Interessante concept proposto con questo debut album che verte su teorie scientifiche riguardanti fenomeni cosmici e in particolare sul concetto di tempo ed eternità nel cosmo. I brani sono abbastanza articolati e si muovono tra doom, death e black ma verso la fine del disco, alcuni riff risultano un po’ troppo inflazionati. Il disco non gode poi di un buon suono e non è questo il caso di dire che si è trattata di una scelta poiché questo 'Spectral Magnitude' alla fine suona come un demotape. Avrei visto molto bene su un disco del genere degli inserti atmosferici di tastiera e qualche tocco di musica elettronica per coinvolgere maggiormente l’ascoltatore nel concept narrato, come per esempio fu fatto sul full length di debutto di Thorns; una piccola traccia di simili sonorità la si ha con l’ultimo brano "Supercluster" ma il risultato è piuttosto scarso. Forse questo 'Spectral Magnitude' è stato realizzato un po’ troppo in fretta e ciò non ha certo giovato sulla sua resa finale.

Daidalos – The Expedition

#PER CHI AMA: Symph Black
Ebbene, lo ammetto, non avevo la più pallida idea di chi fossero i Daidalos. Non me ne vorrà Tobias Püschner, la sola mente diabolica che si cela dietro questo interessantissimo progetto, devoto ad un black di stampo sinfonico. Io d’altro canto, quando sento parlare di questo genere, ripenso ai fasti portati avanti dai Dimmu Borgir o dai primi ispiratissimi Cradle of Filth, tanto per fare due nomi a caso. Il nostro factotum di oggi, supportato da una serie di ospiti tra cui anche un paio di italiani, Fabio Rossi (I Sorg) asso della sei corde e Francesco Petrelli (Unfaded Illusion) sempre alla chitarra, ci regala una splendida release che vi lascerà piacevolmente sorpresi. Questa infatti la mia reazione di fronte al dirompente attacco della title track che apre ‘The Expedition’. E questo titolo pone inevitabilmente l’accento al tema lirico del disco, ossia la spedizione nell’Artico nel 1845 di due navi (la Erebus e Terror), guidate dal capitano Sir John Franklin, di cui si persero le tracce, insieme ai 129 uomini della sua ciurma, intrappolati tra i ghiacci dell’entroterra canadese. E su questo drammatico racconto, si snodano le fantastiche melodie e orchestrazioni del disco che, con la seconda “Icewind”, sembra quasi voler raffigurare quelle raffiche di vento glaciali che sferzarono i nostri nel loro viaggio. Le ritmiche sono burrascose, solo le tastiere provano a minimizzare la furia delle chitarre cosi anche un cantato che si alterna tra uno screaming chiarissimo e voci pulite e il coro di Noga Rotem, forse un pizzico ruffiano, ad evocare la brava Sarah Jezebel Deva nei primi anni ai Cradle of Filth. Il disco è un susseguirsi di parti atmosferiche, grandiose orchestrazioni e furibonde accelerazioni black death che catalizzano l’attenzione e non poco. “Sails into the Stars” ha un attacco davvero oscuro ma poi le melodie prendono il sopravvento e il pezzo diventa decisamente più accessibile, quasi sognante nel suo break centrale. Non c’è spazio per la noia in queste note, la varietà del disco consente di non distrarsi un attimo e questo alla fine sarà anche il suo punto di forza. Il pezzo nel suo vorticoso incedere ci porta ad un finale corale che ci introduce a “Stormwind”, un’altra tempesta quindi ad attenderci? In realtà, sono tocchi di pianoforte quelli che introducono il brano e dove la voce del frontman, prosegue nella narrazione della storia, accompagnandoci nell’immaginifico che inevitabilmente l’ascoltatore si creerà nel corso del disco. “Married to the Sea” ha un roboante attacco ritmico che sembra sancire l’indissolubile (ma qui dai contorni nefasti) legame tra uomo e mare. Le melodie si confermano azzeccatissime complice l’ottimo lavoro alle tastiere e alle sempre più pompose orchestrazioni (chi ha detto Fleshgod Apocalypse?). Spettrale l’incipit di “The Empress”, tra synth, chitarre e grim vocals, in un brano decisamente più mid-tempo rispetto ai precedenti, anche se certe linee di chitarra mi hanno evocato nuovamente i CoF. “Poem in the Snow” basa invece le proprie liriche sul poema “Once by the Pacific” del poeta americano Robert Frost, che narra come le onde dell’oceano si apprestino a distruggere una spiaggia, evocando visioni oscure della fine di un'era, la fine del mondo, un presagio per il nostro futuro? Epico sicuramente il coro collocato su dei tocchi di pianoforte nella seconda parte del brano anche se alla fine, la sua ridondanza non sembra avere l’effetto desiderato. “Northlight” riesplode con potentissime e melodiche ritmiche, voci black che si alternano a cori epici in una varianza di tempi che va a sublimarsi in una coppia di fantastici assoli che sanciscono quanto interesse meriti questa one-man-band teutonica. Vi segnalo poi che nella versione digitale compare anche una bonus track, “My Melancholy”, che affida il suo iniziale e nostalgico mood al pizzicare di una chitarra acustica e ai tocchi di un piano che andranno poi ad evolvere in un altro brano mid-tempo, dove a mettersi in luce questa volta, sarà un magnifico e malinconico violino che chiude egregiamente un signor album. Consigliatissimi. (Francesco Scarci)

Nortt - Graven

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black/Funeral Doom
Questa è un’opera di inestimabile valore! Così grande è questo lavoro che è difficile trovare parole che riescano ad eguagliare la stupefacenza di questo 'Graven'. Abissale extreme doom con una chitarra dal grezzissimo suono black che crea immagini di immobilità eterna. Questa è musica che trasuda dolore e disperazione per cui non esiste via d’uscita, rimane solo il suicidio. Questo disco (peraltro uscito in versione demo nel 1999, picture disc nel 2002 e recentemente ristampato dalla nostrana Avantgarde Music) è semplicemente la fine.

