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mercoledì 20 aprile 2016

Chrch – Unanswered Hymns

#PER CHI AMA: Doom, Solitude Aeturnus, Earth, Cathedral
Non esistono compact disc dei Chrch ma solo audiocassette o vinili, ed io sono il fiero possessore di uno di quest'ultimi. Tre tracce, quarantacinque minuti. Il combo californiano, con questo debut album, evoca un doom ipnotico, estenuante, con tratti psichedelici e poderosi fendenti sonori. “Dawning” si apre con movimento paradossalmente veloce, ove le chitarre granitiche dettano il ritmo, il basso è enorme, distorto e riempie ogni poro dell'anima. La voce pulita di Eva si alterna con lo screaming arcigno di Chris in un orrorifico dialogo. Verso metà brano si entra in un banco di nebbia sostenuto da arpeggi puliti dai contorni liquidi, dove la voce femminea accompagna l'ascolto tra il monolitico pronunciarsi della linea ritmica e un'eterea chitarra solista. Durante quest'onirico viaggio, la nebbia si dirada progressivamente fino a far tornare le distorsioni sovrane e aumentando il ritmo esponenzialmente fino a ritrovarsi nel movimento iniziale, che colpisce con ancor più forza e malvagità. Segna l'inizio del lato B “Stargazer”, song che si rivela la parentesi melancolica del disco e culla l'ascolto nell'agonia della saturazione sonora. Le chitarre sono melodiche e l'atmosfera sognante non si perde nemmeno quando nella seconda metà del brano, il tutto s'incupisce con sporadici scream e chitarre maggiormente aggressive. La conclusiva “Offering” rallenta ulteriormente il ritmo trascinandoci in un buio e interminabile oblio. Le pennate si fanno ancor più lente, il sustain e i feedback invitano la materia grigia a dissolversi, le urla angoscianti avvertono dell'impossibilità della salvezza, le basse frequenze non lasciano quartiere. 'Unanswered Hymns' è un disco a dir poco mastodontico a livello di suoni, volumi e songwriting. Riesce a catturare, emozionare, distruggere e tumulare tutto ciò che si è provato. L'ascolto è altamente consigliato sia ai proseliti della scena stoner-doom americana che a coloro che sono più affezionati alle funeree atmosfere continentali. (Kent)

(Battleground Records - 2015)
Voto: 80

domenica 22 novembre 2015

Wovoka - Saros

#PER CHI AMA: Sludge/Post Metal, Cult of Luna, Neurosis
È un vero peccato constatare che molto spesso in Italia non viene dato risalto a certe band dell'underground che meriterebbero invece tutta la vostra attenzione. Ecco, i los angeliani Wovoka sono una di quelle band da tenere sott'occhio, per cui un ascolto è il minimo pegno da pagare per non lasciarvi sfuggire una band dalle potenzialità assai interessanti. Certo non saremo al cospetto di una proposta cosi innovativa, però considerato che i nostri vengono da Los Angeles, città che non è certo la culla del post metal, converrete con me che i Wovoka alla fine ne escono parecchio fortificati nella loro immagine. 'Saros' è un disco infatti di post-qualcosa, se non era ancora abbastanza chiaro, che se fosse stato concepito qualche centinaio di miglia più a nord di L.A., si sarebbe gridato al miracolo per la nascita di un'altra band geniale partorita nella baia di San Francisco. E invece i nostri quattro cavalieri dell'apocalisse se ne fottono di tutto e tutti, rilasciano queste sette tracce che partendo da "Chosen" fino alla conclusiva "Eclipse", sapranno tenere alta la tensione di chi ascolta. L'opening track impressiona per la robustezza del suo riffing nonchè per il catarroso screaming dei suoi vocalist. Poi l'incedere lento e profondo fa il resto, con le chitarre che disegnano una linea melodica convincente, su cui si stagliano i vocioni del duo formato da Eric e Cody, mentre le (loro stesse) chitarre giocano a creare atmosfere plumbee e catastrofiche, degne dei migliori Neurosis. Fighi, devo ammetterlo. Ma anche parecchio malinconici e forse proprio in questo risiede la godibilità e accessibilità a 'Saros'. "Lament" ne è la dimostrazione: una triste linea melodica in sottofondo con chorus annesso e poi ecco smarcarsi un approccio sonoro che affonda le proprie radici nel post rock e nel modo di interpretare il genere da parte dei Cult of Luna. Nel break centrale i nostri divengono ancor più goduriosi, sfoderado accanto a riffoni tipicamente sludge, tenebrose aperture atmosferiche. Un urlo disumano mette a soqquadro l'inizio di "The Sight", song che vorrei ricordare più che altro per le sue minacciose atmosfere nella parte centrale e per un lungo epilogo ambient/noise. "Trials" apre con un ipnotico giro di chitarre e sopra di nuovo l'urlo disperato di uno dei due frontman. Il sound, estremamente ritmato, diventa man mano più claustrofobico inabissandosi in uno sludge contorto e catartico, che vive di forti rallentamenti alternati a delle crushing chitarre davvero schiacciasassi. "Sleep Eater" mette in mostra un mastodontico riffone iniziale, a cavallo tra stoner e post metal, poi un riffing quasi marziale, cede la scena alle abrasive voci del combo californiano. Interessante dopo il break ambient centrale, la comparsa di vocals pulite in sottofondo che aumentano il mio grado di interesse per un album già di per sé buono. Con "Prayer", i Wovoka si spingono oltre, in territori più sperimentali, con uno strumentale ambient minimal noise, che ci conduce alla conclusiva "Eclipse". Siamo cosi arrivati all'ultima traccia di questo 'Saros', una song che sfiora i 14 minuti di durata, e con una manciata di minuti iniziali affidati a quella che è una chitarra ma somiglia di più al ronzare del battito d'ali di una fastidiosa zanzara. La band poi torna a sprofondare nell'abisso di uno sludge parecchio melmoso, quasi al confine con il funeral, segno tangibile che i nostri si trovano a proprio agio anche a sguazzare nel fango più putrido. La song trova poi una propria strada e prosegue sui binari del post/sludge di matrice svedese, con un sound di impatto, ma sempre emozionale, prima di un catacombale e nefasto epilogo di totale assenza di luce. Los Angeles 2015: il sole si è oscurato per colpa dei Wovoka. (Francesco Scarci)

