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sabato 20 settembre 2014

Venus Victrix – Volume I

#PER CHI AMA: Occult Rock, The Oath, Blood Ceremony, Blue Oyster Cult
I Venus Victrix sono una band autoprodotta proveniente dal Texas, assecondata e ammaliata dalle luci psichedeliche dell'occult rock che di questi tempi sta tornando alla ribalta con l'interessamento di personaggi accreditati e di fama mondiale, come l'ex Cathedral Lee Dorian. che sforna retro rock con voce femminile in continuazione (Blood Ceremony, The Oath, Purson....). La band americana si esalta soprattutto nelle atmosfere più rarefatte, psichedeliche e doom come in "Tsukuyomi", dove la esile voce eterea di T. Marie si mostra più padrona della scena. Una musica che rievoca palesemente il sound vintage dei 70's in tutto e per tutto: la cadenza e il taglio caldo delle chitarre, i piatti sguaiati e una batteria dal suono scarno e naturale, giocano delle buone carte nella costruzione dei brani, il profumo di rock degli Humble Pie, un tocco psichedelico alla Captain Beefheart, le escursioni acustiche e l'immancabile cadenza oscura alla Black Sabbath, chiudono alla fine il cerchio magico. Una produzione non sempre all'altezza della situazione che avrebbe dovuto esaltare maggiormente la profondità e lo spessore del suono, non pregiudica affatto questo 'Volume I' e la ricerca sonora a ritroso della band anzi, in alcuni casi riesce a donare quel suono magico che caratterizzò i primi album dei Blue Oyster Cult. Il duo texano si divide i compiti a metà e vede KJLK suonare abilmente tutti gli strumenti mentre T. Marie, che risulta essere una voce stregata dalla luna, poco consona all'aggressività e morbida come una Carole King in versione "Candice Night" (vedi Blackmore's Night) che canta brani dei Fletwood Mac, assume il comando delle operazioni e ci traghetta nel versante occulto del rock anni settanta dei Venus Victrix, con luci e ombre che lasciano trasparire umori alterni, tra tutte le variegate note del disco. Troppo delicati per risultare doom, troppo elaborati per essere solo rock, il mondo esoterico dei Venus Victrix ha bisogno di una corsia preferenziale di pura esaltazione prog/psichedelica/sciamanica per entrare nella vostra testa ed essere concepito. Quindi aprite a dismisura le vostre menti e ascoltate questo lavoro! (Bob Stoner)