(Maggot Records/Avantgarde Music - 2002/2020)
Voto: 88

https://avantgardemusic.bandcamp.com/album/graven

venerdì 30 settembre 2022

Body Void - Burn The Homes Of Those Who Seek To Control Our Bodies

#PER CHI AMA: Sludge/Doom
Nuovo EP per i californiani Body Void. Il trio, originario di San Francisco, rilascia una coppia di pezzi sotto questo lunghissimo titolo, 'Burn the Homes of Those Who Seek to Control Our Bodies' e lo fa, offrendo quello che da sempre i nostri sanno fare meglio, ossia un concentrato claustrofobico di sludge e noise rock. Il tutto è certificato dalle note introduttive della lunga "Burn" dove, tra riffoni a rallentatore e grida disumane, la band di Frisco srotola la propria disagiata forma musicale che verso il terzo minuto dell'opener, si materializza addirittura anche sotto forma di droniche divagazioni da fine del mondo, mentre il latrato vocale di Willow Ryan (in uno stile che francamente non amo) grida tutto la propria disperazione. Il brano prosegue in questo loop infernale fino al suo termine attraverso quella che sembra un'unica nota di chitarra protratta all'infinito. Con "Drown" si comincia invece da una forma più affine al noise miscelato qui ad un rifferama ossessivo tipicamente sludge doom. Ecco, volete avvicinarvi al mondo offuscato dei Body Void e allora, preparatevi ad atmosfere plumbee e angoscianti, lente e decadenti, dove alla luce non sarà permesso minimamente di affacciarvisi. Stagnanti. (Francesco Scarci)

Brennensthul – No

#PER CHI AMA: Jazz/Kraut Rock
Esce via Tonzonen Records/ Headape Records il nuovo album dei Brennensthul, ed è intitolato semplicemente 'No'. In realtà questo titolo si attiene molto al corso musicale del disco, poiché individuare con esattezza quale genere stia suonando il quartetto tedesco, è cosa assai ardua, e a chi li vorrebbe più sulla sponda acid jazz o più sul versante sperimentale del kraut rock, la risposta sarebbe appunto in sintonia con il titolo, un secco "No", per uno stile come per l'altro. La giusta definizione li comprenderebbe infatti contemporaneamente all'interno delle due scene musicali e non solo. La musica di questo quartetto di Amburgo è sofisticata come il jazz, contiene una grossa ma mai pesante componente sperimentale vicina al kraut rock, un piglio funk, una buona dose di psichedelia e sfumature pop, che la rendono accessibile anche a chi non è abitudinario delle esplorazioni musicali più libere e stravaganti. Vi si trova anche della soul music, come nel singolo "Xpress Yourself", ed il collegamento con l'acid jazz, come nel primo omonimo album, è meno marcato che in passato. La componente sperimentale è più evidente, portando notevole qualità in più alle composizioni, che risultano sempre sofisticate e molto variegate. A volte il suono delle chitarre è acido, ruvido, e risulta un po' strano per lo stile in questione, ma nelle parti più in evidenza dona un tocco caldo e molto free rock ai brani. Nota importante è per la bella voce di Eva Welz, che con il canto ed il suono del suo magico sax, trascina la band nei territori più variegati, dalle atmosfere jazz più classiche all'avanguardia, come in "Turtledrive", oppure nella eterea psichedelia della strumentale "Common Slider". Questo disco ha un altro fattore che gioca a proprio vantaggio in maniera strategica, ovvero che la stupenda voce in questione canta in lingua madre quasi tutti i brani, unendo la sua grazia vocale all'aspra pronuncia del tedesco, e devo ammettere che è proprio un bel connubio, che trovo più originale dei pochi brani cantati in inglese. L'intro psichedelico ed il brano "Ja Ja", valgono da soli il disco, mentre la title track s'illumina di un fascino proprio. Non possiamo dimenticare poi come una ritmica profonda e suoni molto intensi e caldi riescano a mettere in evidenza anche un lato sperimentale della band, che trova il suo punto di partenza dai pochi secondi del minimale crescendo rumoroso di "Urknall", passando per la splendida coda finale, progressiva e psicotica di scuola Zorn, di "Machine Gun Mammut", un brano che nei suoi sette minuti circa, racchiude tutti gli stili compositivi della band. Il disco si chiude con "Drei", che inaspettatamente s'immerge in un clima da balera folk all'interno di una festa popolare di paese, mostrando un lato alquanto eclettico del quartetto, naturale e marcato. Decisamente questo nuovo disco dei Brennensthul unisce ed evolve le anime espresse dalla band nei suoi precedenti lavori, un netto salto in avanti, un album di carattere, un'opera matura. Da ascoltare con molto interesse verso i particolari e alle sue evoluzioni sonore. (Bob Stoner)

(Tonzonen Records/Headape Records - 2022)
Voto: 82

https://brennenstuhl.bandcamp.com/album/no

Profondo Rosso - Live Demo 05/01/2002

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Grind
Tutto induce a ritenere che nello scegliere il nome da attribuire al gruppo, gli autori di questa audiocassetta abbiano inteso rendere omaggio a Dario Argento e alla sua pellicola più famosa. A questi grinders bresciani non fa difetto l'ironia, e ciò è un punto a loro favore. Il demo è la registrazione di un concerto che si apre con un cover di "Multinational Corporations" dei Napalm Death. Una scelta casuale? Semmai una dichiarazione programmatica! Tra i brani composti dal gruppo segnalo "Laryngectomee". Non temete, non si tratta dell'ennesimo testo splatter, ma di ben altro: la storia di un operaio del Petrolchimico di Marghera ammalatosi di tumore a causa delle sostanze nocive inalate sul lavoro. "A Great One Fire" è un'invettiva contro l'estrema destra, dunque se ne sconsiglia l’ascolto al pubblico dei Peggior Nemico e Gesta Bellica. Chiude il demo una versione - ben riuscita - della celeberrima "Walking Corpse". Questa audiocassetta dimostra ancora una volta che la dimensione live è la collocazione più consona ai gruppi grind.

