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domenica 20 ottobre 2024

Rot Coven – Nightmares Devour the Waking World: Phase I + Phase II

#PER CHI AMA: Black/Drone/Ambient
L'universo musicale di questa band proveniente dalla Pennsylvania, è fatto di sensazioni cosmiche, costantemente avvolte da un alone sinistro, che disegnano un immenso spazio sonoro, decisamente oscuro e minaccioso, ampio e misterioso. La base di partenza è il noise e l'ambient dronico, sfregiati da lunghe e laceranti digressioni doom, death e black metal, in un infinito viaggio psicologico verso i meandri più oscuri della percezione umana. 'Nightmares Devour the Waking World: Phase I + Phase II' è un disco non di facile approccio e volutamente ostile al pubblico, che si rivela come un alternarsi di umori gelidi che generano suoni contorti, vortici capaci di introdurre chi ascolta, verso universi paralleli assai intriganti. L'amalgama sonora è in perfetta sincronia con un'ispirata vena compositiva, che in questo genere deve far da padrona o si rischia la caduta nell'inascoltabile o nel già sentito, e devo dire che in questa versione estesa dell'album (ricordo che la prima parte, Phase I, era uscita l'anno scorso), l'opera si compie a dovere, e per l'ascoltatore già iniziato a questo genere, la scoperta di questo disco (edito dall'Aesthetic Death), risulterà un'ottima sorpresa. Brani dagli intro apocalittici, colonne sonore noir che rasentano uno stile cinematografico in continua evoluzione, dove l'unico colore che emerge è il nero, ecco come si palesa il disco. La voce è inghiottita dal rumore, il distorto veglia su tutto e fa da padrone nel mood dell'intero lunghissimo lavoro (oltre 80 minuti), proiettando il suono verso lidi estremi di post metal di difficile collocazione ma con retaggi, per certi aspetti classici, che vengono ampliati, appunto, dall'uso di suoni strettamente lisergici e psichedelici, qui riadattati all'umore cupissimo della band. In tal contesto, non si può dimenticare il vistoso lato industrial dei Rot Coven, che è molto radicato nel DNA della band, cosa che, unita al maniacale piacere verso suoni distorti e riverberati, costituisce l'essenza del sound di quest'album. Paesaggi siderali costruiti per mettere a dura prova la resistenza psichica e una forte sensazione di disagio psicologico, sono le armi che vengono utilizzate nei solchi di questi brani apocalittici, accompagnati da un senso di caduta costante e tangibile. Non è di facile approccio, come detto in precedenza, ma questo disco, ascoltato nella totalità dei due album, è veramente un'esperienza da provare, ed è inutile smembrarlo per trovarne pregi o difetti tecnico-stilistici, poiché l'ideale è assimilarlo nella sua interezza, lasciandosi trasportare dalla sua fredda corrente. Buon viaggio nella parte più nascosta e oscura della vostra mente. (Bob Stoner)

sabato 12 ottobre 2024

Forelunar - Hwaa (​화​)

#PER CHI AMA: Post Black
Da queste parti, seguiamo da sempre con un certo interesse, le gesta di Forelunar (all'anagrafe Harpag Karnik), artista iraniano che oltre alla presente band, offre la sua arte musicale anche sotto molteplici altri moniker, tra i quali mi preme menzionare Broken Pillars, Désespéré, Erancnoir, Etheraldine, Forestionist e Menakeret, giusto per ricordarvi i più interessanti. Un altro EP comunque, e ahimè sempre e solo in formato digitale, per Mr Karnik, un'altra piccola gemma di post black sofferente, che risponde al titolo di 'Hwaa (​화​)'. Due soli i pezzi a disposizione per mostrarvi la qualità del factotum di Teheran: "Hwaa (火)" ossia fiamme, come quelle che divampano con la medesima velocità di un incendio che si ciba di ossigeno, e che con velocità sostenute combinate ad atmosfere astrali, screaming vocals e splendide melodie, saprà conquistarvi sin dal primo ascolto, cosi come è riuscito con il sottoscritto. Disperazione, dolore estatico, sonorità eteree che ammiccano al blackgaze, vocalizzi cerimoniali, ottimi synth e tanto altro ancora, a confermare le qualità di un musicista non ancora trentenne, ma in grado di emozionare quanto un altro genio incompreso, come l'azero Emin Guliyev dei Violet Cold. E la seconda "Hwaa (花)" (fioriture) è in grado di toccarvi l'anima forse ancor di più del precedente brano. Qui vi imbatterete in sonorità e atmosfere che evocano la tradizione giapponese (come si evince anche dalla cover del disco) e che in questo pezzo, posso immaginare faccia riferimento alla fioritura dei ciliegi dopo il gelo dell'inverno; da quì ripartire con un'epica cavalcata che ci porterà a esplorare nuovi luoghi che forse Harpag stesso vorrebbe realmente visitare. Un graditissimo ritorno da celebrare assolutamente con l'ascolto di 'Hwaa (​화​)'. (Francesco Scarci)

(Ardawahisht Kollective - 2024)
Voto: 78

https://forelunar.bandcamp.com/album/hwaa

Light of the Morning Star - Wings in the Night Sky

#PER CHI AMA: Dark/Gothic
Partiti nel 2016 dalla Iron Bonehead Productions e approdati nel 2021 alla Debemur Morti Productions, con l'album 'Charnel Noir', fanno ritorno sulle scene gli inglesi Light of the Morning Star con un 12" di quattro brani nuovo di zecca intitolato 'Wings in the Night Sky'. Le danze si aprono con il classico sound dark/goth che aveva contraddistinto la band sin dagli esordi. "Night Falls" irrompe con un buon refrain di chitarra e dei rallentamenti che fanno posto ad atmosfere (e liriche) vampiresche, con la voce necromantica del frontman a suggellare la prova. Niente che non abbiamo già sentito, sia chiaro, soprattutto se pensiamo che da UK arrivano proprio i paladini del genere, i Fields of the Nephilim, però, per chi dovesse sentire la mancanza di Carl McCoy e soci, potrebbe rivolgere il proprio sguardo, ma soprattutto il proprio orecchio al duo londinese, capitanato da O-A e JSM. E anche la ancor più apocalittica "Burial Chamber Cold", non fa che confermare questa mia sensazione. Ben più dinamica invece la terza "Phantomlights", almeno fino a quando il vocalist inizia a sussurrare e lasciare che la sola batteria ne accompagni gli spettrali vocalizzi. La traccia comunque inizia a ingranare con le sue melodie e un incedere che sembra evocare le cose più veloci dei My Dying Bride. Breve ma ficcante. In chiusura, "Aura" è la traccia più lunga del lotto, e fedele anche al suo titolo, sembra voler incarnare un'aura più sinistra, grazie a un'apertura ancor più sofferente, drammatica, e dotata di una teatralità eloquente che catalizza su di sé tutta l'attenzione di chi ascolta, lasciando ai minimalistici suoni e tocchi di synth in sottofondo, solo le briciole. Ma anche qui il brano va crescendo in una musicalità obliqua e sospensiva, atta a creare una certa inquietudine e apprensione di fondo. Insomma, un buon pezzo per un lavoro che non fa altro che accrescere il desiderio di ascoltare il duo britannico su lunghezze ben più rilevanti. (Francesco Scarci)

(Debemur Morti Productions - 2024)
Voto: 70
 

Kaprogöat - The Sweet Sound Of Apocalypse

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Metal
Quello di quest'oggi rappresenta l’esordio su 7" di un altro progetto musicale proveniente dalla sempre attiva scena veneta. Si tratta di due brani di grezzo black metal sostenuti da una batteria dalla cadenza industriale e frequentemente intramezzati da oscure parti ambientali, noise, bizzarre melodie (che potrebbero benissimo accompagnare delle scene di un film horror) e parti simil Abruptum. La voce, sempre effettata e malata, è quella di 4 (qui con il nome di Hunger) del progetto Nocratai. 'The Sweet Sound of Apocalypse' alla fine è un lavoro consigliatissimo agli amanti della più bizzarra musica oscura. Si è sempre atteso un album, ma a parte tre split cd, se ne sono perse completamente le tracce.

