Cerca nel blog

giovedì 15 aprile 2021

Orecus - The Obliterationist

#PER CHI AMA: Groove Death
Ci hanno impiegato ben 10 anni gli svedesi Orecus a maturare il loro full length d'esordio. Era infatti il 2011 quando il quartetto si formava nei sobborghi di Stoccolma ma solo in questo 2021, 'The Obliterationist' vede finalmente la luce. C'è da dire che i nostri si sono presi una lunga pausa di riflessione tra il 2016 e il 2020 quando poi sono ritornati per prepararsi al massacro contenuto in questo disco. Le dieci tracce incluse nel platter sono fondamentalmente votate ad un death metal ricco di groove anche se il riffing bello massiccio dell'opener, nonchè traccia che dà il titolo al disco, paga un forte tributo ai conterranei Meshuggah. E quindi fiato alle trombe e via per farci maciullare le ossicine da un sound compatto, a tratti serratissimo, in cui a mettersi in luce è sicuramente il vertiginoso lavoro alla batteria da parte di Elias Ryen-Rafstedt (peraltro anche chitarrista) e la prova al microfono del ruggente Philip Grüning, che in passato abbiamo apprezzato negli Apathy Noir. Detto questo, se la prima canzone era dinamica e carica di groove, la seconda "Distress Signal" appare un filo più monolitica e meno apprezzabile per il sottoscritto, mentre la terza "The Destruction Path" cattura in assoluto per una ritmica frenetica, con la voce del frontman a rimbalzare tra un growling possente e qualche urlaccio qua e là. L'indemoniato rifferama spacca che è un piacere, con le chitarre gonfie come le nubi cariche di pioggia in uno scenario apocalittico. Nella quarta "Blodvite", ecco la prima ospitata: Chad Kapper (cantante americano dei Frontierer, A Dark Orbit e When Knives Go Skyward) si affianca al bravissimo Philip in una song che potrebbe evocare nelle parti ritmate i Pantera (soprattutto quando a cantare è un Chad in un pattern vocale vicino a Phil Anselmo). Poi la song è sicuramente più affine ad una carneficina metallica, anche se non mancano momenti di oscurità e angoscia. Con "Omnipotent" si torna a respirare l'aria incendiaria del groove death metal dell'opening track, in cui rimane in evidenza la caratura tecnica dell'uomo dietro alle pelli, in un brano bello dritto nello stomaco, di quelli che fanno piegare inesorabilmente le ginocchia. Ma questo è il marchio di fabbrica degli Orecus che ci danno la loro visione di un suono che non puzza ancora di stantio per quanto siano 30 anni che lo sentiamo in giro. Forse perchè lo fanno con passione, sincerità, non ne ho francamente idea ma per quanto esso sia derivativo, mi ha conquistato. E il massacro prosegue con "Below the Threshold" e la seconda ed ultima guest star fa la sua comparsa, sempre dietro al microfono. Sto parlando di Fredrik Söderberg, corrosiva ugola degli svedesi Soreption, che ben si presta per questa proposta musicale a tratti annichilente, a tratti malsana nella sua stravagante interpretazione. Detonante in questo frangente il basso di Martin Maxe, uno che quando c'è da picchiare sulle quattro corde del suo strumento, non si tira certo indietro. L'incipit di "Unborn, Reborn" mostra il lato più melodico dei quattro svedesi con la chitarra di Francis Larsson a creare visioni cinematiche vicine alle cose meno intransigenti dei Fallujah, ma la pacchia dura giusto quel tempo che i nostri si rimettono in sella al loro potente cingolato e riprendono a far danni, assestando colpi davvero micidiali. La band scandinava sa certamente il fatto suo e la dimostrazione sta in "My Manifest", un brano più rallentato che palesa ottimi arrangiamenti in un pezzo comunque dal piglio abrasivo. La manina gli Orecus non la tirano certo indietro, continuando a deflagrare colpi su colpi ben assestati: si senta la violenza che divampa in "Become the Nihilist", un brano che unisce nuovamente accelerate mortifere con rallentamenti più ragionati. In chiusura, "Extinct" con le sue divagazioni jazzate, pone la classica ciliegina sulla torta, ma non fatevi prendere per il naso perchè star dietro alle sciabolate delle due asce, al basso tonante e all'infervorata voce del frontman, non sarà certo una missione facile. Se avete voglia di un ascolto adrenalinico, fate pure, i cardiopatici siano davvero cauti. (Francesco Scarci)

(Violent Groove Music Group - 2021)
Voto: 74

https://orecus.bandcamp.com/album/the-obliterationist 

Entombed - Left Hand Path

#FOR FANS OF: Swedish Death Metal
Definitely the first two releases from this band are (to me) their absolute best. I thought that the follow-up album is better but both top ratings. These guys were the founders of Swedish death metal as you know it. Various different bands over the years copied this sound on the guitar, but never as good as the originators. LG (RIP) rips it up on vocals. Unique style and intensity is what he dished out on this debut. And what a debut it was! They definitely shattered windows with this release because so many fans decided that it was louder than life to blare it! At least when I had it on cassette I was blaring it on my walkman!

There's so many pivotal components to this release than just the unique guitars. LG's vocals, the sound quality of this release, the sort of echo to the sound i.e. reverb and mixing that did them justice. Al from Earache might've had some influence over this sound quality if he was around at the time (1990) with Earache. He described LG is being "way into metal" and "dedicated to the genre and his fans." He would basically drink beer and play metal, a kind of lifestyle that lead him to his fate at 49. But he definitely was a true brother to the genre and music in general. That guy was a metal patriot if you will.

My favorite part of this though are the guitars. They were original sounding, unique tone, intense riffs, and in a league of their own with the songwriting capabilities. When I first heard it early in the 90's I thought that this band had it going on! I was impressed and wanted to hear more about them. They sure as hell were the foundation to death metal, though Chuck Schuldiner seemed to be the father of death metal. That was way early on in the genre but Entombed were the founders of their Swedish form of death metal. There are really not many original members remaining and with LG's passing, who knows where they're headed.

I would like to commend the band for their ultimately outstanding debut release that I don't think could ever be duplicated. Like I said, the first two albums are my favorites from the band. There's nothing that could surpass them. Dismember is another Swedish band that held their own back in the day, though I favor Entombed over them. However, Dismember had a longer history it seems but both bands are in the realm of a milestone. There will never be a band like Entombed ever again I don't think history will repeat itself. They sure as hell kicked ass while they did and long live Entombed! (Death8699)


lunedì 12 aprile 2021

Kaschalot - Zenith

#PER CHI AMA: Math/Post Rock Strumentale
Quello degli estoni Kaschalot è un mini di quattro pezzi, che mi permette di saperne un po' di più del quartetto di Tallin, in giro dal 2014 e con un paio di EP (incluso il presente) ed un full length all'attivo. 'Zenith' ci dà modo di tastare il polso di questi giovani che propongono un math/post rock strumentale. Le sonorità pregne in dinamismo e melodia, si possono già apprezzare dall'apertura affidata a "Supernova" che irrompe con la sua carica esplosiva che va via via affievolendosi nel corso dell'ascolto, prima di ripartire con più slancio a metà brano e poi ritornare sui propri passi con sonorità più intimistiche che evidenziano alla fine un buon lavoro compositivo. Poi di nuovo, è tutto in discesa con ottime linee melodiche ed un finale a dir poco devastante. Di ben altra pasta invece la successiva "Mothership", ben più calibrata nel suo incedere math rock che palesa l'ottimo lavoro dietro alle pelli del batterista, gli squisiti, jazzati ed irregolari cambi di tempo che sottolineano una preparazione tecnica di una band davvero invidiabile, a cui manca però una sola cosa, una voce al microfono. Si davvero, sono convinto che avrebbe aiutato ad elevare ulteriormente le qualità di un platter multiforme, ben costruito e dotato di una certa vena creativa. Come il funk-rockeggiare iniziale del basso in "Beacons", che prima si prende la ribalta assoluta dei riflettori e poi li condivide con chitarra e batteria. Infine, largo ad una ritmica bella compatta, distorta quanto basta e dal finale alquanto serrato. "Distant Light" chiude in modo apparentemente più pacato l'EP, dico apparentemente perchè a fronte di un incipit controllato, i nostri si lanciano al solito in spirali musicali di grande intensità, interrotte da break più equilibrati, da cui ripartire con più irruenza. Alla fine quello dei Kaschalot è un buon dischetto, forse di scarsa durata (20 minuti) ma che permette comunque di godere appieno delle qualità di questi quattro fantastici musicisti. (Francesco Scarci)

