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sabato 9 gennaio 2021

Ambassador - Care Vale

#PER CHI AMA: Alternative/Post-Grunge/Dark
Ecco una band che sul finire del 2020 ha conquistato un posto nella mia personale classifica dell'anno passato. Sto parlando degli Ambassador, compagine proveniente dalla Lousiana, che ha rilasciato sul finire dell'estate scorsa questo EP di sei pezzi intitolato 'Care Vale'. Che dire, il platter è fresco quanto mai tenebroso. Il tutto è certificato dall'opening track, "Colonial", un brano guidato da uno spettrale giro di chitarra e dalla voce di Gabe Vicknair, uno che deve essere cresciuto a pane e Fields of the Nephilim, visto che il mood oscuro degli inglesi lo riversa all'interno di un sound oltremodo delicato che tocca qua e là alternative rock, post-punk o dark metal. Il sound dei nostri tuttavia non si limita certo a questa o quell'etichetta, ma volge il proprio sguardo verso sentieri differenti, spaziando anche all'interno di post-metal, sludge, shoegaze e altre sonorità che potrebbero scomodare facili paragoni con gli ultimi Katatonia. Notevoli, è stato il mio primo pensiero. E malinconici quando la seconda "Voyager" ha cominciato a fluire nel mio stereo con i suoi raffinati orpelli chitarristici, come un soffio leggero che sposta impercettivamente i capelli davanti agli occhi. La voce di Gabe rimane il punto di forza dell'ensemble, ma anche la musicalità cristallina messa in piedi dalla band di Baton Rouge si rivela davvero formidabile con ariose aperture che potrebbero evocare un che dei Russian Circle. All'inizio menzionavo le divagazioni sludge, eccomi accontentato in "Subterfuge", con quel suo pesante riffing melmoso allegerito soltanto dal raddoppiare della seconda chitarra che, oltre a conferire un tocco di malinconia ad un brano per larghi tratti strumentale, ne stempera anche l'irruenza. Ma con l'ingresso della voce e della tribalità di un drumming che chiama in causa ancora i Katatonia, ecco che il gioiellino è servito, con quelle sue chitarre riverberate di chiara matrice post-rock. Ve lo dicevo che dentro a 'Care Vale' c'era di tutto e per tutti i gusti, quindi non esitate avanzando nell'ascolto. Verrete sorpresi dal temperamento nostalgico della title track, cosi emotivamente inquieta e cosi forte nello sconquassarci l'anima con il suo incedere delicatamente dilaniante. Con "Severant", quelle nubi che si stavano addensando nell'aria poc'anzi trovano modo di scaricare la propria rabbia attraverso un riffing dapprima pesante ma che in pochi secondi perde vivacità acquisendo un tono ancora malinconico. Ma i quattro americani sono abili nell'alternare luci e ombre, cosi come eterei passaggi acustici a fragorose scariche elettriche, ammiccando qui anche ai Deftones. La chiusura è affidata alle note di "Spasma", dove emergono infine accenni post-grunge che si vanno a sommare a una ricerca spasmodica del suono emozionale, maledetto e dannato, malinconico e irrequieto, che fanno di questo 'Care Vale' un lavoro intenso e da gustare tutto d'un fiato. (Francesco Scarci)

Hatecrime - Music About Death

#PER CHI AMA: Black/Death
Uscito nel 2019, 'Music About Death' rappresenta il secondo album per il quartetto russo degli Hatecrime. La proposta del combo originario di San Pietroburgo, definito 'misanthropic death metal', è in realtà un rozzo e furioso black death con qualche accenno grooveggiante. Lo dimostrano i 133 secondi di "Dead Raven", che su una ritmica thrash metal, s'infervorano poi con accelerazioni death e screaming black. Fortunatamente, in questo marasma sonoro, i nostri ci buttano dentro qualche accenno melodico altrimenti credo l'ascolto di questo brano non sarebbe stato certo dei più facili. E infatti è assai più complicata la successiva "We Are Not Who We Are", in primis per una durata più sostanziosa rispetto a "Dead Raven" e poi per una proposta musicale controversa e dissonante, anche se i continui cambi di tempo e una tecnica più che discreta, ne fanno galleggiare le sorti oltre la sufficienza. Un'apertura acustica apre "Against", il pezzo più lungo del lotto (circa 6 min e 20) che ci consegna un rifferama più compassato, certo non proprio memorabile, ma perlomeno si lascia ascoltare. "You Hating" ha il riffing portante davvero potente, ancora meglio l'apporto vocale che si muove tra un semi-pulito, growl e scream, per quello che è il miglior pezzo del disco, soprattutto a livello melodico con un bell'assolo conclusivo che si accompagna ad una feroce galoppata black. Ecco, qui ci siamo, ma che fatica. Con la seguente "1984" si torna a ritmiche più misurate, alternate alle classiche sfuriate, ma il risultato non mi convince più di tanto, più che altro perchè si perde nell'anonimato generale. E anche l'episodio conclusivo del disco, "The Purge", non aggiunge granchè all'album, sebbene possa certamente affermare che gli Hatecrime riescono a dare il meglio di se stessi sui pezzi più tirati piuttosto che in quelli più ragionati e qui i nostri sono abili nell'aggredirci con un rifferama tagliente e selvaggio. Insomma 'Music About Death' è un lavoro che denota ancora diverse deficienze per approdare ad un pubblico più vasto, il consiglio è come sempre una maggior ricerca di originalità per scrollarsi di dosso quell'abito che indossano ormai milioni di band impantanate nell'anonimato totale. (Francesco Scarci)

(Wings of Destruction/Grotesque Sounds Productions - 2019)
Voto: 62

https://wingsofdestruction.bandcamp.com/album/music-about-death

venerdì 8 gennaio 2021

Hulder - Godslastering: Hymns of a Forlorn Peasantry

#FOR FANS OF: Raw Atmospheric Black
Hulder is a solo-project founded only two years ago by the Belgian musician Marz Riesterer who is currently located in Oregon, USA. From its inception the project showed some potential, combining raw black metal with some medieval influences, not only conceptually but also with some small musicial touches. Anyway, Hulder couldn't be defined as a pure medieval black metal project, at least in its first stage. In these two years, the project has been quite active releasing several demos, singles and a EP, always with a very raw production and a potential yet to be fully delivered.

Twenty-twenty has been a remarkable year for Hulder that finally released the debut album entitled 'Godslastering: Hymns of a Forlorn Peasantry' with the respected underground label Iron Bonehead Productions. This debut opus marks a great step forward in terms of composition and production and it is exactly what I was expecting from this project as a logical and needed musical evolution. 'Godslastering: Hymns of a Forlorn Peasantry' doesn't differ so much from the previous works but it is undoubtedly a more mature work. First of all, the production has still its rawness, but it is clearly cleaner and more powerful. All the instruments are much more audible and the sound is perfectly balanced. The compositions have an appropriate equilibrium between clearness and agression. Musically speaking, the songs are clearly rooted in the black metal genre, both instrumentally and vocally. Marz’s shrieks sound pretty rasped and powerful and they fit the music perfectly well. Pace-wise, the songs are generally fast though they have a good dose of tempo-changes with a quite well composed guitar lines, which sound archetypal but never boring or dull. The album opener "Upon Frigid Winds" is a nice example of well-composed riffs and a relentless pace, although thankfully the rhythm varies enough to prevent the song to become boring. Moreover, it has a nice and short atmospheric interlude in the middle of the song which gives a nice medieval touch to the track. The aforementioned medieval vibe is here clearly stronger if we compare it with previous releases. This feeling is achieved thank to different arrangements, like some keyboard sections in several songs, for example, the already mentioned album oponer, or traks like "Lowland Famine", among others. Other arrangements come in the form of acoustic guitars, like in the more calmed track "De Dilje", which serves as a peaceful moment in the middle of a sonic storm. These arrangements enrich the album making it has a credible medieval vibe, but they never overshadow the absolutely loyal black metal sound. The achieved balance is excellent and the expected aggressivity is well accompanied by these atmospheric touches, which improve the final result. Another nice example is the excellent track "A Forlorn Peasant’s Hymn", with a surprising calm and beautiful first half, where Marz also shows us her heavenly voice. This ethereal start is suddenly broken by a furious change, giving wat to a second full black metal part, where she shows its strenght, it is indeed a well-done great contrast.

