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sabato 19 luglio 2025

Nasciturus - Fabulae

#PER CHI AMA: Black/Hardcore
Rzeszów non è certo quella che potremmo definire una metropoli, eppure la capitale del voivodato della Precarpazia, deve avere una scena musicale piuttosto fiorente. Abbiamo da poco recensito infatti i Runopatia e prima ancora gli Into Dark. Ora ci arrivano questi Nasciturus, che completano una scena fatta anche dagli Epitome, dai Salceson X e dai Pandrador; peraltro alcune di queste band hanno visto in passato tra le loro fila, membri dei qui presenti Nasciturus. Comunque, bando alle ciance e torniamo a questo 'Fabulae', debutto discografico del terzetto del sud-est della Polonia, dedito a una forma oscura di black metal, che ci introduce a questi nuovi sette pezzi. Le danze si aprono con le criptiche melodie di "Pomirki", che ben presto si abbandonerà a selvagge ritmiche su cui si piazzano le vetrioliche vocals di uno dei tre vocalist. Il suono è parecchio crudo, credo volutamente ostico da digerire per quelle sue dissonanti linee di chitarra, per non parlare poi delle sghembe atmosfere che si palesano nella seconda metà del brano. Devo ammettere che l'ascolto non è dei più semplici, ma le visioni lisergiche che ci attendono in coda, rivelano una spiccata personalità della band. Rimanga però agli atti che l'ascolto rimane complicato, vuoi per un cantato rigorosamente in lingua madre, forse per l'eccessiva distorsione delle chitarre, o ancora per la crudezza di certi passaggi, che sembrano evocare un misto tra punk e hardcore ("Ogniem Uzdrowion"). Eppure i testi dovrebbero esplorare un immaginario radicato nel folklore slavo, ispirandosi a leggende locali, ma il suono non sembra andare nella medesima direzione delle liriche e lo confermano le accelerazioni devastanti della già citata "Ogniem Uzdrowion", o le linee di basso propulsive di "Potrójnie Przez Ziemię Wypluty" che sferragliano in una cornice ritmica pesante, impetuosa a tratti (quasi grind), e inacidita da vocals taglienti. Che fine hanno fatto allora quelle atmosfere surreali del primo brano? In chiusura di brano si paventa poi il rischio di sprofondare in sonorità doomish, ma trattasi soltanto di parvenza. I nostri riprendono a trottare a tutta velocità. "O Czudca Powstaniu" prova a rendere la ritmica più sludgy, ma il risultato sarà solo quello di renderne angosciante l'ascolto, per poi comunque riprendere velocità appena dopo metà brano, prima di lasciarci a un finale per lo più percussivo. "Pieklisko we Wróblowej" riparte dai ritmi spediti e spietati ascoltati sin qui, in cui chitarre e basso giocano a rincorrersi selvaggiamente per tutta la sua durata. "Silva Populo" parte decisamente più compassata, lasciando ampi spazi ai giri di basso e chitarra acustica. Ma è verso il secondo minuto che la band si abbandona a furibonde ritmiche post black, che vanno a sancire lo status di mio brano preferito del lotto, a cui rimane a questo punto solo la conclusiva "Pokuta". Inizio tranquillo, quasi un unicum del disco. Ipnotici e sinistri giri di basso ci preparano verosimilmente alla tempesta pronta ad abbattersi sulle nostre teste, che puntuale arriva dopo 90 secondi, con una voce completamente differente da quella ascoltata sin qui, quasi strozzata in gola, ed enfatizzata peraltro da una componente corale che aggiunge altri elementi, quasi pagani, alla proposta dei nostri. Il finale torna atmosferico e onirico. Alla fine 'Fabulae', propone un black metal sound veemente che va in controtendenza a un titolo che lascerebbe presagire invece qualcosa di etereo o sognante. Più che una favola a occhi aperti, direi a questo punto, un incubo. (Francesco Scarci)

venerdì 18 luglio 2025

Blood Thirsty Demons - Sabbath

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Thrash/Horror
Quello che al primo ascolto si era dimostrato qualcosa di infantile e scontato, si è invece dimostrato ai miei occhi quello che, in effetti, è: un CD 3-track più intro e outro basato su un concept solido, forse un po’ trendy per i primi anni 2000 (thrash vampiresco), ma tutto sommato buono, scaturito dalla mente di Cristian Mustaine, leader e compositore dei Blood Thirsty Demons. Canzoni facili ma non scontate per quanto riguarda gli arrangiamenti di chitarra; per gli altri strumenti si dovrebbe fare di più per riempire il suono, soprattutto per le tastiere e la batteria. La voce non è poi così male, anche se le parti recitate non vorrei suscitassero ilarità a chi non è abituato a questi toni. I testi non sono niente d’eccezionale, ma rispecchiano il credo orrorifico della band (o almeno ciò che dicono). Compaiono anche delle parti acustiche che potrebbero sembrare delle guasconate commerciali, ma che invece, alla lunga sortiscono un certo effetto: giudicate voi. Una nota: dietro le pelli siede Mike, batterista di Morning Rise e Sine Macula. Sicuramente, trattandosi degli esordi, il suono andava maggiormente curato cosi come una maggiore originalità era auspicabile, per poter essere una bella sorpresa per il futuro.

giovedì 17 luglio 2025

Wojtek - Nell'Abisso del Mio Io

#PER CHI AMA: Hardcore/Sludge
Nel vecchio 'Petricore' avevo sottolineato come l'esperimento affidato a "Giorni Persi", song cantata in italiano, fosse verosimilmente un unicum ma anche una soluzione ben riuscita per i padovani Wojtek. Ecco, devono avermi preso in parola, visto che questo nuovo EP, 'Nell'Abisso del Mio Io', è cantato tutto in italiano e peraltro, da un nuovo cantante, Leonardo Amati, il che consolida a questo punto, una loro stabile presenza nella scena hardcore/sludge italiana, con un approccio sempre più maturo e personale. Chiaro, magari non sono la persona più indicata ad affrontare questo genere di suoni, ma non posso che sottolineare come la band stia palesemente evolvendo il proprio sound, scarnificandolo, rendendolo più crudo e al contempo, efficace e immediato. L'ingresso del nuovo cantante ha reso possibile tutto ciò con uno screaming abrasivo ma comunque avvolgente che ben si amalgama con quell'estetica lo-fi tipica dell'hardcore che la band ha deciso di abbracciare. E in un uno-due devastante, il quintetto italico ci investe con il loro primo singolo, "E Quando il Sole si Spegnerà, Saremo Noi a Bruciare il Cielo", che vede chitarre ultra distorte andare a braccetto con la batteria pesante di Francesco Forin con la voce di Leonardo a vomitare tutto il proprio dissapore. Più emblematica la successiva "Ritmi", che scombina un po' le carte, aggiungendo ulteriori elementi che evocano, lontanamente per carità, un che dei System of a Down, dei progetti più violenti di Mike Patton, della causticità degli STORMO, e quel groove che si scorge dietro l'angolo, richiama anche un che degli IN.SI.DIA. I testi che esplorano introspezione e alienazione, spalancano le porte alla resistenza in un mondo in declino, andando per questo a creare un'esperienza più intensa e autentica. Nel frattempo si arriva al terzo pezzo, "Veleno d'Ombra", e dai suoni e voci iniziali, di quello che credo essere un mercato. Il brano si muove poi su binari più mid-tempo, opprimenti, lenti (sludgy direi), affiancati da una performance canora rabbiosa e, a tratti, più meditabonda, e da cori che finiscono per arricchirne gli arrangiamenti. L'approccio corale si enfatizzerà ulteriormente nella più malinconica e doomish, "Specchio", che va a chiudere un album sicuramente ostico, ma convincente, che potrebbe addirittura riuscire a far breccia anche nei cuori di chi, come me, non mastica particolarmente, questo genere di estremismo sonoro. (Francesco Scarci)