(Self - 2014)
Voto: 70

Vrademargk - The Black Chamber

#FOR FANS OF: Melodic Death Metal, Dark Tranquillity, Arsis
Like the majority of bands in the Melodic Death Metal genre, the impetus here is on simply proving that the aggressive riff-work and dirty atmosphere of traditional Death Metal can be melded nicely alongside melodic tones, and that’s what this Spanish band ably attempts here. Bolstered by a tight, heavy chug that really revels in the mid-tempo paces, there’s a central focus on the aggression here that comes across quite well in these segments as there’s plenty of furious rhythms on display as a calculated dose of technicality is merged into those arrangements to make for an even more exciting display. That dose of technicality, strangely muted in the second half, makes the upper half tracks where it’s present far more dynamic and enjoyable with numerous tempo changes and furious riffing that makes for rather impressive foundations for the flowing melodies to get a chance to explore more innovative rhythms than just simply popping up in the middle of the track for no real reason. However, that does bring up the central underlying feature about the album in that it is clearly one-sided with the best tracks almost exclusively placed in the upper half of the running order while the second half is quite low on those elements. The upper half is dynamic, varied and quite enjoyable while the second half tends to meander around in mid-tempo paces and chugging rhythms that don’t build to any kind of energetic speed, enjoyable rhythms and just tend to wallow in sluggish paces that are not in the slightest bit interesting. This is a straight-up rule on the album that can be followed quite literally with one song on the first half not working well amongst a slew of energetic, enjoyable tracks while one on the second half sticks out for its enthusiasm and energy amongst the gathered number of sluggish, plodding pieces that surround it. It’s a little disconcerting to notice that as this essentially cuts the album in half with no difficulty at all and hinders the album a lot more than it really should with more explosive tracks throughout. After the intro ‘Into the Heart of Death,’ with its low rumbling noise and synthesized keyboards making for ominous gradual build-up, proper first track ‘Undesired Funeral’ best demonstrates the band’s ability to wrap tight melodies alongside aggressive patterns and pounding drumming for an outstanding highlight. The multifaceted ‘Fear Itself’ continues this stellar work with tight rhythms, plenty of aggressive riffing and a slew of dynamic tempo changes from raging mid-tempo to dynamic start/stop patterns and even minor hints of groove to make for a spectacular effort. Despite some impressive riffing, ‘Anima Invictus’ is a somewhat bland track that relies way too much on the mid-tempo chug-patterns rather than really utilizing the other factors in their sound for a decidedly decent effort. Thankfully, ‘Taste the Sin’ goes back to tight rhythms and melodic work-outs which provide this with another stand-out track. ‘Més Enllà de l'Abisme’ backs up more tight mid-tempo chugging with razor-wire riff-patterns and pounding drumming for another decent if slightly overlong track with the lengthy mid-section ambient interlude soaking up way too much time and not providing a lot else to like. ‘The Empathic Misanthrope’ starts out all right with plenty of tight rhythms and pounding drumming in the first half but it quickly loses the energy and becomes nothing but a plodding, sluggish crawl to the finish in the second half that struggles to end quick enough. The title track goes back to the start of the album with furious melodic patterns, tight chugging and plenty of tempo shifts that manage to store plenty of energy and intensity alongside the melodic leads which allows this to revert back to being an album highlight. Ending on a sour note, ‘Deathcell Migration’ manages to whip through a multitude of patterns and performances across the extended running time and certainly demonstrates plenty of fine technical displays but just doesn’t get the energy up enough to make the most of the sterling performances. Otherwise, there’s not too much really wrong here beyond the lack of energy throughout. (Don Anelli)

(Self - 2013)
Score: 65

Steny Lda - Beloe Bezmolvie / White Silence

#PER CHI AMA: Post/Sludge, Isis, Russian Circles
Cosa aspettarsi da un album intitolato “Silenzio Bianco”, da una band il cui nome significa “Muro di Ghiaccio”, e il cui, peraltro splendido, artwork mette in fila fotografie di mari ghiacciati e iceberg, rigorosamente in bianco e nero? Detto che ogni informazione supplementare bisogna sudarsela, essendo tutto (dal nome della band a i titoli dei brani e alle note di copertina) scritto in cirillico, vado in cerca di approfondimenti e trovo la recensione che il buon Franz fece dell’esordio del quintetto russo, datato 2010, allora promosso con riserva. Schiaccio play e vengo investito dall'equivalente musicale di una tempesta artica: muri di chitarre post hardcore e ritmiche serratissime, intervallate da momenti più riflessivi di stampo post rock e quindi nuove accelerazioni maestose, sottolineate da tastiere solenni e vocals sofferte e furibonde. Una bomba. Peccato che il resto del programma mantenga solo in parte le promesse fatte nei cinque minuti furiosi e drammatici del primo brano, “Fordevind”. Già, perché da qui in poi, gli Steny Lda propongono un post/sludge dalle forti componenti cinematiche ma che perde molto potenziale allorché decide, e lo fa per buona parte del programma, di rimanere soltanto strumentale. Come già rilevato nell'esordio, anche qui infatti l’impressione è che molte delle potenzialità della band vengano meno quando non supportate adeguatamente dalla voce. I tre brani successivi, infatti, mettono in fila in maniera diligente tutto l’armamentario classico del genere, come insegnato negli anni da gente come Isis e Russian Circles, il tutto incastonato sullo sfondo di quello che, come suggeriscono i titoli, sembra essere il tema portante del lavoro, ovvero il ghiaccio. Peccato che la personalità avvertita nel pezzo di apertura qui si perda e così diventa davvero difficile distinguere l’incedere lento dei 10 minuti di “Ice Storm, The Earth Ball” da quello di un qualsiasi altro brano prodotto da una delle tante band post/sludge strumentali. Quando sembra che le cose debbano incanalarsi per il peggio, ecco però che l’album sterza decisamente a partire dalla traccia numero 5 “Drifting Icebergs in the Fog, Causing Destruction and Destruction “ (metto solo la traduzione dei titoli, che già sono lunghi di loro...) che, guarda caso, vede il ritorno delle voci che innalzano immediatamente l’asticella dell’intensità emotiva. Intensità che i cinque riescono a mantenere alta più o meno fino al termine dei 12 minuti della conclusiva “Cold Earth” (quando si dice avere un chiodo fisso...), dove veniamo salutati dal suono di un vento gelido che spazza le lande desolate del nostro animo. Alcune cose ottime, altre decisamente meno. La direzione è giusta, adesso sta a loro imboccare con più decisione il bivio, sperando che facciano la scelta migliore. Adesso però vado a mettermi un maglione pesante. (Mauro Catena)