'Godslastering: Hymns of a Forlorn Peasantry' is undoubtedly a excellent step forward in Hulder’s career. It stays loyal to its core sound as it shows a necessary improvement in terms of production, compositions and a stronger medieval atmosphere. Absolutely recommendable for fans of the black metal genre. (Alain González Artola)


(Iron Bonehead Productions - 2020)
Score: 82

https://www.facebook.com/HulderUS/

Silent Eyes - S/t

#PER CHI AMA: Acoustic Prog Rock, Riverside
I Silent Eyes (monicker che ricorda il titolo di un brano di Paul Simon) sono una one-man-band dalle sfumature eccentriche e nostalgiche, un porto sicuro per un ascolto di un rock acustico mosso che incontra pace e generi variegati. La prima traccia di questo album omonimo, “Homeward Bound” ci porta letteralmente a casa. La voce del mastermind Keelan Butterick spezza il silenzio di un locale vuoto in cui si muovono chitarra ed ugola, un tutt’uno che accarezza un sound melancolico. Suoni dalle reminescenze prog (penso a Riverside o Porcupine Tree) si addolciscono in un pop rivisitato. Sonorità trasversali a vari generi sfumano nel racconto del cantare non del cantante. Il pezzo si chiude con virtuosismi chitarristici che non vogliono lasciare la scena, quasi ad esserne dipendenti. Epilogo lento e mellifluo. Veniamo a “The City”. Dondolo lentamente sul mio centro. Altrettanto lentamente provo ad entrare nelle pieghe di questa canzone. D’improvviso, un sorriso sghembo ed una ferita si aprono. Si. Perchè “The City” non lascia spazio alla mente, ma sussurra al cuore. E se ascoltando una canzone la commozione ci mastica l’anima, allora dobbiamo dare spazio alle fauci per riprenderci il cuore. Mi ridesto dal viaggio delle prime tracce quando parte “These Days”. Si librano sfere di luce nel buio della notte. Salvami. Perdonami. Conducimi. Ed il viaggio si ferma. Strappa il respiro. Poi ci rianima. Un prendere ed un dare. Un sussulto ed un sospiro. Una terra bruciata ed un fiore. Qui l’atmosfera si confonde in parole e musica. Ciclico. La terra trema leggera sotto “Ocean Blues”. La voce è avvolgente in una tensione superficiale che terrà sempre gli atomi in intorni coesi. Gli occhi si chiudono, il corpo no. Un messaggio da farsi passare attraverso. Un vivere di sensazioni, emozioni e musica. L’album del factotum australiano (qui aiutato da una serie di amici tra cui il Bloodwood String Quartet con tanto di viola, violino e violoncello) si chiude con “For You”. E siamo su una spiaggia dimenticata dal tempo e dallo spazio. Il fuoco è acceso. La fiamma imperante. Il silenzio tra i crepitii alimenta la voce di fondo che fa gongolare l’anima. Spengo la luce. Alzo il volume. Così dovete ascoltare questo'album. Un lavoro di classic rock acustico, dai tratti folk, fuori dagli schemi. Quest'album vi lascia lo spazio che si prende. (Silvia Comencini)

martedì 5 gennaio 2021

Mazikeen - The Solace Of Death

#PER CHI AMA: Black, Emperor
Il nome Mazikeen ho imparato a conoscerlo dalla visione della serie TV 'Lucifer', dove impersonava uno dei demoni a servizio di Lucifero, sebbene l'origine del suo nome sia da ritrovarsi nella DC Comics che la incornicia come una delle figlie di Lilith, la presunta prima donna di Adamo. A parte queste premesse, i Mazikeen sono anche la band di oggi, un quintetto originario di Melbourne che lo scorso anno, ha rilasciato il qui presente debut, intitolato 'The Solace of Death'. L'album include otto tracce di black/death più la bellezza di quattro cover. Ma andiamo con ordine raccontandovi un po' di che pasta sono fatti i nostri, che partono discretamente bene con la title track e una tempesta di sette minuti di black dalle tinte sinfoniche. Nulla di originale sia ben chiaro, però i musicisti sembrano preparati, le melodie piacevoli, anche un pochino ruffiane ma va bene, con tutti gli elementi del classico black anni '90 a disposizione dei nostri. Un tuffo nel passato quindi, sottolineato anche dalla successiva "Apostate" che con i suoi 10 minuti, e insieme agli altri 10 di "Vexation Through the Golden Sun", rappresentano i due brani più lunghi del disco (in un lavoro che comunque sfiora gli 80 minuti!). Anche in queste circostanze, la band si presenta con parti death atmosferiche che si alternano a sfuriate di scuola norvegese (Emperor/Carpathian Forest), con uno strano utilizzo delle vocals (tra screaming e qualcosa di corale). Certo gli originali sono tutt'altra cosa, però i nostri si difendono in un qualche modo, anche se avrei evitato di proporre quasi 21 minuti di musica in soli due pezzi, il rischio di incappare in una certa ridondanza si fa infatti più elevato. Ma i Mazikeen si mettono in gioco, rischiano e non ne escono nemmeno con le ossa rotte sebbene dopo un po' il desiderio di skippare lo avverta anche. I nostri musicisti australiani macinano riff a profusione con velocità sostenute, sempre contraddistinte però da una buona dose di melodia e addirittura da qualche assolo di scuola heavy classica (mi vengono in mente gli Iron Maiden nella seconda song) o addirittura da qualche break acustico che conferma le discrete qualità dei nostri. Per me il disco si poteva fermare alla soglia del quarto brano visto che qualche dolore in più inizia a palesarsi. Inutile infatti la tempesta sonora di "Fractricide" cosi come la più compassata, almeno all'inizio, "Psychotic Reign", un pezzo che francamente alla fine non è nè carne nè pesce, visto l'enorme baccano profuso fino a quando un ottimo assolo dilaga nel caos creato dai nostri; peraltro queste due tracce vedono il guest alla voce di Josh Young degli Astral Winter. Toni spettrali con l'interlocutoria "Harrowing Cessation" e ancora tocchi di piano con "Mors Vincit Omnia", per due brani la cui collocazione è quanto meno discutibile. "Cerulean Last Night" (qui il guest è del vocalist dei The Maledict) chiude il lotto di pezzi dei Mazikeen in modo a dir poco selvaggio. È il turno delle cover: si parte con "Freezing Moon" dei Mahyem e "Night's Blood" dei Dissection. Qui alla voce Nathan Collins dei Somnium Nox che presta i propri latrati a due grandi pezzi del passato, riletti quasi praticamente in un ugual modo rispetto agli originali dai Mazikeen. Poi uno dei miei brani preferiti di sempre, "The Mourning Palace" dei Dimmu Borgir, riproposti qui con una stravagante linea di tastiere che mi lascia un attimo perplesso. A chiudere quest'estenuante disco 'Transilvanian Hunger" dei Darkthrone, riproposta peraltro con la stessa pessima produzione dell'originale per mantenere intatto quel mood primigenio della band di Fenriz e Nocturno Culto. 'The Solace Of Death' è alla fine un disco che non fa dell'originalità il proprio credo, evidenzia ombre e luci (pochine a dire il vero) dei Mazikeen che per fare il salto di qualità, dovranno necessariamente mettere più personalità nel prossimo album. Per ora siamo oltre la sufficienza ma mi aspetto molto di più in futuro. (Francesco Scarci)

(Satanath Records/Iron, Blood and Death Corporation - 2020)
Voto: 65

https://satanath.bandcamp.com/album/sat282-mazikeen-the-solace-of-death-2020

domenica 3 gennaio 2021

Hourswill - Afterhours

#PER CHI AMA: Heavy/Prog, Nevermore
'Afterhours' è il nuovo EP dei portoghesi Hourswill che avevamo incontrato grossomodo un anno fa in occasione del loro terzo album 'Dawn of the Same Flesh'. Ritornano con un dischetto di sei pezzi ove accanto a vecchi brani dal vivo, estratti dal già menzionato lavoro e da 'Harm Full Embrace', il quintetto lusitano ci presenta anche un nuovo pezzo, l'opener "Inevitable Collapse II" e una rilettura di "Now That I Feel (L.S. Version)". La prima attacca con quel suo fare tra Nevermore e Anacrusis, sempre contraddistinta da una solida base ritmica e da una ricerca (non troppo efficace) di emulare a livello vocale, il compianto Warrel Dane. Poi a livello solistico-melodico conoscevamo già le potenzialità della band e non posso fare altro che confermarne le qualità. È il turno di "Now That I Feel" già contenuta in 'Dawn of the Same Flesh' e che non mi aveva certo entusiasmato lo scorso anno, torna con una versione che francamente mi spinge nuovamente a passare oltre, visto che fondamentalmente la differenza rispetto alla vecchia traccia è l'assenza di Neide Rodrigues alla voce a bilanciare quella di Leonel Silva. Non si discutono le doti tecniche dell'ensemble di Lisbona, ma si poteva fare anche a meno. Cosi come non si discutono le capacità della band dal vivo, abili a sciorinare uno dopo l'altro i quattro pezzi inclusi, a coinvolgere il pubblico con il loro heavy prog thrash, ma che a me personalmente non ha lasciato davvero nulla. Se siete fan della compagine portoghese, 'Afterhours' potrebbe, ma non è un obbligo, far parte della vostra collezione, altrimenti si può vivere tranquillamente senza. (Francesco Scarci)

