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martedì 2 novembre 2010

Belakor - Stone's Reach


Ancora una volta è l’Australia ad allietare le mie orecchie con suoni estremamente suggestivi: dopo Insomnius Dei, Phalanx ed Empyrean, ecco arrivare anche i Be’lakor con il loro sound a cavallo tra death doom e progressive e già tutto mi è più chiaro. Questo è il genere che prediligo in assoluto perché in grado di regalare le emozioni più forti alla mia anima. Questi cavalieri dell’apocalisse ci offrono otto splendide composizioni che partendo da un sound vicino a quello degli Opeth, ne prendono immediatamente le distanze, riuscendo a costruire trame musicali davvero convincenti ed avvincenti già dall’iniziale “Venator”, song ricca di melodia, atmosfere cangianti capaci di passare repentinamente da frangenti acustici ad altri più elettrici. Anche la successiva “From Scythe to Sceptre” naviga sulla stessa onda, grazie alle deliziose malinconiche linee di chitarra offerte dal duo Shaun Sykes e George Kosmas (quest’ultimo anche vocalist della band); ma è con questa song che gli “Aussie boys” ci prendono ufficialmente per mano accompagnandoci nel loro mondo articolato, riflessivo e decadente, dove ad alternarsi sono splendide ambientazioni crepuscolari con altre più selvagge, finendo per creare un seducente gioco di chiari scuri che può incoronare il five pieces australiano nel gotha del death metal melodico. Le successive “Outlive the Hands” e “Sun’s Delusion” non fanno altro che confermare quanto appena scritto: ritmiche da urlo, sorrette da un continuo ed efficace lavoro di ricerca di melodia, come solo i grandi gruppi scandinavi sono in grado di fare e tanta tanta fantasia che nulla alla fine lascia di scontato nell’ascolto di questo eccellente lavoro. Se solo il growling del frontman fosse stato leggermente più espressivo, magari alternando i cavernosi vagiti con altre parti più sofferenti (ma pulite), l’album avrebbe meritato sicuramente qualcosa in più. La produzione ben equilibrata, accanto allo spessore tecnico-stilistico dei componenti del combo australiano, non fa altro che confermare l’eccelsa qualità di una band che ha tutte le carte in regola per sfondare in Europa, forti ora anche di un contratto di distribuzione con la Kolony Records. Se siete amanti di questo genere, non far vostro questo cd, sarebbe davvero un peccato veniale. (Francesco Scarci)

(Prime Cuts Music/Kolony Records)
Voto: 80

sabato 25 settembre 2010

Empyrean - Quietus

#PER CHI AMA: Black Symph/Death Progressive
Un preludio vampiresco ci introduce nell’oscuro e selvaggio mondo degli australiani Empyrean, validissima band di Brisbane capace di stupire gli ascoltatori per la freschezza della propria proposta musicale, pur viaggiando all’interno di territori già più volte esplorati da acts ben più famosi, quali Cradle of Filth o Emperor. Avrete già capito di che genere stiamo parlando quindi, un black sinfonico che paga sì tributo ai gods nord europei già citati, ma che ha anche modo di regalare qualche spunto interessante, affondando comunque le sue radici in un sound molto vicino al death progressive svedese (Opeth docet). Il sestetto australiano ci regala quindi dieci deliziose tracce, in cui ad emergere senza ombra di dubbio sin dal primo ascolto è l’eccelso lavoro dietro le tastiere di Daniel Tannett e l’uso di una voce che spazia in totale scioltezza dallo screaming più feroce alla Dani Filth, al growling più cavernoso, per fare inoltre qualche rara capatina in territori totalmente clean, tanto che il vocalist corre il rischio di sembrare quello di una delle tante band emo/metalcore che impazzano in questo momento. C’è ancora spazio per il miglioramento, ma già ascoltando la gotica “From Whence the Mourning Came” o la successiva esaltante “Halls of Sorrow”, mi rendo conto che quello che ho fra le mani è una band dalle grandissime potenzialità, dalle grandi doti tecniche e dall’indubbio gusto per le melodie. Non ci saranno chissà quali idee innovative nelle note di questo “Quietus”, ma è un cd che si lascia sicuramente ascoltare e sono convinto che possa avere una lunga vitalità all’interno del vostro stereo. Nella quinta “Shackled Within” fa la sua comparsa anche una soave voce femminile che riesce a stemperare quella furia annichilente che per l’intera durata del cd fa da contraltare a quell’alone di oscuro intimismo che circonda i brani. Altra segnalazione d’obbligo è per “Raped and Dying”, song molto vicina all’attuale produzione degli Enslaved. Insomma che dire? A livello di songwriting ci siamo, magari la produzione non è ancora ai massimi livelli, ma tranquillamente migliorabile; se solo ricercassero un proprio stile ben definito capace di allontanarli dai cliché del genere, e se solo le linee vocali di James Hill si caratterizzassero meglio, sono convinto che sentiremo parlare molto a lungo di questi Empyrean. Avanti cosi! (Francesco Scarci) 

(Prime Cuts Music)