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giovedì 25 settembre 2025

Dark Solstice - Where Black Stars Beckon

#PER CHI AMA: Melo Death/Symph Black
Quello dei bavaresi Dark Solstice è un debutto assoluto, un EP che segna l'inizio di una nuova era per una band che vede comunque musicisti aver militato in precedenti formazioni, come Agathodaimon e Ristridi. 'Where Black Stars Beckon' contiene solo tre tracce, che forse non sono del tutto sufficienti per delineare la proposta di questa nuova entità teutonica. Il lavoro si posiziona infatti inizialmente sulla linea di galleggiamento di un melodeath, contaminato da influenze più moderne, dark/gothic grooveggianti. Un mix interesssante, che nell'iniziale "Pathways", mi obbliga piacevolmente a tenere l'orecchio sul pezzo: partenza in sordina, una buona dose di melodia, una ritmica compassata, un discreto growl, una cascata di riff, una certa varietà nei tempi, chorus puliti e qualche zampata di black melodico dal taglio scandinavo, che non guasta mai. E il gioco è fatto. Più classica e rocciosa invece la successiva "Open", che sfodera un riffing groove che marcia oppressivo e furente, mentre il cantato di Jonathan Rittirsch spinge al limite la propria ugola. Il brano sembra scivolare via senza fare una piega, tuttavia la ritmica va mutando verso sonorità quasi symph black, a ricordarmi da dove sono venuti gli Emperor a metà degli anni '90. Un cambio di rotta inaspettato rispetto al primo pezzo. E un nuovo cambio di rotta con la traccia finale, la title track, che si affida a una buona linea di tastiere per aprire le danze e lanciarsi poi in un cosmic black che per certi versi mi ha evocato i Mesarthim, fatto salvo per un growling sempre più orientato verso lidi death, e aancora giri di chitarra decisamente ricchi di groove (per non parlare di un assolo da urlo). Insomma, se il buongiorno si vede dal mattino, potremmo sentirne delle belle, quando a breve, mi aspetto di poter ascoltare un più strutturato full length dei Dark Solstice. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 70

Skyforger - Teikas

#PER CHI AMA: Pagan/Folk
Nel panorama del folk metal europeo, dove le tradizioni antiche si fondono con la furia del metal estremo, gli Skyforger rappresentano un pilastro indiscusso, una band che dal 1995 a oggi, ha portato con fierezza la voce della propria eredità culturale. 'Teikas" è il settimo album dell'ensemble lettone, che da sempre mescola pagan metal con elementi folk autentici, e ancora oggi mantiene un ruolo centrale nella scena, quasi come se fossero i custodi di un prezioso segreto. Il nuovo lavoro segna un gradito ritorno, dopo un preoccupante decennio di silenzio discografico. Il disco è influenzato dalle radici black metal dei primi lavori (e "Dieva Suss" già conferma questo spirito indomito) ma arricchito da un folk più maturo e narrativo, confermando i nostri come un punto di riferimento per chi cerca un metal che sia al tempo stesso brutale e culturalmente profondo, complici anche liriche che affrontano miti e leggende della tradizione lettone. Gli arrangiamenti poi sono stratificati e organici, con un uso di strumenti folk, mai invasivi, come cornamuse e flauti, che s'intrecciano a riff black/speed metal affilati e una batteria martellante, creando un contrasto tra aggressività e melodia epica. La voce di Pēteris Kvetkovskis al microfono alterna growl feroci a un cantato pulito. Per quanto riguarda i brani chiave, citerei "Spēlmanis", che palesa una certa vena speed metal, arricchita da lievi derive folkloriche. Ottima quella linea di basso potente che apre invece la più roboante "Spīgana", mentre "Mājas Kungs" si distingue per la sua tellurica intro, l'intensità epica, e un rifferama compassato che marcia, rutilante, alla stregua di un corteo funebre, e si muove tra porzioni atmosferiche quasi fiabesche, merito di un flauto che si guadagna la scena per la melodia che rilascia. Una chitarra poi ne raddoppia il suono per prenderne successivamente il posto e lanciarsi in un bell'assolo, elemento che di certo non scarseggia in questa release. E se l'incipit di "Rex Semigalliae" sembra uno dei vecchi pezzi acustici degli In Flames, di sicuro quando inizia a premere sull'acceleratore, fa capire come i nostri negli ultimi dieci anni, non si siano certo cullati sugli allori, ma accanto a quel sound che evoca anche i vecchi Annihilator e Skyclad, si divertono ancora a impreziosire il proprio sound con tutto l'armamentario folk in loro possesso e, ciliegina sulla torta, a piazzarci un altro fantastico assolo in chiusura. Le cornamusa aprono "Svētbirzs" e sembra quasi che la band ci voglia narrare qualcosa della storia del proprio paese, in un brano decisamente più controllato rispetto ai precedenti. E se "Velnakmens" lascia intravedere alcune reminiscenze di "Iron Maideniana" memoria nella linea delle chitarre, ecco che zampogne e zampognari, calano quegli elementi etnici per rendere il brano più peculiare. Il disco contiene 13 tracce e sarebbe delirante soffermarsi su tutte, cosi ecco che la conclusiva "Vecie Latvieši" chiude con un finale fatto di ancestrali melodie folk che chiudono un disco che brucia ancora come un fuoco antico. (Francesco Scarci)

(Thunderforge Records - 2025)
Voto: 74

mercoledì 24 settembre 2025

Waste Cult - Blame

#PER CHI AMA: Sludge/Doom/Stoner
È stata una bella sorpresa appurare che i Waste Cult provengono dal nostro Belpaese, Bologna per l'esattezza, e vederli pubblicati dalla Aesthetic Death è stata ulteriore fonte di orgoglio. In una scena doom metal contemporanea poi, dove questo sound spesso oscilla tra revival nostalgici e ibridazioni estreme, i quattro musicisti nostrani si collocano quasi come una voce autentica e introspettiva della scena italica, con 'Blame' che ne segna il debutto sulla lunga distanza. La band si affida a un doom sporcato di venature stoner e post-metal, per dar fiato alla propria voce, provando a consolidare una presenza significativa nell'underground europeo. Per quanto riguarda poi gli aspetti puramente contenutistici del disco, diciamo che ci troviamo di fronte a un lp di 45 minuti, che include otto pezzi, di cui una traccia strumentale ("Kerberos"), che si muovono su un fronte che vede la band proporre un doom classico, ma andando anche a esplorare poi anfratti più moderni. Forti di una produzione equilibrata, il disco si muove con chitarre che dominano attraverso riff potenti e distorti di scuola "sabbatiana", supportati da un bel basso tellurico e da un drumming che varia da ritmi lenti e cadenzati a groove più dinamici. Il primo nome che mi è venuto alla mente durante il mio ascolto è stato quello dei primi (non primissimi) Cathedral (la stoner "Delirium of Manners" mi ricorda parecchio da vicino la band di Lee Dorian e soci) ma anche i Monster Magnet. Questo mi dice almeno l'opener "Ad Astra", che vanta peraltro qualche riffone di scuola Paradise Lost (ai tempi di 'Shades of God'). Più morbida e introspettiva invece la title track, che apre con un tiepido arpeggio di chitarra, prima di sferragliare un rifferama più di matrice post e acquietarsi nuovamente nel caldo abbraccio di melodie crepuscolari. La voce del frontman, sempre pulita, segue un po' pedissequamente i dettami del genere; se la cava bene, ma secondo me c'è spazio per il miglioramento. Altri brani interessanti sono "Blended as One", più atmosferica, più post metal a livello ritmico, più affine anche al mio palato, devo ammettere, fatto salvo sempre per una componente vocale che qui sembra rimanere troppo nelle retrovie. E ancora, ho apprezzato la più ipno-cosmica, "The Warmest Shelter", che si affida a larghi spazi strumentali, mentre il finale consegnato a "Maze", il pezzo più lungo del disco, sembra il giusto compromesso, in bilico tra arpeggi e dinamiche linee di chitarra (e tra vocals pulite e qualche sporadico growl), a chiudere un disco interessante, considerato anche il bagaglio di musicisti che affonda le proprie radici in territori punk/thrash. Diamogli quindi un ascolto a questi Waste Cult e facciamo in modo che la nostra scena si elevi al pari delle altre grandi europee. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2025)
Voto: 70