(Atypeek Music/Stargazed Records - 2021)
Voto: 72

https://kaschalot.bandcamp.com/album/zenith

Mur - Truth

#PER CHI AMA: Post Black/Post Hardcore/Experimental
Recensiti proprio dal sottoscritto un paio d'anni fa in occasione del debut 'Brutalism', i parigini Mur tornano con un EP nuovo di zecca intitolato 'Truth'. Cinque brani, di cui una cover dei Talk Talk, per una mezz'ora abbondante di suoni che combinano post-black con il post-hardcore, ma non solo. L'eccelso stato di forma del sestetto francese è confermato dal roboante pezzo d'apertura, "Inner Hole", che ci stritola con suoni davvero corrosivi, che hanno il pregio di sfoderare un break elettronico che rompe quella furia primigenia, comunque pregna di melodia, che contraddistingue il brano. Un pezzo pervaso da un senso di impotenza e forte malinconia tipici del post-hardcore, proposti con l'irruenza di un black dai tratti sperimentali, ormai marchio di fabbrica delle produzioni Les Acteur de l'Ombre Productions. Il finale è a dir poco devastante, miscelando suoni estremi dai più svariati ambiti musicali, a confermare le ottime doti dei sei musicisti. Che i suoni non siano troppo scontati ce lo conferma anche la successiva "Suicide Summer" con la sua ritmica psicotica e irrefrenabile, un rullo compressore impazzito in grado di asfaltare ogni cosa si ponga sulla sua strada. Il black schizoide dei Mur trova la sua massina espressioni in balzani synth che coniugano estremismi black con il mathcore, scatenati suoni elettronici, screaming efferati, cavalcate poderose, break inaspettati e deflagrazioni caotiche altrettanto imprevedibili, quasi geniali. Al pari quasi dell'inizio di "Epiphany", che sfodera chitarre assai strambe, percussioni tribali, harsh vocals, suoni contaminati da un'alternative rock e altre sonorità più o meno stravaganti per una proposta di questo tipo, che comunque ha un suo filo logico che ci conduce alla cover "Such a Shame", un brano che francamente amo. Ecco, la riproposizione della song dei Talk Talk è quasi irriconoscibile, fatto salvo nel coro dove compare chiara l'ndimenticata melodia del brano. Altrove regna il caos sovrano, un caos calmo, un caos controllato, ma comunque un caos nell'accezione figurata della sua definizione, disordine o disorientamento tumultuoso, una confusione senza uguali, soprattutto laddove credo ci sia una sorta di assolo conclusivo controverso e delirante. In chiusura di 'Truth', ecco gli ultimi dieci minuti strumentali della title track. Intro affidato ad un lungo giro di synth che ci porta direttamente al krautrock teutonico degli anni '70. Break ambient di 90 secondi tra il terzo e il quarto minuto e poi una seconda parte assurda di sonorità synthwave, prog, sperimentali, che ci confermano quanto i Mur siano davvero pazzi, stralunati ma tremendamente fighi. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2021)
Voto: 80

https://ladlo.bandcamp.com/album/truth

domenica 11 aprile 2021

Oh No Noh - Where One Begins and the Other Stops

#PER CHI AMA: Electro Ambient Strumentale
Curva forte l’incipit di questo EP della one-man band teutonica dei Oh No Noh. "Pointer" apre le fila di 'Where One Begins and the Other Stops' con una sonorità disillusa che gioca al rialzo tra un'insistenza pregevole quanto l'elettronica minimalista che parla con intercalari sfuocati, poi suoni neri, lenti, nebulosi fatti ad hoc per toglierci il fiato, spostarci la mente nel loop creato dal suo protagonista, Markus Rom, e congiungersi circolari, delineando una song dal piglio apparentemente ambient. Già mi sento a casa. E la casa me la arreda la seconda "Shrugging". Una base facoltosa accoglie una melodia artefatta, ancora ripetuta per il tempo di entrare e perdere il senno, ma non il tempo. Le casse la fanno da padrone permettendoci di tenere il metronomo della mente acceso. Sento il tinnulo, mi desto. Sento una voce in background, mi accarezza l'anima. Torna il rilancio. Ballano i neuroni. La adoro. Come una fiaccolata errante nella notte della mente parte “Golb”. Qui le mie sinapsi si accendono di elettricità, sfrecciano velocissime le cariche elettriche. Mi ritrovo persa con le palpebre chiuse e l’ascolto aperto ad una traccia dai tratti sperimentali, di quelle che scalda l’aria. Da ascoltare coi bassi al massimo, mi raccomando. L’"Alba" ci desta dalla nottata. In questa song possiamo meditare e riposare la mente. Questo soffondersi di suoni delicati, eterei, onirici sembra un mantra, una cassa di risonanza per la pace in cui togliersi di dosso i demoni della notte. Una sorpresa continua quando parte “Clod”. Qui la band afferma il suo predominio, la sua natura più oscura, i suoi istinti reconditi nelle minimaliste plettrare di chitarra, la sua matrice ibrida tra il noto e l’ignoto. È una digestione di effetti sonori questa traccia, un metabolismo lento questo vuoto sospeso tra il se e la musica, in una lentezza di fondo in cui si può quasi percepire l’assenza dell’inesistenza del tempo. Arriviamo alla traccia che dà il titolo al platter. Ha scelto molto bene il buon Markus, perchè in questa song sento tutto l’album attraversarmi la mente, i timpani, le percezioni, fino a toccare il diapason dell’anima. Lascio a voi il piacere di far convergere ogni singola nota di questa musica così completa per lo stile della band, all'interno del vostro io interiore. Ma ancora non è tempo di staccarsi da questo ascolto. Manca infatti ancora l’ultimo colpo di silenziatore di un caricatore di suoni bellissimi. "Foam". Un insieme di inverno, primavera, estate, autunno. Un corpo unico di stagioni. Questa traccia descrive il freddo nei suoi suoni affilati, il tepore nello spazio concesso alle percussioni, il caldo ansimante dei silenzi, la nostalgia dei colori. La musica è sempre un’esperienza al limite tra la terra e le percezioni. In questo lavoro troverete solo percezioni pregiate da riascoltare ancora ed ancora. (Silvia Comencini)

Tvaer - Uvaer

#FOR FANS OF: Black Metal
Tvaer is a quite new project founded four years ago in Minnesota, USA. It is currently a four-piece band, that just suffered a sole change in its short career. It seems to be composed by novel musicians as they don't have previous known projects, with the exception of the drummer. In these less than four years of existence, the project has been quite active releasing several demos and even a live album. Thanks to this activity and to a reasonably good potential, they have managed to release the debut album with the reputed underground label Bindrune Recordings, which is always a good sign.

'Uvaer' is the name of Tvaer’s debut and it is a ferocious declaration of black metal with a subtle atmospheric touch. Unlike other bands tagged as atmospheric black metal, Tvaer focuses much more on building a smashing wall of guitars, rather than creating intensively atmospheric compositions. This first opus consists of five tracks, where speed and aggression are occasionally accompanied by calmer moments which enrich the compositions. Even if Tvaer`s compositions have an aggressive nature, the expected atmospheric side of its music is still present, but with a subdued tone and in a form of more melodic guitar lines as it happens in tracks like "II", with the main riff that has an undeniable melodic tone. This second track and the following ones are fine examples of Tvaer’s strongest points, as guitar lines are excellently composed, with plenty of quite solid riffs varying from the more melodic ones to the more straightforwardly aggressive ones. In these tracks we can appreciate how the band varies its tempo adding some slower sections to the more common intensively fast ones. Another quite used resource in the album is to abruptly break the song in order to introduce some acoustic accords, that serve as momentary calm before the fury returns, also suddenly. These ingredients basically conform what Tvaer offers in this album, if we leave apart the much calmer closing track "V", and I must admit they are successively mixed and executed, although I miss a greater room for variation in the compositions as one could listen to these songs as a sole track, without noticing great changes. I think the band should make an extra effort adding more arrangements which could make easier to create more varied songs. This is the only great problem as riff-wise the performance is faultless and the rhythmic base sounds quite solid. Vocally, the work done by A.C is convincing with quite high-pitched screams, and even DSBM influenced desperate shrieks. He does also a nice job adding some clean vocals as a form of a background ghostly choir, which gives a nice atmospheric touch to a song like the remarkably inspired track "IV".

'Uvaer' is undoubtedly a quite solid beginning by Tvaer as it clearly has some strong points and overall a good work compositionally. As it usually happens with debut albums, the band needs to give a step forward in terms of variety, if it wants to create memorable pieces. The aforementioned "IV" is probably the best one in this aspect and should serve a good example for future releases. (Alain González Artola)


(Bindrune Recordings - 2021)
Score: 72

https://bindrunerecordings.bandcamp.com/album/uvaer
 

mercoledì 7 aprile 2021

Brave the Cold - Scarcity

#FOR FANS OF: Death/Grind, Napalm Death
Killer death/grind though not too many blast beats. But the intensity is high with Mitch performing three duties throughout the LP. I liked the whole album, a lot of great energy! Even though it was only 38 minutes, there were 12 songs and every one of them was awesome. Mitch does a lot of screaming and the guitar riffs are killer. I enjoyed that aspect of the album. Some things were definitely early Napalm Death related such as a song off of 'From Enslavement To Obliteration' called "Unchallenged Hate." Mitch played a track on here that's similar to it so yeah definitely Napalm Death related.