venerdì 11 ottobre 2024

Doortri - Eeeeels

#PER CHI AMA: Noise Rock Sperimentale
Un album complicato, un album difficile, figlio di una visione ampia e trasversale, disomogeneo, un disco differente. Il secondo disco dei Doortri, cambia le coordinate musicali che li avevano contraddistinti nell'album di debutto (opera sonora di denuncia contro l'inquinamento dei PFAS nella regione Veneto), optando qui per una veste più sperimentale, senza regole, un suono sfuggente a tutte le categorie, fatto di rumori, urla, jazz sperimentale, noise, sussulti punk e hip hop atipico. 'Eeeeels' è una specie di concept diviso in varie tappe, che contengono brani molto diversi tra loro, i quali portano ancora i segni del disco precedente, con tracce della no wave nel segno di James Chance and the Contortions, ma di cui perdono l'urgenza sonora per approdare a un sound ricercato nei meandri del mondo noise più ortodosso, sacrificando parte del sax e di quella batteria così sanguigna, in favore di voci, cantati distorti e non, e tanti rumori sparsi qua e là, come tanti fiori in un prato. Il suono è in generale astratto, in cui vive un'aggressività sofisticata, e spesso, gli esperimenti diventano cerebrali, a volte schegge impazzite, al limite della follia. La batteria spesso suona effettata, come in certi esperimenti solisti di Big Paul Ferguson, in taluni casi si sentono eterei profumi kraut rock, ipnotici richiami tribali ("Filasteen Hurra", con ospite alla voce Ghufran Alkhalili), persino echi etnici e di certo crudo e pesante acid jazz anni '90 ("Jelly Belly"). "Untilted (Untitled)" suona folle e rumorosa (anche senza chitarre distorte), tanto che non sfigurerebbe a un'edizione dell' Obscene Festival; "Monkey Christ" sembra un retaggio dei punk inglesi Crass, con jingle stile carica delle giacche azzurre nei film di Rin Tin Tin, mentre la lunghissima "Sleeeee", funge da portabandiera del cambiamento sonoro attuale della band, dove l'effetto Zorn è calpestato da una batteria pressante e da una sequenza di rumori, synth, interferenze e distorsioni, che impediscono al sax di emergere, riportando alla memoria le oblique teorie musicali dei God nel brano "Love". I Doortri sono una band formata dal percussionista Gianpaolo Mattiello, fiati e programming di Tiziano Pellizzari, e dai rumori vari ottenuti anche dalle frequenze di una vecchia radio portatile usata praticamente come synth non convenzionale da Geoffrey Copplestone, che si occupa anche alle parti vocali, utilizzate sempre ad effetto, ma in quantità contenuta. Inoltre, in questo album la band ha voluto fortemente ampliare la rosa sonora introducendo i già citati synth e parti campionate pre-registrate, rumori d'ambiente, voci e quanto altro gli girava per la testa, utilizzando tanti arnesi che provocano rumori e fruscii. Mixati dalla leggenda Elliot Sharp, che ha suonato anche la chitarra sul brano finale "Sleeeee", l'album è uscito sotto le ali della Zoar Records, l'etichetta newyorkese, appunto di Mr. Sharp. Un disco che ha molte facce e si diversifica continuamente, dove molti brani oscillano tra poco più di uno-due minuti fino a un massimo di ventidue (!), sottolineando così la sua veste surreale. A volte si ha l'impressione di essere di fronte a un disco di elettronica stile Autechre, ma subito si viene smentiti, mentre a un ascolto approfondito, ci si accorge che tutto è suonato veramente da musicisti sperimentatori che rumoreggiano con arnesi di fortuna, coperchi di latta, campanelli e molto altro, uniti a strumenti musicali acustici ed "Eeeeels" è la prova concreta, e forse il brano che più di tutti, richiama nel suo sound, quel pizzico di mondo alternativo proveniente dalla Grande Mela, intrinseco da sempre nella musica del trio vicentino. La conclusiva "Greyhound Bus", è un jingle dal ritmo country folk per un carosello dal finale ambient, suonato in piena regola. Questo disco è un gran bel traguardo, qualcosa che guarda oltre, qualcosa di processato, pensato e distillato in studio nota dopo nota, rumore dopo rumore, ritmo dopo ritmo. Jazz non jazz, sense non sense music, rumoristica, no wave, uno Zorn scarnificato fino all'osso, pillole di musica alternativa per intellettuali amanti dei suoni inusuali e multi direzionali. Ecco, il nuovo mondo dei Doortri è servito. (Bob Stoner)

lunedì 7 ottobre 2024

Aorlhac - La Cité des Vents Reissue

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Epic Black
A completamento della 'trilogia dei venti' degli Aorlhac manca a rapporto ancora 'La Cité des Vents', disco che rappresentò il vero esordio sulla lunga distanza per il terzetto francese e che ricordo, far parte della raffinata riedizione (guardate i super curati booklet per coglierne l'eleganza) da parte della Les Acteurs de l'Ombre Productions. Si comincia con la consueta intro strumentale, e un menestrello che mette a servizio della corte la propria chitarra acustica. "Le Bûcher des Cathares" divampa con le sue epiche chitarre a narrare leggende e vicende medievali dell'Occitania, mentre il buon Spellbound alla voce, gracchia come un corvo appollaiato sulla torre di un castello. La proposta, per quanto furibonda sia a tratti, mostra più ampie partiture atmosferiche rispetto al passato. Interessante ma breve, l'intermezzo acustico a metà brano, cosi come il mid-tempo melodico che ne contraddistingue il finale. "Plérion" sembra spiritata, complici le velocità sostenute a cui ci sottopone la band, al pari dell'isterica voce del frontman. Piacevoli comunque le melodie che chiamano in causa i Windir, anche se la band norvegese era di gran lunga migliore dei colleghi francesi. Il disco prosegue su binari similari anche con le successive canzoni, faticando forse a garantire una certa originalità tra un brano e l'altro. Ecco quindi focalizzarmi su "Le Miroir des Péchés", "Sant Flor, la Cité des Vents" e "Les Enfants des Limbes", tutti pezzi che, oltre a mantenere una durata più o meno simile (attorno ai sei minuti), mostrano un'intelaiatura ritmico-strutturale piuttosto omogenea, con grandi cavalcate di chitarra, intermezzi acustici, ripartenze melodiche che evocano la musica classica, e una vocalità che rischia però di divenire il punto di debolezza della band con quel fare troppo gracchiante del suo diabolico frontman. Nemmeno l'uso randomico di un violino coniugato a echi folkish, contribuiscono a 'La Cité des Vents' di fare il proverbiale salto di qualità, rimanendo ancora troppi paradigmi radicati nel passato del black, che fatico a digerire. Sicuramente, l'epicità che ritroviamo in un brano come "Vers les Honneurs" stimola non poco la mia fantasia, ma persistono ancora sbavature e storture che mi fanno storcere la bocca, a partire dai riferimenti vampireschi, a la Cradle of Filth, di "La Comptine du Drac" o alla conclusiva cover dei Taake, "Over Bjoergvin Graater Himmerik IV", che chiude un disco sicuramente meglio strutturato del precedente EP, ma che necessita di un'opera di sgrezzatura ben più importante. Alla fine, la riedizione di 'La Cité des Vents' si conferma un bell'oggetto per inguaribili collezionisti. (Francesco Scarci)