(Ethereal Sound Works - 2020)
Voto: 60

https://www.facebook.com/Hourswill

Hyrgal - Fin de Règne

#PER CHI AMA: Black, Deathspell Omega
Prosegue la massiccia campagna invernale della Les Acteurs de l'Ombre Productions, questa volta con l'uscita del secondo album dei connazionali Hyrgal, misterioso trio di Bordeaux che abbraccia tra le sue fila membri di Svart Crown, Deveikuth e Artefact. Questo secondo 'Fin de Règne' è un altro abrasivo esempio di black funambolico che sembra crescere nelle lande francesi oramai come funghi infestanti. Sette efferate tracce che seguono a distanza di tre anni quel 'Serpentine' che segnò l'esordio per i nostri. Si parte però con una proposta che è piuttosto affine a quel disco di debutto, ossia un black tiratissimo con aperture melodiche ma anche rallentamenti improvvisi. Questo quanto ci raccontano infatti le prime due song di 'Fin de Règne', "Colère Noire" e "Malthusien", che in quasi dieci minuti ci mostrano pregi e difetti del qui presente album. E i difetti sono ascrivibili ad una linea brutale forse troppo intransigente con sfuriate che non dicono nulla di cosi originale. Molto meglio i pregi, più rari però, con break atmosferici ricercati, soprattutto nella seconda delle due tracce menzionate. "Ennemi(e)s" potrebbe evocare spettri di un black svedese, complice una bieca violenza quasi fine a se stessa che non mi fa certo gridare al miracolo. Ci aspettano infatti chitarre taglienti, urla al vetriolo e poco altro fino al tanto agognato momento di ristoro, in cui nuovamente la band sembra acquisire un altr'altra postura, più raffinata ed evocativa, con linee di chitarra fortunatamente più ricercate che mantengono intato il mio focus d'attenzione, altrimenti francamente, avrei bollato questo disco come flop colossale. Siamo sulla strada giusta, tuttavia ancora lontani da altre eccellenze dell'etichetta transalpina. Con "Sépulcre" forse le cose iniziano a migliorare più vistosamente con suoni al limite del funeral, recitati puliti in francese e sonorità da fine del mondo, ma è solo un passaggio interlocutorio visto che con il riffing heavy punk dai tratti dissonanti della successiva "Glyphe de Sang", sembra si abbia a che fare con un versione black dei Ved Buense Ende, in un brano che comunque mantiene intatto l'appuntamento con il solito break ragionato che ci permette di tirare il fiato in mezzo alla bufera. Bufera, che prosegue sulle note infernali di "Héritier Mort-né" un brano che strizza l'occhiolino ai Deathspell Omega cosi come il glaciale finale affidato alla ferocia di "Triste Sire", in cui si mettono in evidenza delle soluzioni chitarristiche più alternative e per questo più apprezzabili. Quello degli Hyrgal è un lavoro discreto che sicuramente necessita di molteplici ascolti, ma che non raggiunge vette di qualità come più volte mostrato dagli amici della LADLO Prods. C'è da lavorare un altro pochino sicuramente. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2020)
Voto: 66

https://ladlo.bandcamp.com/album/fin-de-r-gne

sabato 2 gennaio 2021

Le Grand Sbam - Furvent

#PER CHI AMA: Avantgarde/Progressive/Jazz
Il nuovo album dei Le Grand Sbam è uno di quei prodotti che fanno meravigliare gli appassionati e i ricercatori di musica d'avanguardia con la A maiuscola. Un lavoro indefinibile, imprevedibile, variegato e variopinto di mille colori e umori, costellato di pura e ricercata follia compositiva. L'ottetto francese scolpisce liberamente, attorno agli scritti, l'orda del controvento e dal simbolismo dello Yi King (I Ching), del neurologo/saggista portoghese Antonio Damasio, un lungo e articolato concept musicale dalle contorte intuizioni musicali, ai confini della realtà. Basta dare uno sguardo ai video live proposti dalla band sul canale youtube per capire di che pasta è fatto l'ensemble transalpino, che unisce la teatralità intellettuale dei The Residents alla follia iconoclasta Zappiana, passando per il jazz, il prog e persino spunti di rumorismo e punk, tutto rigorosamente d'avanguardia. Il primo brano, "La Trace", è una suite di oltre 18 minuti che stende l'ascoltatore per la semplicità con cui il collettivo di Lione, riesce a cambiare volto alle musiche, chiaroscuri e altalene armoniche, tenute insieme da una continua ricerca vocale polifonica sbalorditiva, schizofrenica ed ipnotica, sana pazzia, che s'intrecciano e sovrastano per creare qualcosa che esaspera le teorie musicali dei Magma di 'Mekanïk Destruktïw Kommandöh' (1973), mentre la seguente "Nephèsh", si muove a suo agio sulle tracce delle intricate e geniali, fantasie vocali di Joan La Barbara e Meredith Monk. Proseguendo con l'ascolto, ci aspetta una sfilata di brani decisamente più corti, dal taglio jazzistico, inteso alla maniera dei Naked City (stile 'Grand Guignol') ma più dolce ed armonioso, con i giochi vocali messi in particolare evidenza. Ci si muove tra sussulti punk alla Nina Hagen ed esperimenti alla Shub Niggurath, ma il suono si espande per lirismo e profondità, tra Eskaton, e riferimenti alti, di scuola Edgar Varese ed il must Zappiano, 'The Yellow Shark', senza dimenticare che musicalmente il suono di questo collettivo rimane sempre teso, intricato, schizoide e raffinato al tempo stesso, quasi fosse un album dei Psyopus, suonato con marimba, xilofono, percussioni, batteria elettroacustica, mellotron, basso, moog, rhodes, cimbalom e quant'altro serva per creare un'isola felice, oserei dire felicissima, di suoni cari al rock in opposition. La musica contenuta in 'Furvent' è incredibilmente teatrale, avvolgente e liberatoria, rivolta ovviamente ad un pubblico preparato e amante dell'avanguardia radicale di ogni epoca, che si aspetta sempre qualcosa di sbalorditivo, per qualità ed esplosività della proposta musicale. "La Trace" alla fine è il mio brano preferito dell'esteso lotto sonoro, ma anche "Yi Yin I Ken (La Montagne)", con il suo potentissimo, inaspettato finale ritmico, è da pelle d'oca, come del resto tutto l'album, che poteva giungere al grande pubblico solo tramite i canali della specialissima e unica label Dur et Doux, autentico caleidoscopio di musica jazz d'avanguardia. Un disco senza tempo, un contesto sonoro indecifrabile, un album splendido per una delle migliori uscite del 2020. Un collettivo di musicisti fantastici per un disco adorabile! (Bob Stoner)

Sodom - Genesis XIX

#FOR FANS OF: Thrash Metal
This is what I remember about Sodom way back in the early days when 'Agent Orange' was released...they were on top of their game. Seems like on this one their energy and riffs are back on top of DOMINATION. Totally kick ass and unrelenting. I don't know why any scores on here are negative about this one because the whole way through is KING. I think that Frank's leads could've been better like the old days, but the rhythms were more than adequate. The music is definitely intricate. These guys are veterans and still putting out high-quality thrash metal. I don't regret buying a physical copy of this LP.

The album features 12 songs and over 50 minutes of great German based thrash metal. This is probably once of the best recorded Sodom releases in years. They've managed to maintain a good career in thrash metal over the years even in Frank's absence. But now that he's recorded this album with the band, it just goes to show how awesome 'Agent Orange' was back in the day. It seems like their rebirth into great thrash metal once again having some of the old line-up in place. The music and vocals are the highlights of the album. Though I thought that Tom's vocals could've been better. They seemed to lack intensity.