martedì 23 settembre 2025

Undead - This Side of the Grave

#PER CHI AMA: Swedish Death
Sembra che in queste ultime sere se non ho piantato nelle orecchie un bel disco di death old school, non riesca a dormire bene. Dopo aver recensito ieri gli svedesi Grand Cadaver, oggi mi ritrovo alle prese con gli spagnoli Undead, che sembrano volermi fare un altro giro nelle lande sconfinate scandinave. 'The Side of the Grave' è il loro nuovo EP, il terzo della discografia che conta anche due full length. Le coordinate stilistiche penso siano piuttosto chiare: Swedish death che ricorda non poco quei suoni emersi dai capolavori dei primi Entombed e Dismember, con le classiche chitarre ribassate, un bel growling chiaro e distintivo, ritmiche serratissime e una solidità di base inamovibile. Se da un lato questi sono i punti di forza del quartetto di Madrid, alla fine si riveleranno anche un inevitabile boomerang, che spinge a dire che l'inventiva dei nostri è pari quasi a zero e che gli originali erano decisamente meglio. Eppure, i brani sono interessanti, diretti, oscuri, addirittura con un pizzico di melodia (il mio preferito è il più ipnotico e morboso "I am the Curse") e con tematiche che evocano addirittura la spiritualità orientale (penso a "Samsara" che rimanda al ciclo buddhista di morte e rinascita). Ottima sicuramente la porzione tecnica (pirotecnico l'assolo di "Blood Enemy") ma quello che mi rimane alla fine dopo l'ultimo brano di questo EP, è una forte sensazione di aver ascoltato qualcosa che emula quello che realmente mi faceva impazzire nel 1991. Peccato solo che oggi siamo nel 2025. (Francesco Scarci)

(Edged Circle Productions - 2025)
Voto: 63

Vigljós - Tome II: Ignis Sacer

#PER CHI AMA: Raw Black/Psichedelia
Dalla Svizzera con furore. È proprio il caso di dirlo. Gli svizzeri Vigljós tornano con un nuovo album, dopo il debutto dello scorso anno intitolato 'Tome I: Apidæ'. Quanto contenuto in questo 'Tome II: Ignis Sacer' è un feroce black metal che vede come tematica principale la vita delle api, si avete letto bene, il cui senso metaforico è da rapportarsi però ai cicli di vita e di morte della società. Per quanto riguarda gli aspetti puramente musicali, la band fonde la freddezza del black metal con elementi più psichedelici (ascoltate la seconda metà di "A Seed of Aberration" per capire meglio la proposta del quartetto di Basilea) e medievali (l'intro "Sowing" o "Fallow - A New Cycle Begins" sono alquanto emblematiche a tal proposito). Quindi se da un lato la proposta nuda e cruda di un rozzo black metal potrebbe suonare alquanto abusata, tra deliranti grim vocals, blast-beat impazziti e chitarre taglienti più di una lama di rasoio, è in realtà poi il contorno ad arricchire una proposta, che rischierebbe di passare totalmente inosservata. E fortunatamente, il risultato non è affatto male, con le ritmiche incendiarie che rallentano in "The Rot", mentre la voce di L, continua a urlare sgraziatamente, e in sottofondo si palesa un po' ovunque, l'eco di un mellotron. Chiaro che non ci troviamo di fronte a chissà quale proposta innovativa: forse l'idea di fondo era quella di mantenere la ruvidezza del black, con giusto una spolverata di elementi psichedelici. Diciamo quindi che ci sono cose apprezzabili, il tentativo di miscelare raw black con elementi esoterici appunto, mentre altre, quelle più puramente ancorate a una tradizione di stampo '90s, che francamente iniziano un po' a stancare (dae un ascolto a "Claviceps" o "Delusions of Grandeur", con quest'ultimo pezzo che puzza addirittura di black'n'roll, ma che per lo meno sfodera interessanti divagazioni dal sapore settantiano). "Decadency and Degeneration" ha un piglio che richiama ancora il black'n'rock, ma le chitarre in sospensione, il vortice di furia incontrollata che si palesa dopo 90 secondi, e quello screaming, alla lunga fastidioso, la ricolloca nei ranghi, dopo poco. Un altro tentativo apprezzabile lo ritroviamo nel sound compassato di "Harvest", che in sottofondo sforna visioni oniriche di doorsiana memoria. Insomma, l'avrete capito, c'è ancora da lavorara affinchè il sottoscritto diventi un fan della band elvetica anche se, devo pur ammettere, di apprezzare il tentativo di portare nuove idee a un genere quasi in fase di stagnazione. E allora serve più coraggio se si vuole fondere tradizione e innovazione e i Vigljós porebbero anche averlo. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2025)
Voto: 64

lunedì 22 settembre 2025

Grand Cadaver - The Rot Beneath

#PER CHI AMA: Swedish Death
Nel vasto universo del metal, spesso orientato verso tendenze fugaci e mode effimere, i Grand Cadaver si ergono come un autentico baluardo di integrità musicale. Questo supergruppo svedese, attivo dal 2020, ha saputo riportare alla ribalta il classico death metal di Stoccolma, infondendovi un'elettrizzante energia brutale che lo rende fresco e intramontabile. Formati da veterani di spicco della scena musicale come Mikael Stanne (Dark Tranquillity), Christian Jansson (Pagandom) e Daniel Liljekvist (ex-Katatonia), i cinque svedesi si sono guadagnati un ruolo di rilievo nel rinascimento old school, mescolando l'eredità sonora di leggende come i primi Entombed, Unleashed e Dismember con una vitalità sorprendente. Il loro ultimo EP, 'The Rot Beneath', condensa in quattro brani l'essenza del loro stile, che sia chiaro, non inventa certo nulla di nuovo. Si tratta di un manifesto sonoro che celebra la tradizione dello Swedish death metal, pertanto aspettatevi chitarre ronzanti e iper ribassate che creano un'atmosfera viscerale di decomposizione, mentre ogni traccia testimonia la loro abilità nel salvaguardare un genere che rifiuta ostinatamente di soccombere al tempo. La conclusiva "Darkened Apathy" si distingue per il suo audace rallentamento, quasi a voler dimostrare che anche nel caos devastante del metal, c'è spazio per momenti di inquietante e deturpante introspezione. Lasciatevi travolgere allora dall'aggressività incandescente delle chitarre, dalle vocalità abrasive di Mikael Stanne e dai bombardanti blast beat di Daniel Liljekvist. Per chi ancora custodisce con reverenza l'inarrestabile potenza dei mostri sacri degli anni '90, i Grand Cadaver sono una band che merita un posto rilevante. (Francesco Scarci) 