(Those Opposed Records/LADLO Productions - 2010/2024)
Voto: 66

https://ladlo.bandcamp.com/album/la-cit-des-vents-reissue

Aorlhac - A la Crois​é​e des Vents Reissue

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Epic
Mi scuserete se il mio recensire il trittico dei francesi Aorlhac, non abbia rispettato un ordine ben preciso. Ho iniziato dall'ultimo lavoro, 'L'Esprit des Vents', per poi passare al primo EP, 'À la Croisée des Vents', di dieci anni più vecchio, che segnava l'inizio di questo epico viaggio. Un EP di sei pezzi che espone l'allora terzetto di Aurillac a un mondo meno underground rispetto a quello in cui vide la luce il loro demo 'La Chronique des Vents'. Il genere proposto però non sposta di una virgola quando abbiamo detto almeno degli ultimi due cd dei nostri. La proposta della band è infatti affidata a un black dalle vaghe tinte epiche, che non vede momenti di calma, fatto salvo per la breve e atmosferica intro d'apertura. Da lì in poi esploderanno infatti le classiche cavalcate ritmiche che contraddistinguono la band francese, tra zanzarose chitarre di scuola norvegese, grim vocals e melodie che attenuano la furia maligna dei nostri. E cosi, è facile passare dalla sprezzante "La Guillotine est Fort Expéditive", con le sue semplici linee di chitarra e col caustico latrato di Spellbound, a "La Mort Prédite", in cui la melodia di fondo sembra fondamentalmente essere una propaggine del brano precedente, con le sue stilettate malefiche e qui addirittura, un break acustico centrale, a spezzare il ritmo infernale imposto dal terzetto. Con "Le Charroi de Nîmes" sembra di aver a che fare con una band hard rock, almeno nei suoi primi 30 secondi, poi la band si ricompone e riparte da un sound più mid-tempo che però stenta a decollare, se non in un finale decisamente più folkish. Una song parecchio confusa che non lascia troppi punti di riferimento e che rappresenta una sorta di pecora nera nell'economia del disco. Parecchio più oscura invece la successiva "1693-1694: Famine et Anthropophagie", un pezzo che lascia intravedere le potenzialità di una band, qui ancora parecchio acerba. "Aorlhac" segna con il suo black melodico, la conclusione di quello che fu il vecchio EP della band, che al tempo uscì per la Eisiger Mond Productions: il nuovo lavoro, nella sua rinnovata veste grafica, include altri tre brani: "Mémoires d'Alleuze", che era invece incluso nella riedizione dell'EP del 2016 a cura della Those Opposed Records: in termini musicali questo non vede però grandi novità nel genere proposto, se non un tentativo, mal riuscito, di mettere delle clean vocals nei cori del brano. Poi siamo di fronte alla solita proposta che non aggiunge nulla di nuovo o entusiasmante agli Aorlhac: c'è il tentativo di donare più atmosfera in un break temporalesco, ma nulla di davvero memorabile, se non quel finale acustico, quasi in grado di mettere i brividi. "L'Oeil du Choucas" è un breve intermezzo acustico dalle tinte folk, mentre la conclusiva "Les Charognars et la Catin", prova a offrire qualcosa un filo più originale (quasi black'n roll) tra le sue laceranti pieghe ritmiche; nulla di epico, ma apprezzabile comunque il tentativo, soprattutto nello spettacolare assolo conclusivo che riesce finalmente a esaltare la riuscita del brano. Alla fine questa riedizione, a parte la rinnovata veste grafica, non offre grandi sconvolgimenti nella release degli Aorlhac, quindi l'invito ad avvicinarsi a questa release, è rivolto a coloro che non conoscono le gesta della band francese e vogliono raccogliere, in un sol boccone, l'epica trilogia degli Aorlhac. (Francesco Scarci)

(Eisiger Mond Productions/Those Opposed Records/LADLO Productions - 2008/2016/2024)
Voto: 62

https://ladlo.bandcamp.com/album/a-la-crois-e-des-vents-reissue

Aorlhac - L’Esprit des Vents Reissue

#PER CHI AMA: Epic Black
La Les Acteur de l'Ombre Production ripropone la trilogia degli Aorlhac, volta a narrare le storie e le leggende medievali dell'Occitania, in una nuova veste grafica (un elegantissimo digipack A5 con una cover rinnovata, che si incastra alla perfezione con quella degli altri due lavori riproposti - un po' come fecero i Carcass nelle loro riedition), un minimo cambio nell'ordine dei pezzi e pochissimo altro. Noi (anzi il sottoscritto), 'L'Esprit des Vents' l'ha già recensito sei anni fa, e non posso far altro che parafrasare le mie stesse parole del 2018, magari con un orecchio leggermente più allenato alle sonorità dell'act transalpino. Per chi non lo conoscesse, l'album si sviluppa attraverso dieci brani, partendo dall'energica "Aldérica" e terminando con la strumentale "L'Esprit des Vents", presentando un viaggio musicale che sposa un black/thrash in modo epico e combattivo. I momenti di quiete sono davvero pochi tant'è che il disco è caratterizzato da un ritmo frenetico e audace, rispecchiando fieramente le sue radici ancestrali. Durante l'ascolto emergono molteplici influenze, con chiari richiami al metal classico in alcuni assoli (spettacolare quello di "La Révolte des Tuchins"), combinati con influssi provenienti dal Nord Europa. Sebbene il risultato finale non sia estremamente originale, il black metal degli Aorlhac risulta onesto e ben strutturato con melodie accattivanti, come il ritornello folkish di "Infâme Saurimonde", e un'ottima preparazione tecnica, che pone un particolare accento sulla prova del batterista. Le linee di chitarra vichinghe in "Ode à la Croix Cléchée" evocano i primi Einherjer e Windir, andando a sostenere il cantato abrasivo ma piuttosto originale, di Spellbound. "Mandrin, l'Enfant Perdu" si muove tra sonorità black/thrash, in grado di richiamare anche i cechi Master's Hammer e i norvegesi Taake, fino ad arrivare a un evidente rimando agli Iron Maiden verso la conclusione. Tra i miei brani preferiti spicca sicuramente "La Procession des Trépassés", ricca di intense ritmiche e potenti melodie malinconiche. Un ultimo cenno poi lo merita "L'Ora es Venguda," che trasuda sonorità simili ai Primordial. In sintesi, 'L’Esprit des Vents' è un album che saprà entusiasmare gli amanti del black pagano, anche se personalmente, dopo sei anni, non lo definirei un masterpiece. Certo, ora il cd tra le mie mani, sembra un oggetto per collezionisti. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2018/2024)
Voto: 70

https://ladlo.bandcamp.com/album/lesprit-des-vents-reissue

giovedì 3 ottobre 2024

O.N.O.B. - Viva! Underground (retrospettiva sotterranea)

#PER CHI AMA: Alternative Rock
È successo di nuovo. Lo stravagante collettivo veronese dell'associazione culturale Teuta Gwened, è tornato sotto nuove spoglie. Un po' alla stregua dei Thee Maldoror Kollective, che a ogni album modificavano il proprio moniker, anche i nostri, che includono peraltro il buon Bob Stoner, si presentano sulla scena con differenti sembianze: Cardiac, Agatha, De La Croix, giusto per fare alcuni nomi delle varie incarnazioni, e oggi sotto questo intrigante acronimo, O​.​N​.​O​.​B. (Onirica Notturna Ostentazione di Bellezza), pronti a sfornare un nuovo lavoro, 'Viva! Underground'. Il disco consta di otto tracce che nascono ai tempi dello scioglimento dei Cardiac, e da lì ripartono sfoggiando suoni sperimentali, che si palesano sin dall'iniziale "Torture", song dotata di un riffing impastato su cui poggia un parlato quasi indecifrabile. Tutto assai normale direi, almeno fino a quando il ritmo viene alterato dal diafano poetico cantato di Betty che mi ipnotizza con le sue parole "...il tempo fa tic tac..." che si imprime nella mia testa e da lì non è più voluto uscire. La ritmica non è certo delle più raffinate, buono il lavoro di basso in sottofondo, ma ecco nulla di memorabile, perchè tutta la mia attenzione si focalizza sulla seducente ma al contempo sgangherata, voce della frontwoman, una sorta di italica Julie Christmas, forse meno rabbiosa della vocalist americana, ma sicuramente dotata di una buona dose di personalità. Con "La Madre, l'Inaspettato e l'Apocalisse, il sound dei nostri sterza verso sonorità più garage rock punk, coadiuvate peraltro da una porzione vocale decisamente più accessibile, un peccato, visto che ho adorato la prova della cantante nell'opening track. Il brano è dotato di una buona carica di groove, la voce di Betty è si qui calda ma le mie aspettative forse si erano troppo elevate. Con "Contessa" ci imbattiamo nella prima cover del disco, che ci riporta al 1980, quando quei Decibel, guidati da Enrico Ruggeri, la proposero al Festival di Sanremo. Il pezzo, riletto in chiave più moderna (e molto meno beat nel comparto tastieristico), mostra quella ripetitività marziale tipica della musica italiana di fine anni '70, dando sempre comunque rilievo alla vocalità della brava cantante e a un brano che vede una brusca accelerazione nel finale. Con "Destino" si torna a esplorare territori oscuri di punk sperimentale: buona la ritmica (ma tenete presente che la produzione Lo-Fi ne penalizza notevolmente l'acustica) che esalta costantemente la pulsione del basso, a discapito delle chitarre; eccellente ancora una volta la prova vocale, che sembra tenere a galla le velleità artistico-sperimentali degli O.N.O.B. "Anima Sbagliata" è un mattone di oltre 10 minuti che ci trascina in ambientazioni da film horror, che per certi versi mi hanno evocato alcune cose proprio di quei Thee Maldoror Kollective che avevamo citato inizialmente e del loro ultimo 'Knownothingism', complice la voce irrazionalmente espressiva della frontwoman, che ci accompagna fino a un certo punto, prima di abbandonarci in sonorità lisergico-catartiche davvero ispirate, che sfoceranno addirittura in un assolo dalle tinte psych rock. Il disco ha ancora modo di offrirci altre piccole chicche: dal noise rock di "Agli Occhi degli Uomini" alla più sghemba "Ombre", che chiuderà il disco, passando attraverso la seconda cover del disco, la più normale e rockeggiante "Diversa", a firma The Underground Frogs. Un disco quello degli O.N.O.B., in grado di esaltare la filosofia del DIY e farci potenzialmente ampliare nuovi confini della nostra mente. (Francesco Scarci)