(Slow Burn Records - 2014)
Voto: 70

mercoledì 17 settembre 2014

Eternal Valley - Concealed in Nothingness

#PER CHI AMA: Suicidal Black
Era da un po' di tempo che non mi capitava di recensire una qualche one man band, eccomi quindi accontentato. Da Battle Ground nello stato di Washington, là in mezzo alle foreste, si cela Orszar, factotum del progetto Eternal Valley, che in questo 2014, ha fatto uscire ben 2 album e un EP, appunto questo 'Concealed in Nothingness'. Quattro i pezzi proposti, all'insegna di un black siderale, che si aprono con "As Shadows Look Away", contraddistinto da cupe atmosfere depressive disegnate da un flemmatico avanzare di chitarre, da voci disperate e da tenui luci autunnali, il suono perfetto per questo periodo dell'anno che va a sancire la fine dell'estate. 'Concealed in Nothingness' è un breve lavoro, che nonostante il suo approccio misantropico al limite del suicidal, suona comunque "caldo", come il sangue che esce da vene appena tagliate o come la lava che lentamente sgorga da un cono vulcanico. Immagini forti che rappresentano facce diverse della stessa medaglia, la prima la pericolosità della mente umana, mentre la seconda la furia della natura. Allo stesso tempo è forte e pericolosa anche la disperazione che emerge dai solchi di questo cd (attenzione, limitato a sole 100 copie): "A Hole to Die In" è la seconda traccia dal forte flavour burzumiano, quello più abile nel miscelare black e ambient, anche se di quest'ultimo non vi è traccia nel corso dei 18 minuti di questa release. "Morose" è una song furiosa, un thrash black vetusto, che trae ispirazione da molto lontano, e su cui si può anche sorvolare, per focalizzare meglio la propria attenzione sulla conclusiva "End This Life", titolo quanto mai esplicito. Davanti agli occhi mi ritorna l'immagine delle vene tagliate, il desiderio di farla finita e la malinconia trainante questo pezzo strumentale, risuona come un invito a calare il sipario sulle nostre vite. Dilanianti. (Francesco Scarci)

(Neckbrace Records - 2014)
Voto: 65

Ergholae Somptator – Raptus du Fanè

#PER CHI AMA: Experimental Black metal, Portal, Deathspell Omega, Tsjuder
Aprite le orecchie e votatevi a quest'album, azzerate le vostre visioni musicali, intrecciatele tra loro, mescolatele, rovinatele, perché questa band ha superato magnificamente il limite, costruendo un nuovo importante tassello per l'olimpo del metal estremo mondiale. Prendete dei riff thrash anni '80/ '90, mescolateli con la bizzarra controversa vena oscura dei Deathspell Omega, la forza degli Tsjuder, la violenza sonora ed il noise dei Portal (quelli di 'Vexovoid'), richiudetevi in una stanza senza finestre nel seminterrato e ascoltate il tutto, adorerete questo splendore underground. Psichedelia black metal, bagnata di postcore e furia grind lacerata e maciullata da una registrazione ai limiti della tolleranza in grado di devastare tutto quanto come se a suonare fossero i primi Atari Teenage Riot alle prese con i brani dei Taake. Violento, ferale, sulfureo, lugubre, spavaldo e pieno di sé, quest'album avanza con riferimenti musicali multipli tritati a dovere da una produzione underground implacabile e impietosa. La formula usata è geniale: si percepisce perennemente un senso di catastrofe e disastro che si espande nota per nota, riff dopo riff; cattiveria, mal di vivere, rumore nero imperversano nelle note di 'Raptus du Fanè'. Eccolo il metal deforme dei francesi Ergholae Somptator, che in questo album autoprodotto, dalle immagini di copertina astratte ed altamente artistiche, riportante i titoli dei brani, nome della band solo sul lato e i nomi dei due audaci autori (Jeròme Bouquet e Lèo Louis – Honorè) in un angolo, toccano vette che non si erano ancora raggiunte in fatto di sound sperimentale ed estremo. Molti odieranno questo lavoro per la sua attitudine divinamente low-fi, ma chi sta cercando un traghetto ed un nuovo Caronte per attraversare le fauci dell'inferno rimarrà ammaliato da cotanta creatività sonica. Come non amare la follia rumorosa e perversa di tracce killer come "Folie Comminatoire" e "Champs Absurde" o il taglio etnico rumorista di "Chantarellaceae", song ai confini con l'improvvisazione. Fingere di non provare piacere all'ascolto di "La Douleur est Mer" con i suoi riff rubati ai Sepultura per centrifugarli in un impazzito vortice black- industrial - noise – metal sarebbe come commettere un peccato gravissimo. Un perverso capolavoro!!! (Bob Stoner)

