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martedì 25 novembre 2025

Nornes - Thou Hast Done Nothing

#PER CHI AMA: Death/Doom
Ecco quel che serviva per questa nevosa fine di novembre: death doom atmosferico affidato alle mani di questi Nornes, quartetto originario di Valenciennes in Francia. 'Thou Hast Done Nothing' rappresenta il loro debutto ufficiale su lunga distanza, dopo un paio di EP usciti tra il 2018 e il 2020. Sono solo cinque i pezzi presenti in questo album, ma per quasi un'ora di musica, che sin dall'iniziale "Never Ending Failure", ci consegna delle ritmiche piuttosto opprimenti, non quelle canoniche abissali del funeral, ma comunque un rifferama pesante, contraddistinto da un mid-tempo meditabondo, le classiche growling vocals, con il tutto a evocare i My Dying Bride e i Paradise Lost degli esordi. Quindi, niente di nuovo sotto il sole, se proprio vogliamo essere schietti. Zero aperture all'originalità, il solo tentativo di inserire delle clean vocals a fare da contraltare alla voce da orco cattivo del frontman, un breve break acustico verso l'ottavo minuto per salvare le apparenze di quella che poteva essere una traccia anonima, e che trova modo di risollevarsi con un assolo elegante in chiusura. "A Rose to the Sword" non sposta fondamentalmente di un capello la proposta dei quattro musicisti transalpini, seppur si scorga qua e là il desiderio di non limitarsi ai meri insegnamenti della "Mia Sposa Morente": interessante a tal proposito, il break atmosferico percussivo al quarto minuto, laddove le due porzioni vocali si uniscono all'unisono. Altrettanto interessante la lunga parte strumentale che per un paio di minuti ci delizierà nella seconda parte del brano, con buone melodie chitarristiche e atmosfere sospese, prima di un finale un po' più ostico da digerire. "Our Love of Absurd" conserva quelle melodie malinconico-evocative di 'Shades of God' dei Paradise Lost, innalzando, in fatto di emotività, la qualità del brano per un uso più massivo (e apprezzabile) delle voci pulite a discapito di un growling qui più in secondo piano. Dopo il break atmosferico, come sempre inserito a metà brano, davvero pregevoli bridge e solo che per un minuto e mezzo ci regalano grandi emozioni. Poi il tutto si fa inevitabilmente più cupo e minaccioso, con sfuriate ritmiche estemporanee che si accompagnano al growl del cantante. E proprio da qui ripartire nella successiva "Perceptions in Grey", con un cantato più strozzato in gola, in un brano che vede il suo primo acuto a ridosso del secondo minuto, complice una chitarra più ispirata e nuovamente le salvifiche clean vocals che alla fine risulteranno quello strumento che meglio toglie dall'imbarazzo una release altrimenti troppo scontata. A chiudere, i quasi 13 minuti di "Oneness", che sono aperti da una lunga parte acustica: la prima apparizione vocale appare al terzo minuto, a sottolineare ancora una volta la voglia dei nostri di dar maggior spazio alla componente strumentale. Poi il brano si rivelerà piuttosto simile per quasi i sette minuti seguenti (e francamente limerei queste lunghe parti per aumentare la dinamica del brano), il canonico break atmosferico e una coda doom rallentante, a chiudere un disco che se fosse durato un quarto d'ora in meno, forse ne avrebbe beneficiato enormemente. Ora invece mi ritrovo a consigliarlo ai soli amanti del genere, per non rischiare di farlo cadere nell'oblio del dimenticatoio. (Francesco Scarci)

(Sleeping Church Records - 2025)
Voto: 68

Valgrind - Definition of Prepotence

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death Old School
Death metal che lascia spazio a godibili assoli di chitarra, quello contenuto nelle sei tracce di questo demo cd dei calabro-emiliani Valgrind, ormai datato anno 2000. Porgendo l'orecchio alla proposta dei nostri, la voce dovrebbe avere, a mio avviso, maggiore estensione, e risultare più potente, pur restando gutturale. La bio indica nel death made in Florida, il modello cui i Valgrind s'ispiravano (oggi ci sono ben cinque album all'attivo per la band italica). Posso solo dirvi che se amate lo stile dei Rabaelliun, che americani non sono, ma brasiliani, questa band può anche fare al caso vostro. I testi all'epoca inneggiavano alla "bestiale malevolenza" ed esortavano, tanto per cambiare, a "vomitare sulla croce" (la cover è piuttosto emblematica a tal proposito). Se penso invece alle ultime release ('Millennium of Night Bliss'), la vicinanza con Death e Obituary, appare decisamente la cosa più sensata.