The sound quality was good on here, I'd say you can hear everything pretty clearly and the drums turned out well on that front, too. There aren't many disdainful things to say about this album. I just do hope that more people learn about the band. This one was out in October of last year and I'm just recently hearing it. It was thanks to an interview with Mitch Harris talking about this project. I used to have Defecation, a band that Mick and Mitch from Napalm Death were in. But Mick fled the music scene unfortunately and to me he was the best grindcore drummer that I've ever heard. Just irreplaceable.

The sound quality on the album is top notch. I just wish there were more of a distribution of CD's for them rather than just Vinyl. But the digital version for now, I was able to hear everything and illicit a solid conception of what to expect from the album. I like this band a lot and if Mitch ever decides to leave Napalm Death to pursue just this band, I'm all for it. Being that he's 51 now, he's got years left for this and for Napalm Death as well! I just felt the good vibe from this so yeah I think these guys work well together and hope that they never ditch what they've started here. It's too good and the energy is fierce.

I downloaded this on Spotify and couldn't get enough of it! I was playing it ad nauseum. But yeah, there needs to be more copies of this on CD's for us collectors not just digital album releases or Vinyl. All 12 songs kick ass and you'll have to get in the intensity of the band. It's what's the most prevalent. I didn't like the vocals as much as I should which is probably why I gave it a lower score. But take a listen here for similarities between Napalm Death and Brave The Cold. Mitch has been with them for years so yes it's good that he created this project! Check it out! (Death8699)


(Mission Two Entertainment - 2020)
Score: 75

https://www.facebook.com/bravethecold/

Woe Unto Me - Spiral-Shaped Hopewreck

#PER CHI AMA: Death/Doom, Swallow the Sun
In attesa di ascoltare un nuovo full length, tornano i biellorussi Woe Unto Me con un EP, 'Spiral-Shaped Hopewreck', che conferma che la band è viva e vegeta, in forma e pronta ad accompagnarci al camposanto con quel loro sound pregno di malinconia e disperazione. Il nuovo lavoro, targato BadMoodMan Music, contiene sette tracce, anche se quattro di loro non raggiungono i due minuti e due sono delle cover di Meshuggah e Klone. Un'inquietante intro apre il dischetto prima di affidarci alla title track che inaspettatamente mi consegna un sound che ammicca alle ultime produzioni dei Katatonia, fatte di atmosfere nostalgiche, voci pulite, suoni non più sepolcrali, come invero mi sarei aspettato. I Woe Unto Me hanno cambiato pelle virando la propria proposta verso lidi più abbordabili anche a metallari meno estremisti, e con quale classe ragazzi. Ascoltare l'assolo al quarto minuto e mezzo per capire l'evoluzione del sestetto di Grodno, che nella seconda parte del brano cede al retaggio funeral doom del proprio passato, rivisto tuttavia con più grazia e sentimento, sulla scia dei Swallow the Sun. Un breve intermezzo strumentale e siamo a cavallo di "Sad and Slow", cover estratta dall'ultimo 'Le Grand Voyage' dei francesi Klone. Certo, la scelta è caduta forse su una delle tracce più soporifere del disco e l'ensemble sembra imitare pedissequamente l'originale con tutta la medesima forza emotiva e con un minuto e mezzo di musica addizionale. Il risultato non è affato disprezzabile anzi, quasi quasi l'ho apprezzata più dell'originale, soprattutto per l'utilizzo di una voce più rabbiosa nel finale. Ancora un break ambient ed è la volta di "Lethargica", song spettacolare dei Meshuggah estratta da 'Obzen'. Che la poliritmia non sia la specialità in casa Woe Unto Me è evidente sin dalle note iniziali e mi domando a questo punto perchè volersi fare tanto male a tributare una band difficile come quella svedese. Il risultato è discreto, lontano anni luce dagli originali, che per classe ed efficacia, credo non abbiano eguali. Queste esplorazioni alternative comunque riscontrono il mio appoggio in un EP di questo tipo, un po' meno se si fosse trattato di un platter a tutti gli effetti. I Woe Unto Me chiudono i battenti con gli sperimentalismi dell'atmosferica outro. In definitiva, 'Spiral-Shaped Hopewreck' è un discreto biglietto da visita che carica di una certa curiosità gli sviluppi compositivi futuri della band biellorussa. (Francesco Scarci)

lunedì 5 aprile 2021

Halter - The Principles of Human Being

#PER CHI AMA: Death/Doom, primi Paradise Lost
Li abbiamo incontrati poche settimane fa per la riesumazione del loro primo album da parte della Wroth Emitter Records. Li ritroviamo oggi per raccontarvi del terzo lavoro, uscito a ottobre 2020 per la MFL Records, dopo la self release dell'estate scorsa. Il quintetto di Yaroslavl torna con 'The Principles of Human Being' che include sette nuove tracce, che proseguono all'insegna di un death doom canonico, almeno a livello ritmico e vocale. Quello che mi sorprende è invece l'approccio più morbido a livello solistico, cosi come la presenza di una produzione cristallina che esalta le doti del combo russo. Questo quanto si evince dall'apertura affidata a "Sisyphean Toil". "Seasons" continua sulla falsariga della precedente, con un sound cupo e minaccioso, ma quando si svela attraverso la sua parte solistica, beh è tutt'altra musica, mostrando le eccelse qualità strumentali della band, nonchè una certa raffinatezza nella ricerca di un gusto estetico. Stride un po' quindi l'accostamento tra un death doom di scuola primi Paradise Lost, ascoltate la ritmica di "Cobweb of Troubles" e ditemi anche voi se non avete pensato a 'Gothic', con la parte di prim'ordine affidata alle asce. Piuttosto lineare invece la robusta "Hiroshima's Scapegoats" che, fatto salvo ancora una volta per la porzione solistica, risulta meno brillante che da altre parti. Un bel basso apre "Spring Morning" alla stregua di "A Kiss to Remember" dei My Dying Bride, mancando però della medesima brillantezza in fase melo-dinamica della band inglese, proponendo qui un sound marcescente troppo ancorato ai vecchi stilemi del genere, fatto di una ritmica lenta e un growl possente. Buona la linea melodica dell'assolo ma manca una maggior freschezza compositiva a livello di songwriting. Ci si riprova con "Human Path" mala sensazione rimane quella del già ascoltato mille volte, sebbene in questa traccia ci sia un tentativo di migliorare le cose con un discreto break centrale. "As Nobody Returns" è l'ultimo atto di 'The Principles of Human Being': una breve ed elementare intro acustica prima di un sound nuovamente monolitico, qui ai limiti del funeral. Insomma, a mio avviso, c'è ancora da lavorare per togliersi di dosso la ruggine di un genere che sta scivolando nello stantio e nel prevedibile. Gli ottimi assoli giocano a favore dei nostri ma serve qualcosina in più per pensare di far uscire gli Halter dal sottobosco death doom. (Francesco Scarci)

Crrombid Traxorm — Anamnesis Morbi

#PER CHI AMA: Experimental Thrash/Death
A volte mi domando se le band riflettano un attimo sulla scelta del loro moniker. I russi Crrombid Traxorm a mio avviso non tanto, e questo francamente credo non aiuti nel memorizzare nome e proposta della compagine di turno. E dire che le origini dei nostri affondano addirittura nel 1990 e a quei tempi la scelta era un po' più estesa rispetto ad oggi. Comunque il duo, sebbene originario di Yaroslavl, ci propone un sound in linea con le produzioni thrash/death americane anni '80/90. I nostri con 'Anamnesis Morbi' tornano dopo un silenzio durato ben 26 anni (credo sia un record), fatto salvo una compilation di demo uscita anch'essa nel 2020. La proposta dicevo pesca da un anonimo thrash death statunitense, almeno per quel concerne l'opener "Rising Reanimation". Con "Mortalgramma" infatti le cose prendono già un'altra piega, se considerate che il cantato si muove tra il growl ed un pulito alla System of a Down, con la comparsa poi in sottofondo anche di una gentil donzella. "New Vaccine" prende altre derive, tra un prog jazz death sperimentale che evoca Cynic e Pestilence dell'era d'oro, sonorità death, ma anche avanguardistiche. Tuttavia, leggendo i titoli dei brani e confrontandoli con quelli dei primi demo del '90 e '92, mi rendo conto che le tracce qui contenute sono in realtà le stesse concepite trent'anni fa dall'allora quintetto che si formò post scioglimento dell'Unione Sovietica. Oggi quei brani sono stati riarrangiati e ri-registrati da un collettivo di musicisti che ha contribuito a restituire una nuova vita a quelle tracce, finite probabilmente fino ad oggi in soffitta in una qualche cassetta registrata in modo casalingo. E cosi ecco prender forma una proposta che pur puzzando di stantio, mette in luce caratteristiche particolari di una band che forse all'epoca sarebbe stata definita visionaria al pari dei nostrani Sadist, degli Atheist, dei Death e di altre realtà considerate all'epoca sperimentali. Date allora un ascolto alla folle (fantastico l'intro humppa) "Stomatologic Operation", che si muove a cavallo tra death, thrash, alternative e prog. "Each Physician Has His Own Graveyard" ha una ritmica tipicamente thrashettona, ma l'assolo (il primo almeno) suona davvero hard rock, mentre il secondo viaggia su binari di grande stravaganza. "Massacre of the Innocents" si sente che è assai vintage nell'animo, ma l'aggiunta della voce femminile ed una componente solistica sempre brillante, lo rendono più attuale. Curiosa la scelta dei titoli: "Damage in the 21st Chromosome" mi fa pensare ai vecchi Carcass e alla scelta di utilizzare una terminologia medica nei loro titoli. Comunque sia, il brano è divertente, soprattutto a livello di cori, ma anche per l'utilizzo di una tromba nel finale. L'esperimento di utilizzare strumenti inusuali viene ripetuto anche in "Stadiums/Dinosaurs", dove i nostri si concedono il lusso di utilizzare violino e violoncello, a rendere più moderna la loro stralunata proposta. In conclusione, 'Anamnesis Morbi' non è un album certo facile da avvicinare, però se siete curiosi e di mentalità aperta, io un pensierino lo farei. (Francesco Scarci)