The Pit Tips

Francesco Scarci

Megadeth - The Sick, The Dying...And The Dead!
Bjørn Riis - A Fleeting Glimpse
Spider God - Ett Främmande Språk / A Foreign Tongue

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Death8699

Quo Vadis - Day Into Night
The Halo Effect - Days of the Lost
Watain - The Agony & Ecstasy of Watain

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Alain González Artola

Slytherin - Tales Of Hogsmade Village
Silhoette - Les Retranchements
Wedrujacy Wiatr - Zorzysta Staje Ocma

martedì 27 settembre 2022

Dream Theater - The Astonishing

#PER CHI AMA: Progressive Metal
Nel 2285 l'oppressivo Impero del Peto Preponderante, comandato dal fetido tiranno Na-fart avrebbe vietato tassativamente i rutti, se non fosse che il dotato Gabri-burp salverà il mondo portando clandestinamente in tournée un musical intitolato This is ruttosound! (leggetevi la sinossi nella wiki-pagina inglese di 'The Astonishing' prima di insultarmi, dopodiché pensate come se la riderebbe un Frank Zappa che immaginereste ancora seduto ancora là, a sbronzarsi nel garage di Joe con un paio di quarts-a-beer). Tecno-tarabaccolamenti disseminati ovunque ("Descent of the Nomacs", "The Hovering Sojourn" o "Digital Discord"), una pompo-spettrale "Dystopian Overture" in realtà più simile a un pre-cog medley dei temi poi sviluppati (ma quello che accade un po' prima del secondo minuto ha del ridicolo). E poi, davanti a voi, una colossale distesa di prog-ballad tipo ritagli di, boh, "Forsaken" ("The Answer", "When Your Time Has Come" e tre quarti del resto) ammonticchiate le une sulle altre a mo' di discarica sonora, interpretate con la consueta professionale convinzione dal buon FiatelLaBrie ("Act of Faythe"). E poi applausi, chiacchiericci, rumori assortiti, estemporanee sortite (le trombette tardomedievali di "A Saviour in the Square", le cornamuse di "The X Aspect", il finale di "A Better Life" che trasmuta in una sorta di tango interstellare) e un desolante sahara creativo a comporre la più ponderosa, tronfia, pretestuosa e sfrangiata collezione di scarti della storia del rock. Stupefacente, sì. Esattamente. (Alberto Calorosi)

(Roadrunner Records - 2016)
Voto: 50

https://www.facebook.com/dreamtheater/

GoldenPyre - Apocryphal

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death Metal
Se non conoscete i portoghesi GoldenPyre, questa potrebbe essere la buona occasione per farlo. Il genere da questi proposto è un death metal arricchito da una non trascurabile vena melodica, arioso, ben curato, eseguito con una certa perizia, variegato al punto giusto (anche nell'uso delle vocals). A ciò si aggiunga che i testi sono originali e ben scritti, e benché risultino incentrati sulle classiche tematiche di carattere mitico-religioso (il conflitto fra il Dio biblico e gli angeli ribelli, la caduta di Lucifero, ma gli si perdona tutto visto che questo era il primissimo demo del 1998), sfuggono ai banali stereotipi satanisti oggi in voga. In copertina è riprodotta una xilografia di Albrecht Dürer, tratta dalla serie dedicata all'Apocalisse di San Giovanni (nel booklet, però, la fonte non è dichiarata). Un demo interessante, non c'è che dire.

Abhor - Sex Sex Sex (Ceremonia Daemonis Anticristi)

#FOR FANS OF: Occult Black Metal
The Italian veterans Abhor, a band founded in 1995 in Padua, have returned with its eighth opus entitled 'Sex Sex Sex (Ceremonia Daemonis Anticristi)', once again released by the always reliable label Iron Bonehead Productions. I have always enjoyed those black metal bands, whose lyrics are strongly focused on occultism and witchcraft, among other similar concepts, as this conceptual influence makes the music sound quite distinctive. From my personal point of view, those themes are sonically better represented when the band creates compositions with a strong atmospheric touch. Abhor is a fine example of it as these sorts of bands successfully mix the expected ferociousness and rawness of the black metal genre with a sinister and mysterious ambience, making the songs actually sound as a proper witches' sabbath.

Abhor’s latest opus 'Sex Sex Sex (Ceremonia Daemonis Anticristi)' is a fine exemplification of this aforementioned idea. The first proper track "Ceremonia Daemonia Anticristi" is a great album opener, where we can listen to the main characteristics of this album, the band achieves a nice mixture of slightly raw guitars, vicious raspy vocals, and a great atmospheric arrangement in the form an organ. This instrument is for sure, the most adequate one to create this dark and hypnotic atmosphere. Pace wise, the album is not especially fast as the compositions are more focused on mid-tempo sections where the riffs, which have a nice old-school touch, and the keys shine a lot. In any case, we can hear some punctual speed bursts in songs like "Ode to the Snake", for example, although they don’t last too much. This song in particular, is a highlight in terms of pace change as it is quite varied and enjoyable. I especially like how marked are the different sections in terms of intensity, and how naturally a quite aggressive part is followed by a much more atmospheric one, always keeping the composition a natural flow. "Ritual Mentor" is another great song, when we speak about making a clear contrast between the different intensities that we can find in a composition. But never leaving behind the fact, that the song and the whole work have a strong occult atmosphere which permeates every track. "October 31st, 2010" is the longest composition and probably one of my favorites as it summarizes all the strong points of this album. A long and mysterious introduction creates the appropriate mood for another fine display of occult black metal, once again with an appropriate balance between the most aggressive parts and keyboard driven spooky sections, where the band is especially inspired.

All in all, 'Sex Sex Sex (Ceremonia Daemonis Anticristi)' is a very solid effort where rawness and atmosphere are perfectly balanced, so any fan of black metal can enjoy this album. The vicious vocals and the solid riffing are perfectly complemented by the organs and keys, which enhance the occult and dark atmosphere that band wants to represent with its music. (Alain González Artola)


Soilwork - The Chainheart Machine

#FOR FANS OF: Melo Death
I know it's a little much to give this album a perfect score, but I can't say anything except positive things about it. However, I may be biased because melodic death metal is my favorite genre in metal. They seem to fall under this category early on in their career changing some over the years. But this album is a landmark release from these Swedish metallers. A good follow-up release dominating over 'Steelbath Suicide' and my all-time favorite Soilwork album in their entire discography. The energy is full throttle throughout the whole album. There wasn't a song on there that I disliked.