(Shove Records/Teschio Dischi/Violence in the Veins - 2025)
Voto: 75

https://wojtek3522.bandcamp.com/album/nellabisso-del-mio-io-2

Manipulated Slaves - The Legendary Black Jade

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Melo Death/Power
Si sa che il Giappone è la patria del metal, dal classico al progressive, passando per l’ultra melodico. I nostri Manipulated Slaves, non potevano nascere in un posto migliore. Nati nel 1994, i M.S., combinano un buon power metal, ben articolato da dei buoni arrangiamenti di batteria, con una sorta di classic metal, melodico, dove le chitarre la fanno da padrone e dove spiccano voci femminili ed alcune parti di violino abbastanza azzeccate. Alla voce possiamo trovare come guest, Johan Liiva, ex-Arch Enemy, che svolge egregiamente il compito di vocalist affidatogli. Tutto questo è condito da azzeccate parti musicali che a volte abbandonano il classic, per spostarsi verso lidi più death/thrash melodico che danno un tocco d’originalità al tutto. Poche volte ho sentito band giapponesi e, in ogni modo, spero suonino tutte in questa maniera. L’unico punto un po’ debole è forse la produzione, non molto pompata per quel che riguarda batteria e chitarre. L’ultima nota, ma non la meno importante, è la loro apparizione in live-acts di Tankard, Marduk, Arch Enemy e Witchery. Promossi.

(Worldchaos Production/Slumber Records - 2001/2012)
Voto: 70

https://manipulatedslaves.com/

Demons Of Dirt - Killer Engine

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Swedish Death/Crossover
Che dire di questa (allora) giovane band svedese che proponeva neanche a dirlo del death metal di stampo nordico? Penso che di questi gruppi ce ne siano davvero abbastanza, e solo pochi hanno portato qualcosa di buono a questa scena. Riff già risentiti e poco coinvolgenti, che cercano di essere sempre più tecnici, tralasciando quella sana melodia che caratterizzava i primi gruppi di questo filone. Per quanto riguarda la bravura e la tecnica, non ho nulla da recriminare con i Demons Of Dirt: manca semmai quel feeling necessario per coinvolgere il pubblico e non annoiarlo. Le chitarre si dilettano in ritmi quasi progressivi e, a mio parere, confusi, con assoli e riff già sentiti. Nota positiva, il cantante che si sbatte e sbraita efficacemente, rischiando certe volte di far sembrare il cantato molto vicino al crossover. La batteria potrebbe fare qualcosa di più visto la base abbastanza tecnica che deve accompagnare. Eppure, la band lavorò sodo per ottenere un contratto discografico, non affatto male, con la Hammerheart e pertanto merita, almeno di essere ascoltato e valutato. Li consiglio però solo agli amanti del genere, in primis dei The Haunted e dei The Crown.

(Hammerheart Records - 2002)
Voto: 60

https://www.metal-archives.com/bands/Demons_of_Dirt/

martedì 15 luglio 2025

Azathoth’s Dream - Solitary Forest Necromancy

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
After an interesting debut EP and the subsequent excellent full-length entitled 'Nocturnal Vampyric Bewitchment,' the USA-based duo Azathoth’s Dream is back for the rejoicing of 90s black metal die-hard fans. I personally enjoyed their debut album quite a lot, as it truly sounded like an honest and well-elaborated homage to black metal’s most authentic times.

Two years later, the duo is ready to unveil its new album, and the question is whether it will be on par with its predecessor or if it can improve upon it. 'Solitary Forest Necromancy' is the title of the new beast, and it follows the same patterns, for sure. The album is firmly rooted in the quintessential characteristics of the genre, with no big surprises regarding the elements that can be found in it, which is obviously good news for the average fan. The American duo has created ten pieces where rawness and atmosphere coexist in excellent balance. If we compare both albums, I would highlight that, in general terms, the atmosphere is even stronger here, but never to the detriment of the fierceness in the compositions. The keys play an important role, as their presence is notable. They are perfectly paced in the mix, and they embrace the rest of the instruments, creating a solid feeling of unity. Kudos for the production work, because even though the sound is raw and primitive, the guitars, keyboards, rhythmic section, and L. Azathoth’s vicious shrieks each have their own space to shine. Azathoth’s Dream's material is far from being complex, but it has the required variety in terms of guitar lines and tempo changes that make their compositions highly enjoyable and well-crafted. I personally appreciate it when a band tries to create compositions where the pace has its ups and downs and avoids sounding exasperatingly repetitive.

The album opener, "Denied", showcases the aforementioned characteristics with a fast-paced beginning, where L. Azathoth's screams lead the charge alongside the powerful guitars and hypnotic keys. Fast and slower tempos are tastefully combined to enhance the track's strong ambiance. This combination sounds even more inspired in "Ancient Black," which is one of the strongest tracks on the album. The guitar lines are particularly strong in the equally furious "Malevolent Enshrined," where the drums also sound remarkably powerful. The band slows down the pace a bit in the enjoyable track "Coven of the Ancient Black Flame," although, as is the case with the rest of the composition, you won't find a single song where fast or slow sections are completely absent. The mix of different rhythms is a key element of Azathoth's Dream and one that this project aims to preserve, which I consider a wise decision, as it is a fundamental ingredient of this well-crafted album.