(Wroth Emitter Productions - 2020)
Voto: 70

https://crrombid-traxorm.bandcamp.com/album/anamnesis-morbi

domenica 4 aprile 2021

Collectif Eptagon – A​.​va​.​lon

#PER CHI AMA: Suoni sperimentali
Il collettivo transalpino Eptagon, presenta la sua scuderia di collaboratori con una raccolta, in forma di doppio album, che per metà è finalizzata a raccogliere fondi destinati al Metallion store, uno dei pochi negozi di dischi rimasti fedeli alla causa della musica estrema e underground locale di Grenoble. Devo ammettere che è difficile giudicare un album così variegato, ben prodotto e dalle esposizioni sonore tanto colorate e diversificate tra loro, quindi, dovrò fare i complimenti all'associazione, alla qualità dei progetti tutti rigorosamente originari di Grenoble, ed infine un augurio che tutto questo materiale, registrato in un 2020 da dimenticare, con tutta il suo carico di energia espresso in un anno così buio, siano di buon auspicio a tutte le band per un futuro pieno di soddisfazioni. Dicevamo che l'album è variegato, essendo diviso tra stili e composizioni diverse tra loro, ma accomunato da una sorta di filo conduttore, qual è l'appartenenza underground di queste realtà sotterranee, un posto ideale dove far convivere death, black, sludge, post ed alternative, tecnico, d'atmosfera o aggressivo esso sia, con il dark jazz, la musica elettronica, il progressive e l'ambient, il tutto distinto e separato in singole pillole sonore di egregia qualità strumentale, esecutiva e di produzione. Nessuna sorta di lacuna nel suo lungo ascolto, suoni eccellenti, dinamica a mille e professionalità a go go. Da constatare e lodare che, per essere una compilation, la scaletta dei brani fila via che è un piacere, anche per chi predilige lavori più complicati. Il suo insieme si snoda proprio con la fluida progressione di un album ben ragionato e frutto di tanta passione, che si mostra con forza nella qualità d'esecuzione espressa dalle tante compagini qui presenti. Diciassette brani di carattere, che prediligono varie forme di metal nelle prime cinque canzoni, dal death dei Kisin, al doom rock dei Faith in Agony, al grind degli Epitaph, al prog death dei Demenssed fino agli sperimentalismi estremi dei Jambalaya Window. La sesta "Arashi" (Robusutà) crea una sorta di frattura nella trama dell'intero lavoro con un sound strumentale ammiccante ai giapponesi Mono. Da qui in poi, le sonorità prenderanno direzioni diverse, fatta eccezione per un ritorno di fiamma decisamente più metallico nel brano live dei Liquid Flesh. Un brano che, con la sua matrice ultra pesante e tecnica, si pone come apripista all'avanguardia jazz, dal gusto Zorn e oltre, degli Anti-Douleur ("Beyrouth"), per esporsi in territori più sperimentali ed oscuri, frastagliati e sofisticati. Elettronica, drone music, jazz sperimentale, ambient noir, noise, alternative elettro e via via, la personalità mutevole di questa raccolta di brani vive proprio dei suoi continui contrasti e cambiamenti, che si muovono in paesaggi estremi con una fluidità d'ascolto eccezionale. Volutamente non voglio proclamare quale brano e quale ensemble valga di più di altri presenti nella compilation (anche se, e vi chiedo perdono, devo dire che la voce di Madie dei Faith in Agony è davvero splendida), ma sarebbe un errore imperdonabile da parte mia e da chiunque ami la musica indipendente, underground e alternativa, voler giudicare, rinunciando ad un ascolto travolgente, libero, senza porsi troppe domande sul chi stia suonando meglio cosa. Rinnovo i complimenti a tutti i musicisti che hanno preso parte a questo progetto così ben strutturato. Esorto il collettivo Ep.ta.gon a non mollare la presa ora, e vista la qualità della carne sul fuoco, non possiamo aspettarci altro che pranzi reali con realtà musicali cosi variegate come queste. Una compilation da ascoltare tutta d'un fiato, a volume alto ma soprattutto a mente apertissima. (Bob Stoner)

Школа Рока (School Of Rock) - Hellblock 13

#PER CHI AMA: Heavy/Speed, Armored Saint
Pochi fronzoli ricamano l’ingresso in scena di questi frenetici rockers di Velikie Luki, città della Russia occidentale. Meno forma - più sostanza, dev’essere il motto che ha accompagnato la forgiatura (ché di metallo si tratta) di questo mini-EP. Giusto 22 minuti di musica, se comprendiamo anche le due cover di Sabbat e Doors, su cui però conviene sorvolare, dati i cori piuttosto alcolici che non ne rendono adeguata giustizia, potremmo dire. Quattro brani inediti dunque, sotto l’effige del classico heavy metal da birra e motocicletta. Il passaporto recita Russia, ma l’ottica è prettamente americana: le chitarre sfoderano riff pescati direttamente dall’heavy-speed statunitense dei primi anni '80. Si odono richiami di nomi ammirevoli come Exciter, ma soprattutto i primi Riot. Compaiono anche dei frangenti di scream, nelle liriche rigorosamente in lingua madre. Sempre comunque in abbinata a svariate tecniche di cantato, con una propensione alle sovrapposizioni vocali, tanto care al nostro power trio. A spiccare però è sicuramente una serie acuti forsennati in pieno stile King Diamond, a dominare sulle ritmiche che non lasciano respiro. Vedere la commistione nella title-track, "Hellblock 13": reminiscenze degli Armored Saint senza la vena epic e assoli piuttosto ispirati, qui si rifanno all’hard rock '70s. Un’abbinata chitarre-tastiere in questo caso, che riporta alla mente qualcosa che sa vagamente di Made in Japan. Un mini che scorre veloce, “senza infamia e senza lode”. Pochi spunti impressionanti, giusto qualche passaggio un po' più interessante laddove prevalgono le care vecchie solide certezze. Ma chiaramente, l’obiettivo è di minori pretese, dunque così sia. Школа Рока del resto si traduce School Of Rock, un nome una certezza potremmo dire. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