The title-track, "Neon Rebels", "Millionflame" and "Spirits of the Future Sun" are my favorites. They tune their guitars down to B I believe, and they're fast the whole way through. The energy is rampant. How these guys put forth such an effort on here is amazing. The energy they have and the original riffs. Blast! What a wild guitar extravaganza in these songs just shining in metal glory. Their later releases don't compare to this one maybe a close call is 'A Predator's Portrait'. That's about it, I see this release as flawless. The vocals compliment the guitar whole handedly. There were really no clean vocals at all!

The only thing that was not that substantial was the length of the album. It clocked in about 40+ minutes. I would've had liked to hear more length or more songs on here. It still reigns supreme in terms of originality, precision and uncompromising energy. These guys just suffered a loss in David but he was not featured on here as he joined the band I believe in 2012. What a tragedy, though. I'm surprised that the average scores on here was at 79%. I always liked this album the most but the critics are the way they are, even in my text here. However, I felt that this was a pinnacle release by the band.

I ordered this CD to show further support for the band and music in extreme metal altogether. Soilwork has so many peaks and valleys in their discography I'll always view 'A Chainheart Machine' as their best. The music, the vocals, the leads, and overall sound met perfection. You can doubt me well just listen to the album. The riffs, leads and vocals are sublime. I'm glad that this is a part of my collection. Old Soilwork is dead, long live old Soilwork! Pick this up a physical copy don't just cheap out and stream it. It's a critical time for the band, they just lost a brother, show them gratitude! (Death8699)

(Listenable Records - 2000)
Score: 90

https://www.soilwork.org/

Mortuary Drape - Tolling 13 Knell

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black/Death
Tredici funerei rintocchi di campana, tredici anni di onorata carriera: era il 2000 e i Mortuary Drape festeggiavano la ricorrenza (che cadeva, a dire il vero, nel '99, anno di composizione del presente cd) con un album che sento di consigliare caldamente a tutti coloro che non amano le cacofonie senza senso, ma prediligono invece trame musicali ricercate e suggestive. Con i Mortuary Drape s'intraprende un viaggio nell'aldilà, in una dimensione ctonica, catacombale. È un piacere immergersi nelle ben architettate, spettrali atmosfere di questo cd, articolato in dieci brani. Non si tratta di un concept album, eppure vi si può ravvisare un elemento unificante, che conferisce all'insieme un tocco di qualità: questo comun denominatore è il carisma dei Mortuary Drape. Un ingrediente di assoluto pregio.

(Avantgarde Music/Peaceville Records - 2000/2013)
Voto: 75

https://www.facebook.com/mortuarydrape

sabato 24 settembre 2022

Bjørn Riis - A Fleeting Glimpse

#PER CHI AMA: Psych Rock, Pink Floyd
Cavolo, non sono nemmeno passati sei mesi dall'ultimo 'Everything to Everyone' che il bravissimo Bjørn Riis ci delizia con un altro piccolo gioiellino di prog rock. Solo quattro pezzi questa volta per il musicista norvegese ed un EP totalmente inatteso dai fan. Quattro pezzi dicevamo, che mostrano la totale devozione di Bjørn per i maestri di sempre, i Pink Floyd. Un qualcosa che si palesa nelle delicatissime note dell'opener "Dark Shadows (Part 1)", dove con una carrambata da leggenda, il polistrumentista scandinavo piazza accanto alla propria voce, Durga McBroom, corista dei Pink Floyd dal "A Momentary Lapse of Reason Tour" del 1987 fino al concerto finale del "The Division Bell Tour" nell'ottobre 1994, senza contare le sue apparizioni in studio in 'The Division Bell' e 'The Endless River', e ancora nel tour solista del 2001 di David Gilmour. Fatte queste ennesime premesse, non sarà cosi complicato ascoltarci dentro a questi 26 minuti di musica space prog rock un turbinio di suoni che riportano Bjørn alle proprie radici, tributando in lungo e in largo la band britannica. Penso soprattutto alla strumentale "A Voyage to the Sun" che chiama inequivocabilmente in causa la leggendaria "One of these Days", per il suo evocativo tambureggiare, i suoi splendidi e ipnotici giri di chitarra che vanno via via crescendo ponendosi sopra l'abile armeggiare dei sintetizzatori. "Summer Meadows" è un'altra traccia strumentale che apre con un bell'arpeggiato figlio degli anni '80, carico di un flusso emozionale da brividi che ci condurrà fino all'ultima song, "Dark Shadows (Part 2)". Qui si riprende là dove Bjørn aveva lasciato con la prima traccia, questa volta con un supporto vocale più risicato da parte di Durga, relegato solo nel finale. Il risultato tuttavia non sembra risentirne vista la bravura del frontman dietro al microfono ed un sound che oltre ad evocare i Pink Floyd, sublima in stratificazioni elettroniche alla 'You All Look the Same to Me' degli Archive. Poi quando la scena se la prende la chitarra solista, beh sono solo applausi per un paio di minuti fino a che subentra la voce di Durga. E pioveranno ancora solo applausi. (Francesco Scarci)

Abused Majesty - Serpenthrone

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Symph Black
Pensavo fossero rimasti i soli Dimmu Borgir al mondo a proporre black sinfonico, invece scopro che in Polonia c’è un’altra band che segue le orme di Shagrath e compagni, con risultati ahimé non altrettanto eccellenti. La release in questione risale al 2004, quando uscì per la Empire Records e l’anno seguente l’Adipocere Records ne acquisì la licenza per rilasciarla in Europa e Nord America. Da più parti considerati come gli eredi degli Emperor, per la loro capacità di unire il black più intransigente con la melodia e le parti atmosferiche, per me non sono altro che un discreto gruppo che non ha inventato nulla di nuovo. I nostri se la cavano degnamente nell’assemblare il black/thrash stile Old Man’s Child con il sound sinfonico dei Dimmu Borgir, grazie a piacevoli inserti tastieristici e a chitarre talvolta ispirate. 'Serpenthrone' è ad ogni modo un album fiero e selvaggio, dove s'incontrano la brutalità del death metal con la malvagità del black. Le violente ritmiche spazzano via con la loro furia ogni cosa incontrino sul proprio cammino, i riffs elaborano complesse strutture musicali, forse vero punto di forza di questo disco, perchè consentono di mantenere la concentrazione costante, durante l’intero ascolto del cd. I pezzi alla fine però, tendono ad assomigliarsi un po’ tutti, anche se notevole è l’impegno da parte della band di ricercare intermezzi dal feeling oscuro, capaci di spezzare il ritmo incessante creato dalla ritmica martellante. Da copione infine, il solito duetto tra la voce scream e il cantato growl. Interessanti le liriche, basate su una vecchia leggenda slava di un mitico re dei serpenti, il tutto ispirato agli antichi racconti della tribù della Regina Lechits, racchiuse nel libro 'The Tome of Ashes'. Peccato che alla fine, l’album puzzi di già sentito, altrimenti mezzo punto in più l’avrebbe forse meritato. Per i soli nostalgici di Emperor e Limbonic Art, ascoltate questo disco! (Francesco Scarci)