domenica 29 settembre 2024

The Pit Tips

Francesco Scarci

Agrypnie - Erg
Weather Systems - Ocean Without a Shore
Wintersun - Time II

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Alain González Artola

Forelunar- Hwaa
Hour of Penance - Devotion
Paradise in Flames - Blindness

giovedì 26 settembre 2024

Horthodox & Haiku Funeral – Serpentine Sorcery

#PER CHI AMA: Drone/Ambient
Quando due band del calibro dei francesi Haiku Funeral e dei russi Horthodox, uniscono le forze per dare alla luce un nuovo album insieme, il risultato non può che destare sorpresa e curiosità. Fondamentalmente, la musica espressa in questo album collaborativo è molto difficile da incanalare in un filone unico, anche se a grandi linee, potremmo identificarla come dark ambient drone, dalle tinte fosche e oscure. Se poi il concetto di base è dare un ambiente sonoro a testi di antiche canzoni bulgare, trovati in un libro del 1896, sul tema della stregoneria, serpenti, vampiri e ninfee dei boschi, come la Samodiva, tipica creatura fatata dei monti Balcani, il tutto prende un significato più ampio e interessante. In effetti, il disco si presenta a capitoli, con lunghe suite di synth, che oscillano tra gli 8 e i 12 minuti, tra tappeti di noise ambient, sibili e sussurri perennemente distorti, neri come la pece, con una voce narrante che gravita a metà strada tra un Sauron irato e uno stregone demoniaco che espone il proprio sermone diabolico. L'ago della bilancia viene spostato dall'ottima performance del sax di Alexander Timofeev, che in controtendenza all'intero sound di base, convoglia le atmosfere verso lidi più noir jazz, attenuandone la pesantezza e irrobustendo la complessità della proposta, rendendola più fluttuante e piacevole all'ascolto, tenuto conto che le due entità sonore sono note soprattutto per le loro opere ostiche e pietrificanti. A tutti gli effetti, l'ascolto di 'Serpentine Sorcery' potrebbe essere paragonabile a sfogliare un libro, dove il sound oscuro sostituisce il bianco delle pagine e il testo è inciso dal lamento gutturale della voce narrante. La deriva che scaturisce dalla nostra mente da queste letture, vengono poi trasportate dalle divagazioni del sax, che per assurdo, ha reminiscenze così impregnate di jazz sperimentale (ascoltate "The Mother and the Whore Bride"), che riesce in molti tratti, a far distrarre l'ascoltatore, fino a fargli dimenticare la tipologia di musica che sta ascoltando. Il ritmo è assuefatto al rumore: si mette leggermente in luce, tra disturbi distorti e interferenze, nella rumorosa title track con un'evoluzione noise devastante. Altrettanto, in bella ma pacata mostra, il ritmo si palesa anche su "The Hate Venom", mentre in "Vampyric Mantra" è per lo più usato come metronomo dal suono profondo. Alla stregua di un Necronomicon in mano a un ignaro primo lettore, l'ascolto di questo disco potrebbe arrecare parecchi fastidi e tormenti agli ascoltatori poco assidui a questo genere musicale. Al contrario, potrebbe configurarsi come uno scrigno nero incantato, tutto da scoprire. (Bob Stoner)
 
(Aesthetic Death - 2024)
Voto: 70
 

Mind Snare - Hegemony

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Brutal Death
Torino, città che fu teatro del definitivo crollo psichico di Friedrich Nietzsche, è il luogo di provenienza dei Mind Snare, band attiva sin dal 1989 (con il moniker Satan’s Slaughter/ndr) e ben conosciuta nel panorama death underground. 'Hegemony' è stato il loro EP di debutto, un mini cd di sei canzoni (più i live di "Monarch of Prayers" e "The Ancients Awakening" nella versione della Psychic Scream Entertainment/ndr), ben registrato, potente, e di sicuro impatto. Nella bio, i Mind Snare indicano fra i propri gruppi di riferimento Immolation e Morbid Angel; e il riffing di Chris Benso risente, effettivamente, dell'influenza di Trey Azagthoth. Trey, del resto, è stata un'autorità in ambito death metal, difficile dunque non rendergli omaggio. Quel che maggiormente colpisce, dei brani di questo mcd, è la coesione strutturale. Non c'è traccia di pressapochismo nel songwriting, ogni elemento è perfettamente calibrato. Ciò è dovuto alla perizia compositiva degli autori, che hanno saputo confezionare brani dotati di un'identità autonoma, adeguatamente variegati e articolati al proprio interno (vi segnalo, in particolare "To Jesus" e "The Ancients Awakening"). Il risultato finale è un death metal di prima qualità, che tiene desta dall'inizio alla fine l'attenzione dell'ascoltatore, senza mai annoiare.

(Psychic Scream Entertainment - 1999)
Voto: 73

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martedì 24 settembre 2024

Paganizer - Forest of Shub Niggurath

#PER CHI AMA: Swedish Death
Ma qualcuno prima o poi avrà il coraggio di dire che questo modo di suonare ha un po' rotto il cazzo? Sto parlando del tipico sound di Stoccolma di primi anni '90 (scuola Entombed, Dismember, Grave, tanto per capirci) e di cui probabilmente, i Paganizer sono rimasti gli unici veri eredi e interpreti. In attesa di ascoltare il nuovo Lp, atteso per novembre, ecco arrivare un EP a scaldarci in queste fresche serate autunnali, il lovecraftiano 'Forest of Shub Niggurath'. La proposta? Facile da immaginare, visto che il marchio di fabbrica del quartetto svedese guidato da Rogga Johansson, è rimasto più o meno inalterato negli ultimi 26 anni, esprimendo quel classico sound svedese che ripercorre in tutto e per tutto, le gesta degli Entombed di 'Left Hand Path', cosi intriso anche di venature hardcore. E cosi, le sei tracce che si stagliano di fronte a noi, si mostrano come brevi laceranti frustate sulla schiena, contraddistinte da chitarre veloci e super compresse, buone aperture melodiche (ormai un po' scontate, a dire il vero), voci al vetriolo, un'ottima produzione e poco altro, che forse farà felici i soli fan degli scandinavi, evidentemente, grandi collezionisti di release dei nostri (all'attivo oltre 50 uscite!!). La mia song preferita? L'ultra veloce "A Foul Creature". Però fossi in voi, mi andrei a cercare i vecchi classici dei maestri di primi anni '90. (Francesco Scarci)

