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lunedì 16 dicembre 2019

Ovunque - C'era una Volta Ovunque

#PER CHI AMA: Experimental Alternative Rock
Era il primo ottobre 2018 quando uscì 'C'era una Volta Ovunque', opera prima degli eugubini (e fatevi una cultura, sono gli abitanti di Gubbio no) Ovunque. Quello che mi ha stupito della band è la forza, anche a distanza di un anno, di spingere il loro lavoro e allora eccomi qui a parlarvi di questo disco strumentale di otto tracce che abbraccia rock alternativo, psichedelia e sperimentalismi vari. L'album si apre con il riffone di chitarra di "Ragno", una song che mi ha evocato per certi versi i vicentini Eterea Post Bong Band, la band che mi sentirei di affiancare maggiormente ai nostri per ciò che concerne le influenze comuni. "Spigoli" ci dà una versione più psichedelica del duo formato da Federico Gioacchino Uccellani (chitarra) e Jacopo Baldinelli (batteria), proponendo un sound che affonda le proprie radici nella musica seventies, sebbene i violenti e distorti riffoni qua e là nel brano, sembrino dire altro. "La Bestia" è un pezzo oscuro dal flavour blues rock, ipnotico quanto basta nel riproporre in loop lo stesso giro di chitarra per i primi 60 secondi, per poi imbestialirsi nella sua ruvida componente ritmica che ci regala comunque qualche delizioso gioco di corde. "Maledetta" è sicuramente il pezzo più lungo del cd, oltre sette minuti di musica, il cui incipit mi ricorda qualche delirante e nevrotica melodia di basso dei Primus. Anche qui il ridondante riproporre lo stesso giro di chitarra ha la disturbante funzione di deviare la mente dell'ascoltatore in architetture ritmiche svincolate da schemi precostituiti, il che tradotto significa che dovrete aspettarvi tutto e il contrario di tutto in snervanti e fuorvianti linee ritmiche. Era lecito no attendersi qualcosa del genere, considerate le mie premesse relative agli sperimentalismi o ancor prima allo status eugobino dei nostri. Scherzo ovviamente, ma è inevitabile che sia divertente, al contempo complicato, ascoltare le prodezze sonore di questo psicotico duo, che ha ancora tempo di ubriacarci e farci perdere i sensi con la follia monolitica di "18 Soffi" o quella più hard rock oriented di "Un Luogo Asciutto", ove la chitarra sembra il verso di un'anatra nello stagno. E visto che si parla di animali, ecco arrivare "Gnu 2" e ancora una volta gli strumenti sembrano emulare versi di bestie (anche se non so se lo gnu faccia esattamente quanto proposto dalla 6-corde in questo pezzo), per poi affidarsi ad una seconda parte decisamente più stentorea. A chiudereil disco "Io Non Porto Cappelli Blu", l'ultimo baluardo che ci separa dal delirium tremens e che ci dice che gli Ovunque sono una realtà da seguire con curiosità ed interesse, ma a cui mi sento di suggerire di completare il quadro ritmico con un basso e qualche altro strumento alternativo per poter davvero competere ad armi pari con i mostri sacri internazionali. (Francesco Scarci)

