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sabato 23 aprile 2016

Expedicion a las Estrellas - The Sentient

#PER CHI AMA: Post Rock strumentale, Explosions in the Sky
È tempo di partire per le stelle. E farsi cullare dai loro suoni, dalle loro luci. Dopo oltre cinque anni, tornano a farsi sentire i messicani Expedicion a las Estrellas (EALA), che tanto osannai in occasione del loro album '27'. Ho atteso troppo tempo però per ascoltare la nuova fatica del combo di Zacatecas, sebbene saltuariamente il chitarrista della band mi inviasse qualche brano per appagare la mia trepidante attesa. Alla fine eccomi qui, finalmente accontentato, alle prese con 'The Sentient', il tanto agognato secondo capitolo della saga EALA, un lavoro che è uscito un anno fa, ma soltanto ora, nella sua forma definitiva, arriva tra le mie mani. Un album che consta di dieci brani, un disco scarno di per sé, che riesce sempre e comunque ad abbinare sonorità post rock, guidate da un riffing tremolante, con malinconiche melodie ("Nuestras Alas se Vuelven Hielo Roto en el Solitario Frío del Espacio") e sonorità più graffianti (la title track ad esempio, mostra accanto a un rifferama caustico tocchi di pianoforte, campionature vocali e delicati arpeggi). Il disco, strumentale nella sua interezza, scivola via tra un capitolo e il successivo, tra ondivaghi cambi di tempo, strappi rabbiosi, frangenti notturni, sprazzi di lugubri ("No Longer Lost in Space but at Home") e sognanti atmosfere ("Fantasmas Disfrazados de Conejos Atrapados en Sombreros de Infinito Vacío"). Qualcosa però nel giocattolo EALA sembra essersi rotto: diverse infatti sono le differenze rispetto al passato. In primis l'abbandono quasi totale della matrice embrionale post black, per affidare un più ampio spazio a quelle ariose e calde aperture di scuola Mogway ed Explosions in the Sky, un peccato perché era un qualcosa che rompeva gli schemi all'epoca e non poco. Trovo che sia un peccato anche il fatto di aver eliminato le vocals feroci, prediligendo asettiche campionature vocali (peraltro alcune estratte da '2001: Odissea nello Spazio', e altre estrapolate da ulteriori film tra cui anche uno del nostro Pasolini, 'Salò o le 120 giornate di Sodoma'). Si sono perse un po' per strada anche quelle lunghe divagazioni post-metal/post-hardcore che collidevano con le escursioni jazz, math e folk che tanto mi avevano entusiasmato ai tempi di '27', i cui mistici contenuti lirici, rendevano ancor più intrigante e misterioso il contenuto di quel platter. Ebbene, se preso individualmente, 'The Transient' è un disco di interessante post rock, che vede nella schizofrenica "Clavius in Terror" il mio pezzo preferito. Certo che se vado a confrontare questo disco con un passato che trovo ancora geniale quanto mai delirante, ecco che il confronto si fa impari e mi fa vivere questa nuova release come una tremenda delusione. E allora, il mio suggerimento è di avvicinarsi a 'The Transient' e farlo vostro cosi come viene, senza caricarlo di troppe aspettative come ho erroneamente fatto io, lasciandovi ipnotizzare dai suoi psichedelici suoni, dalle sue innumerevoli imperfezioni (da rivedere il suono della batteria), dalle sue stranezze e dai suoi comunque preziosi punti di forza. Cinematografici! (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 70

sabato 25 settembre 2010

Expedicion a las Estrellas - 27


Una delle cose più interessanti che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi mesi viene dal Messico e quale piacere ammetto di aver provato udendo le sonorità contenute in questo piccolo gioiello, che mi hanno consentito di ampliare enormemente il mio spettro di ascolti. Pur non essendo infatti un grande amante di sonorità post-metal, con questo “27”, mi sono dovuto ricredere enormemente sulle potenzialità di un genere che ha invece un sacco da dire e gli EALE sono dei maestri in questo: un gruppo follemente geniale che ha concepito un album capace di coniugare il post-rock con plumbee atmosfere doom e grugniti (rigorosamente in spagnolo) in pieno stile black, senza disdegnare invasioni in territori (post)hardcore. Insomma, avrete capito da queste mie parole che qui dentro c’è n’è davvero per tutti i gusti e forse la difficoltà starà proprio nel saper coniugare tutti questi generi in un sol boccone, ma i nostri sono stupefacenti in questo, ve lo garantisco. Insomma non riesco a trattenere l’entusiasmo dopo aver ascoltato un cosi ben fatto album, era da tempo che non mi capitava. So che per voi è difficile decifrare tutte queste mie parole, ma dovete fidarvi di me ancora una volta, cercare l’album navigando in internet sul sito myspace della band e farlo vostro, rimarrete a bocca aperta anche voi, ascoltando solo i primi 4 pezzi (e ce ne sono 15 per più di 70 minuti di musica). Atmosfere rarefatte, ultra mega dilatate, si fondono con un gusto per la melodia assai originale, con un’alternanza di ritmiche frenetiche che ci portano repentinamente dall’headbanging più esasperato al frangente successivo, dove latineggianti chitarre acustiche dipingono tenui paesaggi autunnali, con la voce di Didier Garcia che dal primo all’ultimo minuto vomita nel microfono (da rivedere alla lunga l’utilizzo delle vocals). Tocchi di pianoforte ci deliziano nella furiosa “Nonostante la mia apparenza felice mi sento come se stessi morendo”, song che parte con un intro al limite del black old school e poi si alterna tra funambolici cambi di tempo in un susseguirsi vorticoso di suggestioni ipnotiche. Un malinconico violino apre “Suicidio Lunare”, song che se non fosse sempre per la sempre vetriolica voce, potremo trovare in un disco dei Mogway o degli Explosions in the Sky per quei suoi fraseggi raffinati, il pianoforte costantemente presente e le sue grigie deprimenti ambientazioni. Il quintetto di Zacatecas è veramente in gamba: più ci inoltriamo nei meandri di “27” e più riusciamo a cogliere questo alternarsi di post rock, hardcore, avantgarde e screamo che ben si amalgamano incredibilmente tra loro in un turbinio emozionale unico, senza precedenti che chiarisce la chiara e solida personalità della band centroamericana. “Phoenix” e “Androgyne…” sono altre due magnifiche songs, ove convergono tutte le mirabili influenze del combo messicano. Interessante anche il concept che si cela dietro a “27” che narra la storia di un viaggio verso le stelle e la riflessione sulla dualità tra il bene rappresentato dalla luce e il male delle tenebre. Insomma filosofia (citazioni di Nietzsche), cultura e religione (i Maya e la tanto declamata fine del mondo nel 2012), contribuiscono ad arricchire ulteriormente i contenuti di questo disco che vorrei citare anche per il suo digipack particolare. Escursioni jazz core, math e folk completano uno degli album più entusiasmanti io abbia ascoltato negli ultimi tempi. “27” (2+7=9 , il numero di Dio) sebbene mostri ancora qualche lacuna a livello di produzione o contenga qualche parte (specialmente sul finire del cd) ancora un po’ grezza, si conferma disco eccezionale e di grande intelligenza. Strepitosi! (Francesco Scarci)

(Self)
voto: 85