'Solitary Forest Necromancy' is undoubtedly another solid step in Azathoth’s Dream’s career. The elements found in the previous works are still here, perfectly mixed and maintaining a great level of inspiration for our personal delight. (Alain González Artola)


Gravenia - S/t

#PER CHI AMA: Stoner Rock
Siamo in ritardo di qualche mese nella recensione dell'album di debutto, via Overdub Recordings, dei Gravenia, band romana dedita a uno stoner rock virato a una certa emozionalità di fondo, molto accentuata e tipica di alcune famose band della scena indipendente italica. Forse perché i Gravenia usano la lingua madre e una certa ricorrenza alla licenza poetica per esprimersi, (non certo tipica del genere che è di solito associato al grasso delle motociclette o ai tubi di scarico delle auto anni '70, ufo, horror b movie etc.) e uno stile adottato per le parti vocali, atipico per questo tipo di rock, che subito balzano alla mente i Verdena, quelli più suggestivi, appunto quelli che sapevano trasmetterti qualcosa. Ora, se prendiamo l'effetto emotivo de 'Il Suicidio dei Samurai', e lo accostiamo a un suono pesante, desertico, non necessariamente di matrice americana, mi rendo conto con mia grande sorpresa e felicità, che questo debutto è molto vicino al sound di dischi usciti nella prima ora, album che hanno segnato la prima ondata dello stoner rock europeo, come l'omonimo irraggiungibile degli olandesi 35007 e il suono della polvere stellare degli australiani, e poco conosciuti, Wrench ('Oscillator Blues'). Il gioco sonoro dei Gravenia è fatto, ed è molto coinvolgente. Canonici nella costruzione sonora, i nostri hanno saputo costruire comunque un album omogeneo che, seppur attingendo e rimanendo confinati nel recinto del genere in questione, osano dare quel tocco di originalità in più, basandosi sulla volontà di voler comunicare attraverso la loro musica. Questo crea inequivocabilmente la differenza che li vede in vantaggio verso altre stoner band che si limitano invece a imitare pedissequamente. "Belve", "Vetro", "Serpenti", "Orbita", sono brani perfetti dal suono pesante e cosmico, ben equilibrato e compatto, che per essere così grosso e ruvido, accostato a questo modo di cantare, risulta per certi aspetti anche raffinato, artisticamente attraente ed evoluto, emotivamente intrigante, perfettamente a suo agio nel cosmo più oscuro. Un disco, peraltro dotato di un'ottima produzione, che forse, a torto, verrà sottovalutato, solo perché il cantato in lingua italiana non ha il fascino della lingua d'Albione. Eppure, musicalmente si tratta di un disco di tutto rispetto, integrato a dovere nello stoner rock, ed emancipato a dovere, per la musica indie nazionale. Un disco intelligente, dinamico e per molti aspetti psichedelici anche riflessivo. Ascolto consigliatissimo. (Bob Stoner)

(Overdub Recordings - 2024)
Voto: 82

https://www.facebook.com/graveniaband/

venerdì 11 luglio 2025

Aasar - I, the Hell

#PER CHI AMA: Blackened Deathcore
Secondo EP in due anni per i trentini Aasar, che con questo 'I, the Hell', propongono un nuovo colpo di scena nel panorama delle sonorità blackcore, seguendo il percorso tracciato dal precedente 'From Nothing to Nowhere'. Cinque i pezzi a disposizione per il quartetto nordico, con la rumba che prende il via con il rifferama sincopato della title track, un pezzo complesso e potente dotato di un'architettura musicale prettamente djent, arricchita però da blast-beat infernali, breakdown deathcore, vocals super caustiche, e un discreto senso della melodia, nonostante il corrosivo sound messo in piazza dai nostri, il che dimostra una certa versatilità nello stile della band. "Exiled" segue subito a ruota, caratterizzata da un bilanciamento più solido tra melodia e brutalità, complice una chitarra dal groove marcato in sottofondo, qualche orpello cibernetico qua e là, un'introduzione più atmosferica, e spruzzate di melodia che provano a smorzarne comunque la veemenza. Tuttavia la brutalità non tarda a farsi sentire, con accelerazioni implacabili, vocals al vetriolo e quel senso di vertigine apocalittico tipico dei breakdown. Che sia la top hit del disco? La risposta definitiva si avrà con il fade-out che introduce a "Crypt of Agony", che vede la collaborazione di Jake D. Sin (voce dei veneziani Unethical Dogma), la cui ugola s'intreccia con quella del frontman Simone Giacopuzzi, in un brano che fa del djent/deathcore, il proprio dogma, tra chitarrone super ribassate e tonfi ritmici che palesano nuovamente la potenza della band. "LiTh" tenta inizialmente di offrire una pausa con un'apertura più atmosferica ma ben presto, a prendere il sopravvento, sono ritmiche complesse e sinistre, accompagnate da urla graffianti e un predominante elemento deathcore, nonostante alcune spruzzate black metal siano riscontrabili durante l'ascolto. Ottima comunque la linea melodica di chitarra che guida l'ascolto, il basso pulsante di Daniele Nicolussi, senza dimenticare le funamboliche percussioni del mostruoso Denis Giacomuzzi che aggiungono ulteriore profondità al sound, riempiendoci i padiglioni auricolari di un sound mid-tempo ricco di intensità. Infine, "Spineless" chiude l'opera enfatizzando ulteriormente la spettacolare pulizia dei suoni, e la sua straordinaria e abrasiva densità ritmica. Pur non essendo un pezzo veloce, l'arrangiamento si dimostra incredibilmente energico, con una struttura che sarà capace di farvi colare il sangue dalle orecchie. Alla fine, non posso far altro che invitarvi alla cautela nel maneggiare questo pericoloso dischetto, rimanendo in attesa di un debutto su lunga distanza, che sembra già promettere grandi cose. E allora allacciate pure le cinture di sicurezza. (Francesco Scarci)