Cabal - Magno Interitus Rework

#PER CHI AMA: Death/EBM/Industrial
I danesi Cabal hanno fatto uscire nel 2022 'Magno Interitus', un disco all'insegna di un death black, impreziosito da venature djent/hardcore. A distanza di due anni da quel lavoro, la band di Copenaghen torna con un EP, 'Reworks', che include quattro pezzi di quel lavoro, riletti in chiave elettro industriale dai talentuosi artisti elettronici Inhuman, John Cxnnor, Misstiq e il bassista della band, Johu. Ecco, quello che ne viene fuori è qualcosa di notevole, ma solo se siete di mente aperta e apprezzate le contaminazioni in toto in stile dei messicani Hocico e il loro EBM da discoteca. Si perchè quello che si palesa alle nostre orecchie è un sound intriso di musica techno che esplode veemente nei suoi battiti per minuto, quasi ci trovassimo in un rave party dove ballare tutta la notte su ritmi danzerecci. Quello che tiene la proposta ancorata al metal sono forse le vocals, rancide e rabbiose quanto basta. Questo almeno quanto ascoltiamo in "Magno Interitus", visto che già dalla successiva "Plague Bringer", gli ancoraggi alla musica estrema saranno molto più evidenti, sia a livello vocale (imponente il growling del frontman) che musicale, con una ritmica devastante, infettata da qualche effettistica elettronica giusto qua e là, cosi come qualche voce pulita estraniante il contesto. Il risultato però è figo anche laddove i nostri sfondano la barriera del death doom. Ma con "If I Hang, Let me Swing", le cose tornano a pompare pericolosamente in ambito techno hardcore con un quantitativo di bpm davvero sopra le righe, e vocalizzi growl che poggiano appieno sull'impetuoso tappeto ritmico. Ancor più folle la conclusiva "Exit Wound", che ci proietta in mezzo alla pista da ballo, con suoni sintetici in sottofondo, voci aliene, partiture industriali e tanto tanto altro ancora che vi invito ad ascoltare con le vostre orecchie. (Francesco Scarci)
 
(Nuclear Blast - 2024)
Voto: 75
 

lunedì 23 settembre 2024

Cryptic Doom - Lost Souls

#PER CHI AMA: Symph Deathcore
Ultimamente mi sto imbattendo sempre più spesso con band dedite a un deathcore sinfonico. Dopo aver recentemente esplorato le lande canadesi con gli Art of Attrition, eccomi tra le mani un dischetto uscito lo scorso anno, 'Lost Souls' degli svedesi Cryptic Doom. Un EP che deflagra immediatamente con le sonorità bombastiche della sua opening, nonchè title track, che chiarisce immediatamente la direzione stilistica della one man band di Örebro. Che bomba. La tecnica a Xander Adam non manca di certo, nemmeno un buon gusto per le melodie, che si manifesta attraverso ottime orchestrazioni che danno un più ampio respiro a una proposta che, a tratti, rischierebbe di sfociare nel brutal slam. Ma le ottime partiture sinfoniche e l'utilizzo di clean vocals a fare da contraltare a quel brutale growling, riescono a stemperare una furia che sarebbe altresì deleterea per il lavoro. E invece, soprattutto nella seconda "World Decay", il dischetto si apre a una maggior ricerca melodica che si palesa in un'ottima sezione ritmica, infarcita da ottimi giri di chitarra e parti atmosferiche. Certo, quando il factotum scandinavo decide di rallentare i giri del motore, e creare break angoscianti all'insegna di un deathcore nudo e crudo, ecco che cambia tutto e quanto costruito sin qui in termini di accessibilità melodica, sembra andare a farsi benedire. Spaventosa in tal senso la parte iniziale di "Shattered Reality", spinta a velocità folli e vocalizzi mostruosi, ma la ricerca del groove è parte del bagaglio del polistrumentista svedese e la seconda parte del brano, vedrà una maggiore digeribilità del pezzo, complici anche le ottime keys proposte. In chiusura, "Another Dimension" lancia l'ultimo assalto sonoro, tra vorticose linee di chitarra, vocals brutali, una batteria mitragliata e una buona vena catchy, che ci dà un buon motivo per tenere monitorati in futuro questi Cryptic Doom. (Francesco Scarci)

Godkiller - Deliverance

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Industrial/Black
Terza release per questa one man band proveniente da Monaco. Dal ’94, anno in cui uscì il primo EP, 'The Rebirth of the Middle Ages', all'uscita di 'Deliverance', sono cambiate molte cose visto che Duke Satanaël ha completamente perso i connotati black epici di un tempo, dedicandosi a un dark oscuro con all’interno molti inserti elettronici. Questo cambiamento avvenne già con il secondo album, 'The End of the World' del ’98, dove vi erano parti elettroniche, non così marcate come qui. La chitarra ha ancora suoni tipicamente metal (quando c’è) e può ricordare i Samael dei bei tempi. Le melodie create sono tutte molto tristi e sofferte, dovute sicuramente all’uso di suoni freddi ed elettronici, usati con cognizione e con una certa ricercatezza, quasi atta a ipnotizzare l’ascoltatore e guidarlo in un mondo buio e angosciante. La voce di Duke è flebile e in linea con il tappeto musicale proposto. Chi ha seguito e apprezzato il nuovo cammino di Godkiller, non potrà che trovare nuova linfa creativa anche in 'Deliverance'.

(Wounded Love Records - 2000)
Voto: 73

https://godkiller.net/

Behemoth - Thelema.6

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black/Death
Anche per quest'album, i polacchi Behemoth sono rimasti sintonizzati su uno stile fortemente death metal con toni accesi, acuti, per l’impatto, con frequenti, improvvisi cambi di tempo dettati da intrecci complicati e veloci a rallentamenti profondi. Assoli e armonie tragici, aspri in modo amaro. La chitarra e il basso dipingono i brani assai liberamente, con tocchi nervosi o stoppati, a volte accompagnati dalla batteria o più spesso, quest'ultima ne brutalizza l’insieme. Quest'album intricatamente vario, ha un cantato con urla cupe o agghiaccianti, che racchiude alcuni intro e brevi intermezzi elettronici che incupiscono i soventi crescendo, le ritmiche secche e gli innumerevoli percorsi sonori, lenti o furibondi tra svariati contrasti. L’evidente perizia tecnica non abbandona affatto l’impatto e la triste armonia dell’album, essendo peraltro sostenuti da un’ottima registrazione. Inoltre, diversi pezzi ricordano cose ancor più vecchie dei Behemoth, appesantite e più raffinate da uno stile complesso.