(Self - 2000)
Voto: 60

lunedì 24 novembre 2025

Malakhim - And in Our Hearts the Devil Sings

#FOR FANS OF: Black/Death
The Swedish black metal scene has always been synonymous with quality and true loyalty to the pillars of the genre, and Malakhim is, fortunately, not an exception to this rule. Founded almost ten years ago in the northern city of Umeå, Malakhim released a powerful debut album entitled 'Theion,’ which caught the attention of the scene and established the pillars of a hopefully long career. The remarkably solid compositions of that album showed that the band had a clear idea of how they wanted to sound.

Four years later, the Swedes return with the always pivotal second opus entitled ‘And in Our Hearts the Devils,’ again under the umbrella of the well-known label Iron Bonehead Records. The fans who enjoyed ‘Theion’ have no reason to worry about the new album, as Malakhim continues to play its remarkably intense form of black metal with no room for weird experiments that could ruin the final result. The production continues to achieve a great balance in terms of actual good production, where one can enjoy the different instruments, but it is clearly inclined to retain a certain degree of rawness that fits Malakhim’s music perfectly. From the album opener "And in Our Hearts the Devils," the listener will appreciate this tasteful combination of fury that does not lack a melodic touch, particularly in the mid-tempo sections. The composition contains a good amount of tempo changes, combining a good variety of them, from relentlessly fast-paced ones to quite calm sections, and the aforementioned mid-tempo parts where their best melodic riffing shines. Malakhim has put some effort into composing this album, which you can clearly observe in how solid the compositions are regardless of the level of intensity. If you like pure fury and a bit of dissonance in the riffs, a track like "A New Temple" will delight you for sure. If, on the contrary, you prefer a more melodic touch, a song like "Sola Crucifixion" is the perfect choice with its headbanging-inducing pace and the tasteful melodic riffing.

E's vocals are another highlight of this album, as he masterfully performs his trademark shrieks, sometimes combined with different approaches that can be closer to semi-growls or a slightly clearer tone, even though he always remains within the realm of the extreme vocals you expect from a black metal band. The rest of the album continues with a similar sonic pattern, which is not a problem, as it consistently reaches a very high level. Both the guitars and the rhythmic sections are excellently composed and work together seamlessly. The different songs flow naturally in terms of intensity and pace, creating compositions that will satisfy the most demanding listener.

'And In Our Hearts the Devil Sings' is definitely a satisfying milestone in Malakhim’s career, as its excellent result will confirm the Swedish band as a project to be closely followed by fans of the genre. The level of inspiration and passion can be felt throughout the album, making it one of the best albums of this year in the black metal scene. (Alain González Artola)