(Majestic Mountain Records - 2025)
Voto: 70

Ellereve - Umbra

#FOR FANS OF: Dark/Folk/Post Rock
Ellereve is an Austrian solo project whose mastermind is the German artist Elisa Giulia Teschner. Since her debut effort, 'Heart Murmurs', this project has represented the collision of two forces: one delicate and melancholic, showcasing the most introspective side of the artist, and the other full of force and intensity. The palette of different influences, such as dark folk, doom metal, post-rock, and some blackish touches, forms an enriching number of layers that define what Ellereve offers to the avid listener seeking something soulful and unique.

The latest offer, entitled ‘Umbra’, is another step in Ellereve’s faultless career, a step further into darker realms as the compositions have a heavier, darker, and more intense feeling. The compositions of this album explore complex concepts related to emotions and inner conflicts. Elisa’s hypnotic and deeply emotional voice is undoubtedly the star here, a beautiful yet pale and delicate star surrounded by a vast, gloomy sky. ‘Umbra’ deepens the influences coming from post-metal and doom, even adding some blackened textures. Even though there is no break from what we knew of this project, it presents a more intense musical depiction of her vision. The contrast between the calmest and heaviest sections is a very common, yet always tastefully used resource in this album. "The Funeral" has plenty of these moments, where Elisa’s absolutely stunning and touching voice explores different levels of intensity and tones, while the heavy riffs and solid drums accompany the ups and downs in strength in a very adequate way.

The aforementioned layers of Ellereve’s music are present in another top-notch composition like "Irreversible", where the heavy burden of untold feelings storms the listener in the form of excellent guitars, whether they are heavier or have a more fragile and atmospheric touch. The single "Crawl" certainly deserves to be highlighted, as it is one of the best compositions and probably the catchiest. It contains excellent harmonies that irreparably stick to your head and soul. It was indeed a great choice by Ellereve, as it rightly represents what ‘Umbra’ offers. In any case, I could spend lines and lines describing each song, as all of them have a great amount of work behind them. The approached concept may be the same, but the enriching diversity and excellence in Elia’s vocal lines, the tasteful work in the guitars, and the always variable structure in the compositions create an album that requires many listens to be fully appreciated.

To summarize it in a couple of lines, 'Umbra' by Ellereve is like a stormy day in spring. The intensity and darkness of the storm are accompanied by peaceful moments when even the sun can appear and enlighten us. 'Umbra' is an emotionally intense musical experience, where the singer’s delicate yet powerful voice finds its counterpoint in the powerful riffs, even though all the instruments can adapt their fierceness to what the composition requires. (Alain González Artola)

(Eisenwald - 2025)
Score: 88

La Città Dolente - In a World Full of Nails I Have Got Nothing

#PER CHI AMA: Mathcore/Hardcore/Death
La nuova uscita della band meneghina sotto le ali della Toten Schwan, lascia un ricordo lontano del precedente 'Salespeople', e con un cambio di formazione radicale, porta modifiche sostanziali al proprio suono, rivedendone i canoni stilistici fin dalle radici. Divenuti un power duo formato dai soli Federico Golob (chitarra/voce/basso) e Guido Natale (batteria), i nostri optano per un suono decisamente più heavy, buio, corposo, dai toni ribassati e dalle composizioni potenti ma ostinatamente complesse. Devo ammettere che non mi è mai piaciuta la scelta di vedere il nome della band in lingua madre e l'uso dell'inglese nelle liriche, ma per La Città dolente (e il nome è molto bello), la cosa passa inosservata, poichè a tutti gli effetti, il disco è veramente ben fatto. Iniziamo col dire che non si sente affatto la carenza e l'assenza di altri strumentisti, e che i due musicisti qui hanno svolto un compito notevole nel dare vita a questo piccolo gioiellino. La struttura del disco è tutta giocata su chiaro scuri, cambi di tempo, rallentamenti e stop and go, furiosi e coinvolgenti, contaminati da una certa cinematica al limite dell'industrial, dove una voce ringhiante (che mi ricorda piacevolmente un po' lo stile di John Tardy degli Obituary) la fa da padrona. Tuttavia, in alcune incursioni, il parlato e il recitato donano il giusto tocco di schizofrenia e drammaticità, uno stile canoro che riesce a farli uscire dagli schemi preimpostati del genere, rendendo i brani credibili, per certi aspetti anche orecchiabili e comunque sempre estremamente carichi di emozionalità. La batteria è una furia timbrica e le chitarre urlanti, sfoderano una valanga di riff, figli di tanti padri del moderno metal pesante e tecnico, che mi ricordano in parte, come ricerca ritmica, anche i primi Gojira. Vi si trova poi pure del potente hardcore nella scrittura e persino, ideologicamente, l'aria oscura e ossessiva di un disco qualsiasi dei Meshuggah. Nati sotto la bandiera del mathcore, etichetta di genere che ora decisamente gli andrebbe un po' stretta, il duo lombardo si appresta con questo bel disco ad intraprendere un nuovo passo verso un sound ancora più pesante, complesso e claustrofobico, con la tensione dei Converge e il peso possente degli Ulcerate. Alla fine i due musicisti milanesi brillano di luce propria e servono ben poco i paragoni per spiegarli, tanto meglio ascoltarli per capire di che pasta è fatta la loro musica. Valutando poi l'impegno sociale e la militanza politica anticapitalista, con la scelta DIY, e testi di denuncia sociale, ci rendiamo conto di quanto sudore e impegno ci sia dietro la furia di quest'album. Il disco in toto viaggia veloce ed è direttissimo, i brani sono prevalentemente corti, tranne che per "Clearance Season" e soprattutto "Neon Death (Forever on the Payroll)", che con un inaspettato intro tra soul e black music, si espande fino a superare i sei minuti, sofisticati ed estremamente pesanti. Magari con 'In a World Full of Nails I Have Got Nothing', non ci troveremo davanti a una vera e propria innovazione musicale, o a un nuovo sound, ma nessuno può dire che questo non sia un disco di carattere e di ottima caratura. Consigliato l'ascolto, ottima uscita. (Bob Stoner)