venerdì 2 aprile 2021

Lavizan Jangal - تاریکی و مرگ

#PER CHI AMA: Depressive/Experimental Black
All'etichetta russa Careless Records piace palesemente osare: dopo aver pescato in Iraq i Mullà, in Kazakhstan gli Scolopendra Cingulata, ecco tirar fuori dal cilindro la terza genialata, ossia gli iraniani Lavizan Jangal. La cosa mi stupisce parecchio perchè parlando con un musicista di Teheran poco tempo fa, mi disse di essere spaventato dall'idea di avere la propria musica in formato fisico perchè rischiava di essere perseguitato dall'oppressivo stato islamico. Eppure il misterioso duo di oggi se ne frega altamente e fa uscire questa quarta release ufficiale dal 2010 a oggi, chapeau. La band francamente non la conoscevo prima di oggi ed è interessante leggere su metal archives come il moniker Lavizan Jangal sia una parodia dei Carpathian Forest e si riferisca al Parco Lavizān (nei sobborghi di Teheran) dove si troverebbero parecchie gang. La proposta dei nostri effettivamente non va troppo lontano dai maestri norvegesi, proponendo sin dall'opener "Lavizan Jangal" un black ferale, senza troppi orpelli, il tutto in pieno stile scandinavo, dove viene comunque concesso un minimo spazio alla melodia in un break centrale ove la ritmica incendiaria trova ristoro. Le vocals manco a dirlo sono il classico screaming, però qui e là si modulano in una vena vicina a quella degli svedesi Shining, dirottando anche il sound dalle parti di un depressive black, con risultati alla fine apprezzabili. Certo un finale urticante come quello della traccia d'apertura era davvero tanto tempo che non lo sentivo, niente male, anche se sia chiaro, qui non stiamo scoprendo l'acqua calda. Spoken words in apertura di "Be Sooye Marg", un brano che si muove su ritmiche più cupe e lente, almeno nel primo minuto prima di schizzare più schizofreniche che mai, nei rimanenti tre minuti di infernale portanza. Interessante leggere che le liriche si mantengono a sfondo satanico coniugandosi con altri temi quali la droga, lo stupro, l'occulto, il crimine, le puttane (povere) e le gang iraniane che tornano ancora una volta come la bolgia sciabordante in chiusura della seconda song. Paurosi. In fatto di cattiveria credo non abbiamo troppi rivali, il che è confermato anche dalle successive tracce. In "F.I." ci sono evidenti rimandi vocali che conducono alla cultura dei nostri, per un pezzo che mostra una buona linea melodica, vocals più ricercate, ma che poi pecca per quella sintetica e fastidiosa batteria che ne rovina l'esito finale. Tuttavia, il disco scivola via veloce in tutta la sua mefitica malvagità. Il drone/ambient di "Dar Ghalbe Poochi" mi fa pensare al classico muezzin che blatera da qualche minareto di una moschea islamica. Mentre l'efferato attacco di "Enteghame Abadi" mi ha evocato gli Anaal Nathrakh più micidiali, anche se poi il pezzo comunque evolve in modo inaspettato. Un altro intermezzo ambient/noise ed è il turno della lunga "Amade Bash", un brano che assume le sembianze di un black doom con un certo tocco sinfonico in background che mi fa sgranare ancora una volta gli occhi su quanto il duo di Teheran sia stralunato ed imprevedibile, nonostante i basici mezzi a disposizione. Credo che alla fine questo sia il mio pezzo preferito, forse per non essere cosi pervaso dall'isteria di suonare a tutti i costi veloci e brutali, ma qui i nostri si mostrano invece assai atmosferici seppur la registrazione non aiuti ancora una volta. A chiudere il disco arriva "Yazdah" che miscela il black anni '90 con le intemperanze sonore disarmoniche di gente del calibro di  Deathspell Omega o Blut Aus Nord. Insomma i Lavizan Jangal sono una bella sorpresa che non posso premiare con un più alto voto semplicemente perchè la musica non è cosi originale, la registrazione non mi convince, al pari della drum machine e di qualche altra banalità che si ritrova lungo il disco. Eppure le qualità ci sono, andrebbero sfruttate solo al meglio. (Francesco Scarci)

(Careless Records - 2021)
Voto: 66

https://carelessrecords.bandcamp.com/album/--6

Burnt Offering - Беснование

#PER CHI AMA: Black Old School, Mayhem, Darkthrone
La band di oggi ha base a Lipsia in Germania, eppure nessuno dei suoi tre membri è tedesco e il titolo 'Беснование' ne è la riprova: Blind Idiot God è infatti russo ed è peraltro bassista dei Darkestrah, cosi come Asbath, batterista di quest'ultimi ma originario del Kyrgyzstan. Charon infine è ucraino. Insomma un bel casino. Cosi come alquanto strana è la storia di questa release che in realtà sarebbe il demo uscito in cassetta nel 2015 per la Narcoleptica Productions e riproposto in digipack a dicembre 2019 dalla Careless Records. La mia speranza è che oltre ad una elegante veste grafica, il dischetto vanti anche una nuova registrazione, eppure quello che sentono le mie orecchie racchiude ancora la grezzura primigenia della prima release (o forse quella era ancora peggio e i miracoli non si riescono a fare?). Fatto sta che il demo in questione contiene cinque tracce dedite a un black puro e selvaggio, senza alcun fronzolo che ci viene sparato in faccia in tutta la sua gretta brutalità sin dall'opener "Пир", un brano sanguinolento che partendo dagli insegnamenti punk/hardcore degli esordi dei Darkthrone, combinato con un black satanico, fa fuoriuscire tutta la bieca malvagità di altri storici act quali Mayhem e Celtic Frost, deprivato ahimè dalla classe innata di quelle realtà. Stonano un po' le storture doomish in apertura di "Псы", che già erano comunque apparse in chiusura della prima song. Poi anche il secondo pezzo si lancia su un lineare e anonimo black metal, senza il benchè minimo briciolo di personalità. Ed è un peccato visti gli elementi inclusi nella band e le mie elevate aspettative. E la medesima matrice sonora si conferma anche nella violenza delle successive "Псоглавый святой" e "Мокошь", dove i nostri corrono sui binari di un feroce e caotico sound (scuola Immortal la prima), in cui le corrosive chitarre si incrociano con lo screaming efferato del vocalist (che però si diletta anche in strane ed apprezzabili sperimentazioni canore) e con il disumano drumming di Asbath. Nella seconda invece si avvertono lontani accenni folklorici alla Isengard, pur sempre immersi in un marasma nero come la pece. In chiusura, l'onirico ambient strumentale di "ДОБ и цинковый гроб" spegne tutte le pulsioni malvagie risvegliate sin qui dai malefici Burnt Offering. (Francesco Scarci)

(Narcoleptica Productions/Careless Records - 2015/2019)
Voto: 55

https://carelessrecords.bandcamp.com/album/--2

giovedì 1 aprile 2021

Forest of Frost - S/t

#PER CHI AMA: Ambient Black
Dall'Aquitania ecco giungere una nuova one-man-band guidata dal polistrumentista Moulk, uno che ha anche un gruppo con questo moniker e con cui ha rilasciato una cosa come otto full length e quattro EP all'insegna di un folk metal sinfonico, sebbene gli esordi fossero più radicati nel punk rock. Da qui si evince che il mastermind di oggi non sia certo uno sprovveduto, ma direi semmai un musicista navigato quanto basta per registrare quest'album (che a quanto pare rimarrà un episodio isolato) in due sole settimane durante il primo lockdown, deliziandoci con un inedito black atmosferico che ha colto successivamente l'attenzione della Narcoleptica Productions, l'etichetta russa che ha rilasciato il cd proprio in questi giorni. Cinque i pezzi, tutti intitolati con numeri romani. Si parte chiaramente con "I", che delinea immediatamente i tratti somatici di questa neonata creatura transalpina. Il sound dei Forest of Frost è gonfio di passione per lunghe partiture strumentali, costruite su multistrati eterei di synth e chitarre a costruire splendide melodie, con le harsh vocals che fanno la loro apparizione solo di rado. E allora cosa di meglio che farsi cullare dalle estasianti ambientazioni sonore erette da Moulk, che vedono i soli punti di contatto col black, in sporadiche accelerazioni e in quelle voci di cui facevo menzione poc'anzi. Tutto molto interessante non c'è che dire, anche quando la durata dei brani va dilatandosi. Si passa infatti dai quasi otto minuti dell'opener, ai quasi dieci di "II" e ai dodici abbondanti di "III", attraversando paesi incantati quasi fossimo stati catapultati in un mondo senza tempo, o nel più classico "Signore degli Anelli" del plurinominato Tolkien. E qui il consiglio è di lasciar andare la vostra fantasia, occhi chiusi e tanta immaginazione. Vedere draghi, unicorni, gnomi e folletti per cinquanta minuti non sarà un'eresia ma la normalità. Per chi ama realtà affini agli Eldamar o ai nostrani Medenera, credo che qui potrà cibarsi di un valido esempio di fantasy black corredato da suggestive e ariose melodie, che trovano forse la sua massima espressione in "IV", cosi orchestrale e malinconia al tempo stesso, nella sua strabordante epica musicalità. Personalmente, avrei preferito un pizzico di vocalizzi in più altrimenti una release come questa rischia di essere presa come una colonna sonora piuttosto che un album di metal estremo. Che poi di estremo c'è veramente poco, quasi niente... (Francesco Scarci)

(Narcoleptica Productions - 2021)
Voto: 75

https://forestovfrost.bandcamp.com/album/forest-of-frost

The Crown - Royal Destroyer

#FOR FANS OF: Death Metal
I'm not a huge fan of this band, I've owned albums from them that I didn't keep. Heard about it from a Chicagoan and decided to give it a try. WHOA! This one is unrelenting metal galore! I would say that there aren't many peaks and valleys in this one, it's mostly fierce the whole way through. The vocals I can tolerate as well and the guitars just slay. Not to mention the quality of the riffs! They are simply dynamite! I don't really have anything ill-fated to say about this one. They really upped the intensity to the nth degree. I don't see any fallouts on this one ('Royal Destroyer'). They did a great job.

Now I'd have to say that their tempos range but the intensity of the vocals make the songs more striking. The overall musicianship is phenomenal. I never knew that sounds like this from the band were ever possible! But they made dynamite and brimstone here. They do change things up every so bit, but the majority of the album is just brutal melodic metal. The riffs are catchy and noteworthy. The vocals blast the eardrums to the utmost intensity! I liked everything that they did here. There was nothing on here that I disliked. Their unique riff style and choice of songwriting is just utterly magical.

