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venerdì 22 febbraio 2013

Atman - L'Assassì de Venus

#PER CHI AMA: Black Metal, Abigor, Abigail Williams
Questa band arriva dalla Spagna o meglio dalla Catalogna (da non confondersi con l'omonima alternative rock band italiana) e questo album in cui cantano in catalano, rappresenta il loro quarto lavoro, stampato anche in vinile da “Ishtadeva Vynil Productions” (che ne ha prodotto un altro nel 2011 di cui potete ascoltare due brani sul loro space) e dalla Sun Records & Moon nel 2009. La musica attinge a piene mani dal più classico e maligno black metal, senza fronzoli, violento, tirato con voce stridente e arrabbiatissima, rallentamenti d'atmosfera sulfurei e rarefatti, ricchi di pathos e tristezza ma sempre durissimi. Sei brani per un totale di trenta minuti di attacchi ferali, taglienti, mai banali. La band è sempre sul piede di guerra e non molla mai, creando un campo magnetico che rende l'ascolto assai vitale. Il tutto ruota sui riff di chitarre perennemente presenti, un muro di suoni “zanzareschi” molto curati, pregni di melodia, atti a fondere rabbia e depressione in un unico grido di dolore. Bisogna attendere la quinta traccia dal bel titolo di “Quan la lluna Sent Nostalgia” per ascoltare la prima parte arpeggiata, per poi lasciar posto alla cattiveria, ma in questo brano dall'iniziale ed inedita cadenza rallentata ci rendiamo conto ancora una volta che gli Atman non sono una delle tante band clone ma una autonoma entità con idee ben chiare e capacità sopra la media. Il cd si chiude con “Llunny del Corriol” che non saprei tradurre ma che ci regala un tocco di classe nel genere in questione, sicuramente il mio brano preferito sia per la velocità che per la prestazione vocale che qui dà il meglio di sé in potenza espressiva e cattiveria, uno screaming con i fiocchi! Alla fine “L' Assassì de Venus” è un gran bel lavoro carico di tensione e rabbia, molto vicino a certi ottimi lavori di Abigail Williams anche se con un taglio più freddo e tagliente come lo stile dei migliori Abigor. (Bob Stoner)

(Sun & Moon Records)
Voto: 80

http://www.myspace.com/atmancatalunya

giovedì 21 febbraio 2013

Tumulus Anmatus/Strix - Anathema Rituals

#PER CHI AMA: Black Metal, Von, Hades Almighty
Un curato digipack racchiude questo Anathema Ritualis, split di due delle più significative band del black metal dell'underground italiano, ovvero i Tumulus Anmatus e gli Strix. La prima parte è dedicata ai Tumulus Anmatus i quali presentano due tracce alquanto differenti tra loro: "Leviathan" e "Dies Irae". La prima è un mid-tempo monolitico ed imponente che possiede pregiate venature mistiche e una forte cadenza ipnotica mentre la seconda è più movimentata, una composizione che racchiude tutti i canoni del black metal primordiale, la musica trascina e il ritornello cantato in italiano e di facile ricordo, da una marcia in più al tutto. Gli Strix invece ci presentano "Il Volo della Strige" e "Riti al Picco della Schiara". Il sound cala di qualità e ci avvolge in un'atmosfera più oscura e fredda. Dalle loro composizioni si respira la notte, la boscaglia, le montagne, l'ambiente della civetta che domina incontrastata la musica della band bellunese. Le tracce presentano tutti i clichè del genere, inclusa la schietta semplicità, ma esse riescono comunque ad emanare una propria personalità ed a elevarsi dalle classiche becerate black metal di cui io sono un amante. È dura giudicare due complessi tramite solo poche tracce. Personalmente non la vedo un'accoppiatta molto congeniale, proponendo due attitudini e stili diversi, il primo più sanguigno e potente, il secondo più evocativo e minimale. È palese però che i Tumulus Anmatus abbiano un songwriting e una preparazione più solida mentre gli Strix giochino di più con una componente classicista ma ancora troppo chiusa in se stessa. (Kent)