(Toten Schwan Records - 2025)
Voto: 75

martedì 9 settembre 2025

Postmortal - Profundis Omnis


#PER CHI AMA: Funeral Doom
Dici Aesthetic Death e, il più delle volte, dici funeral doom. E cosi, in quel vasto e spesso soffocante regno, dove ogni nota sembra un passo verso l'abisso, i Postmortal emergono come un sussurro pronto a trasformarsi in un rombo sotterraneo. 'Profundis Omnis' è il loro debutto su lunga distanza, sebbene altri vagiti siano emersi dalle viscere nel 2018. Questo disco si palesa attraverso quasi un'ora di meditazione lugubre su temi di dolore, morte e disperazione, incarnando i dettami del funeral doom, nella sua forma più primordiale e intransigente. Ascoltando il duo di Cracovia sin dall'opener "Fallen", posso dire che è inequivocabilmente ispirato ai maestri del genere quali Thergothon, Shape of Despair ed Evoken. Pur non reinventano la formula, la distillano in un'essenza cruda e malata, complice peraltro un contesto low-fi che privilegia l'opacità e la profondità emotiva su ogni artificio tecnico. Il suono è un monolite compatto, con un basso e voce cavernose che rimbombano come un'eco nelle catacombe, mentre le chitarre striscianti, sembrano avvolte in un velo di riverbero che amplifica quella fastidiosa sensazione di soffocamento. Insomma, non di certo una scampagnata in un verde prato in una giornata di primavera, tutt'altro. Direi piuttosto una lenta discesa negli inferi, accompagnata da uno slow-tempo funereo con sporadici cambi di tempo che contribuiscono a opprimere ulteriormente quel peso che grava su un cuore già in agonia. Non sono sufficienti quelle tiepide tastiere in "Darkest Desire", che aggiungono un velato alone gotico all'incedere del disco, per provare alleggerire un lavoro pachidermico, e in grado di generare solo una plumbea angoscia esistenziale. Come quella sprigionata nelle note iniziali di "Decay of Paradise" da spettrali vocals che provano a fare da contraltare al growling profondo di Dawid in un pezzo comunque asfissiante, che non vede troppi sussulti, fatto salvo per una seconda parte di brano più atmosferica. Il disco continua a presentarsi come una montagna invalicabile e i quasi 22 minuti delle successive "Prophecy of the Endless" e "Queen of Woe", non mi agevolano certo il compito nel descrivervi un classico sound funeral doom che persiste nel mantenerci intrappolati in una profondità abissale dalla quale sarà assai complicato venirne fuori. Per pochi impavidi coraggiosi. (Francesco Scarci) 
 
(Aesthetic Death - 2025)
Voto: 67
 

Mellom - The Empire of Gloom

#PER CHI AMA: Black/Death
In un panorama metal dove l'oscurità è spesso un'arma a doppio taglio, i teutonici Mellom irrompono con 'The Empire of Gloom', debut album uscito a inizio 2025, un disco che trasforma il black/death metal in un monolito di piombo fuso, pesante come un sudario di cenere che si deposita lenta ma inesorabile. Questo duo originario di Francoforte, costituito dai musicisti David Hübsch e Skadi, emerge dalle nebbie dell'underground come un'entità che non urla solo la propria rabbia, ma la sussurra attraverso corrosivi strati di black metal atmosferico. Radicati in una tradizione black metal dal piglio scandinavo, i Mellom non reinventano di certo la ruota, ma la ricoprono sicuramente di una ruggine stridente, con un lavoro che pesa sull'anima senza bisogno di artifici di alcuna sorta. La produzione, affidata a un approccio diretto e senza troppi fronzoli, sembra essere il vero collante di questo impero di tenebre, in cui gli arrangiamenti si mostrano minimalisti ma stratificati, con l'incedere sonoro che si muove tra serrate scorribande black ("Rules of the Universe" e a ruota, la successiva "The Last Dance") e frangenti più mid-tempo oriented (ascoltatevi "Burden", la title track o la più doomish "Feed the Machine", in cui ho sentito qualche eco dei Rotting Christ nella marzialità delle sue chitarre). Alla fine, quello che ne viene fuori è un disco sano e onesto che, come detto, non scopre certo l'acqua calda, ma trasforma il metal estremo in una terapia oscura e senza compromessi, con il caustico screaming di Skadi ad accompagnare un riffing glaciale, a tratti disturbante, con linee melodiche non troppo catchy, ma comunque presenti. Il disco è sicuramente ostico da ascoltare, complici le laceranti vocals della frontwoman, ma anche l'assenza di certi picchi melodici, a cui recentemente il black ha aperto. Ciò non toglie che per chi è un fan di certe sonorità "old fashion", 'The Empire of Gloom' potrebbe rappresentare un'alternativa ai vecchi classici. Prima di chiudere, vorrei citarvi un ultimo brano, "Beyond the Endless Waves", che con il suo melodico tremolo picking, e le sue clean vocals, potrebbe rivelarsi il pezzo più accessibile del lotto, sicuramente il mio preferito, emblema di un disco che presenta al mondo questi nuovi Mellom, che con qualche aggiustamento in futuro, potrebbero essere anche una paicevole sorpresa. (Francesco Scarci)

lunedì 8 settembre 2025

Contemplation - Au Bord du Précipice

#PER CHI AMA: Atmospheric Death/Doom
Nell'underground più profondo, la one-man band francese dei Contemplation sembra volersi distinguere come un progetto visionario, guidato dal polistrumentista francese Matthieu Ducheine. Il secondo full-length (ci sarebbe anche un disco in collaborazione con i Chrono.fixion), 'Au Bord du Précipice', vorrebbe infatti rappresentare un audace esperimento in grado di fondere doom death con elementi atmosferici, pagani e folk, nel tentativo di creare un ibrido unico nel suo genere. Attivo dal 2021 con un debutto omonimo, all'insegna di un death più sinfonico, il factotum Ducheine si lancia in sonorità affini (seppur più cupe e funeral) anche in questo lavoro, sciorinando arrangiamenti complessi, coadiuvati da un violino contemplativo, che lui stesso suona, chitarre super ribassate, e in generale, una linea ritmica solida e profonda, ammorbidita da eterei synth, e imbestialita da uno spaventoso growl cavernoso (per cui auspico a breve di affiancare clean vocals). Se i testi sembrano esplorare temi introspettivi, la musica esprime, attraverso il malinconico suono del violino, immagini di paesaggi desolati e montagne intese come rifugio spirituale, con il titolo dell'album a suggerire una condizione al confine dell'abisso esistenziale, decisamente in linea con l'estetica doom. Musicalmente, ho adorato "Endless Mental Slavery", per la sua atmosfera pesante e meditativa, frutto di un riffing pachidermico che s'intreccia con le splendide dinamiche offerte dal violino. La title track, introduce elementi sperimentali (qualcuno li definisce addirittura dub) più marcati con ritmiche che emergono da un'intro atmosferica, a cui il violino fa costantemente da contraltare, senza scordare comunque una linea melodica notevole, sempre presente nell'intelaiatura musicale dei Contemplation. Fatto sta, che la proposta della band transalpina si lascia piacevolmente e sorprendentemente ascoltare, pur proponendo un genere di per sé, assai ostico. Eppure, con sperimentazioni vocali che mi hanno evocato un che dei Violet Cold ("Le Recours Aux Montagnes"), raffinate linee melodiche e ampie parti atmosferiche ("Dust to Dust"), il disco ha saputo conquistarmi per la sua originalità sin dalle prime note. (Francesco Scarci)