(Seek & Strike - 2025)
Voto: 74

mercoledì 9 luglio 2025

Shining - Divided You'll Stand & United You'll Fall

#PER CHI AMA: Black'n Roll
Sono sempre stato un fan degli svedesi Shining, eppure da qualche anno a questa parte, ho come l'impressione che Niklas Kvarforth e soci, stiano rilasciando un po' troppi riempitivi (tra live, Ep e demo) che francamente, non ho trovato di grandissima qualità. Questo EP, intitolato 'Divided You'll Stand & United You'll Fall', sembra voler andare nella stessa direzione, dal momento che su sei tracce, tre sono delle cover, una è già stata proposta e infine c'è un riempitivo di 27 secondi. Si parte subito con la roboante "Chief Rebel Angel", cover degli Entombed, il cui legame musicale con gli Shining, davvero mi sfugge. Fatto sta che la band svedese fa il suo compito alla grande con un sound roccioso, la voce di Niklas intrisa di una forte componente emotiva e per questo assai convincente, ma che comunque, con quello che è il sound depressive black dei nostri, c'entra poco nulla. Godibile, ma non capisco. Si passa quindi a "Pick Up the Bones" di Alice Cooper e potrete immaginare come il sottoscritto ci possa capire ancora meno, se non intuire una forma di bizzarro entusiasmo da parte di Niklas nell'esplorare brani completamente avulsi dal suo territorio. Con "Joakims Höghussång" possiamo saggiare finalmente lo stato di forma del sestetto di Halmstad, con un pezzo oscuro, lento e inquietante che sembra quasi presagire significative evoluzioni stilistiche future. "Crawl Across Your Killing Floor" è un altro pezzone rock, del buon caro Glen Danzig, che viene reinterpretato con grande personalità da Niklas e farà la gioia di chi attende con ansia il nuovo disco degli Shining, atteso peraltro a fine ottobre. Gli ultimi due pezzi sono l'inutile "Då Döden Äntligen Vunnit" e la violenta e in totale stile Shining, "Ugly and Cold", song che era già apparsa però su un 12" nel 2022 e che fondamentalmente, poco aggiunge a questo lavoro. Per quanto mi riguarda, preferisco i full length dei nostri a queste mosse un po' troppo commerciali al mio naso. (Francesco Scarci)

martedì 8 luglio 2025

Wardruna - Birna

#PER CHI AMA: Folk/Ambient
Leggere Columbia Records (alias Sony Music) accanto al nome dei Wardruna, devo ammettere mi faccia un certo effetto. La band norvegese d'altro canto, ha avuto un successo cosi importante negli ultimi anni (complice anche la partecipazione sonora alla serie TV Vikings e al videogioco Assassin’s Creed Valhalla) che gli varrà anche la possibilità di suonare all'Anfiteatro degli scavi di Pompei quest'estate. Fatto sta che 'Birna' è il sesto album del duo scandinavo che tra le sue fila in passato, ha visto anche la presenza di Gaahl. 'Birna', che in norreno significa "orsa", rivela un concept nel suo titolo, ossia il ciclo di vita dell'orsa, la sua morte e rinascita. Il disco, forte di una produzione a dir poco spettacolare che enfatizza ogni singolo strumento, include dieci tracce che vedono intrecciarsi elementi folk, ambient e ritual music, per un'esperienza sciamanica, evocativa, spirituale, capace forse alla fine di riconnetterci alla natura, sin da quel battito di cuore che apre "Hertan", un pezzo solenne, che stabilisce sin da subito che cosa attendersi dall'ascolto dei 66 minuti di musica che costituiscono questo lavoro monumentale. Un disco che vede un massiccio utilizzo di strumenti tradizionali, come la talharpa, il flauto, la lira, il corno di capra e l’arpa a bocca, combinati poi con suoni della natura, atmosfere ipnotiche e meditative ("Birna"), suggestioni ritualistiche che a occhi chiusi, inducono immagini che ci riportano a uno stato di primordialità e al contempo di sacralità ultraterrena. Suoni di ruscelli aprono "Ljos Til Jord", accompagnati poi da eteree voci femminili che accompagnano quella di Einar Selvik, su di un tappeto ritmico tribale. "Dvaledraumar" ha la pretesa di durare oltre 15 minuti, con un tema ambient per la maggior parte del suo tempo, il che, devo ammettere, alla fine stufa un pochino. Trovo infatti che i Wardruna siano più intriganti nei brani più brevi, caldi ("Hibjørnen"), o comunque formati da una struttura canzone più consolidata ("Skuggehesten"). Tuttavia, 'Birna' alla fine è un signor album che segna il ritorno di una delle band in ambito ambient folk, forse più influenti al mondo. (Francesco Scarci)

(Columbia Records - 2025)
Voto: 77

https://www.wardruna.com/

lunedì 7 luglio 2025

Aeba - Rebellion – Edens Asche

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Symph Black
Tedeschi e prodotti dalla Last Episode, non potevano far altro che black sinfonico. 'Rebellion – Eden Asche' è stato il secondo full length per gli AEBA che realizzarono nel 2001 un mattone di sessantasei e passa minuti di metal tendenzialmente aggressivo e discretamente suonato. Va subito segnalato l’utilizzo di una drum machine, benché le ritmiche siano assimilabili a quanto potrebbe fare un batterista in carne e ossa. I tempi sono in genere sostenuti ma non raggiungono mai velocità stratosferiche. A essi vorrebbero far da contraltare gli intermezzi atmosferici realizzati grazie ad arpeggi e tastiere, ma in verità non ho mai trovato troppo emozionanti questi stacchi, così come non mi è piaciuto granché il ruolo della tastierista. Le tastiere sembrano infatti un po' tagliate fuori dal songwriting, nonostante la presenza di questo strumento non sia relegata a qualche intervento. Alcune parti maestose–trionfali fanno la loro figura, va però detto che i sessantasei minuti di questo cd sono dati anche dall’eccessivo ripetersi di certi riffs e stacchi (soprattutto quelli più azzeccati), che finiscono così per venire a noia. Per questo, le canzoni risultano decisamente prolisse e meno varie di quanto la loro durata potrebbe far pensare o sperare (provare per credere: ascoltatevi la sesta traccia!). Nulla di eclatante le chitarre: potrebbero intrecciare meglio le rispettive linee, ma suonano invece spesso identiche. Le parti vocali, che si dividono i due chitarristi, non sono niente male, e le urla acute e ruvide o più roche nei momenti recitati, sembrano ben adattarsi alla musica. Senza aver mai avuto la pretesa di essere una new sensation o scopiazzare palesemente, questi AEBA cercavano in definitiva, di suonare symphonic black metal in maniera personale. Questo non sempre è riuscito, ma gli sforzi sono stati apprezzati. Una critica oggettiva va fatta anche alla produzione: nonostante gli strumenti si sentano singolarmente bene, manca quel tocco che renda coeso l’insieme e doni maggior compattezza, e quindi anche aggressività e potenza, al sound dei quattro teutonici. Chi ama parecchio il genere dovrebbe apprezzare; quanto agli altri, vi sfido ad arrivare fino in fondo.