The production quality was top notch. The sound of the album was wholly audible with every instrument heard quite well. The thrash metal intensity of the instruments were all there. Tom could've given it more grit, but still I liked what I heard. That's the only reason why I took off some points. But the songwriting was impeccable. Hope this goes on for more albums to come. I'm sure that they had some great ideas that they put on here during this pandemic. A great time to keep the intensity high and creativity up there as well too. As I say, I don't regret making a purchase and buying the CD.

Sodom has been making great thrash metal since the 80's. It's good that they have some of the original members of the band still around kicking ass. Though it sounds like Tom slowed way down. The music is intense as all hell, just his voice is deteriorating. It'd be nice to hear the future of the band. I hope that they keep this lineup for more albums to come. The music is high mighty strong and intense. It was great to know the return of Frank in the band. I think once again that's what made the album as awesome as it is. Him with the band seems to have utmost style and frivolity. Give this a listen to! (Death8699)


(SPV/Steamhammer - 2020)
Score: 82

http://www.sodomized.info/?l=en

venerdì 1 gennaio 2021

Plague Years - Circle of Darkness

#FOR FANS OF: Thrash/Death
The band is way young and already kicking ass! Fresh riffs and solid sound these guys put together some killer thrash metal. The whole album is super-charged. I was really impressed with their musicianship. They really are in their own with their sound. The vocals are petty hoarse and sound well intertwined with the guitars. Plus, the sound quality is top notch. The guitars are pinnacle to the album. I like them the most out of the whole album. They really know how to pack a punch to this one. The tempos vary but are necessary to a versatile release. This band formed pretty recently to have something like this dominating.

The sound quality here is top notch and the guitars are pretty original sounding and well thought out. The vocals make this release sound heavier. But still the guitars are quite thrash-filled. The leads are pretty good as well. Usually, newer bands can't hack it the first time around on lead but Plague Years disproves my theory. And the songwriting is top notch as well. One of the best releases of this year in the thrash metal category! I was blown away when I heard this. They're anything but amateurs. The only thing that I didn't like as much were to voice efforts. They sound a little like Warbringer but not completely. That's my only beef.

The production sound and recording was immaculate. I liked this from start to finish. It was filled with energy! And the riffs were pretty original to say the least. I really liked this album a lot. They have so much to offer. I hope that they stick around for a long time. The music like I said was the highlight to this release. It just blew me away hands down. The musicianship was top notch. This band is way likable to any metal fan, they would have to hear this to maybe in agreement with. They only reason like I said the drawback were the vocals. They were too hoarse for my taste. But otherwise, at least they fit with the sound.

I heard this first on digital and then I was so impressed with it that I bought it on Amazon. I'm an old timer that still collects CD's. But that doesn't make me like metal any less. So yeah, check out some videos on YouTube. They have some official videos on there that's when I first heard them. I made sure first to have the digital copy to hear the whole album and I liked it enough to buy it. The whole thing is good from start to finish. Brutal vocals, wicked rhythms, solid drum beats and terrific recording quality. I will continue to like this even when I wear the album out! Get to hearing this! (Death8699)


mercoledì 30 dicembre 2020

Grufus - Sabor Latino

#PER CHI AMA: Instrumental Alternative/Stoner, Tool
Niente tacos o fajitas ad attenderci in 'Sabor Latino', anche se il titolo poteva farci ben sperare. In realtà dalle prime battute veniamo investiti in pieno dalle schitarrate di “Trapanus”, che potrebbe tranquillamente sembrare un sequel di 'Fear Inoculum' dei Tool. Suono bello tagliente, groove serrati, tribali, coinvolgenti. Le sei-corde stendono riff titanici, fino ai limiti del noise. Gli episodi di pura violenza si evolvono in strutture mai banali, l’elemento sorpresa si scopre gioco-forza in questo disco. Dallo stoner vediamo addirittura approdare a ritmiche centro-americane in “Mezcal”. Connubio indubbiamente originale. Le idee sono tante, la full-immersion al Vacuum Studio di Bologna, è servita ai Grufus per metabolizzare al meglio i diversi background di provenienza. Si attinge un po’ ovunque: grunge, alternative fino ai ricorrenti respiri psych, come attimi di pausa fra una galoppata e l’altra, e che ritroviamo anche in chiusura dell’album. Sorprende notare come la mancanza di schemi non vada per niente ad inficiare l’ottima coesione che ritroviamo in questi 40 minuti strumentali. Nonostante gli spunti siano innumerevoli, il disco si ascolta tutto d’un fiato. Le abbondanti soluzioni ritmiche, ben congegnate e in costante evoluzione, insieme a qualche mirabolante acrobazia, non fanno per nulla rimpiangere la mancanza di una linea vocale. Al contrario, si ha la possibilità di cogliere maggiori dettagli, che altrimenti sfuggirebbero in secondo piano, mascherati per esempio dalle martellate di “Oipolloi”. Una menzione d’onore va fatta sicuramente per “Le Vacanze di Pippo”. Titolo strappalacrime, ma le sue progressioni strepitose, i pregevoli arrangiamenti e una linea di basso magistrale, vanno a confezionare un pezzone tritasassi. Non troveremo certamente novità particolari nelle sonorità di questa prima fatica in studio, pubblicata per la Grandine Records. Ma il gran senso delle dinamiche della formazione emiliana, unito alla disinvoltura con la quale propongono un caleidoscopio di cambi di tempo, lo rendono indubbiamente un esordio con gli attributi. 'Sabor Latino' diverte, non stanca e invita a riascoltare i Grufus più e più volte. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

martedì 29 dicembre 2020

Queen Elephantine - Tribute to Atrophos Vol II

#PER CHI AMA: Experimental/Kraut/Psych
Li avevamo incontrati qualche mese fa in occasione dell'EP Vol I di questa serie digitale intitolata 'Tribute to Atrophos'. Ritroviamo ora i Queen Elephantine con il secondo dei tre volumi di improvvisazione musicale. Questo nuovo capitolo include tre lunghi pezzi che ci condurranno nei meandri più bui delle menti di questo collettivo che dall'India ha messo poi radici a Philadelphia. Qui i nostri, in periodo di clausura da Covid, si sono divertiti a ridefinire gli spartiti del proprio sound imbastendo estemporaneamente fraseggi free-jazz guidati da un basso ipnotico e sovversivo ("Synthetic Mist"). Diciamo che qui di regole scritte non ce ne sono, la band fa un po' come diavolo gli pare senza seguire dettami specifici di un genere piuttosto che di un altro. Come avevo già sottolineato in precedenza del primo EP, la band sembra giocare a strimpellare con i propri strumenti come se fosse alla ricerca del riff perfetto da buttare nero su bianco per il prossimo album. E allora ecco il giochicchiare con le chitarre, un drumming quasi impercettibile che potrebbe far pensare alle deviazioni più psichedeliche e malate dei The Doors. La seconda "Burning Spectre" è anche più cerebrale, fortuna nostra che il brano va poco oltre i sette minuti, mai una passeggiata da affrontare con questi pazzi furiosi. C'è da divertirsi nel capire che cosa possa venir fuori da queste sperimentazioni, quindi l'ideale è non aver alcun tipo di pregiudizio e lasciarsi guidare da quello che potrebbe poi evolvere in blues rock, prima del finale affidato ai 13 lunghi minuti di "Ash". Una combinazione di kraut rock, noise, psych e urla sciamaniche contraddistinguono un pezzo che si conferma noiosetto almeno fino al minuto 5, prima che i nostri si mettano a danzare attorno al fuoco con una danza etnica che troverà il suo finale approdo in tremebondi suoni dronici. Solo per pochissimi fan. (Francesco Scarci)