(Empire Records/Adipocere Records - 2004/2005)
Voto: 65

https://www.facebook.com/abusedmajesty

Dead Man's Eyes - III

#PER CHI AMA: Indie/Pop Rock
In fondo, il terzo album dei Dead Man's Eyes, intitolato semplicemente 'III', risulterà come il resoconto di un cammino artistico che si alimenta di pop, indie, country e rock fin dagli albori, quindi, non sarà difficile farlo entrare nelle grazie dei loro fedeli fans più accaniti. Una copertina ultra psichedelica ci fa intuire fin da subito l'attitudine della band teutonica che apre le danze con un brano dal sapore molto country/folk, molto americano, con un'armonica ben in evidenza e una cadenza festosa ("High on Information"). Il disco è ben prodotto ed è uscito via Tonzonen Records, ha suoni caldi e profondi e la band si presenta compatta e determinata, verso una meta che fa dell'orecchiabilità, un fattore di qualità ("I'll Stay Around"), senza pensare nemmeno per un istante che ad essere pop si perda il gusto per la composizione raffinata e ben strutturata. A volte potrebbero rientrare anche nella scena musicale Paisley Underground alla The Dream Syndicate per intenderci, ed è il loro lato che preferisco, ma un'attitudine stilistica troppo mainstream, tradisce le loro ambizioni di mettersi in mostra veramente, presentando brani come "In My Fishbowl" o "Take Off Soon", che andrebbero anche bene per uno split con i Gorillaz. Però i Dead Man's Eyes sono astuti, e si ritagliano anche uno spazio tra i cuori degli amanti dell'indie pop rock più ortodossi, con pezzi dal forte umore alternativo e di buon impatto come "Into the Madness", "Never Grow Up" e "Nobody at All", tra le atmosfere dei Lindisfarne rivisitate, un blues rimodernato di scuola Canned Heat e la psichedelia morbida di Alan Hull (epoca 'Squire 1975'), e una vena rock che si muove sulle vie polverose dei Polvo. Il traguardo del terzo capitolo sonoro è una meta importante e la band tedesca non delude affatto, anzi affila le sue armi per apparire sempre più accessibile, anche se nel sottobosco sonoro, si avverte una cura quasi maniacale per i particolari e una ricerca di suoni di beatlesiana memoria. Nota di riguardo per "Time and Space", brano che risulta atipico per le sue movenze easy listening, brano strumentale dal taglio seventies, una linea melodica in mid-tempo, vellutata quel tanto che basta per creare un ottimo e confortevole stacco a metà dell'opera. Un disco questo da ascoltare attentamente e ripetutamente, per superare il suo facile approccio pop per poi scoprire tutta la bellezza delle sue sofisticate sfaccettature sonore. Consigliato! (Bob Stoner)

(Tonzonen Records - 2022)
Voto: 74

https://deadmanseyes.bandcamp.com/

Death - Scream Bloody Gore

#FOR FANS OF: Death Metal
Seems to be between Possessed '7 Churches' to Death's 'Scream Bloody Gore' where the conflict is which album founded the genre of death metal wholeheartedly? I'd have to say Death, especially well talked about on the Death By Metal documentary is that Possessed '7 Churches' was a bit "sloppy" and Death's 'Scream Bloody Gore' was "tighter". I'd have to agree with this synopsis. The music on here is raw, heavy and straightforward. Chuck did a great job on 3 avenues: vocals, guitar and bass Chris on drums. They practiced a shit-ton to get this album out and made. They had to go through some loopholes before finally making a recording on Combat.

Whether this is your first experience with Death or not, one view is this: Chuck did not make any album sound the same. 'Leprosy' was close but you could hear from that recording the songwriting progression. And different lineup as Chris was let go of his drum duties handed over to Bill Andrews ('Leprosy' and 'Spiritual Healing'). They acquired Terry Butler on those two recordings also on bass. 'Scream Bloody Gore' is nothing polished but the sound wasn't so raw that you couldn't make out the guitar riffs. And as Jim Morris from Morrisound Recordings says "Chuck is talking to you in the riffs." You'd better believe that!

The album itself is about 45 minutes and it's just brutal. Chris wanted to stay in the band but Chuck was already moving on. A lot of death metal bands keep producing the same records over and over, Chuck wanted to progress as a musician. So he never really fit that mold to playing death metal exclusively throughout his musical career. This album set the tone for other death metal bands like Morbid Angel, Deicide, Malevolent Creation, et al to move into this category. I think that the fact that he always thought "metal is metal" and it shouldn't follow in categories which now there are numerous categories of metal. He was opposed to these "categories."