(Iron Bonehead Productions - 2025)
Score: 87

giovedì 20 novembre 2025

Suffering Hour - Impelling Rebirth

#PER CHI AMA: Death/Black
In rete ho trovato ovunque recensioni notevoli su questo lavoro, ma dopo averlo ascoltato, mi domando se sono io la solita voce fuori dal coro o se gli altri abbiano preso un clamoroso abbaglio. Ora non voglio dire che questo 'Impelling Rebirth', degli statunitensi Suffering Hour, sia una ciofeca, ma nemmeno sto gran discone, che da più parti invece ho letto. Per me si tratta infatti di onesti mestieranti che mettono in piazza un cupo black death caustico e veloce. E su questo non ci piove, visto l'incipit violento dell'iniziale title track, dove accanto alla devastazione della ritmica, compare una voce che sembra uscire dall'oltretomba, pronta peraltro a un rituale satanico. Le chitarre, belle sghembe e ribassate, viaggiano a velocità vertiginose, il tutto con scarsi accenni melodici, fatto salvo una leggera melodia in sottofondo a ridosso di una parte più atmosferica. Poi spazio a una vena fragorosa, che ci investe come un treno uscito dai binari. La seconda "Anamnesis" palesa influenze punk thrash, in un contesto comunque sparato ai 1000 km orari. Ancora un break atmosferico a metà pezzo, giusto per stemperare una furia che, a tratti, sembra ingestibile. Attacco grind invece per "Revelation of Mortality", una song animalesca, sanguigna, dissonante e ferale che, in tre minuti, non fa prigionieri, ma lascia una striscia di sangue dietro di sé, in un finale permeato da un umore nero e abissale, in cui il suono sembra quasi implodere. Nonostante sia un pezzo di una durata appena inferiore ai tre minuti, sembra stranamente ne duri una decina. Sfiancante. Come la successiva e psicotica "Incessant Dissent", un pezzo incessante che sembra chiamare in causa i Morbid Angel più feroci. Ancora fortissime influenze thrash/death/black old school per la lunatica e conclusiva "Inexorable Downfall", che chiude un dischetto di poco meno di 15 lunghissimi ed estranianti minuti di follia. (Francesco Scarci)

(Profound Lore Records - 2025)
Voto: 66

Mastiff - For All the Dead Dreams

#PER CHI AMA: Crust/Sludge/Hardcore
Non sono un grande fan dell'hardcore scavezzacollo, ma se ci mettete un po' di sludge/doom a corrompere le intemperanze di una band, ecco che mi trovo più a mio agio a scrivere di questo genere. Gli inglesi Mastiff sono fortunatamente uno di questi esempi, con un sound si, granitico, violento, potente e profondo, ma che comunque in questo nuovo EP di cinque pezzi, 'For All the Dead Dreams', si riesce ad apprezzare sin dalle fondamenta dell'opener "Soliloquy". Riffing iperdistorto, acuito dalla pesantezza dello sludge, vocals incatramate, pochi accenni alla melodia, e alla fine solo disperazione dilagante nei tre minuti e mezzo di questa traccia. Il registro non cambia poi di tanto con la successiva "Rotting Blossoms", anche se il ritmo si fa più sostenuto, e un piccolo accenno di melodia si riesce addirittura a cogliere nelle linee di chitarra, mentre il bel caustico vocione di Jim Hodge, si fa breccia in un sound che diventerà più ritmato nella seconda parte. "Decimated Graves", al pari di "A Story Behind Every Light", ci prendono a scarpate in faccia con parti più compassate e asfissianti, che si alternano a schegge al limite del grind. È un piacere essere investiti da cotanta violenza anche per la qualità di una registrazione che sembra inghiottirci nel wormhole creato dalla brutalità soffocante della band. Violenza pura infine per la poderosa e conclusiva "Corporeal", in grado di bastonarci ancora con la sua portanza ritmica, forte di un drumming inviperito e un basso che picchia a livelli di un fabbro nevrotico. Provare per credere. (Francesco Scarci)

(Church Road Records - 2025)
Voto: 70

Hellwalker - Reincarnation

#PER CHI AMA: Death Strumentale
Se sei un cantante death metal e stai cercando una band con cui dar sfoggio della tua ugola da orco cattivo, i portoghesi Hellwalker stanno probabilmente cercando proprio te. No, non si tratta di un annuncio commerciale, ma semplicemente quello scrivono gli Hellwalker sul proprio sito bandcamp, visto che stanno cercando un vocalist che presti la propria voce per questo EP strumentale di cinque tracce. E che volete che vi dica su un disco death dove la componente vocale è totalmente inesistente? Se ci fosse un cantato qui sarebbe inserito in un contesto di death dalla vena melodica ("Boiling Point") ma che non rinuncia nemmeno a un rifferama inizialmente compassato per poi proiettarsi nella più classica galoppata di stampo scandinavo (da una traccia che si intitola "Entombed", d'altro canto che cosa vi potevate aspettare?). Granitica la quarta "Ressurector", ma di fronte alla mancanza di un vocalist, mi pare che perda il 50% in fatto di potenza. Sono certo che con un growling robusto, la proposta acquisterebbe infatti credibilità. Per ora, null'altro da segnalare, se non un tentativo di ricerca di maggior melodia nella conclusiva "Forgotten". Curioso di riascoltare il tutto con un cantante in carne e ossa. (Francesco Scarci)