mercoledì 3 settembre 2025

She’s Green - Chrysalis

#PER CHI AMA: Shoegaze/Dream Pop
Uscito poco più di due settimane fa, 'Chrysalis' è il secondo EP dei She’s Green, quintetto originario di Minneapolis e attivo dal 2022, che si muove con disinvoltura tra indie rock, shoegaze e dream-pop. Composto da Zofia Smith (voce), Liam Armstrong e Raines Lucas (chitarre), Teddy Nordvold (basso) e Kevin Seebeck (batteria), il gruppo conferma con questa uscita un’evoluzione sonora che amplia i confini del loro sound, mantenendo intatto quel gusto etereo che li aveva fatti emergere sulla scena a suo tempo. Il risultato che ne viene fuori è un suono che coniuga densità evocativa e limpidezza: le chitarre in tremolo picking s'intrecciano malinconicamente a timbri naturali in una stratificazione che trasforma l’ambient in un organismo vivo con una poetica affascinante che lascia spazio a ogni strumento per respirare e mantenere la propria identità. Questo è quanto si evince già in apertura con "Graze", un crocevia di immagini intense che, a braccetto con la potenza sonica dei nostri, instaurano un’atmosfera d'inquietudine palpabile. A ruota segue "Willow", più vibrante e ritmata, in cui la voce di Zofia, si fa fragile ma urgente, e sembra stagliarsi calda al tramonto, al termine di una giornata di fine estate. "Figurines" è più introspettiva e forse troppo melliflua per il sottoscritto, con quel suo dream pop assai spinto, mentre "Silhouette" opta per un minimalismo (anche nella durata) romantico e poetico, costruendo un climax emotivo soffuso e sospeso. A chiudere il tutto, ecco "Little Birds", la giusta conclusione per un lavoro del genere, una traccia commovente, un vellutato ed etereo viaggio intimistico nel profondo delle nostre anime. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)

martedì 2 settembre 2025

Tetramorphe Impure - The Sunset Of Being

#PER CHI AMA: Death/Doom
Immaginate un crepuscolo che non svanisce mai, un orizzonte avvolto da una nebbia di piombo che inghiottisce ogni barlume di luce. Ecco, questo potrebbe essere il mondo evocato da 'The Sunset of Being', debutto discografico dei Tetramorphe Impure, via Aesthetic Death, dopo una gavetta durata quasi vent'anni nel sottobosco italico. Quello che vi presento, è il progetto solista di Damien, uno che ha suonato nei Mortuary Drape ai tempi di 'Buried in Time', e che ha pensato bene di tuffarsi nel funeral doom, dopo aver esplorato il black con i Comando Praetorio. E cosi, affondando le radici negli abissi di band quali Thergothon e Skepticism, il buon Damien si è lanciato con questo monolite sonoro in una scena doom sempre più affollata di epigoni, cercando di distinguersi dalla massa, nel trasformare la lentezza in un'arma affilata, un suono che non aggredisce ma erode. Forte di una produzione curata e incisiva, il lavoro si conferma come un'opera di oppressione sonora capace di sfoggiare un suono plumbeo, denso come fango che inghiotte ogni passo, dove il basso rimbomba come un tuono sotterraneo e le chitarre si trascinano in riff corrosivi che sembrano scolpiti nella roccia erosa dal tempo. Non c'è spazio per troppi fronzoli qui, gli arrangiamenti privilegiano una stratificazione essenziale, con il drumming che procede a ritmi funerei e accelerazioni sporadiche che evocano un cuore in affanno, e il basso che funge da spina dorsale, ancorando il tutto in un abisso di gravità. Quattro pezzi per quasi 40 minuti di musica in cui le chitarre, avvolte in un pesante velo di distorsione, si muovono in territori death, mentre sporadici inserti di tastiere aggiungono un velo di nebbia eterea, senza mai alleggerire il fardello che questo disco si porta. Nell'apertura affidata a "Forsaken Light", emerge subito un senso di abbandono, con immagini di discesa verso l'oblio che riecheggiano le angosce esistenziali di un mondo che sta per cadere a pezzi, e in cui Damien infonde il proprio tocco personale, nel proporre un death doom intriso di una malinconia goticheggiante, alternando peraltro growling vocals a un pulito intonato e spettrale. "Night Chants" sembra rallentare ulteriormente, sebbene non manchi una sfuriata death dopo un paio di giri d'orologio, ma è da qui che si aprono passaggi più crepuscolari, quasi esoterici e decisamente più originali per l'economia dell'album. "Spirit of Gravity" mostra il suo cuore oscuro, chiamando in causa, nelle sue linee di chitarra, un che dei primi Paradise Lost, in un pezzo che si palesa con un pesante rifferama doom e un'alternanza vocale ipnotica e sinistra. Infine, la title track chiude il cerchio con una violenta discesa negli abissi, dove i growl si dissolvono in clean malinconici, accompagnati da timide tastiere che evocano un tramonto eterno – un finale che incarna la dissoluzione, rendendolo il culmine significativo di un album che non concede redenzione. (Francesco Scarci)

