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mercoledì 18 ottobre 2023

Manu Louis – Club Copy

#PER CHI AMA: Electro Pop
Nuovo album per l'artista belga d'istanza a Berlino, noto al pubblico come Manu Louis. Ispirato e variegato e con molti ospiti vocali, tra i quali il performer Vicente Arlandis, il cantante spagnolo dei Las Victimas Civiles, Héctor Arnau, e la cantante jazz sperimentale Lynn Cassiers. Il disco scorre veloce tra battiti hip hop e hard beat, elettronica minimale e sperimentale, EDM, chanson française, e non ultimo, quel richiamo ai temi cari della sperimentazione in terra tedesca del movimento denominato Genial Dilettanten, che abilitò la musica elettronica ad espandersi ed evolversi per divenire fenomeno di culto negli anni '80 (Der Plan, D.A.F, Die Doraus und Die Marinas, Ornament und Verbrechen etc). Il disco è una meteora e si basa su pulsazioni sempre controllate, derivate sicuramente da generi più pomposi ma qui tradotti in versi più intimi e morbidi, riflessivi. In generale, potremmo definirlo un pop/beat molto sinfonico, e Manu Louis lo sa fare assai bene ("Encore 1X"). Esistono poi canzoni lampo, schegge di meno o poco più di un minuto ("Flu", "Full" e "Winter") che costellano l'album e lo rendono fantasioso e vitale, mentre tra le mille sfaccettature, mi piace accostare il brano "Winner" alle atmosfere di "Night and Day" di Frank Sinatra, ma nella versione rifatta da Bono e compagni, per la sua sinistra malinconia e la grande aria da gran galà in pompa magna. "Clone" è la mia preferita perchè ricorda il Prince più ispirato che gioca con l'elettronica moderna da dance club, fondendo sensualità, un tocco di tristezza e una forte spinta verso il movimento, diciamo un brano dall'effetto intelligentemente motorio. Bello anche l'incipit emozionale che conduce la storia concettuale dell'album, dove in un mondo omologato in ogni sua parte, fa effetto contrario in un piccolo paese, una ex copisteria (da cui si trae il titolo 'Club Copy') che riconvertita in luogo alternativo, crea le sue fotocopie non più identiche ma ogni una, vuoi per incapacità o incompetenza, con un'identità diversa, divenendo centro di speranza per il futuro e il fulcro della resistenza umana in un mondo distopico, devoto alla piattezza più estrema ed estesa ad ogni cosa. Per chi cerca una via di uscita dal vuoto pop moderno, ecco un'alternativa valida, dall'impatto immediato, dai risvolti intelligentemente luminosi, la dance music fatta con la testa, l'elettronica che riempie i cuori con cervello, gusto e capacità. Lasciatevi trasportare in questo luogo e non abbandonerete più il Club Copy. (Bob Stoner)

Opera IX - Symphoniae Mysteriorum inn Laudem Tenebrarum

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Occult Black
Registrato agli Underground Studios in Svezia, questo terzo full-length degli italiani Opera IX finalmente potè avvalersi di una buona registrazione, di una buona distribuzione, che purtroppo in passato era mancata. Ora il tutto viene valorizzato ulteriormente. Questo è un concept riguardante il mondo della magia ritualistica e dei segreti dell'occulto. Musicalmente si passa da sfuriate black a passaggi più atmosferici ma sempre con un forte senso di estremismo sonoro, fatto di quella cupa desolazione che li ha sempre contraddistinti negli anni e li ha elevati a uno dei gruppi di punta della scena italiana. Come al solito, grande prova di Cadaveria che riesce qui ad interpretare magistralmente i pezzi proposti con una voce sofferta e straziante oppure più cristallina e suadente. Da notare infine la cover dei Bauhaus "Bela Lugosi's Dead" che viene eseguita in una versione in linea con la musica proposta dagli Opera IX.

(Avantgarde Music - 2000)
Voto: 75

http://www.operaix.it

Himinbjorg - In The Raven’s Shadow

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Black epico sognante e misterioso per questo secondo lavoro della band francese che a parer mio sono immeritatamente stati snobbati nel corso della loro lunga carriera. Gli Himinbjorg usano un suono di chitarra ritmica molto grezzo abbinandolo a dei suoni di chitarra acustica per dare maggior enfasi ai pezzi, mentre la voce passa da tonalità tipicamente black a un cantato pulito e melanconico. Le tastiere non hanno mai una parte predominante nei pezzi ma vengono usate più come sottofondo. Le canzoni hanno una durata media abbastanza elevata circa 6-7 minuti ma non vi sono cali di intensità. Forse il sound qui è ancora primordiale, ma già si intravedono le grosse potenzialità che poi la band ha espresso nel corso della loro militanza nell'underground metallico.