(Atypeek Music - 2020)
Voto: 68  
 

Nàresh Ran - Re dei Re Minore

#PER CHI AMA: Drone/Experimental/Noise
Il numero uno dell'etichetta discografica Dio Drone, solida label italiana dal respiro internazionale, impossibile da identificare nei generis e contraddistinta da uscite di grande qualità in ambito sperimentale, licenzia la sua nuova fatica sotto il nome di Nàresh Ran ed esce allo scoperto con un disco crepuscolare dall'emblematico titolo 'Re dei Re Minore', un'opera avvolgente, che imprime una forte dose di mistero e una trasversale, perversione oscura, assai intrigante. Mi sembra doveroso ricordare, che Nàresh Ran predilige i suoni, i rumori, gli ambienti sonori on the road, captati, raccolti, registrati per strada, con metodi di registrazione filtrati da mezzi poco consoni o quasi mai convenzionali. Il disco pullula di ronzii, fruscii e rumori d'ambiente, rubati ovunque, per ottenere nell'insieme, tappeti sonori che nessun synth potrebbe ricreare elettronicamente. L'apertura è affidata alla lunga traccia intitolata "Kutna Hora", un brano molto lungo che mostra un legame con il precedente lavoro dell'artista fiorentino, 'Martyris Bukkake'. Una song che galleggia a mezz'aria, tra mistico devozionale e l'ambient drone più radicale, mostrando tra le sue trame, un volto angelico subito contrastato da un monolitico e perpetuo cupo senso di desolazione, un vortice di ipnotica e disturbata malinconia, che nel finale si amplia di rumori e interferenze progressive che caricano ulteriormente il senso di vuoto del brano. Il secondo brano,"Veglia", ha un'attitudine più quieta e all'apparenza più distesa, cosi composto dal senso circolare di un loop spettrale su di un tappeto di tanti rumori e synth per un effetto cosmico, interstellare in stile Martin Nonstatic e in genere Ultimae Records, ma con un suono più caldo, profondo, meno sintetico e con più umanità dietro le quinte. Il terzo brano è "A_R", un groviglio molto intimo di suoni d'ambiente e rumori, interferenze lievi che donano, seppur celata e nascosta tra le righe, una cadenza, un ritmo che fin qui non era mai apparso, e poi cicale, insetti, bassi gravi, si mobilitano per inspessire una trama già complessa, ricercata, con un finale astrale dove compare, brevemente, per la prima volta, anche una voce umana distorta. Forse la traccia migliore dell'album dal punto di vista compositivo. Devo ammettere però, che con la conclusiva ed inaspettata traccia, "Re_Minore", l'impennata artistica si fa più coraggiosa e oltraggiosa. Con l'aggiunta di un vero e proprio recitato/cantato in lingua madre, alla maniera dei Massimo Volume, a cavalcare un loop di piano drammatico, sottomesso alla lettura poetica di un testo doloroso, ci si inoltra in un concetto molto vicino alla Sindrome di Stoccolma, per cui la tortura dell'aguzzino diviene il piacere che porta all'unica via di fuga per la vittima. Una performance intrigante, aggressiva e sconvolgente che conclude il disco con un pugno allo stomaco di chi ascolta. Una traccia dai toni malati e dai tratti realistici, dove il male descritto tocca l'ascoltatore in prima persona. Una canzone estremamente intrigante e molto, molto pericoloso, nella sua drammaticità corrosiva, un buco nero per la psiche dell'ascoltatore. 'Re dei Re Minore' alla fine è un album che indica chiaramente un'evoluzione nell'espressività dell'artista, un balzo in avanti verso una capacità compositiva libera e personale, una ricerca complessa fatta di tanti piccoli tasselli che compongono un mosaico di grande valore. Un film sonoro imperdibile, sofisticato, intricato, nero e con un finale devastante. (Bob Stoner)

(Toten Schwan Records - 2020)
Voto: 80

https://nareshran.bandcamp.com/album/re-dei-re-minore

lunedì 28 dicembre 2020

Tiran - No Gods, No Masters

#PER CHI AMA: Thrash/Death, Sabbat
Con un titolo che riprende uno slogan dell'anarchia inglese di tardo 19° secolo, ossia 'No Gods, No Masters', i russi Tiran si presentano con un EP di quattro tracce dedito ad un sanguinolento thrash death. Si parte subito alla grande con la title track e quel riffing thrashettone accompagnato dal growling potente di Alexander teso quasi a spaventarci, poi occhio al numero da circo. Bridge acustico, riff di scuola Death, assolo ultratecnico e finale scuola Nuclear Assault. Paura, il tutto in meno di 3 minuti e mezzo. Che i nostri non siano degli sprovveduti, lo si capisce anche dalla scelta della successiva song, "Witchflight", cover dei blacksters giapponesi Sabbat, a testimoniare intanto dove affondino le radici dei nostri. La song è riproposta in pieno stile heavy thrash black come l'originale del 2011 contenuta in 'Sabbatrinity', quindi tirata, dritta e brutale. Si prosegue con un paio di pezzi live, peccato però che la resa sonora sia molto amatoriale e non si riesca ad apprezzarne granchè i contenuti. Death black dinamitardo e furibondo privo di ogni tecnicismo od orpello sonoro per le due scheggie impazzite, "Apocalyptic Tales" e "Metal Messiah", entrambe registrate a Rostov sul Don al Badland Club. Che altro dire per un EP di soli 12 minuti se non consigliarlo ai fan più sfegatati della band. Gli altri vadano a pescare lavori più lunghi e strutturati per saperne qualcosa di più dei russi Tiran. (Francesco Scarci)

(Wings of Destruction - 2019)
Voto: 64

https://tiran.bandcamp.com/album/no-gods-no-masters

The Pit Tips

Francesco Scarci

Ingrina - Siste Lys
Asthenia - Aisa
Lament - Visions and a Giant of Nebula

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MetalJ

Death - Scream Bloody Gore
Testament - Low
Dream Theater - A Change of Seasons

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Death8699

Cannibal Corpse - Red Before Black
Carcass - Symphonies of Sickness
Destruction - Thrash Anthems II

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Alain González Artola

Fogweaver - Vedurnan
Déhà - Contrasts II
Autumn Nostalgie - Esse Est Percipi

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Shadowsofthesun

Cloudkicker - Solitude
Dark Tranquillity - Moment
Barrens - Penumbra

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Emanuele "Norum" Marchesoni

Cult of Luna - Mariner
Ayreon - The Human Equation
Eldamar - The Force of the Ancient Land

In Tenebriz - Bitter Wine of Summer

#PER CHI AMA: Black/Doom
Le one-man-band piovono come le stelle dalle parti di Mosca. Gli ultimi in ordine di tempo arrivati sul mio tavolo sono gli In Tenebriz, progetto guidato da tal Wolfir in giro dal 2005, con ben 12 album (più altrettanti EP e split) rilasciati con questo moniker, più un'altra serie come Chertopolokh, Tomatoes Fuck Potatoes o Wolfir stesso. La proposta del musicisita moscovita è un black doom che dà ampio risalto a melodie malinconiche con intermezzi acustici e catartici passaggi nell'oscurità più buia (l'opener strumentale "With a Taste of Wormwood" ne è un esempio). Con la seconda canzone, la title track, compaiono le harsh vocals del frontman su di un tappeto ritmico affidato quasi interamente ad un tessuto di solismi e tremolo picking che rendono il tutto estremamente gradevole e assai prog oriented, anche se l'intelaiatura rimane ancora un po' grezzotta con suoni impastati e decisamente poco cristallini. In "Into Crimson Oblivion", ecco apparire invece le contaminazioni doomish lungo un brano dai toni compassati e dalla forte componente acustico-atmosferica. "Stellar Dust" prosegue su questa scia di tranquillità sonica, con linee di chitarra piuttosto semplici e lineari, in cui la melodia delle note ci guida nell'ascolto. Interessante a tal proposito un inedito break acustico con un beat trip hop che si riproporrà anche a fine brano. Ancora melodie laceranti nella strumentale "Grass Still Remembers Your Trace" che ci accompagna gentilmente verso "Heart in the Pattern of Roots", un pezzo che evidenzia ancora le potenzialità melodiche dell'artista russo inserite in un tessuto ancora sporco, che trasuda comunque di black depressive. C'è ancora spazio per un altro paio di song: la prima è "The Birth of August" con i suoi tocchi delicati che si contrappongono ai laceranti vocalizzi del mastermind russo e ad un riffing black old school che mantiene comunque intatta la vena melodica del brano, il meno riuscito del lotto a dire il vero. La conclusione di 'Bitter Wine of Summer' è affidata ai suoni post-rock di "Let the Night Do the Talking", un pezzo strumentale che chiude degnamente questo nuovo capitolo targato In Tenebriz. (Francesco Scarci)

sabato 26 dicembre 2020

Collapse Under The Empire - Everything We Will Leave Beyond Us

#PER CHI AMA: Post Rock/Post Metal strumentale
È un viaggio tra gli astri quello che ci regala l’ascolto di 'Everything We Will Leave Beyond Us', l’ottavo lavoro dei tedeschi Collapse Under The Empire. In questi dodici anni di intensa carriera il gruppo composto da Martin Grimm e Chris Burda ha esplorato ogni anfratto di quel post-rock strumentale dalle suggestioni spaziali portato alla ribalta dai più noti God is an Astronaut e 65daysofstatic, pertanto in questo nuovo capitolo possono permettersi di procedere col pilota automatico dipingendo una spensierata tavolozza di emozioni e paesaggi astratti.