Novarupta - Astral Sands

#PER CHI AMA: Post Metal/Post Rock
I Novarupta sono una one-man band svedese, capitanata dal poliedrico Alex Stjernfeldt, ex membro dei The Moth Gatherer. Nel 2025 il factotum scandinavo ha fatto uscire il quarto lavoro, 'Astral Sands', che va a chiudere un ciclo ambizioso di quattro album, che era nato nel 2019 come una sorta di supergruppo underground. In questi sei anni, la band ha scavato un solco profondo nella scena post-metal e sludge, distinguendosi per un approccio collaborativo che vede ogni album della loro tetralogia elementale, ospitare una parata di cantanti ospiti dal mondo metal estremo. Questo quarto capitolo, dedicato alla terra, conferma la band come una forza creativa nell'ambito post-metal, dove lo sludge si fonde con echi shoegaze e post-rock, bilanciando egregiamente introspezione e intensità, senza per forza cadere nel cliché. Il suono di questo nuovo disco non si discosta poi molto dai precedenti, offrendo un approccio mid-tempo contemplativo e atmosferico, privilegiando una tiepida stratificazione sonora piuttosto che l’assalto frontale. Le chitarre, centrali negli arrangiamenti, alternano riff corrosivi e grooveggianti a linee melodiche eteree, supportate da un basso solido e una batteria che varia tra groove cadenzati e fill dinamici. Parlavamo di ospiti e non potevano mancare nemmeno qui con una serie di collaborazioni vocali che rappresentano il vero asso della manica della band: si va infatti da Jonas Mattson (Deathquintet) nella splendida "Seven Collides" a Martin Wegeland (dei Domkraft) nella conclusiva "Now We Are Here (At the Inevitable End)", passando attraverso la poetica di "The Bullet Shines Before Impact", in compagnia di Kristofer Åström (Fireside) e scavando nell'anima attraverso le malinconiche melodie di "Endless Joy", dove a dividersi la scena, troviamo Per Stålberg (Divison of Laura Lee) e il musicista dronico Johannes Björk. Il disco è delicato, emozionale, maestoso, vario e non solo per l'alternanza vocale dietro al microfono. È un lavoro che tocca le corde dell'anima in ogni suo frammento, e per questo l'ho amato sin dal primo ascolto. Vi basti ascoltare un pezzo come "Terraforming Celestial Bodies", dove alla voce troviamo Arvid Hällagård (Greenleaf) e ve ne innamorerete immediatamente. Per non parlare poi della successiva "Breathe Breathe" con un ottimo Patrik Wiren (Misery Loves Co) a regalare una performance ineccepibile per un disco davvero avvincente, che mi sento di consigliare a 360°. (Francesco Scarci)

lunedì 1 settembre 2025

Enzø - Noisy Ass Makes You Smile

#PER CHI AMA: Alternative/Hardcore/Psichedelia
Prendete la ritmica di un brano come "Then Comes Dudley" dei Jesus lizard, solo la ritmica mi raccomando, e immaginatela il più distorta possibile. Aggiungete un po' di sano sarcasmo e critica agli usi e costumi della società odierna, poi un pizzico di quell'attitudine caotica che richiama certe idee dei DNA, riviste con un taglio alternative/hardcore molto aggressivo e istintivo, come vi capiterà di ascoltare anche nel brano, diciamo piacevolmente astratto, "Pazzi Smith" degli Enzø. Ecco, se riuscirete a mettere insieme tutto il mosaico, avrete una vaga idea sonora di quello che propone il duo beneventano. Sulla linea dei Lighting Bolt, con un'idea di canzone più accessibile e meno sperimentale, la band suona veramente in modo pulsante, rumoroso e dinamico, e spesso si sente anche una buona vena psichedelica di memoria grunge. Il progetto è composto solo da un batterista e un bassista/cantante, il quale riesce sempre a distinguersi nel marasma sonoro prodotto, per un bel timbro vocale potente e una certa attitudine alle melodie orecchiabili, sempre di giusto impatto, che fanno da contraltare al suono quasi perennemente ultra distorto dei nostri. Il singolo "Wah" resta un must di questo disco, per immediatezza e fluidità, con annesso un video assai carino. "Ballad of Enzø" è bellissima e ricorda la follia di certi Primus mischiati al Tom Waits più sbilenco e distorto. Anche la ritmica di "Les Good to Sail in a Pool of Clay", nella prima parte ricorda i Primus di un tempo (e non solo per il suo titolo bizzarro), e in generale, il funk metal degli anni '90. Nel suo insieme il disco è molto buono e stimola l'ascoltatore a valutarlo da tante angolature diverse, grazie a un sound monolitico che a suo modo è in continua mutazione. Basti pensare a "Pigface" che, complice un cantato davvero potente e un sound ipnotico, inaspettatamente, mi porta alla mente la voce e la forza irriverente e devastante dei Venom o quella di Tom Gabriel Fischer nei Trypticon. Alla fine, questo nuovo album degli Enzø, con una bella e folle copertina curata da Maria Caruso, e dal titolo 'Noisy Ass Makes You Smile', dove già il titolo la dice lunga, si dimostra una lunga e interessante carrellata di idee che mettono in mostra il modo rude, scarno e contorto di esprimersi dei due musicisti, di fare musica alternativa senza troppe regole. E la Overdub Recordings ha pensato bene di non farsi scappare questo progetto. La buona musica alternativa in Italia esiste ancora, magari come in questo caso, non cantata in lingua madre ma a tutti gli effetti, ancora esiste e resiste. (Bob Stoner)

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sabato 30 agosto 2025

Urban Cairo - Dysphoria

#PER CHI AMA: Alternative Rock
Fin dal primo ascolto, l'impressione che ci lascia il nuovo lavoro del trio alessandrino degli Urban Cairo, band devota al DIY e nel rooster della Scatti Vorticosi Records, è molto positiva, e anche se risulta un tantino derivativo, è pieno di energia, genuino e reale. Le canzoni sono urlate come ai bei tempi di 'Feedtime' dei Motorpsycho, con le storture vocali dell'alternative più radicale, con i suoni del primo grunge e l'urgenza creativa che spinge da tutti i pori, una ribellione che non è più di questi tempi. Un disco normale se rimpiangiamo l'epoca di 'Bleach' dei Nirvana, con tutti i crismi del periodo, per un genere musicale che fa dell'istinto sonico un'arma bianca, un suono immediato che non lascia spazi a fronzoli tecnologici o a beghe da school of art. Il punk, il grunge e l'alternative che si sormontano e sorpassano nella corsa all'espressività garage, che a volte risuona anche nel ricordo dei Mudhoney, come in "Land(e)scape", o dei Fugazi, e mi piace immaginarli con il cantato in lingua madre, se non fosse per l'uso dell'inglese nei testi, una sorta di Gazebo Penguins dispersi nella Seattle dei primi anni '90. 'Dysphoria' è il titolo del secondo full length della band piemontese, ed è un bel disco fatto di cuore e sudore, spuntato dal sottosuolo e suonato con una gran bella energia, niente di eclatante ma qualcosa di sicuro impatto, come accade per il brano "Brush", con quel riff che lo ricordi al primo ascolto ma che viene sputato in faccia, ancora e ancora una volta, come si deve fare e come si faceva a modo, qualche decennio fa. "Dinah' Sour" richiama i Buffalo Tom di 'Birdbrain', mentre "Daisy's Charm" si sposta verso i Dinosaur Jr, con uno stile di ballata distorta e melodica che tocca le corde oblique del cuore, perché in quest'album, l'urgenza espressiva è l'arma segreta che risulta vincente. Il brano "The Nun" fa il verso ai sottovalutati Bush, e per questo, è evidente che non tutto risulti originale, per quanto sia grande l'ammirazione per il modo di fare musica di questo tipo. Alla fine potete comunque sparare nelle casse del vostro stereo questo disco senza alcuna remora, vi farà rivivere vivide emozioni, purtroppo oggi troppo frettolosamente dimenticate. (Bob Stoner)

(Overdub Recordings - 2024)
Voto: 75

https://urbancairo.bandcamp.com/album/dysphoria

mercoledì 27 agosto 2025

The Pit Tips

Francesco Scarci

Habitants - Alma
Daron Malakian & Scars on Broadway - Dictator
Midas Fall - Cold Waves Divide Us