(Rot'em Records - 2025)
Voto: SV

mercoledì 19 novembre 2025

Cobol Pongide - Kosmodron

#PER CHI AMA: Kosmische musik/Space music
Entrare in contatto con il mondo di Cobol Pongide non è cosa da poco conto, poiché, sotto la sua veste quasi fumettistica, si nasconde un personaggio istrionico, che si snoda tra musica, scrittura e scienza. La sua musica sembra una perfetta colonna sonora per un cartone animato di ufo robot di fine anni '70 che prende in prestito trovate sonore che resero grande Alberto Camerini negli anni '80, con un campionario di effetti e stili usati in passato dai Rockets e Devo, per un risultato musicale molto nerd, passatemi il termine in senso benevolo, che trasuda fantasia cervellotica e stile cosmico da cameretta del piccolo scienziato in erba. Il tutto non è affatto male considerando che molti dei suoni provengono dal mondo dei giocattoli, e i testi si dividono tra denuncia sociale e politica con un sarcasmo tagliente che sembra uscire dalla bocca di Eta Beta. Che sia un genio o un truffatore musicale che spaccia finte sigle di cartoni in salsa kosmische music, non riesco a deciderlo. Il fatto è che si fa ascoltare molto volentieri in una condizione di apertura mentale e totale disimpegno dalle distorsioni e dai ritmi violenti, sicuramente più elettronico di rock'n roll robot, e si muove bene in forma intelligentemente elettro-pop. A prima vista potrebbe anche essere scambiato per una ricetta usa e getta demenziale ma che in un ascolto approfondito, in realtà non lo è affatto. Nel suo universo di pop cosmico navigato a bordo di un Commodore 64 e una serie di suoni giocattolo, da tempo Cobol Pongide, che è anche un vero scienziato e scrittore (cercate i suoi libri in rete), si è tracciato una linea sonora originale e piacevole, che deve essere capita e accettata, e che presenta una sua personale visione/revisione in chiave futurista della musica cantautorale italiana, e il suo ultimo 'Kosmodrom' ne è una generosa conferma nella sua discografia. Si può in Italia fare musica pop intelligente al giorno d'oggi? Nell'ascoltare quest'album, che sembra essere il perfetto prosecutore delle idee teletrasportate nel futuro del buon Camerini, direi proprio di si. Un disco che sorprende per la sua mai banale immediatezza e la sua ricerca sonora tra future disco ed elettronica vintage handmade. Da ascoltare assolutamente, con enorme curiosità e massima libertà mentale. (Bob Stoner)

(Dischi Durevoli Records - 2025)
Voto: 68

Psycho Symphony - Silent Fall

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Techno Thrash/Progressive
I rumeni Psycho Symphony non si sono mai sciolti eppure non esistono uscite ufficiali dal 2002, quando venne rilasciato l'EP 'Schizoid'. Quest'anno tuttavia, ritorna in auge 'Silent Fall', il lavoro che uscì originariamente in cassetta nel 1997 e poi CD-r nel 2000, e che soltanto oggi, vede la luce formalmente grazie alla Loud Rage Music e a un nuovo remastering. La band di Carei muove i propri passi lungo un sottile confine fra il progressive anni '70 e il techno thrash progressive degli anni '80/'90 (per intenderci, gente del calibro di Watchtower, Anacrusis o Psychotic Waltz). Ascoltando l'album vi accorgerete infatti i vari punti di contatto con le band suddette attraverso la sofisticazione degli arrangiamenti che con l'iniziale "The King", vi farà già capire come il quartetto fosse in grado di costruire una matrice ritmica davvero complicata alternata a momenti più tecnici, evocando in certi passaggi, anche i Cynic di 'Focus' (assai palese ad esempio nel break atmosferico centrale "Temptations"). Solida e talvolta debordante ("Bloodthirsty Desires") la prova del bassista, a fungere da collante tra melodie e ritmica, al pari della folgorante prova alle pelli del drummer Gindele Gábor "Gabica", fantasioso e preciso nel passare da momenti dal piglio jazzy a esplosioni thrash. Notevole anche la prova delle chitarre, abili nel ricamare riff ultra tecnici o assoli raffinati (spettacolari a tal proposito "The Temple of Delight" o la disturbante e assai complessa, "Over the Walls"). Ho tenuto per ultimo la prova del cantante, che a mio avviso, rappresenta il punto debole dei nostri. Non sono infatti riuscito a digerire la sua voce nasale per quanto, in un contesto del genere, potrebbe essere anche particolarmente originale ed espressiva nella propria drammaticità. In chiusura, la lunga suite "Reality Falls Asleep I & II" è perfetta a riassumere la vena onirico-lisergica dei nostri (nella prima parte) combinata con la componente più veemente della band (la seconda metà). Insomma, se anche voi come il sottoscritto, vi siete persi questa release quasi trent'anni fa, beh avrete modo di rifarvi e capire come il thrash progressivo si sia ahimè nascosto nel sottobosco in un'epoca e in un contesto geografico alquanto complicati. (Francesco Scarci)

