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sabato 8 febbraio 2020

Monolithe - Okta Khora

#PER CHI AMA: Death/Doom/Prog, primi Opeth
Da sempre i Monolithe amano giocare con i numeri, abbinando per ciascun album un determinato numero di pezzi dalla durata ben definita. Se i primi quattro lavori erano in realtà opere monolitiche costituite da un solo brano, con 'Epsilon Aurigae' e 'Zeta Reticuli' si è iniziato a sperimentare con tre pezzi da 15 minuti. 'Nebula Septem' include invece sette brani di sette minuti ciascuno. Infine, in quest'ultimo e ottavo lavoro intitolato 'Okta Khora', ecco che la scelta di Sylvain Bégot e soci, è caduta su otto brani della durata di 04.04 e 08.08 minuti (con in mezzo anche uno 04.08 ed uno 08.04) per un tempo complessivo di 48 minuti e 48 secondi. Evviva la simbologia esoterica e il significato dei Numeri, laddove il Numero Quattro è il più perfetto tra i numeri, essendo la radice degli altri numeri e di tutte le cose, mentre l’Otto è il simbolo dell’infinito, il riflesso dello spirito nel mondo creato, dell’incommensurabile e dell’indefinibile. Otto brani quindi, per chi non l'avesse ancora capito, che si aprono con "Okta Khora (Part 1)", una malinconica traccia strumentale che prende definitivamente le distanze dagli esordi funerei e funesti dei nostri. A seguire "Onset of the Eighth Cycle" (riecco l'otto), un brano che si affida ad un doom/death per raccontarci lo stato di forma dell'ensemble francese, che in questa release narra di una civiltà aliena e dell'intento di cancellare tutte le altre specie presenti nell'Universo. Allegria, in un periodo come questo di pericolose pandemie virali, la visione dei Monolithe suonava già (un paio di mesi orsono quando è uscita la release digitale) come un oscuro presagio di estinzione della razza umana. Tornando alla musica, la band si conferma maestra nel confezionare pezzi di notevole caratura tecnico compositiva, contraddistinti da ritmiche cadenzate, lunghe parti atmosferiche, eccellenti arrangiamenti ed un quanto mai inatteso utilizzo di strumenti non del tutto convenzionali per la band transalpina (flauto, sax e archi), con i vocioni growl di Sebastién Pierre e Rémi Brochard a confermarsi ad alti livelli. "Dissonant Occurence", parafrasando un po' il titolo, dà sfoggio di melodie dissonanti, cambi di tempo notevoli, ma soprattutto uno strepitoso break centrale, tra fusion, psych rock, melodie celestiali e clean vocals che ci dicono quanto sia peculiare e notevole questo comeback discografico dei nostri. "Ignite the Heavens (Part 1 e 2)" sono due pezzi strumentali che affondano le proprie radici in rituali esoterici, mentre la musica (nella prima parte almeno) ricorda quello di uno storico brano prog rock degli anni '70, "Baker Street" di Gerry Rafferty, con tanto di sax e trovate varie che sfociano anche nelle colonne sonore cinematografiche. Notevoli, non c'è che dire, ma non avevo alcun dubbio sul fatto che i Monolithe non ci avrebbero tradito. E il viaggio intergalattico prosegue con "The Great Debacle", un pezzo che sembra suggerire influenze provenienti da 'Spheres' dei Pestilence, ma soprattutto dagli Opeth dei primi album, con una rinnovata capacità di abbinare death doom e progressive con stile ed una classe davvero sopraffina. Ascoltatevi l'assolo di questo brano e godete estasiati l'eccellente release della band parigina targata ancora una volta Les Acteurs de l'Ombre Productions. Mancano ancora "Disrupted Firmament" e "Okta Khora (Part 2)" a rapporto, due brani che somigliano più alla passerella finale di un album che si conferma già oggi tra i candidati a collocarsi sul podio alla fine di quello che sarà un lungo ed estenuante tour 2020. (Francesco Scarci)