These guys practiced and practiced for this to get made and out to listeners. What to expect in addition to what I said: "Zombie Ritual", what a great song! It's fast, it's catchy, but like all the songs on here. Other people have commented that this album is "boring" and just the same thing over and over. But those are the people who aren't really listening. The production isn't the best, but it was good enough for Combat and even though this album was initially turned down, they found someone that could put in the time to make the recording even though he didn't know what the band members talked about in this genre (Courtesy of Death By Metal documentary). Check it out! (Death8699)


(Combat Records/Relapse Records - 1987/2016)
Score: 90

https://death.bandcamp.com/album/scream-bloody-gore-deluxe-reissue

lunedì 19 settembre 2022

Anders Buaas – The Edinburgh Suite

#PER CHI AMA: Prog Rock
I dischi strumentali dei chitarristi di estrazione hard-prog non sono esattamente la mia tazza di tè, per cui mi sono approcciato a questo lavoro con una dose di diffidenza giustificata solo dai miei pregiudizi, anche se titolo e foto di copertina mi facevano comunque sperare in qualcosa di interessante (ho una mia teoria sulle copertine dei dischi, secondo la quale dischi belli possono avere copertine orribili ma non ho ancora trovato dischi orribili con belle copertine). Comunque sia, il norvegese Anders Buaas non è esattamente un ragazzino, e sa il fatto suo, tanto come chitarrista quanto come compositore e arrangiatore. Dopo una vita da turnista in band norvegesi e dopo aver accompaganto in tour gente del calibro di Paul Di Anno, da qualche anno ha intrapreso una carriera solista di cui questo rappresenta il sesto capitolo. Dopo un lavoro in tre parti sulla caccia alle streghe del sedicesimo e diciassettesimo secolo, uno di improvvisazioni chitarristiche e uno dedicato alle carte dei tarocchi, 'The Edinburgh Suite' è una lunga suite, appunto, divisa in due parti di circa venti minuti ciascuna. Accompagnato da una band di assoluto valore (basso, batteria, tastiere, percussioni e vibrafono), Mr. Buaas, che si rivela chitarrista di rango e dal bellissimo suono, ci regala un album davvero godibile ed estremamente curato in ogni passaggio e ogni particolare, riuscendo a passare con grande naturalezza da atmosfere acustiche e sognanti al folk britannico, al jazz, al prog metal, senza farsi mancare passaggi più tipicamente prog dominati dai synth. E riesce a farlo senza indulgere in eccessivi “sbrodolamenti” (il primo vero assolo di chitarra elettrica arriva dopo circa 10 minuti) e, cosa ancora più importante, riuscendo a tenere le varie parti della suite insieme con invidiabile coerenza e senso della misura. Davvero notevole poi la sua attitudine per le melodie “catchy”, epiche ma non fastidiose, quasi da colonna sonora. In definitiva, questa 'The Edinburgh Suite' è il primo disco del genere al quale riesco ad arrivare in fondo senza un malcelato senso di fastidio, da molto tempo a questa parte. Ottima sorpresa. (Mauro Catena)

Bloodshoteye - An Unrelenting Assault

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Metalcore/Deathcore
Un urlo in pieno stile Phil Anselmo, ai tempi d’oro dei Pantera, apre il secondo cd dei canadesi Bloodshoteye, intitolato 'An Unrelenting Assault'. Effettivamente quello della band nord americana è un vero e proprio assalto ai nostri padiglioni auricolari, un attacco deathcore al nostro cervello con il puro scopo di fonderlo. La cosa incredibile, che balza subito all’occhio leggendo la line-up del combo, è che il growling brutale profuso è ad opera di una donna, tal Jessica. Amici, l’avvenente singer ha una voce cattiva, profonda e intensa, anche quando, nei rari frangenti di tranquillità, la utilizza nella sua forma pulita e sussurrata. L’act dell’Ontario suona poi una sorta di metalcore in stile tipicamente americano, imbastardito e incattivito da un brutal death di derivazione sempre di origine statunitense: riff taglienti come rasoi costruiscono la base del disco; veloci blast-beat e l’oscuro vocione di Jessica completano il quadro di un lavoro non propriamente avveniristico ed originale. 'An Unrelenting Assault' è un lavoro monolitico che già verso la sesta traccia inizia a stancare ed annoiare il sottoscritto, che comunque imperterrito va avanti per ascoltare le evoluzioni canore della bella cantante. C’è da dire una cosa a sostegno della band: ossia il tentativo di costruire brani complessi che si discostino dall’ondata metalcore americana; grind, thrash, hardcore e techno death confluiscono infatti nelle note di questo cd. Per il resto, i Bloodshoteye avrebbero solo potuto sfiorare la bravura dei Killswitch Engage, non fosse altro che si sono sciolti dopo il successivo album complice il fatto di una incapacità di distinguersi dalla calderonica massa di band che suonava questo genere. (Francesco Scarci)

Ablaze in Hatred - Deceptive Awareness

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Funeral Doom
Un po' di sano doooom per le nostre orecchie, di quello maggiormente orientato al funeral e l’apocalittico, di quello nordico e ben fatto. E i nostri esecutori sono i finlandesi Ablaze in Hatred, band lappone, formatasi nel 2004, che giunse al tanto sospirato debut in un paio d'anni grazie alla Firebox Records. 'Deceptive Awareness' raccoglie sette brani dal sound funesto, marziale e devoto alla pesantezza più totale. Sette lunghe track, che demoliranno i nostri padiglioni auricolari, con il loro incedere malinconico e mortale, che preannuncia inevitabilmente la fine dell’umanità. A differenza dei compagni di scuderia, i Doom:Vs, il quartetto di Helsinki è forse meno atmosferico, più diretto e brutale, pur proponendo un sound che comunque si avvicina al side project di Johan Ericson dei Draconian. 51 minuti di musica deprimente, caratterizzata dai riff lenti, mastodontici e al tempo stesso melodici delle due asce, dal growling cupo e minaccioso di Mika Ikonen e dalle ariose tastiere atte ad impreziosire il sound dei nostri. La band finlandese si rifà agli insegnamenti dei Katatonia (era 'Dance of December Souls'), per quel suo abbinare tragiche melodie al tetro death doom. “When The Blackened Candles Shine” è il brano meglio riuscito del lotto, con i suoi nove minuti e passa, capace di coniugare egregiamente la lezione impartita dai maestri del passato, My Dying Bride e gli stessi Katatonia, al sound di Swallow the Sun e Daylight Dies in primis. 'Deceptive Awareness' non mi fece sicuramente gridare al miracolo, ma lasciava ben sperare in un futuro prossimo, che dopo 'The Quietude Plains' nel 2009, ahimè non ha più visto i nostri affacciarsi sulla scena. Gli Ablaze in Hatred hanno concepito un lavoro intenso, energico e cupo di funeral doom che potrà soddisfare tutti gli amanti di questo genere di sonorità e non solo. Un ascolto consigliato a tutti. (Francesco Scarci)