The sound quality was just perfection, ABSOLUTELY. They did their label and fans justice on this one. The rhythms, leads, vocals and drums just are like this ever flowing stream. They kick major ass on here. All the songs are amazing and exceptional. They slay on every track no matter what tempo they're at. They did change things up making it a more diverse release. But this is something different than what I was used to for this band which was the riff writing. They put a lot of time to get the songs unique in their own style. I think that this is one of their best albums to date. So good to discover this one!

Mainly, I didn't like previous releases because I didn't think that they were equivocal to 'Royal Destroyer'. They really sound great and their melodic riffs kick some major ass! I heard this first on Spotify then immediately bought the release. It was definitely worth buying since my cd player plays us cd collectors at top notch sound. This is one of the releases of this year that is one of the best in the genre. I liked the whole album through and though. They definitely kicked major ass the whole way through. They know how to make phenomenal releases and then some. Check it out! (Death8699)


(Metal Blade Records - 2021)
Score: 77

https://thecrownofficial.com/en/

martedì 30 marzo 2021

Dark Awake – Hekateion

#PER CHI AMA: Dark/Ambient/Neofolk
A cominciare dalla sua immagine di copertina, 'Hekateion', full length del 2020 dei Dark Awake, è un'opera che richiede decisamente un ascolto impegnato. Si propone sin da subito come un lavoro molto interessante, per veri appassionati, che mi porterà alla scoperta delle strade esoteriche narrate nelle note di questo penultimo disco della band greca (da poco è infatti uscito uno split album con i Kleistophobia). Devo riconoscere una certa forma di iperattività artistica che dal lontano 2008 non ha mai abbandonato il progetto ellenico, che ha sfornato numerose creazioni in ambito dark neoclassico, martial e neofolk ambient, fino ad oggi, con una continuità davvero invidiabile. Questo lavoro è un concept incentrato sulla figura di Ecate, antica divinità di origine pre-indoeuropea, venerata da greci e romani, un'opera da intendere come un accompagnamento ritual-esoterico atto alla scoperta della realtà oscura di cui la dea ne era la potente regina dell'oscurità. Il brano di apertura, la title track, è trafitto tutto il tempo da rumori e suoni spettrali, per una lunghezza assai impegnativa che supera i 23 minuti, tra estratti di rumoristica minimale, fruscii, echi e sussurri carichi di oscuro presagio. Il pezzo ha una trama molto noir e si rianima solamente nel finale, trasformandosi in una scarna e affascinante danza tribale, acustica e ancestrale, dal sapore etnico e sciamanico, come se il tutto fosse svolto in una foresta incantata, governata da forze sovrannaturali. La cosa che più colpisce però è il canto, una splendida interpretazione, drammatica ed ipnotica al tempo stesso, per una voce stregata che si destreggia, salmodiando, nel ricordo di Hagalaz' Runedance, Eva O e Diamanda Galas, nel nome delle regine del folk pagano e del goth rock più oscuro. Si avanza con un secondo brano ("Erebenne Arkuia Nekui"), figlio dell'amore per il drone e il dark ambient apocalittico espresso nei primi album dei Dead Can Dance, potente ed evocatore, mentre, "Triformis Dadouchos Soteira", il terzo brano che porta un titolo particolarmente suggestivo, si snoda anch'esso tra rumoristica d'ambiente, dark e nuovamente drone, contraddistinto da una pesante attitudine lugubre, travagliata ed inquietante, un vortice oscuro che paralizza e destabilizza l'ascoltatore. In chiusura "Damnomeneia", che parte con suoni industriali stridenti per entrare in un comparto etnico che ricorda certe escursioni nel mondo devozionale tibetano ma la sua indole cosmica, primordiale e oscura, lo rende alla fine poco propenso alla meditazione. Il suo tetro avanzare, scandito da lente percussioni, una minimale partecipazione dell'elettronica e la sua forte propensione cinematografica, lo propone come perfetta chiusura di un disco che farà la felicità degli amanti del genere. Cosi come in passato, anche qui i Dark Awake dimostrano le loro qualità, una qualificata capacità di rinverdire e far progredire un'idea sonora spesso sottovalutata dalla critica musicale. Un buon esempio di ambient dai potenti tratti dark, uno splendido e sinistro manifesto sonoro, un disco che nel suo genere può essere letto come variegato ed intenso, sicuramente interessante e ben strutturato. Il mondo oscuro e affascinante di una divinità, madre delle arti magiche e della stregoneria, messo in musica in maniera esemplare. (Bob Stoner)

(Aesthetic Death - 2020)
Voto: 75

https://darkawake.bandcamp.com/album/hekateion

Bound - Haunts

#PER CHI AMA: Shoegaze/Alternative, This Empty Flow
Gli statunitensi Bound aprono 'Haunts', loro opera seconda, con "The Bellows", in cui i tinnuli di cristallo cullano il bipolarismo dei suoi suoni. Un’esplosione di vetri che si adorna di lentezza in uno shoegaze dalle tinte alternative. Un arcobaleno prismatico che toglie il fiato al corpo della song per trovare insistentemente il suo tesoro prima, durante e dopo la sua corsa cinematica. Qui conta la scoperta. Una sonorità accesa che ritroveremo anche nella terza ondivaga "The Divide". Il suono che spazia tra paradiso e inferno. Con "The Ward" invece spezzettiamo il tempo in coriandoli sonori. Una polvere che muove l’aria prima di essere aria stessa. Una carezza, malinconica. Con "The Field of Stones" restituisco il passato in questo presente soffuso. Laconiche le sonorità. Ispirati i passi tra le rocce ed il climax ascendente della musica che imprigiona, sposta, asseconda, rapisce con le sue ipnotiche note di synth. Un viaggio da fare e fare ancora. Se non avete mai fatto un passo nel bosco stregato, se non siete stati mai temerari nella casa maledetta, beh venite con me, il tutto potrebbe suonarvi inquietante quasi quanto il video della successiva "The Last Time We Were All Together". "The Lot" suona come il giusto preludio incantato, spezzato dalla circostanza della chitarra, ammantato dall'eterea voce del vocalist ed ancora forte dell’energia che la band manda in etere. Andiamo avanti, abbracciando l’intensità soffusa che spazza l’estetica in “The Small Things Forgotten”. Il brano apre leggero carezzevole con un arpeggio di chitarra, che presto si trasforma in una nuvola di suoni scomposti, irrequieti, carnali, alla fine quasi infernali. Una bolla in cui il pensiero lento e la rabbia veloce possono scambiarsi pensieri, dinamiche, musica, chitarre benedette e maledette. Non abbiamo ancora toccato il fondo perchè vanno on air gli sperimentalismi dream pop di “The Lines”. Il fondo è superficie perché con la musica le prospettive sono aberrazione. Tuttavia, con la musica i cori ci portano a volare. Ma è forse la traccia che vola o siamo noi a volare? Sentite il brano che spezza con un suono metallico ritmato in 2/4. Sentite le anime che urlano a vanno su ad ascendere. Ascoltare e basta. Mi spacca questa song e mi ricompone le fiaccole dell’anima. L’epilogo di 'Haunts' si racconta con la conclusiva "The Known Elsewhere" ed un sound ripetuto, voce facile per uno shoegaze dalle venature post rock. Un graffio che evoca le melodie dei finlandesi This Empty Flow. Avrei forse preferito un epilogo psichedelico quanto l’esordio, ma l’album si congeda con un volto già visto, una sagoma nell’ombra, un disco che ci dice che andare d’istinto è molto più pregiato che farsi trasportare. (Silvia Comencini)

(Jetsam-Flotsam/Diehard Skeleton Records - 2020)
Voto: 70

https://boundlives.bandcamp.com/album/haunts

lunedì 29 marzo 2021

Månegarm - Vargaresa - The Beginning

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Viking
'Vargaresa - The Beginning' è una compilation uscita nel 2004 che raccoglie i primi due demo dei Månegarm, datati 1996 e 1997. Si tratta dei lavori 'Vargaresa' e 'Ur Nattvindar' che raccolgono le prime nove tracce elaborate dai nostri eroi vichinghi, completamente rimasterizzate e con un nuovo artwork curato dal famoso artista belga Kris Verwimp (Absu, Marduk, Immortal, giusto per citarne qualcuno). Lo stile di questa raccolta si discosta abbastanza dagli standard epico-vichingo della band, presentando infatti un approccio più black metal oriented, rude e selvaggio. Solo in forma più embrionale è presente quel viking metal, diventato poi trademark del quartetto scandinavo. Solo fugaci sono le epiche melodie che caratterizzano questo cd, che colpisce più che altro per la maligna ferocia che trasuda da ogni sua nota, piuttosto che per le partiture viking-folk tanto care nei vari 'Dodsfard' e 'Havets Vargar'. L’album presenta in un paio di occasioni, un ispiratissimo violino, che riesce a conferire a tutto il lavoro, un senso di desolante malinconia. Le vocals sono buone, anche se un po’ grezze. Scarseggiano però quei coretti in grado di proiettarmi agli albori di quella gloriosa civiltà, ahimè scomparsa. Tra i due demo, sicuramente 'Ur Nattvindar' è il migliore, dove oltre al violino e a breaks di chitarra acustica, fanno capolino addirittura delle vocals femminili ed un flebile accenno di tastiere, elementi comunque lontani anni luce dalle ultime cose dei master scandinavi. Se siete degli amanti della band, ma solo se siete amanti, sicuramente non dovrete farvi mancare questo lavoro nella vostra collezione, album che segna l’esordio discografico dei Månegarm, altrimenti vi suggerisco di lasciar perdere e magari approcciarvi ai loro ultimi episodi. (Francesco Scarci)