sabato 16 febbraio 2013

Ravenous – Four Steps Into Fear

#PER CHI AMA: Thrash Metal, Slayer, Exodus, Annihilator
Quattordici minuti è il tempo di questo EP dei Ravenous, band da Piacenza che presenta quattro tracce thrash metal con le tipiche sonorità degli anni '90, ed esattamente come i suddetti anni per il thrash, questo disco non è esattamente quello che si vorrebbe ascoltare. La pubblicazione è un sussegguirsi di clichè malfatti, contornati da una tecnica pesantemente opinabile che rendono l'ascolto piatto e a volte fastidioso. Il culmine viene raggiunto nelle parti soliste che si presentano con le quasi identiche impostazioni, risultando sgradevoli ed in alcuni casi completamente fuori luogo. Nonostante il drumming venga oppresso dai trigger e la voce non sia propriamente adatta al genere proposto (mi ricorda molto i gruppi death o black primordiali), gli unici attimi di calma si hanno nelle parti ritmiche, dove l'esecuzione e la composizione, seppur sfiorando la banalità, riescono a creare qualcosa di accettabile. Un esordio da dimenticare per questa band. (Kent)

The Howling Void - The Womb Beyond the World

#PER CHI AMA: Symphonic Funeral Doom
Arriva dal Texas questo nuovo lavoro di Ryan, one man band a capo del progetto The Howling Void. Il cd è il terzo full lenght per questa band dedita ad un genere di nicchia. Parliamo di symphonic/funeral/doom metal. Un genere tutto da scoprire e come figlio illegittimo del doom, sfodera tutte le sue armi nella lentezza e profondità d'esecuzione ma con una visione più moderna e suoni altamente tecnologici con un sound maestoso e ricco d'atmosfera. Suoni infiniti carichi di tristezza e sacralità imperversano le quattro lunghissime tracce di questo lavoro dalla qualità superba. “The Womb Beyond the World” vive all'insegna di trame a rallentatore, intense e fantasiose nonostante il genere di per sé confini tutte le sue strutture in un’unica lenta e ed eterna direzione. I suoni sono limpidi , cristallini, le tastiere onnipresenti e dal pathos esagerato, evocano i mondi onirici dei Dead Can Dance ma filtrati dagli occhi di Esoteric o Celestial Season. Due tracce su quattro superano i diciotto minuti e l'intero disco gode di attimi epici e apocalittici. A tratti emergono le parti vocali usate in maniera molto intelligente, atte a rimarcare quell'appartenenza alla musica del destino che la band non nasconde affatto. La voce è grave, sofferta ed evoca spettri e misticismo a volontà, tanto quanto gli interminabili passi delle keyboards usati in quantità industriali sottolineati da chitarre splendide, cristalline, pesanti e distorte coagulate da ritmi tanto lenti che sembrano non avanzare mai. Proprio questo modo di intendere e creare la composizione rende unica questa band divisa tra il sognante malinconico e la pesantezza di un vuoto che non si riesce a colmare in nessun modo. A noi piace la definizione per The Howling Void di Godspeed You Black Emperor del doom vista l'attitudine alla sperimentazione e all'evoluzione, alla voglia di rimodernare un filone musicale e liberarlo dagli stereotipi tipici del genere. Il termine funeral qui è proprio riduttivo visto l'immortalità di queste pregevoli composizioni, una sorta di colonna sonora dell'oscurità più profonda, uno sguardo drammatico, epico, diametralmente opposto, diverso e critico nei confronti di un'umanità irrecuperabile. Sicuramente un album per palati raffinati. (Bob Stoner)