(Firebox Music - 2006)
Voto: 66

https://www.facebook.com/ablazeinhatred

domenica 18 settembre 2022

Grá - Flame Of Haephestus

#PER CHI AMA: Black Melodico
È un 7" quello che dovrebbe fungere come gustoso antipasto del nuovo album degli svedesi Grá. In attesa di godere di una più lunga e articolata release del duo di Stoccolma, ecco quindi 'Flame Of Haephestus', un side A ed un side B, dove gustarci la title track nel primo lato e "Stella Polaris" nel secondo. L'attacco è all'insegna di un black mid-tempo dove a mettersi in luce è senza ombra di dubbio la melodia di fondo delle chitarre e la voce di Heljarmadr (vocalist vi ricordo, dei Dark Funeral). Un giro di orologio e poi si scatena l'inferno con un maelstrom ritmico che evoca proprio la band madre del frontman. Poi la musica dei nostri si fa più lenta, cupa e minacciosa con un ampio spazio affidato al tremolo picking delle chitarre e ad una ritmica qui molto thrashy, con il basso bello pulsante in background. Poi è una grandinata sonora che mi ha evocato anche un che degli Old Man's Child. Il secondo pezzo apre con un lungo arpeggio che lentamente va gonfiandosi di intensità ma in realtà mai debordando, bensì mantenendosi in rigoroso assetto melodico-strumentale fino alla fine, aumentando contestualmente quel desiderio evidenziato inizialmente, di avere finalmente dopo quattro anni da quel meraviglioso 'Väsen', un lavoro decisamente più corposo. (Francesco Scarci)

sabato 17 settembre 2022

Stellar Tomb - Antimatter Fluids of Creation

#PER CHI AMA: Cosmic Black
Contiene giusto un paio di pezzi quello che è il debut EP dei catalani Stellar Tomb. In realtà trattasi di one-man-band, guidata da Femto, uno che ha già bazzicato le scene in sella a nomi dell'underground quali Bastard of Loran, ARNA o Aonarach, giusto per citarne qualcuno. I due brani si aprono con il cosmic black di "Antimatter Fluids of Creation" che dà anche il titolo a questa release. La song ci lancia in un un tunnel spaziale e in quello che è il vorticoso sound del mastermind di Barcellona. Ritmiche tiratissime ma atmosferiche almeno fino a metà brano quando, il black viene soppiantato da sonorità elettroniche su cui si stagliano le oscure vocals del polistrumentista, per poi ripartire da qui, con synth e linee di chitarra al fulmicotone ma di totale godimento melodico. Difficile a credervi viste le velocità raggiunte davvero portentose, ma ammetto di essermi goduto non poco questo primo pezzo. Il secondo, "Absolute Chaos", dà voce al titolo stesso offrendo un caotico esempio di black dirompente che, dopo essersi scaldato per 45 secondi, si ammorbidisce in sonorità più mid-tempo, per poi offrire, nel corso dello stesso, un saliscendi di pura violenza. Il dischetto s'interrompe bruscamente con questa song, quando in tutta franchezza avrei desiderato averne di più. Le premesse sono buone (il voto si mantiene volutamente basso in proporzione all'esiguo numero di brani) ma auspico di sentirne a breve davvero delle belle. (Francesco Scarci)

1/2 Southern North - Narrations of a Fallen Soul

#PER CHI AMA: Occult Doom Rock
Della serie Les Acteurs de L’Ombre Productions colpisce ancora, ecco arrivare gli evocativi 1/2 Southern North con un esempio di dark doom occulto. ‘Narrations of a Fallen Soul’, primo capitolo della one woman band greca guidata dalla sacerdotessa IDVex Ifigeneia, si apre con la lunghissima “Alpha Sophia” che prova a darci le prime indicazioni della proposta dei nostri. Oltre dodici minuti di suoni oscuri, compassati, esoterici, psichedelici, deliziati dalle vocals della frontwoman ellenica. Il sound dei 1/2 Southern North mi ha evocato quello dei californiani Lotus Thief, abili miscelatori di psych rock, ambient, space, post e un non so che di black metal. Qui ci troviamo al cospetto di un’artista che si muove su coordinate similari e che fa sicuramente della propria voce l’elemento portante e distintivo che va poi a poggiare su atmosfere orrorifiche che vedono peraltro la presenza di una sgangherata partitura di violino nella title track a cura di Efraimia Giannakopoulou, una dei tanti ospiti che popolano questa release. “Hearts of Hades” affida la sua parte introduttiva ad una declamazione in greco che poggia su suoni di flauto e tamburo. L’effetto è sicuramente particolare, soprattutto quando la voce della cantante si fa più suadente, anche se otto minuti di questo tipo rischiano di frantumare i neuroni anche dei più stoici. E la ridondanza sonora è uno dei must di questo lavoro: ascoltatevi la parte introduttiva di “Breastfeed Your Delighful Sorrow” e ditemi se anche voi come il sottoscritto avete perso la pazienza dopo i primi 60 secondi. Poi il brano evolve in un crescendo melodico accattivante, tra parti atmosferiche, altre arpeggiate, ma che tuttavia rischia di stancare per la sua eccessiva durata, un’altra peculiarità di un disco che raggiunge I 67 minuti di durata con pezzi che si assestano tra gli 8 e i 12 minuti. L’unica eccezione è rappresentata da “Song to Hall Up High”, storica song dei Bathory dei tempi di ‘Hammerheart’, riletta completamente in chiave avanguardistica dai nostri, ma mantenendo intatta l’epicità dell’originale, “sporcandola” semmai di influenze noise/droniche. A completare il quadro delle canzoni incluse in questo disco, ci sono ancora l’inquietante “Elegy of Hecate”, forse il brano più sperimentale e progressivo del lotto che mi ha evocato peraltro anche un che dei Thee Maldoror Kollective di ‘Knownothingism’. Infine, gli oltre 12 minuti di “Remnants of Time”, un pezzo che ammicca addirittura al jazz e in cui a trovare posto sarà questa volta il sax di George Kastanos. Quello dei 1/2 Southern North è alla fine un lavoro davvero ambizioso, concettualmente interessante ma decisamente ostico musicalmente parlando, che pertanto necessiterà di svariati ascolti per essere assimilato. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions/Satanath Records/Fog Foundation - 2022)
Voto: 68