(Displeased Records - 2004)
Voto: 65

https://www.facebook.com/Manegarmsweden/

The Pit Tips

Francesco Scarci

Respire - Black Line
Jours Pâles - Éclosion
Dystopia - Geen Weg Uit

---
Death8699

Blessed By Perversion - Remnants of Existence
Entombed - Clandestine
Epica - Omega

---
Alain González Artola

Empyrium - Über den Sternen
Midnight Odyssey - Biolume Part 2: The Golden Orb
Moonspell - Hermitage

Clouds Taste Satanic – Cloud Covered

#PER CHI AMA: Instrumental Stoner/Doom
Il mondo del rock è pieno di gruppi che si sono cimentati in rifacimenti di musica di altre band e di conseguenza, si trovano versioni dai mille volti, che a volte sono strepitose, in altre occasioni si presentano poco interessanti e, spesso, anche del tutto fuori luogo. Tuttavia, sono convinto che l'intento ed il motivo per cui tanti musicisti abbiano da sempre cercato di confrontarsi con il sound di un'altra band, sia da ricercare esclusivamente nella passione e nella devozione provata verso i propri beniamini, salvo che, come in alcuni casi, dietro non ci sia un vero e proprio fine di lucro. Nel caso dei Clouds Taste Satanic (CTS), parliamo di passione pura ed il problema lucro non sussiste affatto. Il nuovo album è una versione più estesa del precedente 'The Satanic Singles Series', sempre disponibile in vinile a tiratura limitata di 100 copie e con due brani in più. Per i CTS suonare la musica che li ha fatti crescere ed ha contribuito alla loro maturazione artistica è un vero motivo emozionale e devozionale, cominciando dalla scaletta dei brani scelti, per nulla eterogenea, con alcuni pescati da vari generi musicali distanti tra loro, provenienti da epoche diverse, culturali e artistiche. Considerando poi il metodo singolare con cui si sono approcciati alla riproposizione di questi classici della musica, il medley che ne esce è ancor più accattivante e inusuale. Con quell'attitudine doom che li contraddistingue da sempre, i nostri si sono calati anima e corpo in queste variegate hit, con uno spirito vintage sparato al massimo, rallentando e rendendole comunque sempre accessibili, mai banali o semplificate e, ovviamente, rigorosamente in veste strumentale. Mantenendo inalterate le eccelse virtù della band, i CTS hanno ricreato le composizioni in modo tale che, senza saperlo, ci si possa trovare spesso a cantare la melodia della voce (che non c'è), e per incanto, scoprire che si riesce a canticchiarle anche senza conoscerne il testo a memoria, ascoltandone solo la musica. Sorprendente è il brano rubato ai Nirvana, con l'intrusione inaspettata, dell'assolo di "Smells Like Teen Spirits" in un perfetto noise dissonante, nella ritmica del brano "Blew". Così, dai titoli delle canzoni modificati per l'occasione ("If You Doom Me Now"/"If You Leave Me Now" dei Chicago) e uno stile splendidamente retrò, ci rendiamo conto che se un album di cover di questo tipo l'avessero confezionato i Monster Magnet (e lo dico da loro fan di lunga data), sarebbe schizzato in vetta alle classifiche di gradimento degli stoner fanatici di mezzo mondo! I CTS sono una band stratosferica, con splendide produzioni anche quando si incanalano in opere di puro divertimento, nostalgico e di gusto molto personale. Il disco è gradevolissimo, con un favoloso artwork di copertina (altra loro ottima caratteristica), un groove sonoro pazzesco per una scaletta di brani, che suonata così, si permette anche di far dimenticare i legittimi proprietari delle composizioni, tanto che il sound risulta omogeneo, personale e con un perfetto filo logico nella sua sequenza, organizzato proprio come un vero album. Quindi, Pixies, Pink Floyd, Nirvana, Chicago, Bachman-Turner Overdrive, Elton John, Flamming Lips e molti altri inni, filtrati dal cuore doom di questi musicisti newyorkesi, ci appariranno come nuove proposte, e per un'ora circa saremo proiettati alla riscoperta di ottime canzoni e di una band esaltante, per un viaggio nella mente e nei gusti di una delle realtà psichedeliche più interessanti che il mondo del rock attuale ci abbia regalato. La saga ed il mito dei CTS si avvalora di un'altra pietra pregiata. Ascolto super consigliato. (Bob Stoner)

martedì 23 marzo 2021

Helestios - Your Pain Tastes Good

#PER CHI AMA: Thrash/Groove
Devo ammettere che l'inizio di "Sacrifice", traccia d'apertura di 'Your Pain Tastes Good', non mi ha fatto esitare un secondo: ho pensato che gli Helestios fossero una band greca. Si perchè il sound sciamanico, evocativo e mediterraneo del quartetto mi ricordava un che dei Rotting Christ. Non ho sbagliato completamente, visto che l'ensemble comprende musicisti provenienti da Lettonia, Paesi Bassi e Grecia (avete visto che un po' di orecchio ce l'ho ancora?), tutti di base però in UK nella sconosciuta Basingstoke, poco distante da Londra. Ebbene, come anticipato, il sound del quartetto ingloba sicuramente influenze elleniche che si miscelano ad un riffing tradizionale thrash, una grande dose di melodia, ma anche un pizzico di atmosfere, come quelle che si apprezzano nell'opener. Un bel biglietto da visita direi, completato da un'eccellente sezione solistica ed un buon songwriting che rende il tutto davvero fluido e fruibile. Queste le prime impressioni di cui ho potuto beneficiare nell'ascolto della traccia d'apertura. Proseguendo con la breve e più compassata "Black Storm", potrei evidenziare la voce graffiante di Henrijs Leja, non del tutto growl, ma comunque con un suo perchè visto che s'innesta alla grande nella sezione ritmica di stampo chiaramente classicheggiante, che la song propone. Ancora tempi controllati nella terza "Downgraded World" che vede una variazione proprio nella voce del frontman, qui più pulita e ruffiana, ma comunque sempre convincente. Le chitarre nel frattempo si divertono a tessere granitiche linee ritmiche, per non parlare poi dell'ennesimo assolo da urlo con cui i nostri ci deliziano, quasi da stropicciarsi gli occhi, o forse sarebbe meglio dire sturarsi le orecchie. La band riparte piano anche in "Back to Where It Starts", senza rinunciare comunque ad improvvise accelerazioni e al grido della sei corde di Stelios Aggelis che improvvisamente squarcia il cielo con un'altra sciabolata delle sue, da leccarsi le dita. Se dovessi trovare il classico pelo nell'uovo e francamente me lo eviterei, mi verrebbe da dire che a parte il terribile artwork di copertina, avrei preferito una maggiore dinamicità a livello ritmico, evitando pertanto di privilegiare quei mid tempo nelle tracce iniziali. Ovviamente vengo subito smentito dalla title track che si apre con un bell'arpeggio a cui segue una ritmica più movimentata su cui si colloca la voce di Henrijs, qui in versione pulita ma un po' meno convincente. Ciò che balza all'orecchio qui, oltra ad un altro fantastico assolo, è invece un rifferama grondante groove da tutti i suoi pori che sembra addirittura pagare tributo ai Pantera nella prima parte, prima di incupirsi nella sua seconda metà, con un sound più malinconico. Se dovessi azzardare un paragone per la band penserei ad una fusione tra Nevermore, Scar Symmetry e Pantera, il tutto avvolto da un'aura oscura di stampo ellenico soprattutto in un brano tirato come "All Attack", scritta a supporto del popolo biellorusso schiacciato da una pesante dittatura politica. Più fresca e diretta invece "You Are Free", dove a mettersi in evidenza, non che in precedenza non l'abbia fatto, è l'abilità percussiva di Ian den Boer, mentre le chitarre sembrano evocare un che degli Iron Maiden, a sottolineare comunque dove le influenze dei nostri affondano. Le vocals invece ammiccano qui più che altrove, ad un certo power metal. Più ipnotica invece "Return to Baalbek", un terremotante inno thrash metal con echi mediorientali che potrebbero essere una sorta di rivisitazione thrash dei Melechesh. Il brano ci catapulta indietro di quasi trent'anni spingendoci ad uno sfrenato headbanging senza tempo, prima dell'ultimo grande assolo del talentuoso chitarrista greco che in questo disco mi ha fatto davvero divertire. Ben fatto ragazzi! (Francesco Scarci)