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Alain González Artola

Lacuna Coil - Sleepless Empire
Vermilia - Karsikko
Brozen Hall - Honor & Steel

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Death8699

Anathema - Judgement
Grave - Fiendish Regression
Morta Skuld - Creation Undone

martedì 26 agosto 2025

Akhenaten - Gods Of Nibbirus Vol.2

#PER CHI AMA: Instrumental Cinematic Eastern Metal
'Gods Of Nibbirus Vol.2' è una nuova compilation interamente strumentale, la seconda dopo quella del 2019, firmata Akhenaten, stravagante progetto di metal dalle fortissime influenze mediorientali, originario di Manitou Springs (Colorado). Il sound della band dovrebbe avere una base black/death, arricchita da influenze folk mediorientali, ma qui sono quest'ultime coadiuvate da suggestioni cinematiche a prendersi la scena. Eppure, i nostri si sono costruiti una solida reputazione nella scena con tre dischi estremi, cantati e ben suonati. Ma torniamo al presente: forti di una produzione nitida e teatrale, dotata peraltro di atmosfere epiche e magniloquenti, il duo statunitense si diletta a proporci egregie orchestrazioni che assumono i connotati di colonna sonora da film colossal. Chiaro, io personalmente, li preferisco quando c'è un bello screaming a narrare di occultismo, teorie cospirative o mitologia egizia, ma è innegabile come il tono solenne dell'opener "Anunnaki Requiem" sia colmo di una certa tensione mitologica, impostando un tono epico e misterioso sin dall'inizio. O ancora, come la seconda "Echos of the Celestial Architects" mostri un'atmosfera sospesa, grazie a una costruzione lenta, ma evocativa, che lascerà un forte senso di maestosità. I pezzi si susseguono con questo piglio visionario, cinematografico, potente e soprattutto immersivo, che ci proietterà per oltre 60 minuti, in altri mondi e tempi dell'universo. (Francesco Scarci)

giovedì 21 agosto 2025

Fïnnr’s Cane - S/t

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
The Canadian project Finnr’s Cane is definitely an original one. Firstly, although its core influence is atmospheric black metal, this band transcends boundaries between genres by incorporating influences from doom, folk, and post-metal, achieving a unique result. Furthermore, there is no proper bass guitar; instead, they use a cello and keys to create a distinctive and mournful layer that helps to shape this project’s sound.

With the aforementioned ingredients, Finnr’s Cane has released some interesting albums, taking its time to release each of them. This is no exception with the self-titled new opus, which sees the light of day seven years after their previous effort entitled 'Elegy.' The new album goes further in the distinguishable mixture of influences that has defined Finnr’s Cane’s career. It is almost impossible to limit them to a single genre, and this self-titled album won’t make things easier. An increasingly distant atmospheric black metal influence is enriched with many doom metal influences and folk touches. The vocals are also one of the most distinctive elements of this album; with a few exceptions where they sound more aggressive, they are generally clean and mournful, usually in the form of a plaintive chorus or an individual voice. I personally like this use as an occasional resource, as it enhances the sad feeling, but I would incorporate more aggressive vocals as a contrast to the melodies created by the instruments. Pace-wise, the album focuses on mid and slow tempo sections, although variety is also a key element, and faster sections are included throughout the different compositions. The cello and keys form the core sound of this album, and they are indispensable. The most memorable melodies are created by these instruments, as they help to forge the melancholic atmosphere that envelops the entire effort. The second track, "Twilight Glow," is a fine example of saddening yet beautiful melodies.

"The Everwinter Grey" is one of my favorite tracks, with the cello opening the piece with a truly mournful melody. The composition has an even stronger atmospheric touch and varied structure, where typically slow doom metal sections are combined with fast ones, while always maintaining a gloomy feeling. The album closer, "Harvest," is another strong moment on this album. It contains some beautiful melodies and is probably one of the most melancholic tracks, with the cello playing a major role alongside these post-folk influences.

'Finnr’s Cane' is definitely a very personal album and one that will satisfy the appetite for a mixture of genres where melancholy and introspection reign. I personally would prefer a different approach to the vocals, but I always appreciate the effort to create something true to the artist’s musical vision. Another positive aspect, at least in my case, is that the album improves with further listens, which is always a good conclusion. (Alain González Artola)

(Nordvis Produktion - 2025)
Score: 75

https://finnrs-cane.bandcamp.com/album/finnrs-cane

mercoledì 20 agosto 2025

Inhuman Condition - Mind Trap

#FOR FANS OF: Death/Thrash
This is the third full-length disc I’ve purchased from the band. I picked up 'Rat God' (2021) and 'Fearsick' (2022), their previous two releases, and they were absolute gems! This new release I feel gets a solid “75” as it is consistent throughout musically, but the recording quality is not the greatest. You kind of have to crank the stereo to get it audible; nevertheless, the riffs/vocals/drums are all solid. Some songs have their own unique catch to them. This band doesn’t play with super fast tempos, their music lies within the death/thrash metal mix. I’ve been aware that since their first was released in 2021. Musically, they sort combine the heaviness of bands say like Obituary (hence, Terry’s main band) and the thrash-like essence of say Megadeth, reminiscent of their 'Countdown to Extinction' (1992) release, be it the riffs and tempos ranging from slower to moderate and again not going super fast.

The vocals are an acquired taste and their sound overall tends to be a little “flat” on the recording, just the riffs are quite good in general. I’d say that the music reflects more of a death metal band and not so much a thrash metal one. In any case, I’m forever a fan! They’ve got this sort of “groove” to their music, not necessarily groove metal, but a beat or vibe that’s easy to get into. Their music is HEAVY, but it’s not necessarily “dark” by any means. The lyrics might be, but not so much any of the songs.

Nine songs here total, clocking in at about 31 minutes in length. They all collectively good, but if I would choose at least two to check out first, maybe: "The Betterment Plan" or "Chaos Engine." Check out either of those songs; especially if you have no idea what exactly to look for with this band. No surprise that they’re solely Florida based, so many death metal bands have come out there date back to the later 80s! And I was not aware of this, but their guitar player Taylor Nordberg is also in Deicide, among others. It seems that all the members are in other bands, however.

Enjoy this, especially if these examples of whom their styles reflect yours and are on your radar! (Death8699)

(Listenable Insanity Records - 2025)
Score: 74

https://inhumancondition.bandcamp.com/album/mind-trap

lunedì 18 agosto 2025

The Ravenous - Assembled in Blasphemy

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Horror
Rozzi, brutali, marci. Tutti questi aggettivi dovrebbero rendere l’idea di quello che sono i The Ravenous. Il cast che compone questo gruppo ha una sua rilevanza nel panorama musicale: Chris Reifert (Autopsy), Killjoy (R.I.P., ex Necrophagia) e Dan Lilker (ex Brutal Truth, S.O.D., Anthrax e tante altre band). Bene, questi folli (è il caso di dirlo) hanno composto un album fatto da riff di chitarra semplici e malati dove la registrazione è volutamente grezza, e con queste peculiarità sin qui esposte, trovo anche delle forti somiglianze con i Necrophagia (complice la voce del frontman). Nei brani dei The Ravenous si possono ascoltare parti tipicamente death senza disdegnare sfuriate black. La voce di Killjoy è furibonda e indemoniata, mai doma, sempre in continuo cambiamento per tutta la durata dell’album. I testi sono di chiara ispirazione splatter-gore, chiaramente un tutt’uno con la splendida copertina veramente realistica e vomitevole. Per chi ama le emozioni forti.