Timelost - Don't Remember Me For This

#PER CHI AMA: Shoegaze/Post-Punk/Dark Wave
Da Philadelphia ecco approdare al debutto i Timelost, collaborazione tra Shane Handal e Grzesiek Czapla, che con il loro 'Don't Remember Me For This', potranno solleticare i palati più affamati di post-punk/shoegaze, due generi molto spesso a braccetto tra loro, al contempo affiancati anche da una componente dark wave. Undici tracce che si aprono con "Timelost", una song che oltre a fissarsi per il chorus inneggiante il titolo, è impreziosita da ottime linee di chitarra e sicuramente una bella carica energetica. Se "Lysergic Days" non mi ha preso molto per il suo litanico vociare, con "Nausea Curtains" il duo statunitense propone un sound più ritmato che sembra evocare spettri passati. Tuttavia, il sound dei Timelost continua a non affascinarmi cosi come avrei sperato. Ci prova la title track con il suo incedere dapprima leggerino, e poi finalmente sognante, per cui sollevo finalmente lo sguardo per scrutare sullo schermo del cd il numero del brano. Eccolo lo shoegaze che stavo attendendo, con quelle preziosi linee di chitarra a creare melodie celestiali, mentre la voce rimane in sottofondo. I nostri ci prendono gusto e sfoderano un altro gioiellino con la malinconica "The River Broke Us", che esalta la performance del duo soprattutto quando si alzano i giri del motore e quelle splendide chitarre riverberate saturano i miei neuroni cerebrali. È un'escalation visto che la band riesce a mettere in fila uno dietro l'altro ottimi pezzi che pongono in primo piano lo shoegaze, l'ambito in cui i nostri sembrano trovarsi più a proprio agio. Non mancano però gli episodi in cui i nostri vanno a combinare post-punk con il grunge e penso alla breve "Heart Garbage" o alla più esplosiva "It Only Hurt Once", ma lasciatemi dire che i nostri rendono sopra la media laddove è lo shoegaze a guidare le cose, come nella conclusiva "I Know Cemeteries", song che rappresenta la summa di questo 'Don't Remember Me For This'. (Francesco Scarci)

We Lost the Sea - Triumph & Disaster

#PER CHI AMA: Post Rock Strumentale
Era addirittura dal 2013 che non recensivo qualcosa degli australiani We Lost the Sea. Da allora le cose sono cambiate parecchio: in primis la band è diventata completamente strumentale e quelle che erano le divagazioni post-hardcore dell'epoca, hanno lasciato ora il posto ad un post-rock cinematico che sento più influenzato dallo stoner piuttosto che da correnti più estreme. Alla fine quel che ne esce è 'Triumph & Disaster', il quarto lavoro dell'ensemble di Sydney, che ci narra la personale visione post-apocalittica di un mondo ormai al collasso, attraverso gli occhi di una mamma e suo figlio, in quello che è il loro ultimo giorno sulla Terra. Non certo rassicurante concordo, ma la musica funge da narrazione alla distruzione e alla tragedia incombenti. E "Towers" non poteva che essere la migliore song ad aprire le danze, attraverso i suoi controversi 15 minuti in chiaroscuro, che descrivono adeguatamente le emozioni che emergono da quel susseguirsi di eventi catastrofici che sanciscono la fine dell'umanità. Il tutto è fatto con un'alternanza certosina tra pesanti parti ritmate, frangenti ambient e fragorose ritmiche rallentate, che suonano come una marcia funebre a celebrazione del morto, in questo caso il nostro bistrattato pianeta. "A Beautiful Collapse" parte più in sordina, anche se quelle note cosi morbide suonano come un avvertimento, il classico monito per un'umanità ormai destinata a soccombere. Il muro ritmico risulta stratificato tra tre chitarre, basso, batteria e tastiere ad investirci quindi con una maggior veemenza. "Dust" è un breve intermezzo che si affida per lo più ad una chitarra acustica e a quella che mi pare essere una tromba che mi evoca un che dei nostrani At the Soundawn. Con "Parting Ways" ci si appresta ad affrontare un'altra bella maratona di oltre 12 minuti, che si apre sempre con quella raffinatezza ed eleganza che contraddistingue il sestetto australiano, con un ritmo che va via aumentando, fosse quasi il battito del cuore che assiste impietrito allo scatafascio generale. Interessante ma sembra quasi monca, una voce qui avrebbe rimediato a quel senso di vuoto che talora affiora dall'ascolto del brano. "Distant Shores" è ancora un esempio di malinconici suoni acustici dal flavour quasi country che ci introducono alla terza sfacchinata di oggi, i quasi 15 minuti di "The Last Sun", che rappresentano l'episodio più violento del disco, almeno nel suo incipit, visto che poi a prendere il sopravvento è una lunga parte acustica che si protrarrà ben oltre la metà del brano. Anche qui, con una voce a supporto, lasciatemi dire, che il risultato sarebbe stato di ben altra caratura. E finalmente la voce arriva con la conclusiva "Mother's Hymn", la voce di un angelo peraltro, che di nome fa Louise Nutting, che nella sua splendida ma tragica performance, viene accompagnata da chitarra, batteria e tromba in un inno maestoso che esalta finalmente le gesta dei We Lost the Sea, a cui caldamente consiglio di di ricorrere ad un maggior uso della voce celestiale della bravissima Louise, a quel punto vedremo sicuramente voti molto più alti. (Francesco Scarci)