(Self/Loud Rage Music - 1997/2025)
Voto: 76

giovedì 13 novembre 2025

Trivium - Struck Dead

#PER CHI AMA: Metalcore/Thrash Progressive
In un'epoca in cui il metalcore si divide tra revival nostalgici e ibridazioni pop-oriented, i Trivium rimangono probabilmente un faro di integrità, una band che dal 1999 a oggi, ha definito il genere con un mix di tecnicismo thrash e melodia catchy, influenzando acts come As I Lay Dying o Bullet for My Valentine. La band, peraltro ultimamente impegnata in un tour in Nord America, per dare ulteriori segnali ai propri fan, ha pensato di far loro un regalo per Halloween, rilasciando questo 'Struck Dead', giusto tre pezzi per sottolineare quanto siano in forma oggi i nostri e sempre avvezzi a spaccare culi a destra e a manca. Non servono troppi convenevoli infatti a "Bury Me With the Screams" per far capire che il terzetto di Orlando, rimasto orfano dopo questo EP del drummer Alex Bent, rimane sempre uno dei migliori interpreti del metalcore, quello pesante e incazzato, ma sempre dotato di venature melodiche. Non ingannino infatti gli ostici giri ritmici che l'opener e la titletrack ci regalano, dando sfoggio peraltro di grande tecnica e al contempo freschezza sonica che si palesa attraverso cavalcate violente e incessanti, manco fosse l'ultima grandinata che ha messo ko la mia automobile. La band picchia di brutto, ma è sempre pronta a smussare le spigolature del proprio sound cambiando il registro vocale, regalando splendide linee melodiche, graffianti assoli (quello della title track sembra preso in prestito dagli Slayer) o una tribalità inaspettata nelle percussioni (ascoltatevi bene la seconda parte della title track, un brano comunque notevole, tra i migliori della band). La terza "Six Walls" sembrare partire con più miti consigli, viste le chitarre acustiche, ma niente paura, i nostri tornano a pestare che è un piacere in un pezzo quadrato, che vede in stop'n go da paura, una serie di assoli affilati come una lama di un rasoio (il penultimo sembra esser stato preso in prestito dagli Helloween), e una prova a dir poco monumentale dietro alle pelli di Alex Bent. Peccato solo un finale in fade out, che io detesto a dir poco. Nonostante questa piccola imperfezione, i Trivium ci sono, rimangono ben centrati sull'obiettivo e sono pronti a spezzare le gambe a tutti, statene certi. (Francesco Scarci)