(Red Stream Inc - 2000)
Voto: 70

http://himinbjorg.fr/

Sabhankra - Rotting Helios

#PER CHI AMA: Black/Thrash
È furia dilagante quella contenuta in questa tape dei turchi Sabhankra, per un EP di soli due pezzi che sembrano voler fare da apripista ad un imminente album. Il genere proposto dallo storico quartetto di Istanbul è un black thrash sparato a mille km orari, come certificato dalla veemente "Rotting Helios". Sin qui nulla di eccezionale penserete giustamente voi, non fosse altro che questa dirompente scarica elettrica sia interrotta da intermezzi che sembrano catapultarci tra i palazzi della vecchia Costantinopoli (peraltro il vecchio moniker della band era Constantinopolis), quindi permeati di una leggera vena folklorica che stempera quella violenza insita nel mood ferale dei nostri. Peccato non ne abbiamo fatto maggior uso, il sound della band ne avrebbe giovato, in particolar modo per prendere le distanze dalle innumerevoli band che suonano qualcosa di assai simile. E la successiva "The Black Sun" non fa troppi sconti con un sound similare ma che per lo meno prova a metterci del suo, con una maggior ricerca di sprazzi di evocatività ed epicità, che si accostano al thrash (per la ritmica) e al black (per le screaming vocals e le chitarre in tremolo che raddoppiano la ritmica) ideato dall'ensemble, per un risultato finalmente più interessante. Certo, con due soli pezzi non è facile valutare completamente la performance della band, che se seguirà le orme del lato A della cassetta, rischia una stroncatura, mentre se sarà in grado di elaborare maggiormente le idee contenute nel lato B, potrebbe regalare qualche bella soddisfazione. Rimango in attesa quindi, curioso di ascoltare un più lungo e strutturato lavoro di black thrash folk ottomano. (Francesco Scarci)

giovedì 12 ottobre 2023

Collapse Under the Empire - Recurring

#PER CHI AMA: Instrumental Post Rock
Eravamo in pieno periodo Covid quando ci siamo soffermati a recensire 'Everything We Will Leave Beyond Us', ottava fatica dei teutonici Collapse Under the Empire (CUTE). Chissà se finalmente quel tutto, menzionato nel titolo ce lo siamo finalmente lasciato alle spalle? Nel mentre ognuno di noi sta pensando alla propria risposta, ecco arrivarci fra le mani il nuovo 'Recurring' e nove nuove tracce che portano i nostri a proseguire nella loro esplorazione musicale di un post rock sofisticato, svolazzante, onirico, data la sua capacità di muoversi su molteplici binari, cosi come già materializzato nell'opener "Genesis", che dal classico post rock strumentale si muove sinuoso in territori più progressive o synthpop, grazie a quelle importanti porzioni orchestrali che tendono ad occupare tutto il suono dei nostri e a palesare i punti di forza e debolezza di un disco che vuole narrare il perpetuo ciclo di vita e morte del nostro pianeta, tema tra i più ricorrenti nelle più recenti release. E cosi, a narrare questa costante ripetizione di distruzione, purificazione, pace e redenzione, i nostri giocano con i molteplici umori, narrazioni strumentali, chiariscuri, saliscendi emozionali che si manifesteranno via via anche nelle successive song, dall'umorale ed estremamente atmosferica (ma soprattutto malinconica) "Revelation", che la indicherò alla fine come uno dei miei pezzi preferiti, alla più ipnotica e cerebrale "Mercy", grazie alle sue doti cinematiche e all'espandersi di delicate atmosfere shoegaze da metà brano in poi. "Absolution" sembra addirittura enfatizzarne i toni attraverso quell'uso (abuso?) di synth che si affiancano alle chitarre riverberate e che sembrano donare al disco evocativi tratti cosmici che mi hanno portato a pensare a band quali God is an Astronaut o Exxasens. Il duo di Amburgo si prende un momento di pausa in "Requiem", una sorta di bridge ambient evocante le vibrazioni cosmiche del film 'Gravity', che ci introduce a "Forgiveness", il più post rock dei brani inclusi in 'Recurring', ma anche quello più dinamico, con quel suo rincorrersi delle chitarre e la quasi soverchiante stratificazione di piano/tastiere in anfratti nebulosi di un cosmo oscuro e gelido. Ma le chitarre tornano fragorose nel finale di un brano turbinoso e affascinante. "Salvation" è invece più spinta verso territori sintetici, con le chitarre qui relegate in secondo piano che tuttavia non perdono la loro forza motrice. A seguire, "Apocalypse" si muove su analoghe linee elettroniche che nella loro iniziale ridondanza, non incontrano appieno il mio gusto, e in realtà, questo sarà anche il brano che ho trovato meno convincente nella proposta dei CUTE, sebbene un finale imponente, figlio di un'ariosa emozionalità cinematica, e all'utilizzo di delicati archi in sottofondo. La conclusiva "Creation" si muove su suadenti note di sintetizzatore a cui faranno da contraltare in più di un'occasione, esaltanti partiture di chitarra che esaltano finalmente il risultato complessivo, per il gradito ritorno di una band davvero competente nel proprio genere. (Francesco Scarci)