Midnight Odyssey - Biolume Part1 - In Tartarean Chains

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
Black metal´s realm has been expanding during recent years, showing once again that this genre has become a magnificent cradle for more and more subgenres, which have risen from its dark core. Atmospheric black metal is undoubtedly one of the most prolific ones, both in quantity and more importantly, in quality. Among the most common topics like nature, paganism or darkness, space has become one of the trendiest ones. There are more and more bands which find a very appropriate source of inspiration in the dark vastness of the space. This theme seems to be a great one to create a particularly hypnotic form of atmospheric black metal. Among these bands, there is a one-man project which has especially shone, Midnight Odyssey. This solo project, created in 2007 by Tony Parker, known as Dis Pater, takes inspiration from the aforementioned concept, but also with lyrics dealing with the matter of death, rebirth or nature, caught the attention of some fans even in its earliest demos. This positive first impression was reinforced with the subsequent first and second albums. Dis Pater has shown an enormous talent to create a particularly absorbing form of atmospheric black metal, releasing always quality stuff, but also creating very long albums with a generous duration up to two hours. This aspect could scare off some people as it is obvious that you must have some patience to listen to the full thing. Nevertheless, the quality is in general terms quite high, and though at times some songs can sound disperse, to listen to these works is an experience worth of your time.

Having reached a cult status among fans, Midnight Odyssey is back with a third instalment, which comes four years after its acclaimed sophomore album. The creature is entitled ‘Biolume Part1 - In Tartarean Chains’ and it seems to be the first part of, I guess, a duology or maybe a trilogy. Stylistically this new album doesn´t mark a departure from the previous works as its more like a logic development in the natural search of perfectioning this sound. I am sure that almost no one will complain about this lack of rupture from the project´s trademark sound. Once again Midnight Odyssey offers an atmospheric black metal full of ambience and grandeur, with those well-known cinematic keyboards with its surround sound, making the listener feel immersed in an astral journey. It´s difficult to highlight a sole track as they all conform an immersive soundtrack, but "Biolume" is indeed one of those tracks which irremediable capture out attention making us feel flying in the unattainable sky. Dis Pater has a natural talent to create beautiful key melodies, but Midnight Odyssey´s music is not only good because of the keys, the compositions are well balanced between the most aggressive parts and the majestic mid-tempos. All the tracks contain also good executed riffs. As an album ‘Biolume Part 1 - In Tartarean Chains’ sounds like the most focused and accomplished album that Midnight Odyssey has ever recorded. The album lasts, as mentioned, more than one hour, but the tracks don´t contain an unnecessary tightening. The combination of mid-tempo, slow and slightly faster sections with the ever present keys sound better balanced than in any other release. And I sincerely I can´t imagine any fan of this genre which can´t fall in love with immense tracks like "A Storm Before A Fiery Dawn", which doesn´t have a single useless second. This song like many others, sounds as mighty and regal as this genre could demand. As a vocalist, Dis Pater is also a great talent, as his shrieks are powerful and remarkably consistent. As a great addition to the vocal performance, I can´t leave without praising his excellent clean vocals, sounding sometimes like a single dramatic voice or like an epic choir. The excellent album opener "Hidden in Tartarus" is a nice example. These excellent clean vocals have a chance of shining in several tracks of this album, but they have their own especial room in the delicate composition "Pillars In the Sky", a purely ambient track which closes the album in the most solemn way.