Heat Fandango – Reboot System

#PER CHI AMA: Psych/Noise Rock
Già da qualche tempo ci troviamo ad avere a che fare con dischi che sono in qualche modo figli del lockdown, del distanziamento sociale o, comunque lo si voglia chiamare, di quella cesura nella vita di molti che è stato l’annus horribilis 2020. Ci sono dischi che sono nati “per colpa” (o merito) del lockdown nonostante questa cosa sia arrivata a prendersi gran parte della nostra vita sociale. 'Reboot System' fa molto probabilmente parte di questa seconda categoria: registrato tra marzo e maggio 2020, forzatamente “a distanza”, non è chiaro se i brani fossero stati scritti e provati prima, “in presenza” (inquietante quanto certe espressioni, altrimenti orribili e cacofoniche, siano ormai entrate nel nostro lessico quitidiano) dalla band al completo. Comunque sia, Tommaso Pela, Marco Giaccani e Michele Alessandrini hanno registrato questo loro esordio ognuno a casa propria ed il risultato finale è davvero di ottima fattura. I tre hanno all’attivo una lunga militanza nell’undergound marchigiano e portano in dote indiscutibile perizia tecnica, idee chiare sulla direzione da intraprendere e sul suono che vogliono avere. Le radici sembrano affondare con decisione nel garage rock americano in stile Fleshtones, ma il suono non è mero revival e cerca nuove strade, affiancando chitarra twang a synth taglienti e una sezione ritmica potente e precisa, di stampo quasi wave. E gli episodi migliori sono proprio quelli in cui la commistione tra queste due anime, quella garage e quale wave, viene esibita e spinta in maniera scoperta ("Controlled", "Guilty"). In definitiva, un disco che è una bella boccata d’aria, meno di 35 minuti molto divertenti e mai banali. Rimane la curiosità di capire se e quanto gli Heat Fandango suonino diversi visti dal vivo, tutti insieme sullo stesso palco. (Mauro Catena)

(Bloody Sound Fucktory - 2021)
Voto: 74

https://bloodysound.bandcamp.com/album/reboot-system  

Unità di Produzione - Antropocene

#PER CHI AMA: Alternative/Indie Rock
Sebbene il nome scelto da questo trio bergamasco richiami un brano di 'Tabula Rasa Elettrificata', l’album che portò i CSI a dominare le classifiche per una breve ed irripetibile stagione (cose che succedevano negli anni '90 anche in Italia), e nonostante il cantato salmodiante e declamatorio faccia venire in mente in più di un passaggio lo stile di Giovanni Lindo Ferretti, sarebbe ingiusto, oltre che sbagliato, derubricare gli Unità di Produzione a semplice clone della band emiliana. Gli UdP cantano in italiano e il loro panorama stilistico di riferimento rimanda dichiaratamente agli anni '90, ciononostante, i tre riescono a tenersi equidistanti, se non proprio a smarcarsi, dai più ingombranti modelli della scena alternativa italiana di quel periodo. Oltre ai già citati CSI, vengono in mente soprattutto i Marlene Kuntz, per lo stile vocale e i testi ricercati vicini allo stile di Godano, e i Massimo Volume, per l’aspetto musicale, un post-hardcore piuttosto scuro e squadrato, con chitarre vorticose e una sezione ritmica precisa e potente. Il risultato finale risulta comunque sufficientemente personale e il lavoro, nel complesso, è interessante. 'Antropocene' è un album che si propone come una riflessione sulle derive dell’uomo e della tecnologia, uno sguardo rassegnato su una società incapace di riconoscere il proprio ruolo, perché in contrapposizione con l’ambiente. Titoli ("Tecnocrazia", "Estetica del Declino", "Overture al Fallimento") e testi dipingono uno scenario scuro e privo di vie d’uscita, anche se a volte qualche scelta stilistica suona come forzatamente altisonante e poco spontanea. Peccati veniali, alla fine dei conti, per un album di spessore. Forma e sostanza, per dirla, ancora una volta, con Ferretti. (Mauro Catena)

Belphegor - The Devils

#FOR FANS OF: Black Metal
It takes a while to get into the vocals, but the music is probably the most highlighted throughout the whole release. Though the variety in measures (tempos) makes this a well rounded album. This is pretty much the intro that I've had with the band, I haven't heard of much else. I really enjoyed this release immensely. I like the rhythms and tempos and overall variety. It's a demonic album from these Austrian metallers they seem to hit-home on here. I've been listening to it for the past week and I've concluded that they are one unique act. They had session musicians but still, everything seemed to fit.

Variety on the vocals and a lot of heavy riffing. Chunky guitar seemed to fit in their trademark sound. They really went above and beyond on here. They're definitely a demonic sounding band hence the name "Belphegor." Basically, it means "demon." A real underground sound they are relentless and don't give up. An eerie intro paves the way for the album's overall sound. They are some lead guitar work but not much. However, the leads are technical (for the most part). The rhythms hold homage to the antichrist. Most the album is intense but there are songs that are kind of lower key. Not the first few songs though.

I like the production sound and mixing. It did the album justice. It's heavy, somber and depressing. But that's what it seems like they were aiming for on this release. I can't really compare it to past releases because I haven't heard any. I just know 'The Devils' and thought what an outstanding composition! They kicked some serious ass on here, everyone contributed to the overall sound and aura. These guys will most likely stay underground for their musical career. That or if they change their style, they'll probably change their name. I was surprised too that they're actually from Salzburg.

I'm glad that I bought the CD I like the audio quality more than digital albums. Plus, I'm showing support for the band. These guys better stick around for a while because they're great songwriters and they know how to pack a punch with their outputs. I think that this album shows how diverse they can be in the compositions and underground feel or vibe. They're definitely beholden to their name. Especially with the guttural vocals I like how they change it up though. The album is pretty brilliant and it has me listening to it ad nauseum. Pay respects to their effort and buy the album! (Death8699)


(Nuclear Blast - 2022)
Score: 80

https://belphegor-austria.bandcamp.com/