(Last Episode - 2001)
Voto: 65

https://www.metal-archives.com/bands/Aeba/

Fleet Foxes - Shore

#PER CHI AMA: Indie/Alternative/Folk
L'acqua. Vista dalla spiaggia. 'Shore'. Nuotare, crogiolandosi nella dimessa rivelazione dell'amore sentimentale ("Wading in Waist-High Water") o nell'amore ammirato per i miti del rock ("Sunblind", una sorta di non-solo-white hymnal annata twenty-twenty), con un'attitudine laicamente ma catarticamente battesimale. O più semplicemente, rievocare le onde dei ricordi passati, nelle istantanee della memoria ("For a Week or Two"), opposte agli angoscianti marosi dei presenti avvenimenti mondiali. Omaggiare Victor Jara (l'uomo, più che l'artista) significa cantare le sue canzoni sulla spiaggia ("Jara" introduce, nelle parole dell'autore, il suo personale concetto di headbanging, il che è tutto dire), e poi diciamocelo, cavarsela nella vita è un po' come navigare ("I'm Not My Season"). Se da un lato i riverberanti chiaroscuri della bellissima "Featherweight", al contempo semplicissimi e complessissimi, o la dissolubilità sussurratamente progressive di "Quiet Air / Gioia" riportano al precedente 'Crack-up', è altrettanto vero che complessivamente quest'album, maieutico e al contempo massimamente terapeutico (le ansie da foglio bianco raccontate in "Can I Believe You", ma anche quelle per il mondo che rotola a rotoli in "A Long Way Past the Past"), intende allontanarsene per sonorità e approccio tematico, riapprodando per quanto possibile, a quel freschissimo spleen pastorale, ruralissimo (ma soltanto sotto tortura userò il termine "pasturalissimo"), che rendeva grandi, anzi enormi, i primissimi lavori. (Alberto Calorosi)

(Anti-Records - 2020)
Voto: 75

https://fleetfoxes.bandcamp.com/album/shore

giovedì 3 luglio 2025

Helheim - HrbnaR / Ad Vesa

#PER CHI AMA: Black/Thrash
Non sono sicuro se il nuovo album degli Helheim rappresenti realmente un passo avanti nella carriera della band norvegese. Da anni si distinguono nella scena musicale estrema grazie alla loro riconoscibile fusione di black metal preponderante e qualche accenno di viking folk, ma 'HrbnaR / Ad Vesa' non riesce a convincermi del tutto. Pur essendo attivi dal lontano 1992, e mantenendo un ruolo significativo nell'underground grazie alla loro capacità di innovare rimanendo fedeli alle radici del genere, questo nuovo lavoro sembra avere qualcosa che non quadra pienamente. Non so se la mia perplessità derivi dalla decisione di dividere l'album in due sezioni, la prima compiuta da H’grimnir e la seconda da V’gandr, o dalle voci pulite che, a mio avviso, non reggono il confronto con gli altri lavori. Oppure, potrebbe essere la musicalità, che in alcuni momenti appare appesantita da eccessive dissonanze sonore. Fatto sta che rimango incerto nell’esprimere un giudizio definitivo. Non fraintendetemi, non stiamo parlando di un disco mal riuscito, ma semplicemente io, dagli Helheim, tendo ad aspettarmi sempre livelli qualitativi elevati. Analizzando la prima metà del disco, emerge un black metal capace di conquistare, con momenti significativi come le malinconiche note di "Sorg er Dødens Spade" o l'impetuosa brutalità di "Livsblot", un brano che non lesina in ferocia e si muove abilmente attraverso chitarre affilate arricchite da linee melodiche ben calibrate. I testi, radicati nella mitologia norrena, aggiungono spessore a una sezione che regala ulteriori colpi ben assestati. Tra questi spicca "Mennesket er Dyret i Tale", che bilancia con intelligenza, furia e mid-tempo, culminando in un assolo di grande impatto emotivo. Tuttavia, quando si arriva alla seconda metà del disco, il distacco con la prima metà si fa più evidente. Si nota una maggiore enfasi sulle sezioni ritmate che, in alcuni casi, sforano nella ridondanza ciclica. La ruvidità di "Fylgja", o le suggestioni cupe e opprimenti di "Hamingja", mantengono in parte il tipico stile norvegese grazie alle distintive linee di chitarra, ma alla fine, resta quel non so che di incompiuto e poco convincente. A spezzare la monotonia interviene "Hugr", un pezzo ipnotico dal basso che richiama vagamente atmosfere pink floydiane. Tuttavia, anche qui l’eccessiva ripetitività di fondo unita a una più forte componente thrash, riscontrabile anche nella conclusiva "Hamr", finisce per risultare quasi fastidiosa. Per chi segue gli Helheim da tempo, questo disco offrirà comunque materiale interessante e momenti godibili. Se però siete nuovi nel loro universo musicale, consiglierei di iniziare con lavori per me più rappresentativi, come 'Heiðindómr Ok Mótgangr' o 'Yersinia Pestis'. (Francesco Scarci)

(Dark Essence Records - 2025)
Voto: 70

https://helheim.bandcamp.com/album/hrabnar-ad-vesa

Elderwind - Older Than Ancient

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
'Older Than Ancient' (Древнее Древних) rappresenta il quarto album della band russa Elderwind e, come da tradizione, reperirlo online a un prezzo accessibile, si conferma una sfida quasi impossibile. Conosciuti per il loro sound evocativo, capace di alternare dolcezza e potenza sonora attraverso un raffinato mix di black metal atmosferico, gli Elderwind intrecciano paesaggi sonori grandiosi con una malinconia profonda. Il pezzo "Sorrow for the Past" è forse l'emblema perfetto di questa sintesi. Il quartetto dimostra ancora una volta la propria maestria con un lavoro che richiama band del calibro di Agalloch, Summoning e Saor, fondendo riff black tipici con tastiere avvolgenti e testi ispirati alla natura, in particolare ai paesaggi russi come quelli del Volga e degli Urali. Il disco propone sette tracce ed, escludendo una breve intro, le altre sono caratterizzate da durate medie attorno agli otto minuti. Chitarre epiche si fanno protagoniste nel dipingere paesaggi sonori che richiamano foreste innevate e montagne primordiali. Le linee vocali spaziano tra urla strazianti e cori puliti, che talvolta ricordano atmosfere in stile Bathory, come si può percepire all'inizio de "The Greatness of the Ancient". Questi elementi trasmettono una struggente sensazione di dolore in contrasto con l’aura di speranza suggerita dalle voci pulite. Ogni brano convince per intensità ed emotività. "Sorrow for the Past" spicca per il suo tocco spettacolare e malinconico, mentre "Prospector" apre le porte al mondo degli Elderwind con un black furioso e allo stesso tempo melodico, grazie a linee di chitarra potenti che amplificano l'impatto emozionale. Da menzionare anche "The Volga", la traccia conclusiva: un omaggio al leggendario fiume russo, costruito su un mid-tempo che alterna passaggi sinfonici a esplosioni di furiosi blast beats, culminando in un finale solenne e memorabile. Il brano, arricchito peraltro da testi poetici, celebra la natura come forza immortale. In definitiva, 'Older Than Ancient' è un vero gioiello di black atmosferico. La produzione impeccabile e gli arrangiamenti carichi di emozione, fanno di questo album un’esperienza coinvolgente, capace di catturare l’essenza della natura e lasciare una traccia indelebile nella scena musicale. Per questo motivo, ho deciso di investire i miei soldi nell’acquisto. Ne è valsa pienamente la pena. (Francesco Scarci)
 