(Battleground Records - 2015)
Voto: 80

mercoledì 15 ottobre 2014

Godhunter - City of Dust

#FOR FANS OF: Doom/Sludge
This work is highly political, reminiscent of the American protest folk music of the 1960s, such as Bob Dylan and Country Joe and the Fish. The subject matter of "City of Dust" focuses not on general social issues, but rather sharply on issues in the state of Arizona (primarily Tucson), which leads to the conclusion that this is where these guys are from--otherwise, why would they care, unless of course these issues they write about are things which have affected them profoundly and directly? My major complaint with most records in this genre is that they usually omit lyric sheets, leaving it up for the listener to try to and decode the message. I was most impressed in that not only did Godhunter include lyric sheets, but they've provided footnotes as well, that clearly point to the circumstances of inspiration for each piece, and what it's about. Collectively, the footnotes alone add up to a half a page just by themselves. This is a very politically and ecologically aware piece, which to my experience, is not very common subject matter for metal. As I alluded to in my opening, this kind of informed protest has traditionally been the realm of folk music. The included footnotes include several books the listener is recommend to read, to help develop a better understanding of the issues the songs on this release address. Here are the recommendations: "War is a Force That Gives Us Meaning" - CHRIS HEDGES; "Rats in the Walls" - HP LOVECRAFT (short story--also the title of the second song here); "Cadillac Desert" - MARC REISNER; "Hope Dies Last" - STUDS TERKEL; "Blood Orchid" - CHARLES BOWDEN; and "La Calle" - LYDIA R. OTERO. I can see why metal would provide a more emphatic form of protest than acoustic folk. Subtlety this days tends to get lost in the noise of all the TV soundbites and the 24/7/365 news cycle that we’re all immersed in today, that didn't exist in the 1960s. Information traveled a lot slower then, so people responded pretty well to, and actually understood wry sarcasm in music. Less so these days: besides, metal has always been the best musical medium for expressing frustration and anger at things, and this guys have got that going in spades. No posing here: No Venom-like pseudo-glam fake Satanism is used here for the sake of getting publicity. These guys are REAL: they are sincere and committed to their message, and deathly serious about what they have to say. Now enough on the inspiration and on to the music itself (and there's a lot more to be found in the references on the lyric sheets. Make sure that you have them in hand when listening to this). Godhunter gives us a doomy sludge sound worthy of 'Black Sabbath's Volume 4' with a bit of 'Down II' tossed in, a sprinkling of Sleep, and a vocal style which is a cross between that of the lead vocalist of Texas Hippie Coalition and Phil Anselmo. There are 8 tracks on "City of Dust" (subtitled "A Conversation Between Hope and Despair"): (1) "Despite All"; (2) "Rats in the Walls"; (3) "Brushfires"; (4) "Snake Oil Dealers"; (5) "Shooting Down the Sun"; (6) "Palace of Thorn" (yes, that's not a typo - it says "Thorn"--singular--sans "s"--on the lyric sheet); (7) "City of Dust" (the title track), and closing with (8) "Plague Widow". This is real shit these guys are writing about: no dragons, no knights, no cosmic catastrophes, but real-life, close to home issues that this band really cares about. And these are things that they want their listeners to care about, as well. A couple of the songs include spoken introductions. The album opens (in "Despite All") with an excerpt from a speech given by Chris Hedges under foreboding synth swells (see the reference to his book in the recommended reading list cited earlier in this review): "We live now in a nation where doctors destroy health; lawyers destroy justice; universities destroy knowledge; government destroys freedom; press destroys information; religion destroys morals, and our banks destroy the economy." Track 3, "Brushfires" starts with a speech on civil disobedience Howard Zinn gave in 1971 against the Vietnam War: "Learn to disobey. So you police and you FBI, if you want to arrest people who are violating the law, then you shouldn't be here--you should be in Washington! You should go there immediately: and arrest the President and his advisors, on the charge of disturbing the peace of the world." Of note, the pace changes with the fifth track, "Shooting Down the Sun", which is a dark, deeply emotive and soulful acoustic piece with great raw, melodic vocals. It’s very similar in feeling to Black Sabbath's "Planet Caravan" or "Changes", yet imagine Joe Cocker as a metal vocalist in place of Ozzy Osbourne. In short, if you like a mix of doom and groove metal, these guys will pull you right in, and not let you go. But after you’ve given it a few spins just absorbing the feel and the vibe, sit down with the lyric sheet, and explore the deeper meaning of the songs on "City of Dust.” You'll be glad you did. This is true "Metal with Meaning"--and that's not necessarily a bad thing, at least once in a while. (Bob Szekely)