(Hammerheart Records - 2000)
Voto: 70

https://www.metal-archives.com/bands/The_Ravenous

domenica 17 agosto 2025

Kim Gordon & Loren Connors

#PER CHI AMA: Ambient/Drone/Noise
Nell'abbrivio ("Movement 1") metem-psychotico sono esplicitate le istanze atomistiche del concept, qualcosa che ritorna ancora ("Movement 3") e ancora ("Movement 4") e ancora (esatto, "Movement 5"). Un acronico e sonnolento climax eiaculatorio e immensamente diffratto ("Movement 2"). Barriti, immanenza, la voce di Kim, una sofferenza atonica, atonale, ancestrale (di nuovo "Movement 5") che diventa attesa dolorosa e ribollente ("Movement 6"). E poi la sospensione molecolare del cosmo intero, ora ("Movement 7"), e ancora ("Movement 8"), nell'attesa vana sebbene inesorabile, sedicentemente catartica, dell'apocalisse western-sonica prossima ventura (di nuovo "Movement 8"). Fotografia sgranata, le luci servono solo per i profili. Fumo. Kim Gordon backwoman e Loren Connors bluesman shoegazer, distillano su vinile i migliori trentasette minuti estratti da una nota improvvisazione della durata complessiva di oltre un'ora e mezza datata dicembre 2014 all'Issue Project Room di New York. Estasi o noia. Nessun compromesso. Estasi o noia? C'è il video su Youtube. (Alberto Calorosi)

sabato 16 agosto 2025

Below the Sun - Immanence

#PER CHI AMA: Post Metal
Che fastidio che il nuovo album dei Below the Sun, sia rimasto in forma digitale. Sebbene discogs riveli che esista una release fisica, io di tracce nel web di quel formato, non ne ho trovate. 'Immanence' comunque è il nuovo viaggio musicale profondo e introspettivo del duo di Krasnoyarsk, che esplora tematiche esistenziali attraverso sonorità avvolgenti e atmosferiche. Con questo nuovo lavoro, la band prosegue nel costruire il proprio sound distintivo, mescolando elementi di post-metal, doom e ambient, sfoggiando sei nuovi pezzi che prendono alla gola sin dalle note iniziali dell'intimistica "Instinct", che si muove all'altezza di un bivio tra sonorità sludge e post metal. Quest'ultime che si prendono la scena nella successiva "Restraint", un brano in bilico tra pesantezza e melodia, un equilibrio sofferto tra il post rock iniziale e l'asfissiante doom che si palesa a metà brano, con le vocals che da growl passano a un pulito emozionante in un crescendo emotivo (e musicale), che lascia quasi senza parole. Un clamoroso passo in avanti rispetto al vecchio disco 'Alien World', ormai datato 2017, una maturità acquisita che potrebbe rendere i Below the Sun significativi almeno quanto i Rosetta, per non dire anche qualcosa di più. Il che si conferma anche nella cerebrale e distorsiva potenza di "Being" o nell'essenziale musicalità di "Beholder", un pezzo più sperimentale ed etereo che avvicina i nostri a una band come gli Explosions in the Sky, in un'architettura sonora ben più morbida rispetto agli altri brani (fatto salvo per la strumentale "Illumination"), ma dotata comunque di una raffinatezza e un approccio onirico di un certo livello. "Revelation" è la traccia di chiusura, una specie di epopea progressive shoegaze che combina riff lenti, clean vocals e orpelli vari che avvicinano i Below the Sun a territori probabilmente mai esplorati. Il brano inizia in modo soft, con vocalizzi appunto shoegaze e un crescendo che culmina in un finale maestoso, a sancire quanto realmente sia interessante questo disco e quanto mi continuino a girare le scatole per non averlo ancora trovato in un formato fisico. (Francesco Scarci)

giovedì 14 agosto 2025

Ereb Altor - Hälsingemörker

#PER CHI AMA: Viking/Epic
'Hälsingemörker', l'ultima epica creazione degli Ereb Altor, trascina l'ascoltatore in un viaggio attraverso paesaggi sonori maestosi, dove regnano atmosfere cupe e ancestrali echi della mitologia nordica. La leggendaria band svedese, maestra nell'arte di fondere viking metal e doom in un'unica, possente visione, forgia ancora una volta un universo musicale di rara potenza e complessità. Fin dalle prime, folgoranti note di "Valkyrian Fate", si percepisce l'intensità titanica con cui il gruppo scandaglia i misteri più profondi della natura e delle saghe norrene. Gli intrecci di melodie epiche e riff devastanti creano una cattedrale sonora monumentale, sublimata dalla voce cristallina e potente di Mats, sostenuta da cori che evocano gli spiriti degli antichi guerrieri. La sua performance vocale è un'autentica epifania: attraversa l'intero spettro emotivo umano, regalando momenti di connessione mistica che toccano l'anima. La produzione raggiunge vette di eccellenza assoluta, scolpendo ogni singolo strumento con precisione chirurgica, senza mai sacrificare quell'aura greve e atmosferica che avvolge l'intero capolavoro come una nebbia ancestrale. I brani si dispiegano in un equilibrio perfetto tra passaggi melodici di struggente bellezza e sequenze frenetiche che scatenano tempeste sonore, mantenendo l'ascoltatore in uno stato di costante, elettrizzante tensione. Tra le gemme di questo tesoro musicale, brillano la già citata, gloriosa opener, la misteriosa "Vi är Mörkret" e la travolgente "Träldom": tutte forgiate con ritmiche possenti avvolte da un misticismo epico che fa tremare le fondamenta di Midgard. "Ättestupan" introduce invece una tonalità più malinconica e solenne, offrendo un momento di pausa riflessiva dove l'anima può contemplare l'infinito, mentre "The Waves, the Sky and the Pyre" sembra addirittura pervasa da un'aura di sacralità primordiale. 'Hälsingemörker' si erge come monumento definitivo al talento sovrumano degli Ereb Altor: un'opera che conquisterà non solo i devoti seguaci della band e i cultori del genere, ma anche nuovi esploratori in cerca di sonorità epiche capaci di trasportare l'anima in regni inesplorati. La loro capacità di incarnare e far rivivere l'essenza più pura della cultura viking metal rimane leggendaria e ineguagliabile, consacrandoli definitivamente come i supremi maestri di questo stile immortale. (Francesco Scarci)

(Hammerheart Records - 2025)
Voto: 80

https://erebaltorhhr.bandcamp.com/album/h-lsingem-rker