mercoledì 11 ottobre 2023

Alea Jacta Est - Ad Augusta

#PER CHI AMA: Hardcore
"Il dado è tratto". Con la locuzione "alea iacta est" i latini erano soliti esclamare per una decisione presa o una sfida lanciata. I francesi Alea Jacta Est lanciano cosi la loro sfida con un nuovo EP, 'Ad Augusta', che sancisce il ritorno sulla scena dopo un bel po' di silenzio (sette anni dall'ultimo 'Dies Irae'). La band di Tolosa rispolvera il proprio hardcore attraverso sette nuove tracce pronte ad incendiare le nostre orecchie. Al via un intro e poi il rombo delle chitarre di "FFWF" (acronimo per "Fight Fire With Fire") che si accende ed esplode tra un rifferama compatto bello carico di groove e le urla del frontman che s'incrociano con quelle di diversi cori (che mi hanno evocato quelli di 'Under the Influence' degli Over Kill). Poi una bella spinta (non eccessiva sia chiaro) da parte delle chitarre che portano una dose di adrenalinica energia che prosegue nella più robusta "Get Revenge", con quel suo vigoroso sound spezzato da continui breakdown metallici, mentre il vocalist continua a vomitare tutta la propria rabbia. Niente di nuovo all'orizzonte, niente di particolarmente tecnico poi (gli assoli sono infatti rigorosamente banditi) e la band continua a macerare strada in "Enough is Enough", con quel blend di hardcore e metalcore, con tanto di riffoni belli pesanti e ultra ritmati, voci tra il graffiante, caustico e growl, senza mai tralasciare gli immancabili chorus, atti a inveire contro il mondo, trademark del mood hardcore tipicamente statunitense. Si continua con "The King is Down" e anche qui non manca una certa ruffianeria nella linea delle chitarre, cosi come nell'utilizzo di parti parlate in francese che fanno da ponte con la successiva "As Fast as I Can", che prosegue nella sua opera distruttiva, qui particolarmente esasperata nella parte finale del brano. Il dischetto si chiude con "Fake Power" che, se vogliamo trovare il pelo nell'uovo, non si discosta di una virgola dai precedenti brani ascoltati, se non per una sezione ritmica un filo più violenta, ma che apporta poco o niente all'intera release. Un lavoro onesto e poco più. (Francesco Scarci)