(Avantgarde Music/Peaceville - 2000/2021)
Voto: 75

https://www.behemoth.pl/

venerdì 20 settembre 2024

Scarcity – The Promise of Rain

#PER CHI AMA: Noise/Black
L'ultima opera dei newyorkesi Scarcity, è qualcosa che va oltre le mie aspettative. D'altra parte, sarebbe stupido pensare che colui che ha preso in mano le redini del progetto Glenn Branca Ensemble, dopo la scomparsa nel 2018 del suo fondatore, non riflettesse, nella musica della propria band personale proprio gli insegnamenti del grande compositore Glenn Branca. Brandon Randall Mayers è membro del G.B.E. dal 2016, e con i suoi Scarcity, ha voluto proprio sconfinare e travisare le regole del metal, fondendole con l'avanguardia delle sinfonie di Branca. Il disco si apre con "In the Basin of Alkaline Grief", un capolavoro violentissimo di noise metal, no wave e postcore della Grande Mela, un brano spettacolare ed emblematico, quanto punto focale di quest'album, anche per il metodo di registrazione usato qui e in tutto il resto dell'opera (vedi anche "Scorched Vision" e "Undertow"). La scelta stratificata del muro sonoro è assai ricercata con l'effetto prorompente e rumoroso dell'impatto emesso, in realtà, da suoni che non intendono far insensato frastuono ma rumore clinicamente programmato e mirato. E ancora, le chitarre te le trovi puntate in faccia a dismisura, in una sorta di tortura sonica simile a un allarme isterico; la batteria in sottofondo esce da un piano interrato, per mostrare quanto si può elaborare una partitura ritmica in un brano esasperante, senza risultare ripetitiva e banale, con in più, reminiscenze jazz al suo interno. Infine il basso che, come un serpente impazzito, sfugge alle trame del brano, lavorando in una terra di mezzo per far uscire il suo valore reale. Poi, una parziale pausa al terzo minuto (ma non per le chitarre costantemente in fase di allarme) mette in risalto uno screaming che acquista un senso ben lontano dal solito grido in salsa black metal, con un bridge che non passa certo inosservato. Questo disco è strabiliante per effetto sonoro, da ascoltare in cuffia o ad alto volume, incurante del suo status di terrificante manifesto rumoroso, un campo di battaglia dove melodia, distorsione, tecnica, cacofonia e dissonanza, si fondono assieme, come se il pionieristico spirito di Glenn Branca rivivesse tra il caos di 'Evolution Through the Revolution' dei Brutal Truth, l'umore nero degli Swans di 'The Seer', e le cose più underground prodotte dai Sonic Youth, e tanto spirito No New York. Brano dopo brano, ci si innamora di questo sound corrosivo, emotivamente compromesso, che a ogni passaggio vuole esprimere creatività, una creatività estrema, illuminata e viva. Qui tutto è tensione, è un sound parallelo al canone costituito del solito metal estremo, che porta al suo interno lo spirito più duro e sperimentale della Grande Mela. Un'esperienza sonora che lascia grande soddisfazione, raccomandata e tutta da provare. (Bob Stoner)
 
(The Flenser - 2024)
Voto: 85
 

mercoledì 18 settembre 2024

And Hell Followed With - Untoward Perpetuity

#PER CHI AMA: Deathcore
Detto che un moniker cosi lungo è difficilmente memorizzabile, mi appresto oggi ad ascoltare il nuovo EP degli americani And Hell Followed With, 'Untoward Perpetuity', un lavoro di quattro pezzi dediti a un violentissimo deathcore, di quelli che di spazio alla melodia non ne vogliono proprio sapere, giusto per mettere le cose in chiaro fin da subito. E infatti la devastazione propinata da "Angor Rot" è di quelle che non lascia scampo, un rullo compressore in grado di asfaltare tutto quello che gli si para avanti, anche in quei momenti in cui i rallentamenti si fanno angoscianti. La ritmica del sestetto (si, ci sono ben tre chitarristi) è a dir poco mastodontica, un muro alto 100 metri, impossibile da valicare, e la cosa ancor più incredibile e difficile da digerire, è che anche quando i nostri abbassano i giri del motore, e "Oren: The Ogre" ne è la prova, la proposta continua a essere indigesta, complice un suono, che per quanto risulti pulito e moderno, ha forti rimandi all'hardcore più intransigente, almeno musicalmente parlando, visto poi il growling profondo del frontman. Ancor più veemente è la terza "Kaleidoscope of Tenebrosity", con un blasting di batteria disumano, almeno fino a un sorprendente break che arresta completamente i motori e mostra giusto un pizzico di melodia (quasi tre secondi) ad anticipare finalmente un ottimo lungo assolo, peraltro dal piglio heavy classic, coadiuvato da un drumming indemoniato; alla fine questo risulterà anche il mio pezzo preferito. A chiudere i conti, ci pensa la vocalmente isterica "Advent of the Addled Envoys: Into the Black Sun", l'ultima manciata di minuti sparati a tutta velocità, di cui mi ricorderò solo un improvviso arresto melodico con tanto di voci pulite, indice probabilmente che in futuro i nostri proveranno a spingere ancor di più verso potenziali contaminazioni. (Francesco Scarci)

Skinless - Progression Towards Evil

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine   
#FOR FANS OF: Death/Grind
I am persuaded that behind this release of United Guttural Records, there is the hand of Richard Limpscomb, guitar and voice of Fleshgrind. I think that among the myriad of brutal bands in the American underground, Rich has found the best. 'Progression Towards Evil' is surely a full-length album for the passionate fans who already know what they are getting when they buy this cd: a very deep voice, drums with a stifled sound, continuous time alterations, and not very philosophical themes. Skinless does everything better than others: the most distinctive comparison I usually hear is with Internal Bleeding, a band quite similar but also quite boring after a few songs. With Skinless, you won't skip tracks because they are well-built, not boring, and as they say in the US, they are catchy. The first two tracks stand out from the other songs for their lyrics (even though there are no other texts, titles like "Scum Cookies" and "Foetus Goulash" are not so hermetic) and they are declarations of hate against humanity that in this musical context are very genuine. In conclusion, I think that bands like Skinless need to be supported by both brutal music fanatics and by people who want to explore something other than Cannibal Corpse, Morbid Angel, and Suffocation.

(United Guttural Records/Burning Dogma Records - 1998/2022)
Score: 75

https://burningdogmarecords.bandcamp.com/album/progression-towards-evil

mercoledì 11 settembre 2024

Vaina – Unio Mystica

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Nell'ultima uscita dei Finlandesi Vaina, esiste una componente così magica, che difficilmente passerà inosservata agli ascoltatori, fin dal primo ascolto. Una magia oscura o forse meglio, come rimarcato dal significativo titolo, 'Unio Mystica', una magia misterica, criptica e intrigante. Quel tipo di legame misterioso, che nella teologia cristiana, lega l'uomo alla figura di Cristo e lo fa vivere in riflesso della sua essenza, nel bene e nel male. Un disco che affascina per suoni e varietà compositiva, per le sue atmosfere in chiaroscuro, che nasconde tra le righe dei testi, cantati in lingua madre e inglese, quel concetto che nella filosofia di Kirkegaard, rappresenta il binomio disperazione dell'uomo/ricerca religiosa, in pratica un lungo viaggio sonoro vissuto come una fuga mistica a perseguire la verità. Musicalmente, 'Unio Mystica', si presenta come un caleidoscopio di rimandi sonori, che spaziano tra diversi emisferi del metal estremo e non solo. Al suo interno troveremo spazio per l'avanguardia e l'esoteric metal, e strutturalmente potremmo ricollegarlo anche alle geometrie barocche di 'Gothic Kabbalah' dei Therion, ovviamente rivisto sotto la luce buia e sotterranea di una sperduta cattedrale gotica dispersa nella foresta. Il sentore oppressivo del capolavoro classico, i 'Carmina Burana', è sempre presente, con le sue atmosfere ampie e corali all'ombra delle candele, lo spettro de 'La Masquerade Infernale' degli Arcturus, è fonte d'ispirazione, con una teatralità viva ma meno plateale, più underground. Riecheggiano anche i Manes, quelli di 'Vilosophe', con in più schiaccianti aperture verso l'avantgarde black metal, ferreo e glaciale di stampo Angst Skvadron, e insieme, compiono il resto del richiesto miracolo. Certo i Vaina non sono una band sprovveduta e con l'avanguardia ci hanno sempre giocato. Tuttavia, stavolta ci hanno regalato il loro lavoro migliore, un gioiello sonoro tutto da gustare, dove trovare echi di doom jazz, con una tromba devastante, presente nell'articolata "Inverted", che sembra uscita da qualche cassetto dimenticato dei Mercury Rev che suonano un brano della Kilimanjaro Darkjazz Ensemble. Per luminosità e melodia, mostrano un lato progressivo eccelso, di una band in grado di fondere magistralmente correnti diverse in una traccia di poco meno sei minuti, senza perdere oscurità, profondità e amalgama nelle sue composizioni. "Incinerate" è un'icona toccante che spolvera vecchie teorie da classic metal, con un cantato esaltante in puro e astratto stile, ancora di scuola Manes/Arcturus, che ci accompagna verso un'altra chicca, stavolta nel verbo del folk rock progressivo, "Moribundus Sum", fiabesca e sognante nell'introduzione, come la calma prima della tempesta nel suo legarsi alla successiva "Golgatan Tähti". Questa è violenta e funambolica, dal piglio progressive folk metal, epico e dai mille colori, che va a sfociare in una composizione che rimanda ad alcune arie di 'Blossom of Mourning' dei Dark Reality, con quel suo gusto progressivo dai tratti classicheggianti ma tenebrosamente e totalmente metal. L'atmosfera globale ricorda l'austero, immaginario mondo monastico, visto da vie traverse e dal suo lato più introspettivo e oscuro. Infatti, sparse un po' ovunque, si presentano luci rubate alle scene di un film come 'Il Nome della Rosa', dotato comunque di una vena molto sinistra. Un rarefatto black metal avvolge molti momenti di questo disco, a renderlo oggetto di ascolto da approfondire a più riprese, per capirne la vera essenza. Una creatura artistica che vive di luce propria, difficile per questo racchiuderla in preconcetti musicali standardizzati. Alla fine possiamo dedurre però che, per quanto ostica possa sembrarci la sua struttura, dopo svariati ascolti, sarà impossibile non percepire l'attitudine originale di questo disco e di tutte le sorprese inaspettate nascoste al suo interno. Un album eclettico come poteva esserlo a suo tempo, il manifesto sonoro dei Solefald di 'In Harmonia Universal', suonato in chiave sotterranea, scarno e cupo. Un album che non vuole confini, che pone il suo aut-aut senza paura. Un ascolto che merita attenzione e che non vi lascerà l'amaro in bocca. (Bob Stoner)