In conclusion, Midnight Odyssey has released with ‘Biolume Part 1 - In Tartarean Chains’,
probably the most focused and refined work to date. It can hardly beat the majesty of tracks like "From a Frozen Wasteland" from the previous album, but the whole album sounds as ethereal and grandiose as you could imagine, while it is simultaneously restrained in the duration of its tracks and it has never lost the focus on composing balanced songs. (Alain González Artola)

domenica 15 dicembre 2019

Raventale – Morphine Dead Gardens

#FOR FANS OF: Funeral Doom
An Ukrainian band which I have come to adore, these have been mostly focused around the genres of black and doom metal so far. To my delight, they announced their decision to make a Funeral Doom record earlier this year. That word is like honey to me, so I spammed their bandcamp site for something to listen to. In September the links worked, and I was finally able to enjoy the full album. And what an album it is. Where Red Moon Architect excels as to include intricate melodies into their works, Raventale proves with this release that they are just as able. The album kicks off with a deep, saturated growl, together with a slow, throbbing guitar based melody. The vocals are clear, and follows the melody nicely. The overall sound is enchanting, with it’s constant guitar tremolo piercing my ears. There’s no room to breathe during the barrage of growls and drums. After near ten minutes, a small crack appears in the scenery, and the mood lightens a bit. I’m surprised as I look at the time, since I feel I only just sat down with this record. A proof of Astaroth’s masterful songwriting. It takes quite an effort and skill to write music like this, both in terms of lenght and heaviness, but I am overwhelmed by the quality of this release. “Lorn And Deserted” brings back some of my most cherished memories from Colosseum’s legendary Funeral Doom trilogy. Masterful symphonic orchestrations of a journey into darkness and futility. The synth’s piano sound is perfectly matching the guitar, and the deep guttoral vocals serves as an underlining of it all. A recurring movement makes this track in particular stand out as the most memorable one from the album. During the remainer of 'Morphine Dead Gardens', we are treated with epic long riffs, great drumming sections, even more stellar growls and of course, all in a varied sort of way. It’s hard to say exactly what is so good about this album: is it all the miniscule moments where they play around with varied tempo, changes in vocal styles or which intruments gets the spotlight? I’m not sure, I’m just grateful that someone has made such a fantastic album for my listening pleasure. The closing track opens like a lamenting epilogue, with long guitar notes scattered across a backdrop of drums and synth. As it moves foreard, it slowly transforms into another being. A huge creature, roaring with its giant mouth. It is like a mammoth that moves steadily in the direction it pleases. It seems that nothing can stop it on its destructive path through the remainder of the album. I am left with a sense of bittersweet joy; I am awe struck by the experience, and saddened by the fact that it is over. Sure, Funeral Doom is not an easy genre to appreciate, and a lot of artists doesn’t make a good enough effort to keep me interested over the course of an entire album. This is not the case with 'Morphine Dead Gardens', as it it full of all the little surprises and differences that makes the genre something unique. From the spoken words section of “This Forsaken Place”, via the Osmium level riffs on “Morphine Gardens” to the slowly roaring machine in “As An Empty Shell”, everything seems in its right place. A well polished experience, with an amazing sound fidelity. (Ole Grung)