(Solitude Prod.)
Voto: 90

http://thehowlingvoid.bandcamp.com/

Stroszek - A Break in the Day


#PER CHI AMA: Apocalyptic folk, Current 93, Mark Lanegan, Leonard Cohen
Stroszek era il protagonista dell’omonimo film di Werner Herzog (“La ballata di Stroszek” nella versione Italiana) del 1977, che narra, con un forte tono di denuncia, la parabola di un uomo "diverso" che la società a più riprese rifiuta, fino a determinarne l'annientamento. Pare, tra l’altro, che fosse tra i film preferiti da Ian Curtis, che lo guardò poche ore prima del suo suicidio. E proprio questo film, come si legge nelle note biografiche, ha dato il nome a questo progetto di Claudio Alcara, già chitarrista dei Frostmoon Eclipse, che personalmente non conosco ma che mi si dice essere uno dei nomi di punta del Black Metal della penisola. Dati i presupposti, le atmosfere e i temi trattati sono tutt’altro che solari, ma quella operata da Alcara, in termini di impatto, è una sterzata nettissima, quasi un testacoda, dato che si cimenta con sonorità quasi esclusivamente acustiche (pensate ai dischi solisti di Steve Von Till rispetto a quelli dei Neurosis, per esempio). Questo lavoro allinea le cinque tracce che componevano l’EP dallo stesso titolo registrato nel 2011, rimpolpando il programma con altre quattro composizioni che danno un quadro più fedele ed esaustivo della proposta attuale del gruppo, ma forse alterna in qualche modo l’omogeneità del disco. La prima metà del lavoro è caratterizzata dal connubio tra la chitarra acustica di Alcara e la voce femminile di Nat, qua e là punteggiate da qualche nota di pianoforte, come nel magistrale pezzo di apertura, “Autumnal Moon”. Siamo dalle parti di un folk, di impronta essenzialmente americana, fortemente evocativo, che ricorda per atmosfere, suoni e songwriting, i dischi di Mike Johnson o i primi lavori solisti di Mark Lanegan, al quale i vocalizzi di Nat apportano un’impronta molto personale. Nella seconda parte del disco iniziano a fare capolino percussioni e anche qualche distorsione chitarristica, come nella notevole “A Veil”. Gli ultimi due pezzi sono invece di nuovo scarni e un tantino lugubri, quasi apocalittici - alla maniera dei Current 93 - cantati dallo stesso Alcara, il cui timbro baritonale e sussurrato, nonché un po’ monocorde, ricorda un ipotetico ibrido tra Leonard Cohen e Peter Steele. Lavoro interessante, forse di transizione verso una maggiore messa a fuoco della direzione da intraprendere, ma che impone di segnarsi il nome degli Stroszek tra quelli da seguire nell’ambito del new folk. (Mauro Catena)

(Pest Production)
Voto: 70

http://www.stroszekmusic.com/

Pray for Sound - Stereophonic

#PER CHI AMA: Post Rock Strumentale, Mogway
Pray for Sound, un nome una garanzia: musica in preghiera che penetra nell'animo attraverso quell'orecchio, quel timpano che mi guarda sornione dalla copertina dell' EP, ricordandomi che la musica fatta di solo ascolto, quello vero e profondo che ti entra e ti pervade i sensi. Mi accorgo che da alcuni anni sento musica ma non ascolto ed allora chiudo gli occhi e mi concentro su "Stereophonic". La tastiera mi guida e mi trasporta lontano, in un oceano di sensazioni che mi agitano lentamente, sembra davvero di sentire in sottofondo il mare dietro una chitarra che impervia e mi risveglia da questo momento di magica preghiera. Inizia "Tympanoplasty" con la sua lentezza proverbiale, interiorizzo i suoni, ancora acqua che scorre lontana e che depura il mio animo contaminato da canzonette stile sanremese. Ecco la batteria che mi riporta alla realtà con dolcezza iniziale che poi si trasforma in agitazione interiore e mi trascina in modo sempre più vorticoso sino alla fine del pezzo. "Retrogression" mi accompagna in un'atmosfera ancora di preghiera, davvero mi culla e mi conduce in una sorta di limbo tra il sacro ed il profano anche se verso la fine diviene un pochino ripetitiva. Allora cerco di concentrarmi maggiormente, cerco di utilizzare al meglio quel senso che la copertina dell'EP mi sprona ad attivare e rientro quasi per magia nell'universo della musica, nella purezza del suono trascinato da un mix strumentale e al contempo melodico ed esplosivo. Insomma un disco da ascoltare con la mente, il cuore ma soprattutto l'anima, adatto anche a tutti coloro che come me non sono grandi intenditori ma apprezzano la buona musica quando permette di lasciarsi alle spalle una giornata faticosa e navigare senza mete precise. (Renata Palmieri)