(Self - 2025)
Voto: 80
 

venerdì 27 giugno 2025

Goatroach - Satanic Decay

#PER CHI AMA: Death/Sludge
'Satanic Decay' è stato rilasciato lo scorso 30 novembre dalla Sleeping Church Records nei formati digitale e vinile. A inizio giugno l'etichetta francese ha finalmente pubblicato una versione digipack per chi, come il sottoscritto, ama ancora i cd. La seconda release dei finlandesi Goatroach si presenta come una solida proposta di death/black metal con deviazioni sludge. Come si può immaginare, ci troviamo di fronte a un sound brutale che, in alcuni frangenti, tende a rallentare, scalando repentinamente le marce per farci sprofondare in apocalittici abissi votati all'occultismo che, il quintetto di Kuopio, sembra particolarmente apprezzare. Tutto questo emerge sin dalla seconda traccia, "Of Paperhats & Copied Sigils" (la prima è un'intro strumentale), che si muove in bilico tra black e death metal con alcune aperture verso oscuri meandri sludgy. Il tutto è sostenuto da una voce cavernosa che potrebbe richiamare band come gli Autopsy. La terza, "Cunting in Hell", aumenta i giri del motore con sonorità più affini allo Swedish sound dei primi Dismember e Grave: la batteria miete vittime con i suoi blast beats mentre le chitarre, accordate molto basse, dominano con caustici riffoni. Una linea ritmica completata poi da un basso viscerale che in "Unified in Ash", si fa ancora più catacombale e doomish, implacabile nel suo incedere claustrofobico. "For Legacy" non è da meno, con le sue ritmiche costantemente fangose (la stupenda linea di basso richiama chiaramente la scuola Black Sabbath dei tempi di 'Heaven & Hell'), evocando i primordiali vagiti dei Cathedral. "Horror Unending", quasi a voler parafrasare il proprio titolo, apre con fare orrorifico tra angoscianti vocalizzi (questa volta non in growl) e un'importante parentesi atmosferica che sembra prendere le distanze da un inizio non particolarmente brillante della band. Finalmente il sound, nei suoi anfratti più oscuri, si fa più intrigante anche quando le accelerazioni prendono il sopravvento, concludendosi con una coda quasi dronica. La title track continua a privilegiare quest'estetica angosciante che evoca, nel suo incedere funereo, una sorta di terrore cosmico. Questo è il lato che prediligo della band, come dimostra anche la successiva "Intoxicated by Necromancy" (il pezzo più lungo dell'album), dove le atmosfere decadenti e macabre riescono a generare emozioni vivide di natura "lovecraftiana", grazie soprattutto all'ottimo lavoro dei synth che ribaltano quell'esito negativo che ero pronto ad attribuire inizialmente al disco. Un disco che si chiude con "Chant of the Armageddon Hybrid", un outro che non avrebbe certo sfigurato in uno dei primi album dei Cradle of Filth, con in sottofondo addirittura il verso dello sfortunato caprone da sacrificare, su un breve tappeto orchestrale. Insomma, 'Satanic Decay', pur non aggiungendo chissà che cosa di rivoluzionario, si configura come il degno seguito di quel 'Plagueborn' che avevo recensito tempo addietro. (Francesco Scarci)

(Sleeping Church Records - 2024/2025)
Voto: 70

https://goatroach.bandcamp.com/album/satanic-decay

giovedì 26 giugno 2025

Valkenrag - Fury Untamed

#PER CHI AMA: Melo Death/Viking
Ci hanno impiegato ben sette anni per tornare in azione i polacchi Valkenrag, peraltro senza un significativo sforzo, essendo 'Fury Untamed' un EP di 18 minuti e poco più. Il quartetto di Łódź, nato inizialmente come un side project, ci regala cinque pezzi belli freschi, solidi, e intrisi di un melodic death metal che, sul piano lirico, affronta tematiche legate al paganesimo, alla mitologia slava e, immancabilmente, all’immaginario vichingo. Sul versante musicale, siamo di fronte a un death metal massiccio che non rinuncia, anzi esalta, le sue componenti più melodiche. La title track, che apre il lavoro, lo dimostra subito: riff corposi, carichi di groove e melodia, che strizzano l’occhio agli Amon Amarth, ma non disdegnano inserti più black. Il risultato è convincente, anche se nulla che rivoluzioni il genere. La dichiarazione d’intenti prende forma pienamente con “Retribution”, un brano ben strutturato in cui spiccano la linea melodica della chitarra e il growl potente di Lorghat. È un pezzo piacevole, persino “fischiettabile” sotto la doccia, grazie a un bridge centrale che introduce un assolo interessante, seppur un po’ timido. Timidezza che non appartiene invece alle sfuriate di Njal, batterista instancabile e trascinante. Le influenze viking emergono con forza in “Unreachable Horizon”, costruita su un giro di chitarra dalla chiara impronta nordica, che si fissa in testa con facilità. Il pezzo prosegue con un riffing denso, ancora una volta debitore della scuola scandinava. Onesto, ma non memorabile: i primi due brani restano superiori, anche se qui i soli guadagnano in personalità. In “Descendant of Chaos”, la band esplora territori più oscuri, introducendo arrangiamenti sinfonico-orchestrali che aggiungono profondità e atmosfera. Una direzione interessante, che apre a nuove possibilità espressive. Il disco si chiude con la brutale “Bleed to Be”, un’esplosiva miscela di black e death metal che, se non fosse per le melodie taglienti dell’assolo, rischierebbe di risultare troppo piatta. 'Fury Untamed' è, in definitiva, un lavoro onesto, utile per testare lo stato di forma dei Valkenrag e valutare la reazione del pubblico di fronte a queste nuove tracce. Non un ritorno clamoroso, ma un buon banco di prova per definire meglio lo stile che la band polacca intende sviluppare in futuro. (Francesco Scarci)