(Useless Pride Records - 2023)
Voto: 65

https://www.facebook.com/aleajactaest.eu

martedì 10 ottobre 2023

Signs of the Dying Summer - Promenada Ciszy

#PER CHI AMA: Depressive Black
"L'estate sta finendo..." cantavano i Righeira in Italia nel 1985. La band di quest'oggi deve aver preso ispirazione da quel mitico tormentone di quasi 40 anni fa. A parte i miei deliri giornalieri, oggi abbiamo a che fare con i Signs of the Dying Summer (segni di un'estate che sta morendo, tradotto letteralmente) e del loro secondo lavoro 'Promenada Ciszy', edito dalla Putrid Cult, etichetta polacca attiva nel mondo black/death dal 2011. Tornando al terzetto di oggi, posso aggiungere che l'album include sei tracce (più la cover "Stalemate" dei Katatonia), tutte con lo stesso titolo del disco, a parte la progressione numerica accanto al titolo e il genere? Trattasi di black dalle forti tinte malinconico/depressive che mi conquistano sin dal primo tocco tastieristico dell'iniziale "Promenada Ciszy 1", song che parte sparata al fulmicotone, per poi fare una bella inversione di marcia, tra spettrali tastiere blackgaze, cori quasi celestiali ed una marcata linea melodica che smorza la furia bieca dei momenti più violenti. Insomma, pensavo si trattasse del classico album di infernale black old-school, vista anche la cover in bianco e nero, e invece mi sono dovuto ricredere e anzi, apprezzarne i contenuti. Contenuti che si confermano egregiamente curati anche nel secondo capitolo del cd che inizia addirittura con un trittico formato da clean vocals (stile Rammstein), synth e batteria, in un suggestivo e psichedelico impianto sonoro di facile presa, che contribuisce immediatamente a metterci a proprio agio prima della iper melodica spinta black che completa, in modo intrigante, la proposta del trio di Poznań. Coinvolgenti direi, non me lo sarei mai aspettato, devo ammetterlo. E si continua con soffuse melodie anche nel terzo frammento di questo lavoro, una song che sembra lanciarsi in digressioni dark wave interrotte da brevi scorribande black, per un effetto conclusivo davvero interessante. Più violenta e thrash oriented, la quarta traccia che picchia come il classico fabbro, tra nitrogliceriniche ritmiche e rasoiate alla sei corde, prima di abbandonarsi ad una parte più atmosferica a metà brano che ammorbidisce l'approccio qui più nichilistico della band. Risultato positivo, ma in questo modo i nostri sembrano appiattirsi con la moltitudine di band che pullula nella scena. Meglio "Promenada Ciszy 5", dove emerge anche una vena post punk, che confluisce in un sound sempre più strutturato e ricco di sorprese, che in coda va palesemente ad evocare spettri dei Katatonia che furono. E 'Promenada Ciszy', nella sua sesta tappa, propone un pezzo bello acido che chiama in causa con più evidenza, gli amici Shining, sebbene mostri poi atmosferiche infiltrazioni dark post punk. In chiusura dicevo, la cover dei Katatonia è servita. Utile per farmi rivivere emozioni che non provavo da tempo, ma inutile per una rivisitazione non troppo convincente che tuttavia non inficia la mia valutazione finale di questo lavoro. Bravi. (Francesco Scarci)

Dominance - Slaughter of Human Offerings in the New Age of Pan

#PER CHI AMA: Black/Thrash
Ricordate i deathsters italiani Dominance? Ecco quelli di oggi non c'entrano niente, visto che sono polacchi, 'Slaughter of Human Offerings in the New Age of Pan' è il loro debutto, e questi qui suonano poi black metal. Vi ho disorientati a sufficienza? Allora lascio la parola alla musica del trio originario di Szczecin che si propone con otto tracce, 30 minuti e pochi spiccioli di black thrash old-school, pieno di rabbia e sofferenza che si concretizza attraverso le note abominevoli ed efferate di "Battlefield", dotata di un riffing affilato come un rasoio, screaming vocals super caustiche, velocità vertiginose e giusto una parvenza di melodia a completare un quadro che si confermerà assai similare anche lungo la seconda "Blood Countess", song che sfodera tuttavia un poderoso assolo, qualche ritmica più thrashettona ma comunque un sound schietto e privo di troppi compromessi. Le polveri continuano a bruciare in "Deadly Winter", la traccia più breve del lotto, ma che mette in bella mostra un'interessante linea di basso su un'incessante ritmica che vede qualche sporadico rallentamento. La furia nichilistica del trio della Pomerania dell'ovest si fa ancor più largo in "Ritual", un pezzo in cui si avverte maggiormente la vena scandinava (Marduk e Dark Funeral) nelle taglienti linee di chitarra, sparate costantemente a velocità iper mega sostenute, che si protrarranno anche nelle successive e maligne song, che vedono i nostri affrontare nelle loro liriche, guerra, odio e morte, temi ahimè molto di attualità negli ultimi tempi. La summa di tutto questo si concretizza in "Human Holocaust" e il suo incipit thrash old-school (scuola Sodom), a cui si aggancia poi un riffing marcescente di scuola nordica. Il disco insiste su queste coordinate anche nelle ultime song che vanno a sottolineare quanto la band sia radicata in antichi stilemi musicali di cui apprezzarne comunque la solida coerenza. (Francesco Scarci)