martedì 12 febbraio 2013

Luna Ad Noctum - The Perfect Evil in Mortal

# PER CHI AMA: Black/Death, Limbonic Art, Morbid Angel, Emperor
Terzo album per i blacksters polacchi Luna Ad Noctum e un ghigno severo compare sul mio volto; eh sì, perchè quando lessi la proposta del quartetto mitteleuropeo, “lunar black metal”, ho subito pensato cosa diavolo significasse, inoltre il flyer informativo parlava di stile unico, destando subito in me parecchia curiosità. In realtà, la descrizione di questo nuovo lavoro, si può liquidare in pochissime righe: si tratta infatti di un black metal brutale, non inteso però come primordiale o grezzo, ma come una mescolanza di black e brutal death. Dal black, "The Perfect Evil in Mortal" ha preso sicuramente le diaboliche vocals, l’utilizzo di furiose taglienti chitarre e quell’aura malvagia alla Dimmu Borgir, che permea un po’ tutto il disco, creata abilmente dalle keyboards che allentano la tensione in alcuni brevi stacchi atmosferici; dal brutal death, questo lavoro ha carpito il mood, la feroce forza sprigionata dalle ritmiche devastanti dei quattro guerrieri polacchi; in parole povere, tutta l’aria pesante che si respira nel cd, trasuda di malsana brutalità. Inoltre, anche il modo di suonare, assai tecnico, paga un certo tributo al filone brutal death americano: per citare un paragone, mi viene in mente a “The Ultimate Death Worship” dei Limbonic Art, così violento ed oltranzista. La release del quartetto polacco non è dopo tutto da buttare; sicuramente risulta scontata in diversi punti e di certo non propone, come presentato dalla casa discografica, nulla di unico o stravagante, tanto meno blasfemo o senza compromessi. Il lavoro dei Luna Ad Noctum è un album onesto, che mostra una certa atipicità negli arrangiamenti, che potrà piacere sia ai fan più incalliti del death che del black, sia agli amanti di sonorità sinfoniche alla Dimmu Borgir o alla Cradle of Filth, sia agli amanti del black più intransigente ed estremista. Di black metal lunare alla fine, nemmeno l’ombra... (Francesco Scarci)

(Metal Mind Records)
Voto: 65

http://www.lunaadnoctum.com/

Blizzard at Sea - Individuation

#PER CHI AMA: Post Sludge?
Lo so, avrei dovuto recensire prima “Invariance”, EP del 2011, ma troppa era la voglia di ascoltare questo secondo lavoro degli statunitensi Blizzard at Sea, datato dicembre 2012. Per chi non li conoscesse (faccio tanto il figo io, ma li seguo giusto da un paio di mesi), la band è un trio di Iowa City, che se n’è uscito appunto con 2 EPs in digipack, a distanza di un anno l’uno dall’altro, davvero assai intriganti. Il genere? Apparentemente, si tratta di un melmoso sludge/post metal, segno del dilagante imperversare di questa tipologia di suoni. L’album apre con “Accelerating Returns”, song in cui accanto ai chitarrismi asfissianti tipici, vede affiancarsi anche tortuosi e tecnici giri di chitarra, che rendono il tutto molto particolare, in quanto si discosta non poco dai dettami classici di Neurosis e soci. La band macina pesanti riffoni, si lascia andare in pregevoli break atmosferici, graffia con incursioni stoner. Strane però poi alcune scelte armonico-melodiche, decisamente fuori dagli schemi, disarmanti addirittura nella schizofrenica “The Technological Singularity”, il che mi induce a non bollare immediatamente la band come mero clone di Isis, The Ocean o Cult of Luna. I Blizzard at Sea prendono le distanze da tutto e tutti, suonando quello che gli pare e piace, reinventando totalmente un genere, che se non mostrerà una qualche evoluzione nell’immediato, rischia seriamente di vedere un veloce declino. Fortunatamente però sono arrivati Jesse, Steven e Pat a dire la loro e nei 18 minuti della conclusiva “Longevity”, arrivano quasi ad abbracciare sonorità ambient/drone nella sua prima metà, introducendo un cantato pulito e litanico (abrogato quello caustico delle prime due tracce), per poi lasciarsi andare ad una seconda metà di brano dotata di suoni ipnotici e tribali, che mettono in mostra le doti notevoli, dietro alle pelli, del bravo drummer Pat Took ed in generale di una band, dotata di una inventiva davvero invidiabile, che arriva anche a strizzare l’occhiolino agli immensi Tool. Definiti da più parti come post sludge, io mi limito a dire che questi Blizzard at Sea sono una band davvero potente e sorprendente. Nuovo crack in ambito post? Voi che ne pensate? (Francesco Scarci)