Spensierata, ma non per questo banale o raffazzonata: il duo tedesco fa della cura maniacale delle produzioni il proprio marchio di fabbrica e anche stavolta gli otto brani che compongono l’opera brillano per il perfetto incastro tra decisi riff di chitarra, cascate di delay, sintetizzatori avvolgenti e un basso prepotente. Come da predisposizione del genere, il sentimento dominante evocato da pezzi come il singolo “Red Rain”, classico saliscendi atmosferico tra momenti di contemplazione e muri sonori, o la più vivace “Resistance” è la nostalgia, tuttavia non mancano accelerazioni di stampo post-metal quasi a voler sottolineare che è necessaria una buona dose di coraggio per muoversi nel buio dello spazio e raggiungere le esplosioni di colori sparse per il cosmo.

Parlando di coraggio è necessario muovere un appunto: in 'Everything We Will Leave Beyond Us' tutto è cristallino e ben orchestrato, ma nulla si muove al di fuori dei confini di un genere che da ormai troppo tempo si limita ad ammirare la propria immagine riflessa. Per quanto il disco riesca ad ammaliare (e non dubito farà innamorare gli appassionati del genere), terminata la musica e svanita la sua ipnotica magia poco rimane se non un potenziale accompagnamento per opere fantascientifiche e l’eco di una schiera di gruppi pressocché identici. Insomma, un buon compito senza dubbio, ma nulla più. (Shadowsofthesun)


(Finaltune Records/Moment of Collapse - 2020)

Corecass - Void

#PER CHI AMA: Ambient/Soundscapes/Experimental
Un susseguirsi di legno antico che respira tra i respiri dei Corecass. Respiriamo cosi insieme ad un ritmo da colonna sonora di un film dall’epilogo imprevisto. “Void I”. Mentre l’ossigeno ci percorre, visioni orientali spazzate dall’impero imperioso del dark ambient. Il suono gradualmente diviene intenso, spasmodico ed improvvisamente mellifluo, lento, nuovamente di liuto come una geisha di suoni servizievole e lontana, nella terra sognata. D’incanto, piove. Un moto forte sonoro di sensi accoglie “Carbon”. Ancora il legno che schiuma le percezioni sonore. Al legno piano si uniscono poi suoni elettrici corali, graffio lungo di tasti e di corde tormentate appena. La voce che sfugge sottesa, femminile, insistente, prepotente, sino a portare il pezzo ad un orgasmo metallico nero come una messa di chi chiede giustizia. Tocchi reiteranti, vellutati, sicuri su un organo che non lascia il fiato al respiro. “Void II”. Una spinta virtuale incurva le spalle se si asseconda il suono. Un ruggito affonda i canini deliziandosi con le paure di ognuno. “Amber”. Una song introspettiva, temporalesca, uno scenario da casa stregata. Seguitemi in questo viaggio, sarò il vostro Caronte, ma non dimenticate l'obolo per il vostro passaggio. Tornare indietro sarà magia. Curva il suono, aberrante, spazi chiusi e colori invisibili. “Void III”. Esercizi di stile in fingerstyle rivisitato da mani che aprono e chiudono le finestre per indurre buio e luce a loro piacere. L’epilogo. Come promesso. Imprevisto. Una risacca di mare che culla speranze, suoni, paure. “Breath”. Un brivido dopo inferno, purgatorio e paradiso. 'Void' si chiude come un racconto che ci ha fatto vivere sensazioni, momenti, ostacoli, velleità. L'album dei Corecass ci porta a viaggiare dentro di noi tra sospesi, paure e bellezze. Un ascoltare necessariamente tutto d’un fiato sospeso. (Silvia Comencini)

(Golden Antenna Records - 2020)
Voto: 80

https://corecass.bandcamp.com/album/v-o-i-d

Abbath - Outstrider

#FOR FANS OF: Black Metal, Immortal
The Immortal-esque sound is all there it seems to be a combination of 'Damned In Black', 'Sons of Northern Darkness' and a tint of way back when 'At The Heart of Winter' came out. Though the synthesizers were not overpowering. The riffs seem to be pretty strong on here and it's a blend of those albums (to me). The only thing that doesn't pack the punch are the drums since Horge still was with Immortal though now their status is disputed. Abbath came up with some pretty darn good riffs here. Pure Norwegian black metal and Abbath seems to blend it with some sounding like blackened thrash.

I would venture to say that this one could've been longer in length but it's nevertheless a good follow-up the the self-titled album. I suppose fans for now should follow this band rather than Immortal now that their status is on hiatus. Both Abbath albums have been good, this one a bit better than their debut. If you're a guitar player I'd say the riffs are what's key to follow on here. Abbath does a good job in that department as well as the vocal department. Not so much in the leads, though he puts in a good effort. This album is rather slow in tempos, though there are some fluctuations but not too much.

The sound quality is damn good with a little aura that is grim. This one isn't too intense of a release I'd say it's way catchy. Not only that, but the frontman of Immortal's older lineup. Abbath's vocals are unique and cool, making the album and band sound better than a lot of other black metal bands. I'm glad that there's no real synthesizers on here, but the atmosphere is dark. Like I said, it's sort of blackened thrash metal but with a tint and aura of black metal mixed in. I like it, I like the vibe here. Abbath seems to have improved on lead guitar, but he could've left that part out. So be it, however.

This is definitely an album to check out if you like black metal in general or Immortal with Abbath in the band. This one is a definite "B" rating to me, but if the leads were out I would've raised the rating. Definitely is worth picking up because the music on here is so awesome. And the Immortal influence that I touched upon gets listeners entranced. At least, it did to me. Hopefully Abbath will continue to make music since he's 47 now, he won't retire for years on end. The guy has a lot of riffs put down and 'Outstrider' is just a small dose I'm sure of what he has left for us. Check it out now! (Death8699)


(Season of Mist - 2019)
Score: 75

https://www.abbath.net/

Slowly Building Weapons - Echoes

#PER CHI AMA: Post-Punk/Shoegaze/Post-Metal
La Bird's Robe Records da sempre ci ha abituati a morbide sonorità post-rock strumentali. Quest'oggi invece mi sorprende con un'uscita fuori dalle righe. La proposta degli Slowly Building Weapons (SBW), quartetto originario di Sydney, è all'insegna di un mix tra post-punk, shoegaze e black metal. Si avete letto bene, black. Io mi ero già lasciato ingannare dalle tiepide sonorità poste in apertura con "Armada of Ghost", prima che delle chitarre super corrosive scatenassero una furia colossale per una manciata di secondi. Una sorta di sassaiola tremenda abbattutasi improvvisamente sulla testa e poi suoni più doomish giusto a creare un po' di confusione mentale in chi vorrebbe provare ad affibbiare un'etichetta a questi quattro tizi particolari. Con la seconda "Foal to Mare", i nostri ci conducono dalle parti di uno shoegaze intimista che con i suoni dell'opener non hanno davvero nulla a che fare, fatto salvo per quella voce delicata che mi ha ricordato un che dei finlandesi This Empty Flow o degli Handlingnoise, due band che potrebbero avere più di un punto di contatto con questi SBW. Con la terza "We are All Animals" si torna ad accelerare il ritmo con improvvise percussioni telluriche che si inframezzano a parti ancora dal piglio shoegaze. "Acid Gold Sun" è un po' più robusta a livello ritmico, con dei suoni forse un po' impastati nei quali rischia di perdersi la voce di Nicholas Bowman, ma la vena melodico/malinconica che permea questo brano, ne risolleva comunque le sorti. E questo mood malinconico si mantiene anche nella successiva "Dissolving", che ammicca ancora a quelle band finniche che con i Decoryah, avevano aperto un filone musicale davvero originale. I nostri mancano forse ancora di quel pizzico di originalità in più che mi aveva portato ad amare follemente quelle band, però devo ammettere che il sound degli SBW ha comunque il suo perchè, soprattutto laddove i nostri impongono un ritmo più solenne ai brani. Più fumosa "Heaven Collapse", la traccia che forse meno mi convince di questo 'Echoes'. Non si offendano i quattro australiani quindi se decido di skippare avanti a "Disc of Shadows", un brano breve ma ficcante, con una ritmica densa e oscura che va riproponendosi nella spettrale "Echo from Hill", un altro pezzo interessante ma che sembra mancare di una verve più spiccata, visto un finale quasi interamente lasciato a voce e percussioni. Magnetico l'incipit di "The Final Vehicle", una song in bilico tra post metal e alternative rock, con un finale a sorpresa all'insegna di un doom disarmonico. Ancora percussioni tribali nella prima parte di "Omega" (il finale sarà ancora sludge/doom), ultimo atto di questo interessante 'Echoes', un disco certo di non facile assimilazione ma che sarà in grado di regalarvi attimi di inquieta emotività. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2020)