(The Compound/Battleground Records - 2014)
Score: 90

domenica 31 agosto 2014

Lethal Dosage - Consume

FOR FANS OF: Metalcore/Groove, Caliban, Pantera
The debut offering from Arizona’s Groove-influenced Metalcore band carries on a fine tradition of really bringing the intensity and violence that comes from the modern metal scene. Loaded with tight Groove Metal riffs that really bounce along with pit-ready rhythms and tight patterns filled with the kind of energy that’s made for bashing into your neighbor in the middle of a furious slam-dance battle, this really settles off the influences of these bands quite readily and easily with this really making for a rather intense affair. Pounding along with a tight drumming display that really gets the groove mastered while displaying a rather dexterous affair of double-bass blasts that really adds a lot of intensity to the music, it really furthers the aggressive vibe of the material here. Armed with a steady stream of Metalcore that brings in some minor technicality to the fray without really settling into any kind of showcase wankery at all and tending to use it more to display tight rhythm shifts or pattern variations more than anything else, there’s enough variety here to off-set the angry vibe this carries. Still, the structure of the album does this some harm with it being set so all the best tracks are in the first half with the second half being filled with overlong epics drenched in atmospherics and sprawling tempos against the tighter, more vicious offerings on the first half that really settles in quite well from the onset by being that tight, intense band here. ‘Drink’ sets things off immediately with its blasting drumming, steady grooves and vicious Metalcore rhythms that keep the material charging forth throughout, giving this a rather impressive offering. ‘Black Eye’ follows suit with more breakdowns present but continuous laying down aggressive grooves and more mid-tempo leanings, while ‘Katheter’ displays more of the riffing and variations that made ‘Drink’ so enjoyable. ‘Poor-Man’ continues with the more aggressive and intense approach with some tight grooves and a dynamic second half loaded with more Metalcore rhythms, making this another strong highlight offering. The instrumental ‘Melody’ delivers exactly what is promised, a melodic turn at this style still loaded with grooves and a rather up-tempo vibe that’s quite appealing for a mid-album breather track. The album’s best track, ‘Gods Shall Perish’ weaves the most infectious groove riff on the album into a fiery, up-tempo number with dynamic drumming, tight patterns and boundless energy, really scoring well with this one overall. The overlong ‘Matter of Honor’ is a huge misstep track as there’s very few ways to make an epic-paced song like this without being dragging and boring, which this unfortunately is. ‘Time to Think’ gets things back on track somewhat with more energy and a better sense of pacing with more furious riff-work, but just seems a little underwhelming compared to the tighter, more vicious offerings elsewhere on here. The title track is even better at trying to meld the tight grooves into a longer epic with a little more energy and enthusiasm about it and does a nice job overall. Ending on a sour note is the industrial-tinged bloated epic ‘Sleep’ that carries on for almost ten minutes with sprawling grooves, atmospheric noises and various tempo changes that gives a band a lot of room to work those styles into their music but overall just seems to end this on a whimper. Really, the first half to this really saves it from a lackluster and overlong second half. (Don Anelli)

(Battleground Records - 2014)
Score: 70

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