(Art of the Night Productions - 2025)
Voto: 68
 

mercoledì 25 giugno 2025

The Pit Tips

Francesco Scarci

Lights of Vimana - Neopolis
Elderwind - Older Than Ancient
Concrete Age - Awaken the Gods

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Alain González Artola

Blood Incantation - Absolute Elsewhere
Neckbreakker - Within The Viscera
Urda Sot - Unterirdische Passagen

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Death8699

Benediction - Ravage of Empires
Cryptopsy - An Insatiable Violence
Soilwork - The Chainheart Machine

martedì 24 giugno 2025

Khôra - Ananke

#PER CHI AMA: Black Avantgarde
Credo che ormai non ci sia band estrema che Les Acteurs de l'Ombre Productions non possa raggiungere. Oggi è il caso della creatura internazionale che risponde al nome di Khôra e del loro nuovo secondo album, intitolato 'Ananke', che si rifà alla divinità greca del fato. Nati come progetto solista di Oleg, la band oggi si è evoluta in una formazione completa che include Frédéric Gervais (Orakle, Cor Serpentii) alla voce, Göran Setitus (ex-Setherial, Svartghast) al basso e Kjetil Ytterhus (Profane Burial, Haimad) alle orchestrazioni. Dopo il debutto del 2020, 'Timaeus', ecco tornare la band nel tentativo di consolidare il proprio sound, in quella sua stravagante mistura di black atmosferico e progressivo, in grado di evocare nomi altisonanti quali Dimmu Borgir, Emperor e Arcturus. Io francamente non li conoscevo e devo ammettere che già dai primi pezzi sono rimasto piacevolmente colpito dalla proposta del gruppo. "Empyreal Spindle" e "Legion of the Moirai" mostrano infatti di che pasta sia fatto il quartetto, capace di bilanciare la ferocia del black/death metal con una certa raffinatezza delle orchestrazioni. Le chitarre offrono riff taglienti e acidi, spesso arricchiti da assoli dissonanti (in stile Ved Buens Ende e Virus, oserei dire) che aggiungono una dimensione psichedelica alla proposta. Il basso di Göran fornisce una solida spina dorsale, così come il forsennato drumming di Ole che alterna blast beat furiosi (spaventoso in tal senso in "In the Throes of Ascension") a sezioni più atmosferiche. Le orchestrazioni di Kjetil costituiscono poi quell'elemento distintivo, con archi, tastiere e suoni sintetici che evocano un'atmosfera cosmica e inquietante, completata dalle voci di Frédéric, che si muovono tra uno stile "arcturiano" e il tipico screaming black, anche se le varie collaborazioni del disco, probabilmente mi hanno un filo disorientato nel capire dove realmente il frontman offre la propria performance vocale. Comunque, tra le guest star, troviamo Blasphemer (ex-Mayhem, Vltimas) a cimentarsi nell'assolo dell'opening track, Kristian Niemann (ex-Therion, Sorcerer) in quello di "Wrestling with the Gods", mentre Wolfgang Rothbauer (Thirdmoon, In Slumber) si esibisce dietro al microfono in "On a Starpath", con la sua alternanza tra pulito e growling. Queste comparsate aggiungono ovviamente ulteriori strati di complessità a un lavoro già di per sé complesso, considerando che anche "Legion of the Moirai" vede la presenza di Arnhwald R. (Deathcode Society) alla voce mentre "In the Throes of Ascension" la performance vocale è condivisa con Bill Kranos (Savaoth). Alla fine, quello che conta è il risultato, e qui non ci sono dubbi che 'Ananke' si pone come un'opera decisamente ambiziosa che conferma i Khôra come una delle realtà più intriganti del metal estremo contemporaneo. La produzione impeccabile, gli arrangiamenti orchestrali e la profondità lirica creano un'esperienza immersiva che bilancia furia, emozione e sperimentazione di quello che si candida a essere una delle sorprese dell'anno. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2025)
Voto: 80

https://ladlo.bandcamp.com/album/ananke

Cadaveric Crematorium - Cry Now, Motherfucker!

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Grind/Death
Veramente interessante questo debutto ormai datato 2001, all'insegna del death-grind, per questa band del bresciano che ha al suo interno membri dei defunti Nadir, non so chi ancora se li ricorda. Comunque i Cadaveric Crematorium sono un’altra cosa! Death-grind d’assalto bello violento e marcio. Questo CD-R (che peraltro ha un artwork professionalmente stampato!), contiene 11 tracce, due delle quali risalenti a un primo periodo senza un batterista ufficiale (e dove infatti abbiamo una drum machine). Gli altri pezzi invece trasudano vero sangue marcio e carne infetta. Ottima l’opener track "Incredibile Hulk", veramente un inno grindcore ai massimi estremi livelli. Da notare alcune influenze dei Cannibal Corpse nel riff centrale della seconda traccia "Butcher?". La produzione di questo lavoro era senz’altro sopra la media e il buon gusto che dimostrato anche nel packaging, li mise sicuramente in mostra come una delle nuove band su cui puntare per il futuro della scena death-grind made in Italy.

venerdì 20 giugno 2025

Mürrmürr - Katharos

#PER CHI AMA: Post Black/Blackgaze
Secondo EP per i francesi Mürrmürr, intitolato 'Katharos' e pubblicato ad aprile di quest'anno. La band cerca di consolidare il proprio stile intrecciando la furia gelida del black metal con atmosfere e melodie più evocative, sulla scia di gruppi come Alcest, Harakiri for the Sky e Regarde Les Hommes Tomber. Questo lavoro, composto da quattro tracce, esplora le guerre di religione del XVI secolo in Francia, un tema di forte attualità, che si riflette tanto nei testi quanto nell'intensità emotiva della musica. L'apertura dell'EP è affidata a "Luther", un vero pugno nello stomaco. Il brano parte in sordina per poi esplodere in un assalto frontale caratterizzato da una ritmica tagliente, blast-beat feroci, chitarre e screaming laceranti che stabiliscono immediatamente il tono ferino del lavoro. Tuttavia, la traccia evolve sapientemente (il rischio di bocciature era già dietro l'angolo) grazie a un'apertura melodica che richiama il blackgaze, con arpeggi eterei e un uso sapiente delle dinamiche, capaci alla fine di trasmettere un forte senso di disperazione, che si sposa perfettamente con il concept del disco. È il brano più diretto del disco ma non per questo privo di profondità, andando infatti a dissolversi in un'atmosfera quasi onirica. La title track mostra l'altra faccia della medaglia del quintetto di Dunkerque, affidandosi invece a un mid-tempo compassato, chitarre più pulite e vocalizzi evocativi che conferiscono al pezzo una certa solennità. "Mas d'Asilh" si apre con un'intro atmosferica che potrebbe ricordare i primi Alcest, sviluppandosi poi attraverso cambi di tempo grazie alle chitarre in precario equilibrio tra il caustico e il contemplativo, e un utilizzo poi del basso, a dir poco notevole. La conclusiva "Bartimé" si muove su coordinate similari, con le vocals e le linee di chitarre strazianti che rappresentano il fil rouge con i brani precedenti, prima di un epico finale in crescendo. Resta ancora parecchio lavoro da fare per cercare di prendere le distanze dai mostri sacri del genere e mostrare maggiore personalità, ma la strada intrapresa sembra essere quella giusta. (Francesco Scarci)