martedì 22 dicembre 2020

Zed Destructive - Corroded by Darkness

#PER CHI AMA: Death/Black
La scena israeliana si arricchisce di un nuovo player, i Zed Destructive. 'Corroded by Darkness' è il primo squillo del quartetto capitanato da quel Zed Destructive, voce dei Winterhorde. Undici i brani a disposizione dei nostri per dimostrare tutto il loro potenziale dinamitardo. Si parte con "Repulsive Society", una song devota ad un black death con buone linee melodiche e la voce growl di Zed che si conferma ancora di ottima qualità. Un assalto frontale fatto di cambi di tempo, riff serrati, accelerazioni e bordate ritmiche. Niente di nuovo all'orizzonte come spesso dico, ma quanto prodotto non è affatto male. Il canovaccio è il medesimo in un po' tutti i brani con qualche variazione al tema. La seconda "Deformed Minds (Hatred)" ci offre infatti velenose scorribande black, con qualche urlaccio sparato sopra, in una traccia che conferma le doti tecniche di una band quadrata, capace e volenterosa, in grado anche di infilare un bell'assolo nel corso della song. Apertura acustica mediorientaleggiante per "The Dark Wanderer" e bei fraseggi prog death che mettono in mostra le doti della band nonchè una certa capacità di saper variare non poco la propria proposta musicale, sfoggiando sciabolate di chitarra a destra e a manca. Suoni più cupi per "Church", dotata di una ritmica che mi ricorda qualcosa dei Cradle of Filth, periodo 'Cruelty and the Beast' (forse anche a livello vocale, ricordando il Dani Filth più oscuro). Bene cosi quindi, tra rasoiate di chitarra, accelerazioni feroci, giri di tempo in stile Death ("Traitors"), ma anche assoli da paura ("Raped Existence"), roboanti e mortifere ritmiche (la title track e "Evil Wind", cosi Swedish death in alcune sue parti) o ancora porzioni epico-atmosferiche che arricchiscono di non poco il sound dei nostri (penso al finale strepitoso di "Eternal Damnation"). In chiusura, da segnalare anche la cover dei Deicide "The Truth Above", che secondo me poco avrebbe da che spartire con il sound dei Zed Destructive. Magari c'è ancora da lavorare alla ricerca di una maggiore dose di personalità, ma direi che i nostri sono sulla strada giusta per poter raccogliere ottimi consensi in futuro. (Francesco Scarci)

(Wings Of Destruction/GrimmDistribution - 2020)
Voto: 70

https://www.facebook.com/ZedDestructiveBand/

Empheris - The Return of Derelict Gods

#PER CHI AMA: Black/Thrash, primi Bathory, Sodom
Con un ritardo di quasi due anni, arriva sulla mia scrivania l'ultimo album degli Empheris, 'The Return of Derelict Gods', uscito ormai nella primavera del 2019 e riproposto in digipack un anno fa dalla Wings of Destruction. Con il 2021 alle porte potrete capire il mio stupore, magari con un nuovo album già programmato per il prossimo anno, vista la frequenza con cui i nostri rilasciano lavori. Comunque vi racconto un po' di questa band polacca che ha appunto un'estesissima discografia di EP e split album usciti dal 2005 a oggi. Il quintetto originario di Varsavia ci spara in faccia 10 tracce del più classico black vecchio stampo, quello che si combina con il thrash metal dalle ritmiche tirate, grezze e lineari, il tutto accompagnato da harsh vocals, insomma un tuffo indietro nel tempo di oltre 30 anni, che ci conduce ai vagiti di Celtic Frost, Bathory e Sodom, tanto per citare i nomi più scontati, anche se dentro ci senterei anche un che dei primissimi Rotting Christ, Kreator e Necromantia. Questo almeno quanto mi dice l'ascolto delle prime tracce, "The Beginning", la più rutilante "Rot No More" o la più breve e devastante "Testimony of Frozen Soul". Con una simile proposta, mi auguro che il feedback che si possano aspettare band ed etichetta, sia che quello degli Empheris non sia un album fresco, innovativo o cosi tanto vibrante. Diavolo, dovrei essere un ipocrita se dicessi il contrario e quindi come si dice in Italia "pane al pane vino al vino": questo è un lavoro che probabilmente anche 30 anni fa avrebbe sofferto di una certa obsolescenza. Sia chiaro, i nostri non suonano male, provano anche a giocare con cambi di tempo, accelerazioni e rallentamenti, voci gracchianti, qualche assolo piazzato qua e là. Però fondamentalmente vi ho riportato la descrizione di almeno qualche centinaio di migliaia di album, tutti uguali. Dubito pertanto che 'The Return of Derelict Gods' possa diventare una pietra miliare del metal estremo, anche se non manca qualche episodio piacevole come potrebbe essere "Palladium in Fire" o la conclusiva e sofferta "Necromantic". Insomma nel 2020, mi aspetterei qualcosa di più originale del più classico "back to the past". Solo per nostalgici amanti di quelle sonorità. (Francesco Scarci)

lunedì 21 dicembre 2020

Cave Dweller - Walter Goodman (or the Empty Cabin in the Woods)

#PER CHI AMA: Neofolk/Psych
Sono dieci i brani che compaiono in quest'album di debutto in qualità di solista, del musicista americano Adam R. Bryant. Uscito con il nome di Cave Dweller (da non confondere con altri, omonimi progetti sparsi per il web), già mastermind e componente effettivo della band post industrial, Pando, Mr Bryant ne evolve il concetto musicale, spostandolo decisamente verso le terre sconfinate del neofolk. Dieci canzoni immerse nelle nebbie mattutine, notti insonni e spazi aperti di natura incontaminata tra i paesaggi del Massachusetts. Storie che parlano di solitudini e disordini mentali, malattie, affrontate con il tono solenne del folk apocalittico ("Ancestor"), dell'alternative country filtrato dalla più buia espressività del dark e dell'alternative più rumoroso ("Why He Kept the Car Running"). La ballata nello stile di David J, soffocata da rumori d'ambiente, cicale, uccelli, fruscii, registrazioni in finto low-fi, una sorta di Burzum in veste di menestrello folk, imbevuto nello shoegaze, che a suon di chitarre acustiche mescola la selvaggia libertà di 'Into the Wild' con certo noise minimale e sperimentale, tanto caro ai Death in June. 'Walter Goodman (or the Empty Cabin in the Woods)' è un disco intimo e frastagliato, che riporta alla mente proprio l'album del 2016, 'Negligible Senescence', degli stessi Pando, con una ricercata vena poetica di base che si snoda lungo tutte le tracce. A volte si sentono echi post rock ma il suono è scarno, acustico e pieno di interferenze, anche il folk psichedelico appare tra le fila, ma il buio lo anima e lo rende tragico, mai spensierato, spesso ipnotico, malinconico, a volte persino evanescente, quasi ad inseguire un suono fantasma che ammalia, rapisce e sconcerta ("Where Trees Whispers"). Parti recitate e rumori d'ambiente inquietanti, disseminate ovunque ("Upon These Tracks"), registrati con smartphone e qualche altro aggeggio anomalo. Allucinazione e un senso di angoscia che si trasforma nei quattro brani conclusivi, spostandosi verso una tenue luminosità quasi pastorale con il coro di "The Secret Self", la cavalcata, alla Hugo Race (tipo 'Caffeine Sessions 2010'), tra country e synth wave cosmico di "Your Feral Teeth", lo strumentale dal solitario e rallentato passo bluegrass con il sottofondo di gabbiani e mare di "Bliss" ed il finale (con l'inizio che ha la stessa intensità della splendida "October" degli U2) lasciato ai rintocchi di piano di "To Return", segnano il battito di un disco non convenzionale, pieno di paesaggi in chiaroscuro tutti da scoprire, un viaggio insolito nel mondo di un folk parallelo, assai personale, intimo e nero come la pece, votato alla pura espressività poetica, per certi aspetti coraggioso ed innovativo. Una nuova veste per il neofolk a stelle e strisce. (Bob Stoner)

Deranged - Deeds of Ruthless Violence

#FOR FANS OF: Death Metal, Cannibal Corpse, Deicide
This is an extremely brutal death metal album that pulverizes the eardrum. I have their previous release, but I think that this one is stronger. It might only be a bit over 30+ minutes of music, but it sure packs a punch. These guys take no prisoners. I liked this album from start to finish! The music, the vocals and the sound quality. All top-notch. The vocals sound a little like Glen Benton in 'The Stench of Redemption' release, there is a similarity to his coming out in Deranged vocals. That's not a bad thing, it fits the music, absolutely. These guys put together one helluv a kick ass record all the way.