(Aesthetic Death - 2024)
Voto: 80

https://vaina.bandcamp.com/album/unio-mystica-2

Kerry King - From Hell I Rise

#FOR FANS OF: Thrash
I think, after repeated listens to, this LP never really "grew on me." Here are the likes to enormously talented members from long-time metal bands such as Death Angel (Osegueda), Forbidden (Bostaph), Machine Head (Demmel), Slayer (Bostaph, King) & Testament (Bostaph), to name a few. However, they maintain potential in their own bands, not Kerry's. Total generic guitar riffs & I pay most attention to the "axe-work" because I play as well! The structures to the songs musically have literally no creativity to them, so you can be exposed to how pathetic Kerry's musicianship is in writing & lyrical content as well. A lot of hype for this because of the talented line-up, but it was just that it didn't unlock any more potential. Basically, it was a flop.

In a great attempt to analyze the music here, well really reflects Kerry's Slayer-esque type of guitar rhythm structures & leads. He didn't break away from that to develop his own sound. Instead, it was leftover chunks of music that most likely didn't appear on any of Slayer's music because he's so bankrupt of ideas musically. There is nothing even creative here, the music is so boring, there are no songs that were on here that I even remotely liked. It was really upsetting, not my expectations, but I was sort of hopeful. It really upset me because it's no longer about making good music, just selling CD's & cashing in on Slayer fans, I presume. None of these band members were able to save him from disaster. Instead, they campaigned against originality by not coming up with unique sounds or ingenuity. Being since 2019 that most were with Kerry from the beginning, I guess to add to his not even mediocrity type of thrash metal (if you want to call it that). It can't all be bad, right? I know a lot of people were disappointed with this LP, including me, but other critics also annihilated it. It becomes so evident that in Slayer, King did the least amount of songwriting, Hanneman was the mastermind behind the band. Now that Hanneman has been gone (RIP 2013), the remnants of Kerry's participation in his former band showed how "sorry" he is as a musician. Even being coached by Bob Jeffers (years ago) couldn't even help improve his playing, no matter how much of that he got. These songs are just a waste of time & everyone should return to their previous bands except Kerry, he should just retire! He wants to keep writing (or lack thereof) while he's still alive & kicking, but I think he just wants money. The talent in Slayer was Hanneman & Lombardo. And Bostaph OK, but Kerry? Fill in the blank.

Osegueda, I have total respect for in his thrash band Death Angel, of whom he joined in 1984. He took voice lessons to prepare himself for being the frontman to his SFO based act. I guess Kerry ruined him too because Osegueda sounds awful screaming like Araya (Slayer), only his own voice in his long-time band is where he sounds the best to me! The lead trade-offs on the guitars (as well) were sloppy, especially Kerry's. And I can't recall a solo in Slayer that was clean, they were always muddled attempts that failed miserably. I can't see why he has a strong following, he's never impressed me, I wanted to give him the benefit of the doubt here, though. Big mistake! 46+ minutes of absolutely nothing, none of the members improved their talent for Kerry. Maybe it just seems like everyone here is basically on their way out of the metal making music scene.

Again, total waste of money and time listening to this. The song titles were idiotic & all the guitar riffs are from an intellectual equivalent to a kindergartener that can't write or compose if his life depended on it! Don't even bother with this, there's really nothing good to say about it. People's IQ drops reading these lyrics, too. Slayer is dead, long live Slayer, not hacks! (Death8699)

(Reigning Phoenix Music - 2024)
Score: 45

https://kerrykingofficial.com/

martedì 10 settembre 2024

Art of Attrition - .​.​.​And it Will All End Forever

#PER CHI AMA: Techno Symph Deathcore
Proprio ieri parlavamo di una scena black nel Quebec, death in British Columbia, ed ecco che oggi andiamo in Alberta per saggiare il techno deathcore degli Art of Attrition, che tornano, a distanza di due anni da 'The Void Eternal', con un nuovo EP. '.​.​.​And it Will All End Forever' è il titolo della nuovo release che mette in pista quattro nuove devastanti tracce che irrompono con la deflagrazione, sin dal primo secondo, di "Drowned in Fog" forte di una sezione ritmica letteralmente frantuma-ossa, complice una monumentale batteria, vera spina dorsale di questa band, una coppia di asce dal rifferama mega ribassato, una sezione orchestrale che dovrebbe attenuarne i toni ma ne arricchisce gli arrangiamenti, per chiudere con un grugnito vocale che sfocia talvolta nel pig squeal. "Vitriol" parte decisamente più in sordina, ma si tratta solo dei primi 15 secondi: i nostri rimetteno infatti in mostra i muscoli con attacchi ritmici che sembrano provenire da ogni direzione. Il pezzo nella sua ondivaga forma psicotica alterna parti più ritmate con sventagliate fuori controllo, in grado di interrompersi repentinamente per partiture tastieristiche sci-fi estremamente ispirate e melodiche. Tranquilli, è sempre questione di pochi secondi e la tempesta sonora torna a battere come una grandinata che squarcia il telaio e il parabrezza di un automobile, lasciandola crivellata di colpi mortali. Ovvio che per avvicinarsi a tale proposta musicale, è necessario avere le orecchie foderate di ghisa e prendere una buona dose di sedativi, altrimenti il ritmo infernale finirà per farvi esplodere il cuore. Il tutto è confermato anche dalla terza "Emaciate", il cui apparato ritmico ha più le sembianze di una mitragliatrice in grado di sferragliare 3500 colpi al minuto. Le orchestrazioni dovrebbero, ma non riescono, a mitigare questa sequenza mortale; ci prova allora un cantato quasi rap ma niente da fare, fa infatti la sua comparsa sua signoria "contraerea di Baghdad", accompagnata da voci isteriche e un successivo assolo da chilo, tale da lasciarci interdetti. A chiudere questo massacro, ecco la title track: non so cosa aspettarmi, sono letteralmente in apnea, anche se la band non lesina certo nelle variazioni di tempo e in inaspettati break ambientali. E infatti, sebbene un inizio più tranquillo, i quattro musicisti canadesi si lanciano in un'altra gara sparata a tutta velocità, in questo magico connubio di violenza, melodia e magniloquenti, terrificanti e orrorifiche atmosfere. Semplicemente paurosi!!! (Francesco Scarci)