(Self - 2014)
Voto: 90

Codex Alimentarius - The Hand of Apophis

#PER CHI AMA: Death melodico
Sono solo undici i minuti a disposizione dei Codex Alimentarius per farci assaporare la loro furia distruttiva e vi garantisco che bastano e avanzano per farsi una idea della band di Exeter. 'The Hand of Apophis', secondo EP dei nostri, si fa portavoce di un death abrasivo ma al contempo melodico e dalle venature a tratti sinfoniche, che certo saprà conquistare tutti gli amanti di sonorità estreme, me compreso. Dopo una breve intro, ecco esplodere "Trajectory" e il rutilante martellare del drummer Frank 'Bleeding' Dennis viene accompagnato da una sezione ritmica con i controfiocchi costituita da ben 3 chitarre e un basso che, ben bilanciati, vedono ergersi sopra le loro teste, il vocione apocalittico del bravo Ray. "Azimuth" è la seconda traccia, dallo vena deathcore, una song che riassume lungo i suoi quattro minuti e mezzo, lo spirito del 6-piece britannico: sonorità potentissime, ritmiche sincopate, rallentamenti magmatici, growling brutali, una buona dose di melodia e tanta tecnica. Risultato: eccellente. Gli arrangiamenti in questo disco non si sprecano di certo, tutto è curato nei minimi dettagli e "Impact" è l'ultima dimostrazione del dischetto anche se i minuti a disposizione rimangono solo tre. Ottimi riffoni che dettano un tempo quasi marziale controbilanciato da accelerazioni da urlo, il tutto enfatizzato poi da una produzione pura e cristallina. Ottimi laceranti assoli squarciano infine il brano in più punti, rivelando la natura orchestral brutal-melodica dei Codex Alimentarius. Bella scoperta, ma ora attendo un lavoro che confermi le qualità dei nostri anche sulla lunga distanza e ne faccia anche lievitare il voto conclusivo, tenuto logicamente più basso visti i soli 11 minuti messi a disposizione. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 70