The album just doesn't let up. It's in your face pretty much the whole way through. There's only a couple of tracks that are a bit slower. But they're still brutal. The riffs are catchy and original. I liked them a lot. I felt that they did the band justice with this one. A step up from their previous release. Well thought out music, all the way. And intense as fuck! Everything on here seemed to fit in and just seemed to make sense from a musical standpoint. They seemed to have totally progressed since their last album. The vocals fluctuate but it's mostly growling. This is good though. Making it brutal for listeners.

Lead guitar is pretty technical and the rhythms go well with the vocals. Nothing bad to say at all about anything wrong with this album. They meshed Deicide with Cannibal Corpse together interwoven it into their own sound. I feel that they seemed close to both of those bands in style and from a musical aspect. But I like it. They have their unique qualities and vibe to them. Though the two mentioned bands have their sound to them that Deranged seemed to not copy but just show their influences. And the production quality was good for an underground band to beholden-to.

I didn't download this album first, I just grabbed it off the CD shelf and it struck me having their prior album and liking that I thought that this one too would be worth it. And mind it was! You can download it or maybe YouTube it just as long as you're a death metal fan or brutal death metal fan. Either way, it's good as gold, I gave this release an "A" because I felt that from start to finish the quality of the music was enough to grand it that. But if you're a CD collector, I'd say even more so to buy the album! This band keeps on improving. So go and hear what it sounds like in any avenue! (Death8699)


Dark Tranquillity - Moment

#FOR FANS OF: Swedish Death
I didn't discount this release when I first heard it because of my initial reaction to 'Fiction' wasn't great, but 'Projector' my favorite release from them of all time. This I felt it a "B" average because there are some quality parts to it, it isn't just a waste of $20. I thought that the vocals were solid (as always) though the guitar riffs are a little iffy. However, I was glad to get this recommendation from a long time friend of mine. I thought that the melodic parts were cool, even though Martin is no longer with the band. I thought that it was an excellent that Christopher Amott (ex-Arch Enemy, current Armageddon) is on guitars. Not that sure of Johan, but both do a great job!

As to who did the most songwriting on this release is obligatory. The guitars are superb, though not as good as they could've been. But I liked the album anyway. The music itself isn't very heavy, just emotional based. Mikael's vocals are some of the best that they've ever been, maybe better than even my favorite from them. The keys blend well with the melodic guitarwork and more of a feeling-based album. Mikael isn't sounding like he's crying on the voice but he's definitely in sad-mode. The riffs accompany the voice and synthesizers with absolute precision. And the production on top of it all is way good.

It was striking that an Amott was a part of this album. Christopher was amazing in Arch Enemy. I'm glad he clanged onto this release. He's one of my favorite melodic death metal guitarists just as Jeff Loomis (Arch Enemy, ex-Nevermore). So as far as the lead qualities on here, they're superb. I didn't think Christopher would last as long as he did in Arch Enemy since their style was continually evolving maybe into something that he wasn't into anymore. But him abandoning melodic death metal completely wasn't the case. And on here is another example of a great effort he puts through with this band. I suppose they did the band justice acquiring him.

I was totally skeptical about this release being something worthwhile and yes it is worthwhile. So on basically blind belief I bought a physical copy of the album despite the putrid reviews. I thought that from start to finish this album has a lot of grit to it. And it's definitely feeling based which is what you want from a band like this. I don't think there's any song that I disliked from the album. It's not the best Dark Tranquillity to date from my viewpoint, but I did like it better than 'Fiction' of course. It's got a different feel than that album. It's definitely not an album to listen to when you're feeling melancholic. Great release nevertheless! (Death8699)


(Century Media - 2020)
Score: 76

https://www.darktranquillity.com/

In Quest - The Comatose Quandaries

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death, Meshuggah, Nile
Nati dalle ceneri dei System Shit, i belgi In Quest evolvono ulteriormente il loro sound, sempre e comunque fatto di una miscela esplosiva di death metal e partiture brutal, arricchendolo di atmosfere plumbee e decadenti, talvolta apocalittiche. Se i primi album erano fortemente ispirati dai Cannibal Corpse e in seguito dal sound di Soilwork e In Flames, questo lavoro ci consegna una band che propone una sorta di brutal death prog con un’influenza più marcata derivante da Meshuggah e Strapping Young Lad. Le caratteristiche peculiari della band rimangono comunque intatte: lavoro di chitarre impressionante, drumming devastante, tastiere tetre e opprimenti che creano atmosfere rarefatte, ottime vocals, sia growl che pulite da parte del vocalist svedese Mike che ha sostituito più che degnamente il vecchio membro fondatore Sven. Il feeling che emana 'The Comatose Quandaries' potrebbe essere tranquillamente la colonna sonora della fine del mondo, per quei suoi passaggi da brivido; ascoltatevi “Warpath” e capirete di cosa stia parlando: le ritmiche sincopate, le atmosfere angoscianti ci rubano le ultime molecole d’ossigeno capaci di tenerci in vita. Citavo i Meshuggah come punto di riferimento principale per l’uso più frequente, rispetto al passato, di stop’n go, blast beats, ambientazioni industriali oscure e minacciose; ma nel suono degli In Quest sono rintracciabili anche influenze derivanti dal thrash/metalcore americano, dal cyber death dei primissimi Fear Factory e dal brillante brutal di act quali Nile o Cephalic Carnage. Ottima la produzione, ottimi i musicisti, ottimi soprattutto gli intriganti e angoscianti solos, capaci di toglierci gli ultimi soffi vitali. Da rilevare la presenza infine, in veste di guest, del vocalist dei Mnemic, Michael, sulla title track di questo entusiasmante 'The Comatose Quandaries'. Grande passo verso una vita (o una morte) piena di successo. (Francesco Scarci)

sabato 19 dicembre 2020

As We Fight - Black Nails and Bloody Wrists

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Metalcore
La Danimarca non ha mai avuto una scena cosi florida. Nei primi anni 2000 c'erano gli Hatesphere, i Mnemic e gli Smaxone, dopo questi la nazione nordica partorì un’altra band che combinava death melodico e metalcore. Ecco a voi gli As We Fight e il loro debutto sulla lunga distanza (nel 2003 uscì il Mcd 'Darkness of the Apocalypse'), un lavoro appunto che è una commistione di sonorità già allora abusate: chitarre aggressive, voci al vetriolo che si alternano ad animaleschi growling, sprazzi melodici e tanta velocità. Direi che le carte in tavola per un presunto successo ci potevano anche stare, sebbene ancora una certa immaturità aleggiasse nello stile della band, talvolta troppo involuto verso soluzioni anacronistiche per il genere. A differenza di colleghi ben più famosi, gli As We Fight cercavano qualche soluzione alternativa nell’utilizzo di una tastiera dalle spente tinte apocalittiche. Devo ammettere, ad ogni modo, che 'Black Nails and Bloody Wrists' sembrava poter impressionare favorevolmente l’ascoltatore nelle prime quattro tracce, ma successivamente cadeva in un anonimo torpore da cui difficilmente risvegliarsi. Prodotti tuttavia egregiamente negli Antfarm Studios da Tue Madsen, il risultato di questo debut album alla fine risulta essere alquanto scontato e privo di dinamicità, diventando spesso troppo noioso. L'auspicio rimase che i ragazzi si facessero le ossa col tempo (altri due album successivi ahimè non troppo brillanti) cercando di sfruttare meno i trend imperanti e personalizzando maggiormente il proprio sound con idee più originali. Ma tutto fu gettato alle ortiche con lo split della band. (Francesco Scarci)

(Goodlife Recordings - 2004)
Voto: 58

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