lunedì 9 settembre 2024

Atavistia - Inane Ducam

#PER CHI AMA: Symph Death
La scena canadese è viva e vegeta. Se da un lato, quello orientale, pullulano le gelide band black del Quebec, nell'area della British Columbia, sembrano andare più di moda sonorità sinfoniche. Quest'oggi ci approcciamo agli Atavistia e al loro nuovo EP, 'Inane Ducam', il cui sottotitolo è "I Will Lead into Nothingness". Quattro brani più intro quindi per apprezzare le qualità di una band che ha già comunque rilasciato 3 Lp e un Ep, ma di cui francamente ignoravo l'esistenza. La band di Vancouver esce con un lavoro maturo, che sottolinea l'eccellente perizia tecnica di un quartetto potente, estremamente melodico ed epico, da tenere assolutamente sotto la lente di ingrandimento. Dopo la classica intro atmosferica, ecco rimbombare nel nostro stereo "Timeless Despair", che irrompe a gamba tesa con il suo suono bombastico, sostenuto da una ritmica violenta, pesante ma melodica, frutto di sciabolate chitarristiche, sonore pedate nel culo ad opera di uno spaventoso drummer, diaboliche vocals (growl e scream) e un impianto tastieristico, vero responsabile, insieme a quei minimalistici cori orchestrali, della componente sinfonica del disco. Aggiungiamo poi un assolo con i controcoglioni sparato nella seconda parte del brano e avrete idea di cosa sono in grado di fare questi musicisti con il loro apparato strumentale. Un'altra bella staffilata ci arriva in pieno petto con "Dark Isolation", perfetto per tutti coloro che pensano che ascoltare death sinfonico sia per femminucce. Qui c'è sicuramente una grande dose di melodia, ma per far fronte alla robustezza di un sound che in più di un caso, strizza l'occhiolino ai Dimmu Borgir di 'Puritanical Euphoric Misanthropia', serve comunque una bella armatura. Interessante l'evocativo cantato pulito a metà brano e l'assolo mozzafiato conclusivo che precede l'ultima furibonda cavalcata di un pezzo a dir poco esplosivo. Ma le sorprese non finiscono certo qui: "Unattained Creation" ha un che di vampiresco nella sua parte iniziale, con le parti di tastiera che arrivano come stilettate al petto; ad abbassare la tensione, ci pensano le clean vocals di uno dei due cantanti. Ma non temete, perchè una nuova tempesta di chitarre è pronta ad abbattersi sulle nostre teste, coadiuvato da un basso pulsante e dal martellante bombardamento della batteria, chiamata a un lavoro straordinario. A chiudere questo piccolo gioiellino, il cui voto finale sarà penalizzato dalla sua breve durata, arriva la nervosa "The Void", un pezzo all'insegna di un black/death veemente che potrebbe richiamare i Wintersun e una proposta musicale che potrebbe aver molto da dire in un futuro a breve termine. (Francesco Scarci)

(Self - 2024)
Voto: 75
 

Mourning Dawn - The Foam of Despair

#PER CHI AMA: Black/Doom Sperimentale
Ecco un'altra band che qui nel Pozzo dei Dannati è ormai di casa: sto parlando dei francesi Mourning Dawn e del loro recente comeback discografico, sempre attraverso la Aesthetic Death. 'The Foam of Despair' è il loro sesto lavoro su lunga distanza e si configura come la classica miscela death doom, accompagnata da atmosfere black depressive che ricordano certe cose degli Shining. Questo è già evidente nell'opening track, "Tomber du Temps", che sembra ammiccare non poco ai colleghi svedesi guidati da Niklas Kvarforth. La forza di questo primo brano risiede nella cupezza delle sue chitarre, negli strali malinconici insiti nelle melodie e nel cantato disperato di Laurent "Pokemonslaughter", che si muove tra uno screaming comunque intelligibile e un approccio narrativo ansiogeno. Da sottolineare la componente solistica da urlo e la presenza dello strepitoso sax di Adrien Harmois nella coda del brano, a mettere la classica ciliegina sulla torta a un pezzo davvero evocativo, che nella chiusa evoca un che dei nostrani Dawn of a Dark Age. La seconda "Blue Pain" vede una nuova ospitata del disco: dietro al microfono si presenta infatti l'onnipresente Déhà (peraltro responsabile anche del mixing e mastering dell'album), in un pezzo che scalda gli animi ancor di più, per quei suoi rimandi inequivocabili ai Katatonia di 'Brave Murder Day'. E io godo. Non poco peraltro, visto l'ottimo lavoro melodico proposto e la performance vocale di uno dei miei cantanti preferiti, in ambito estremo. "Borrowed Skin" dura oltre 11 minuti e promette bene sin da quel morbido incipit affidato al parlato del frontman. Le atmosfere si mostrano plumbee, il giro di batteria quasi ipnotico, ed è qui che il terzetto di Parigi ci inchioda in un incedere straziante, con il vocalist che sprofonda in territori growl, mentre le chitarre assumono sembianze sghembe ma sempre sinistre, interrotte da un brevissimo break centrale, che troveranno modo poi di esibirsi in altri ottimi assoli. Notevole. Dopo tante cose abbordabili, ecco che "Apex" mostra il lato più scorbutico dell'ensemble transalpino, sebbene la song si muova su un mid-tempo claustrofobico e ostico da digerire, ma gli arrangiamenti in sottofondo sono egregi e inducono sicuramente a un ascolto curioso e attento. Ma l'attenzione verrà sicuramente catalizzata dalle atmosfere trip-hop della successiva "Suzerain" dove si palesa un altro ospite, A.K.: ancora un parlato in francese, echi dei CROWN che si esibiscono nelle chitarre pesanti dei nostri con la comparsa contestuale del cantato graffiante di Laurent. Che la traccia non sia comunque come tutte le altre è palese, avanzando nell'ascolto di un brano magnetico, intenso e psichedelico che, non so per quale motivo, ho trovato per certi versi accostabile a "Epitome XIV" dei Blut Aus Nord. Ultimi due pezzi a disposizione per la band per farci gridare al miracolo: si parte con il doom di "The Color of Waves", che incorpora un suggestivo intermezzo atmosferico, punto di partenza di un nuovo irrequieto e inquieto giro di chitarre. Si chiude con l'industrialoide "Midnight Sun" (traccia peraltro non disponibile nella versione vinilica) che con le sue sperimentazioni sonore, sancisce che in casa Mourning Dawn, qualcosa è davvero cambiato, e in meglio. (Francesco Scarci)

venerdì 6 settembre 2024

Inerth - Hybris

#PER CHI AMA: Death/Sludge
Gli spagnoli Inerth tornano con il loro concentrato di violento e melmoso sound. 'Hybris' è il terzo lavoro, dopo l'EP di debutto e il full length del 2022, 'Void'. L'inizio affidato a "Midlife Wasteland" ha un che dei Napalm Death di 'Utopia Banished', con un impatto pesantissimo delle chitarre, sulle quali irrompe un super vocione growl (che verrà poi accompagnato da linee vocali pulite). La cosa affascinante sono le interferenze melodico industriali che evocano un che di Godflesh/Killing Joke, e che alla fine renderanno il death dei cinque madrileni, davvero carico di groove e più "facilmente" ascoltabile. Quest'approccio, per certi versi avanguardistico, è confermato anche nella seconda "Oblivion", un po' più mid-tempo come ritmica, e che apre immediatamente con le vocals del frontman in formato "clean", in un sound che sembra richiamare anche un che di post metal e sludge, senza rinunciare a un interessante break atmosferico, in cui a mettersi in luce è la batteria di J. Moya. Poi, una ripresa piuttosto roboante, affidata a un muro di chitarre mastodontico (e dal refrain quasi hardcore) e a dei vocalizzi da orco cattivo. I nostri iberici se la cavano alla grande nell'armeggiare i loro strumenti e non stupisce quindi, quando a divampare nello stereo, si pone la terrificante e muscolosa "Fentanyl", che sembra riportarci alle atmosfere orrorifiche del death anni '90, a cavallo tra gli Entombed di 'Clandestine' e i Celtic Frost. "A.I.", la più doomish delle quattro song qui contenute, è un pezzo che strizza l'occhiolino ai Disembowelment, però con un dualismo vocale che rimane comunque spiazzante e che dopo due minuti, troverà il modo di accelerare i giri del motore, scatenando tutta la sua furia dirompente a firmare la chiusura di questo interessante dischetto. (Francesco Scarci)
 
(Abstract Emotions - 2024)
Voto: 74