James Murray & Francis M Gri - Remote Redux

#PER CHI AMA: Electro/Ambient
Devo ammettere che è sorprendente come il concetto del MA filosofico della tradizione buddista giapponese sia stato messo in musica da quest'unione musicale a distanza tra Milano e Londra. Sorprendente è anche la qualità e la ricerca sonora con cui brano dopo brano, prende forma il significato, di vuoto pieno di senso, un qualcosa di emotivamente enorme ed irraggiungibile, un qualcosa di rarefatto che appaga e riempie l'anima. In queste cinque tracce più una versione estesa della splendida "Toma", James Murray & Francis M GRI ci permettono di fluttuare, di perlustrare e aprirci a viaggi interiori in un cosmo incantato, lasciandoci dissolvere in una rigenerazione sciamanica, oltre ogni confine, oltre ogni paura. Tutto questo viene espresso musicalmente attraverso il sound di un ambient puro e tradizionale, con la cura ossessiva dei particolari, piccoli interventi di chitarre e piano su tappeti di synth infiniti, tanta sensibilità e l'assenza totale del ritmo a sottolineare la potenza positiva del vuoto. Il risultato dell'intero ascolto del disco è 'Remote Redux', una lunga colonna sonora, omogenea e compatta, che segue una logica mirata ad ipnotizzare l'ascoltatore e liberarne l'emotività, a volte anche con suoni siderali, ghiacciati, immobili, statici ma nel contesto stesso, pieni di uno splendore quasi divino. I synth suonano tecnologici ma caldissimi, esprimendo sempre questa sensazione costante di vuoto. Non siamo di fronte al solito disco preconfezionato di musica ambient digitale, finta ed asettica, il calore dell'uomo e la sua ricerca interiore s'intravedono tra le note che esprimono una suggestione compositiva di notevole rispetto, tanta la capacità ed una scrittura musicale che non annoia (quasi) mai, sebbene i brani abbiano una durata impegnativa che in un caso arrivano a sfiorare i tredici minuti. Le tracce "Ma" e "Toma" sono al di sopra delle righe e bisogna ammettere che anche stavolta la Ultimae Records ci ha regalato un ottimo album (disponibile anche in formato digitale a 24bit) composto da due musicisti di classe, permettendoci ancora una volta di sognare e riflettere alla luce di un suono astrale, senza tempo ed infinito. Album da ascoltare senza remore, un piccolo gioiellino. (Bob Stoner)

(Ultimae Records - 2019)
Voto: 76

https://ultimae.bandcamp.com/album/remote-redux-2

7am - Benefit for Iggy´s Shirt

#FOR FANS OF: Punk/Garage Rock
'Benefit for Iggy's Shirt' is the 2019 release from Slovenian alternative rockers 7am - lead by Anabel on vocals and bass, Mico on guitar and vocals and Devor on drums. 7am are punk rockers at heart who play their instruments and wear their influences on their sleeves, delivering a sound reminiscent of Northern England's indie rock scene of the early 2000's with hints of Weezer and with a taste of The Ramones thrown in for good measure. Fronted by Anabel on lead vocals and bass it differentiates 7am from the male dominated vocalists of the genre making their sound fresh. Singles "Ugly Life" and "Everytime" kick off proceedings and immediately deliver a sound you can get excited about. In the midst of dull generic sounding rock pop it's great to find something authentic you can stomp your feet to. Single "I Can't Believe" transitions nicely into power rock pop whilst enjoying every sound the guitar can create. Tracks "At Least I Tried" and "Nevermore" see 7am showing their more minimal side with the sound feeling more intentional. 7am capture their raw live sound on this record mixing messy aggressive guitars, head bobbing base lines and sweet vocals with depth that set their sound apart from music in the alternative rock genre - delivering an enjoyable record from start to finish. (Stuart Barber)

giovedì 12 dicembre 2019

Außenseiter - S/t

#PER CHI AMA: Blackgaze
Dalla regione dell'Appalachia ecco arrivare gli Außenseiter (non certo un moniker tipicamente statunitense) con il loro EP omonimo, che parrebbe narrare proprio di quelle regioni montane cosi misteriosamente affascinanti. Lo dimostra subito l'opening track "Appalachia", attraverso il suo aspro blackgaze, le vocals disperate del suo frontman e le melodie scoscese propinate nei primi quattro minuti dell'EP. "Endless Fog" prosegue sulla falsariga con un sound decisamente raw che vive di uncinate accelerazioni in tremolo picking, urla disumane e qualche raro chorus che emerge dalla coltre di nebbia che impera nell'album. "Blind Existence" conferma lo status casalingo a livello produttivo puranche il genere che abbracciano questi sinistri Außenseiter in questo 4-track che con qualche miglioria a livello di pulizia di suoni, potrebbero anche risultare pienamente interessanti. Per ora, la proposta della band, confermata anche dalla conclusiva strumentale "Throw Me Into the Water", e alla stregua di quanto anche recentemente proposto dai Wounds of Recollection, rimane piuttosto acerba e necessitante di una certa sgrezzata a 360 gradi. Le potenzialità ci sono ma non possono nemmeno essere espresse in questo modo, vanno assolutamente convogliate nella giusta direzione. (Francesco Scarci)