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venerdì 24 giugno 2022

Árstíðir - Tvíeind

#PER CHI AMA: Electro/Indie
Arrivano con la medesima ineluttabilità del tuono che segue il lampo, o del sorrisino che segue la scorreggia: prima i bagliori di visibilità internazionale e poi le roboanti collaborazioni, nello specifico con artisti della nuova electrowave islandese (Ruxpin e Kippi Kanínus) e russa (Iamthenorning, Veell). E, infine, l'inevitabile raccolta di reingegnerizzazioni musicali. Accade così che l'immaterialismo celtico di "Ljóð í Sand" trasmuti in un ipercinetico quasi-jungle mix con ampie aperture space-age, una sciamannanza da inizio '00, se ci pensate, o che "Lost in You" acquisisca certa iperdrammaturgia stile Anathema per pop-morbidirsi successivamente nella seconda parte, o ancora che "Days and Night" venga permeata da quell'elettronica glaciale da ?syntax-error che ricordavate nei primi dischi dei Sigur Rós, o infine che "Á Meðan Jörðin Sefur" (reinterpretata da una anodinica vocina femminile) e "Shades" acquisiscano, seppure in modi assolutamente differenti, certe sinestetiche sensazioni metereologiche poi ampiamente esplorate nel successivo 'Hvel'. Accade, sì. E non ci puoi fare niente. (Alberto Calorosi)

martedì 15 febbraio 2022

Árstíðir - Hvel

#PER CHI AMA: Folk Rock
L'introduttiva "Himinhvel" è una specie di requiem celtico come lo suonerebbero dei Solstafir che affondano al largo delle Fær Øer maledicendo Odino (ma a differenza del conterraneo Aðalbjörn Tryggvason, questo Daníel Auðunsson è capace di cantare), mentre "Things You Said" è un rassicurante folk cameristico turbato da repentine pennellate emozionali, qualcosa, se possibile, a metà tra i Mostly Autumn più primaverili e i Fleet Foxes meno anticoncezionali. Nella sfolgorante tensione emotiva generata dalla giustapposizione delle due tracce introduttive dell'album è individuabile l'intero weltanschauung musicale di questo album e più in generale degli Árstíðir medesimi. Armatevi di fazzoletti. Da una parte i C-S-N-Y intirizziti di "Someone Who Cares" e i Kings of Convenience dal radiologo di "Moonlight", forse anche gli Inti tecnoillimani (ommadonna) di "Vetur Að Vori". Dall'altra le tonalità bistrate e intimamente atmosferiche dello strumentale "Ró", ma anche "Shine", "Unfold" e di quella straordinaria bossa nordica intitolata "Friðþægingin", qualcosa che St(ronz)ing donerebbe uno dei suoi una-volta-tantricissimi testicoli pur di saper (nuovamente) scrivere. (Alberto Calorosi)

(Beste! Unterhaltung - 2015)
Voto: 80

https://arstidirsom.bandcamp.com/album/hvel

domenica 5 dicembre 2021

Árstíðir - Live in Dresden 2013

#PER CHI AMA: Indie/Folk
Registrato nella secentesca Dreikönigskirche, una (mica tanto) pittoresca chiesolona situata nel centro di Dresda, nel corso del minitour in supporto di 'Svefns Og Vöku Skil', questo eccellente live di soli trentuno minuti beneficia oltremodo del riverbero acustico caratteristico dei luoghi di culto che assurge a una sorta di amplificatore emozionale del suono, tanto nei momenti più intimi ("Orð Að Eigin Vali" e "Days and Nights") quanto nelle più ardimentose galoppate interiori ("Á Meðan Jörðin Sefur" o lo straordinario medley "Shades / Tárin"). Niente preti dei miei stivali, niente sermoni, ostie da benedire né fedeli da intimorire. Sei canzoni derivanti dal già citato 'Svefns Og Vöku Skil', una dal precedente 'Árstíðir' e una dal successivo 'Verloren Verleden'. Senz'altro il modo più logico e moderno di utilizzare una strabenedetta chiesa. In chiusura, una fantasiosa versione a cappella del tradizionale islandese "Heyr, Himna Smiður" registrata nella stazione dei treni di Wuppertal, il cui video raggiungerà una certa, inspiegabile, web-virulenza. (Alberto Calorosi)

domenica 12 maggio 2019

Anneke Van Giersbergen & Árstíðir - Verloren Verleden

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Indie Acoustic
Dieci limpidissimi e lamentosissimi lieder di provenienza assortita nello spaziotempo, limpidamente e nordicissimamente arrangiati utilizzando piano barra quartetto d'archi (di solito un violino e tre violoncelli) oppure chitarra barra quartetto d'archi (rispettivamente: "Bist Du Bei Mir", di Gottfried Stölze, compositore barocco coevo di Bach e il tradizionale inglese fine 800 "Londonderry Air - Danny Boy" di Frederic Weatherly) oppure limpidamente e noiosamente interpretanti a cappella ("Heyr Himna Smiður", Árstíðir) o quasi-a-cappella (il tradizionale islandese "Þér ég Unni", non-arrangiato dagli Árstíðir e già proposto nel live a Brema del 2013). Il torpore è allontanato di tanto in tanto, quando l'asticella emotiva sale intenzionalmente di qualche tacca (la summenzionata "Londonderry Air", ma anche "Russian Lullaby", Irvin Berlin, 1927, "A Simple Song", Leonard Bernstein per Zeffirelli, 1972, e pure il romanticismo nordico di "Solveig's Song", Edward Grieg dal Peer Gynt, senz'altro il più prossimo allo spleen Árstíðir) a scapito, provvidenzialmente, di un certo soggiacente e fastidioso narcisismo di fondo. (Alberto Calorosi)