(Self - 2020)
Voto: 75

https://helestios.bandcamp.com

Wesenwille - II: A Material God

#PER CHI AMA: Black Sperimentale, Deathspell Omega, Ulcerate
La Les Acteurs de l'Ombre Productions sembra non sbagliare un colpo. Li seguo fin dalla loro prima release e non ricordo di essere praticamente mai sceso sotto una larghissima sufficienza con nessuna delle band recensite, e io non sono proprio uno di manica larga. Oggi mi ritrovo sulla scrivania gli olandesi Wesenwille - che piacere peraltro vedere un altro strappo alla regola considerata la linea dell'etichetta votata prettamente alla transalpinità - e la loro seconda fatica intitolata 'II: A Material God'. Non conoscevo il duo originario di Utrecht, mi duole ammetterlo, ma ancora una volta la label di Champtoceaux ha beccato in pieno gli artisti su cui puntare. Il genere proposto dai due loschi individui (i classici con una decina di band sulle spalle, tra cui Apotelesma e Grafjammer) non si discosta poi di molto da quanto solitamente offerto dalla LADLO Productions, essendo un black sperimentale fatto di disarmoniche galoppate in stile Deathspell Omega che si combinano con derive più emozionali, come quelle che si riscontrano a metà dell'opening track "The Descent", una traccia che fino a quel momento ci aveva sbranato con ritmi infernali e che poi rallenta vertiginosamente entrando in anfratti più intimistici, da cui ripartire ovviamente più incazzati che mai. Accanto a ritmiche incendiarie, c'è da dire che i due musicisti palesano idee azzeccatissime e personalità da vendere, ed era lecito aspettarselo visto che non stiamo certo parlando di due pivellini. La band ha questo modo di presentarsi con vertiginose scorribande sonore, vocals al vetriolo che parlano di decadentismo della società, ci shakerano nel loro personale frullatore sonoro (penso alla debordante violenza di "Opulent Black Smog"), per poi concederci spettacolari intrugli sonori vicini quasi ad un black progressivo, splendido a tal proposito l'assolo qui. E la ricetta sembra funzionare alla perfezione anche nelle successive tracce, dove si viene investiti da elucubranti riff di chitarra che potrebbero evocare anche i conterranei Dodecahedron, e "Burial ad Sanctos" ne è un esempio calzante. Emerge da questa stessa song anche una certa componente doomish che viene spazzata via da sgretolanti stilettate di chitarra che mostrano, qualora fosse ancora necessario, le eccelse capacità esecutive del distinto R. Schmidt (date un'occhiata alla sua foto e pensate un po' se questo tizio cosi elegante, possa concepire un sound cosi devastante). Fatto sta che i Wesenwille hanno uno stile convincente che continua a propagarsi anche più avanti durante l'ascolto senza soffrire alcun calo di tensione e attenzione ma anzi, acuendo quella voglia di scoprire cosa di insano e deflagrante, i nostri avranno ancora da proporci. Si perchè "Inertia" è un treno impazzito, scuola Ulcerate, che potrebbe esclusivamente fermarsi per un deragliamento delle sue acuminate chitarre che urlano come coyote nel deserto, la notte. "Ritual" è un pezzo strumentale che rinuncia alla sua melodica brutalità solo quando il tremolo picking delle chitarre si prende interamente la scena. Con la title track si torna a correre come degli indemoniati, e il detto senza colpo ferire non credo possa proprio applicarsi ai due mostruosi musicisti orange. Tecnica purissima che si infrange contro la barbarie della proposta dei Wesenwille, stemperata solo da atmosferici rallentamenti doom che sembrano apparentemente allentare quella difforme tensione creata dai nostri. Con "Ruin" abbiamo una versione più meditabonda della musica dei due schizofrenici musicisti olandesi, mentre con la conclusiva "The Introversion of Sacrifice", ci concediamo un addio con i fiocchi, ossia una sezione ritmica di violenza e dissonanza senza precedenti che ci danno il colpo del definitivo KO. 'II: A Material God' è un album sicuramente importante, ma decisamente non per tutti, nemmeno per molti, ma se vi entrerà nella testa, beh probabilmente sarà complicato toglierselo per un bel po' di tempo. Bravi. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2021)
Voto: 79

https://ladlo.bandcamp.com/album/ii-a-material-god

Exhorder - Slaughter In the Vatican

#FOR FANS OF: Thrash Metal, Pantera
This album from start to finish is a never-ending amazing guitar riffs, leads, vocals and production quality that is top notch! This is a MONUMENTAL RELEASE. Within the thrash arena, these guys I'm sure battled with the Bay Area thrash metal bands back in the day. They sure as heck know how to grind it out with some truly amazing guitar they didn't or don't have a huge history of albums but I still think that they have some intriguing sounds coming out of these speakers! I wouldn't think rating this any less than a perfect score. They nailed it all the way through. I wouldn't say that they are thrash/groove, I'd say mostly thrash.

The vocals compliment the guitar work and the most invigorating part of the album is the guitar work. They just hit home all the way in this department. Being a time where thrash was paving its way into the metal community with bands like Metallica, Megadeth, Death Angel, et al. Exhorder has this unique style of guitar-work that really keeps the listener interested all the way through. The crunch tone guitars are just amazing. And the production does the band justice. The leads were amazing too, and I think this guitar work is something that cannot be duplicated.

I wouldn't want the band to change anything about this release. They really show maturity from early on. I'm not into the lyrics but the vocals go well alongside the music. It's not whiny or annoying. The vocals, that is. The music is the best thrash from the day, aside from what Metallica put out in the 80's. The music is just simply insurmountably amazing. And the fact that I didn't discover this band up until recently is a shame. These guys are just simply amazing musicians. They're album 'Slaughter In the Vatican' is going to remain one of the best releases in early 1990's. Sick as all hell!

If you haven't heard this band or this album, I urge you to do so immediately! This is one of the best thrash releases from back in the day when thrash was just getting a liking to the metal arena. These guys bring home one big MONUMENT. I see no flaws in this album or any of these songs. I'm urging listeners of metal music to get this if you haven't it's 30 years old now!! Help them keep the faith in thrash metal and you can be a sure follower of this group, even if it is just this album from theirs. I'm sure they'd be flattered at the fact that you took time to invest in their efforts! Long live Exhorder! (Death8699)


(R/C Records - 1990)
Voto: 90

https://www.facebook.com/ExhorderNOLA/

lunedì 22 marzo 2021

Farer - Nomad

#PER CHI AMA: Doom/Sludge/Post Core
Quattro brani per portarci all'Inferno senza ritorno. Ecco cosa ci propongono gli olandesi Farer con il loro debut 'Nomad'. Mi fa sorridere che si parli di EP, quando la lunghezza media dei brani viaggia sui 13 minuti fatti di un sound claustrofobico e malato, cosi come si presenta l'opener "Phanes", che con le sue urla stridenti e i suoi suoni glaciali, riesce a congelarci il sangue nelle vene. La musica che ci propone il trio dei Paesi Bassi, che vede in formazione due bassisti e nessun chitarrista, propone un causticissimo sound che miscela post metal, doom e hardcore, non disdegnando qualche divagazione in territori post rock. I suoni siderali, melmosi e angoscianti, potrebbero ricordare gli Amenra della prima ora, quelli più violenti ed ancorati alla tradizione hardcore, anche se verso il nono minuto del brano, emergono forti le influenze più recenti ed intimiste della band belga. La dronica cupezza sonora emerge palese nelle pulsanti note introduttive di "Asulon", che mostra come i nostri debbano sempre carburare per 2/3 giri di orologio prima di partire con la loro proposta sonora. E quindi ecco il classico minimalistico prologo in cui accanto a mezzo accordo ripetuto alla noia, esce finalmente una voce umana, calda e decadente. Lentamente la musica cresce e con essa ritornano le harsh vocals di uno dei due vocalist, mentre i bassi in sottofondo creano atmosfere intriganti al limite della psichedelia, con l'irruenza dello stoner e la profondità del doom, il tutto avvolto da un sound ai confini estremi della catarsi che ci accompagnerà fino alla conclusione di questo delirante pezzo. Con "Moros" le cose sembrano farsi un po' più abbordabili, proponendo i nostri un post metal dai tratti più commestibili e morbidi ma comunque assai particolari, che ci immergono in un nuovo trip dal quale sarà complicato uscirne immuni. La song scivola via tra sonorità molto delicate in cui ampio spazio viene concesso al lavoro delle percussioni e a strani effetti noise in background che serviranno a dare il via libera a violente deflagrazioni post hardcore, condite da una notevole linea melodica che a questo punto mi sorprende sapere costruita solo dai bassi. Fighi, non c'è che dire. Anche nella conclusiva "Elpis", dove i tre tulipani si concedono divagazioni shoegaze accanto a quelle inconfondibili note doom/noise/post core che delineano già con assoluta originalità, la spiccata personalità di questi tre stravaganti musicisti orange. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2020)
Voto: 75

https://farer.bandcamp.com/album/monad