martedì 16 settembre 2014

Geminy - The Prophecy

#PER CHI AMA: Heavy Power, Labyrinth 
Primo lavoro per i genovesi Geminy, in attività dal 2006, che dopo due demo (uno del 2007 - 'The Hidden Door' - e uno del 2010 - 'The King of Gorm') approdano sul mercato con questo 'The Prophecy'. Concept album per i nostri incentrato su un mondo ambientato nel medioevo, con re, foreste, spiriti malvagi, prigionieri, templi e profezie. Il disco, uscito nel dicembre 2012, si apre con la strumentale "Into the Prophecy", dove si può da subito notare l'impronta power-progressive data dalla band. Già con la seconda traccia, "Nordic Sea", si può osservare l'affinità con un'altra band power melodic italiana: i Labyrinth. Il cantato in inglese, con la voce di Francesco Filippone, pulita e tendente all'acuto, bilancia un sound che altrimenti diventerebbe pesante da ascoltare. "Trinity Necklace" ha un'anima più orientata al versante folk, con qualche sprazzo dal ritmo intensificato, ma che poi rientra sui soliti binari, rasentando però il già sentito. Piccola gemma musicale dell'opera è "Abyss" brano “vestito” di una certa cupezza grazie al dualismo pianoforte/chitarre che ne prolungano le note con lunghi assoli. La sveglia arriva con "Empty Streets", puro power con inserti di pianoforte. Arriviamo alla melodia di "Mind Control" dopo una serie di interludi strumentali e mi sale all'orecchio un po' di aria fresca: si cambia musica, con le keys che imitano un carillon e un velato alone di mistero e paura mi avvinghia l'anima, ma purtroppo è una sensazione che dura poco. Poi ancora qualche assolo di chitarra, acuti vocali e quanto già finora s'era sentito. Quest'album vanta due ospiti d'eccezione: Roberto Tiranti dei Labyrinth/Mangala Vallis, vocalist principale della canzone "My Fellow Prisoner", song basata più su un tappeto tastieristico che sulle chitarre. Il secondo ospite è Tommy Talamanca dei Sadist/The Famili, di cui non si può non notare la sua impronta death in "Evil Eye", traccia che riflette la sana grinta del musicista ligure. Con la title track si giunge alla fine del disco, ma non prima di spezzarla in quattro parti (dura 11 minuti), che variano dalle note meste di pianoforte a quelle power, vero trademark dei nostri, per poi tornare a chiudere il tutto con un prolisso assolo di chitarra e note di piano. In conclusione: 'The Prophecy' è il primo lavoro ancora acerbo dei nostrani Geminy, per cui mi sento di dare il mio consiglio personale: aggiungere un po' di sano growl alle vocals, il che renderebbe il tutto più vario e interessante da ascoltare. (Samantha Pigozzo)

(Nadir Music - 2012) 
Voto: 60 

Ymir's Blood - Voluspa Doom Cold Stone

#PER CHI AMA: Thrash/Viking, Sadus, Sabbat, King Diamond, Venom
Vi è qualcosa di esageratamente metal nel sound di questa band finlandese al proprio debutto con questo EP, dal titolo 'Voluspa Doom Cold Stone'. Un lavoro di circa venticinque minuti diviso in quattro brani di media lunghezza, uscito nel 2014 via Archaic Sound. Un'orgia sonica plasmata con ferro e acciaio per un'ode alle divinità nordiche, lontana dal mainstream anni luce, figlia degenera dei migliori Sabbat con reminiscenze a la King Diamond, un'attitudine maligna a la Venom e un orgoglio glorioso a la Manowar. Niente epic metal in termini canori ma una voce roca e violentissima urlata in faccia come se si trattasse di un pugno ben assestato e una musica carica di rudi retaggi black metal filtrati dalla pesantezza del doom, anche se i ritmi non rallentano mai così tanto. Il trio predilige atmosfere claustrofobiche e oscure con una certa verve punk/ hardcore old school al vetriolo, il tutto è tanto ruvido e volutamente lacerato e si prende con la forza una buona credibilità, proiettando l'ascoltatore dritto in un campo di battaglia medievale con alabarda e scudo pronti all'uso. La costruzione dei brani ricorda molto il grande King Diamond per il suo classicismo compositivo e per certi aspetti la cadenza ed il mid-tempo da puro classico del metal vintage style, dona all'intero disco un'omogeneità e una fluidità d'ascolto esagerata, pur tenendo conto di un ambiente sonoro che di per sé è molto ostico. Buono l'artwork e la produzione, mirata ad esaltare la sonorità acustica e naturale di tutti gli strumenti che godono di un equilibrio perfetto e di una forza d'urto reale, violenta, nuda e cruda. Prende vita in questo lavoro una nuova veste del defender tout court, intrappolato nell'epicità classica ma espressa con sonorità vicine al thrash europeo più sanguigno e realista, con una propensione verso Celtic Frost e Sadus, dal tono perennemente drammatico, sobrio e arcigno. Un nuovo modo di fondere le varie correnti metalliche senza risultare sterili e inconcludenti. Ottimo lavoro! Ascolto consigliato a tutti quelli che si sentono vicini alle saghe vichinghe! (Bob Stoner)

(Archaic Sound - 2014)
Voto: 80