(Epictural Production - 2025)
Voto: 68

Golden Heir Sun/Euypnos - A Journey to the Underwater Moon

#PER CHI AMA: Drone/Ambient
Come direbbero gli inglesi "this is not my cup of tea", giusto per identificare un qualcosa che non fa al caso loro. Ecco, lo split tra le due one-man-band italiane, Golden Heir Sun ed Euypnos, potrebbe non rientrare nei miei parametri musicali, però mi reputo una persona di mentalità aperta e voglio quindi approcciarmi senza pregiudizi, alla proposta dronico-psichedelica, di queste due realtà assai visionarie. Due sono anche le lunghe tracce disponibili in questa stravagante, quanto intrigante collaborazione. Si parte con "A Vessel Of Clouds (Through A Field Of Tidal Waves At Sunset)" e un minimalismo sonoro distopico, estraneo a qualsiasi forma musicale strutturata. Quei suoni dronici che entrano nelle nostre teste, hanno un effetto alienante sin dalle prime angoscianti note che, in realtà, perdureranno simili per i quasi dieci minuti del brano, dove salmodianti voci sembrano apparire, a un certo punto, come fantasmi pronti a terrorizzarci. Credo che questo sia l'effetto desiderato dai due frontman, che danno la loro personale interpretazione alla loro pseudo jam session, che porta con sé suoni riverberati, accompagnati da sintetizzatori sottili che evocano il movimento dell'acqua, completamente privi dell'utilizzo di percussioni, fatto salvo per il field recording iin sottofondo. L'influenza di tecniche di produzione ispirate a Brian Eno e Ben Frost, è percepibile nella costruzione dei paesaggi sonori, al pari dell'astrattismo dell'artwork che sembra completare l'esperienza sensoriale. La seconda suite "A Sight Of The Moon Beyond The Maelstrom (...And Then Nothing)", con i suoi nove minuti e mezzo, prosegue il viaggio in una dimensione sonora destrutturata, fatta di echi ambient/noise, addensati di contenuti catartici, che potrebbero indurvi a una profonda analisi introspettiva, ma anche portarvi definitivamente alla follia. 'A Journey to the Underwater Moon' è disponibile in tiratura limitata di 50 cassette, questo perchè è un misterioso lavoro destinato a una ristrettissima nicchia di ascoltatori. (Francesco Scarci)

Lights of Vimana – Neopolis

#PER CHI AMA: Death/Doom/Gothic
Uno dei nostri amici, collaboratore a tempo perso e figura interessante del panorama doom mondiale, Jeremy Lewis (ex Dalla Nebbia, Mesmur, Pantheist), mi ha inviato il disco di debutto dei Lights of Vimana, nuova creatura internazionale che vede tra le sue fila, oltre allo stesso Jeremy, anche Déhà, per cui non servono troppe presentazioni, e il nostro Riccardo Conforti (Void of Silence). Pubblicato per l'italiana Dusktone, il trio rilascia cinque brani che si collocano nelle pieghe di un death doom goticheggiante, strizzando l'occhiolino ai Draconian, ai Void of Silence più intimisti e ai The Foreshadowing. Il disco si apre con gli inquietanti synth di "Nowhere", un brano di oltre 14 minuti che mette immediatamente in chiaro la direzione stilistica del gruppo. Quella chitarra che sembra disegnare melodie degne della colonna sonora di Blade Runner segna l'inizio dell'esplorazione nel mondo dei Lights of Vimana. Veniamo immediatamente avvolti dalle malinconiche melodie della band, in cui riesco a percepire il retaggio di tutti e tre i musicisti: sia nella delicatezza delle dense atmosfere (bravo Riccardo nel creare una certa nebulosità con le sue tastiere), che nella muscolare pesantezza delle ritmiche (e chi meglio di Jeremy alle chitarre può offrire questo?), per finire con le sofferenti vocals del polistrumentista belga, perfetto sia nella componente pulita che nel growl. Il risultato finale è decisamente notevole, soprattutto nel finale del brano, dove la componente orchestrale aumenta progressivamente. La cinematicità del trio si palesa anche nelle note iniziali di "Endure", forse più morbida a livello chitarristico, non per questo meno efficace o sorprendente. In questo caso ne beneficia la componente emozionale, sorretta anche dalle iniziali vocals meditative di Déhà che esploderanno, contestualmente a un inasprimento delle chitarre, nel suo riconoscibilissimo growl. Attenzione perché qui compaiono anche le vocals femminili di Nicole Fiameni degli Eurynome a fare da contraltare alle voci da orco del frontman belga. Effetto prevedibile ma assai efficace, che richiama mostri sacri come i Tristania. Le atmosfere si fanno più solenni, e ribadisco che il lavoro maturo di Riccardo alle tastiere si sente forte nelle note del disco, alzando enormemente il livello, senza nulla togliere agli altri interpreti. "Real" è un'altra mezza maratona di oltre 11 minuti in cui la componente cinematica continua ad andare a braccetto con la pesantezza del doom, coadiuvata dall'intensità roboante del riffing di Jeremy. Un break centrale rallenta i sensi prima di un etereo finale in crescendo che mi ha evocato i Draconian. La title track è un pezzo strumentale, sospinto dalle iniziali tinte apocalittiche, degne del mondo brutale in cui stiamo vivendo, per cedere poi il passo a panorami più positivi, quasi a voler dire che c'è ancora speranza per un pianeta devastato dalle guerre. A chiudere, ecco "Remember Me", che riprende quel discorso musicale già abbracciato da "Endure" e "Real": ancora in primo piano il chitarrismo di Jeremy e le atmosfere orchestrali imbastite dall'eccellente Riccardo, su cui si alterneranno le voci pulite e catarrose di Déhà, a chiudere uno dei debutti più intriganti dell'anno. Ma da questi tre musicisti, d'altro canto, non ci si poteva aspettare di meno. Straordinari. (Francesco Scarci)
 
(Dusktone - 2025)
Voto: 82