(Roadrunner Records - 2025)
Voto: 75

Carach Angren - The Cult of Kariba

#PER CHI AMA: Symph Black
Un silenzio durato cinque anni. Tanto ci è voluto agli olandesi Carach Angren per tornare sulle scene dopo l'album 'Franckensteina Strataemontanus', e lo fanno questa volta con un EP di cinque pezzi, intitolato 'The Cult of Kariba'. Il duo tulipano lo seguo da sempre, sin da quell'album di debutto, 'Lammendam', che tanto rumore aveva fatto alla sua uscita, per quel suo black sinfonico dal taglio orrorifico. A distanza di 17 anni da quel lavoro, ritroviamo oggi una band solida, che fondamentalmente poco si è discostata da quell'approccio, e che vede influenze evidenti in band quali Dimmu Borgir, per le orchestrazioni drammatiche e i Cradle of Filth, per una certa teatralità di fondo, ma per potenza non sottovaluterei nemmeno l'influsso dei Septicflesh. Il nuovo lavoro consolida comunque la band come una dei punti di riferimento del genere, bilanciando aggressività e narrazione (che già in "Draw Blood" è altamente evidente), senza dimenticarsi anche una componente cinematica, che ritroveremo lungo l'intero ascolto del dischetto. Un disco che rappresenta un esempio di maestria orchestrale, grazie alle pompose orchestrazioni che provano a contrapporsi all'intensità di ritmiche sparate a tutta velocità. La produzione cristallina privilegia poi la grandiosità del tutto, esaltando un ascolto immersivo che darà somma gioia ai fan della band e non solo. Interessanti le atmosfere spettrali di "The Resurrection of Kariba", che accompagnano le liriche che sviluppano questo nuovo EP in un racconto horror in cinque parti, radicato nel folklore della Dama Bianca di Schinveld, ora intrecciato con la sinistra figura di Kariba: un'avvelenatrice e presunta strega. Avvincente anche l'utilizzo delle clean vocals, che vanno a sostituire lo screaming efferato di Seregor in molteplici parti del disco. Parecchio intrigante anche "Ik Kom Uit Het Graf" (che tradotto dall'olandese significherebbe "esco dalla tomba"), un brano che sembra coniugare la teatralità dei nostri con influenze di stampo industrialoide di matrice "rammsteiniana". La conclusiva e più cinematica "Venomous 1666" infine, si ricorderà per la presenza di un violino che guida una gradevole melodia di sottofondo, e che apre a molteplici possibili evoluzioni nel futuro dei Carach Angren. Per ora, questo 5-track non è altro che una splendida conferma delle qualità della band olandese. (Francesco Scarci)

(Season of Mist - 2025)
Voto: 77

mercoledì 12 novembre 2025

Funeral Baptism - In Solitude

#PER CHI AMA: Black/Death
C'è qualcosa di inevitabilmente esotico nel pensare al black metal che arriva dall'Argentina, un paese dove il genere si tinge di un'austerità quasi monacale, lontana dai clamori europei. I Funeral Baptism sono la creatura di Damien Batista, personaggio oscuro della scena underground di Buenos Aires, attivo dal 2012, ma ora trasferitosi in Romania, e qui supportato da Stege. I nostri propongono un suono che mescola black a venature più atmosferiche e death oriented. Il loro nuovo album, 'In Solitude', uscito via Loud Rage Music, che arriva ben otto anni dal debutto 'The Venom of God', riprende là dove aveva lasciato, ma con una maggior consapevolezza, una migliore cura nei dettagli, abbandonando quindi quell'approccio lo-fi degli esordi, e privilegiando una produzione più pulita e potente, in grado di spingere la musica del duo verso livelli qualitativi più maturi, sebbene la proposta non abbia nemmeno un 1% in fatto di originalità. Ma ormai questa è la norma della maggior parte delle uscite discografiche che ogni giorno vedono la luce, pertanto la mia non vuole essere una discriminante di un prodotto scadente, anzi. Credo semmai che ci troviamo di fronte a un album onesto e diretto, che in soli 26 minuti liquida la pratica, tra sonorità sparatissime sul versante black (l'incipit della title track non lascia alcun dubbio a tal proposito), coadiuvate tuttavia da una discreta vena melodica, un uso delle vocals interessante (a metà strada tra screaming e growl), al pari dei rallentamenti doomeggianti, di cui godremo da poco meno di metà brano, fino al termine. E questo pone appunto l'accento sulle qualità e l'estetica di una band, che pur non inventando nulla, riesce comunque a sopperire ai propri gap, con buone doti tecniche e una quasi raffinata ricerca della melodia, che si palesa attraverso parti atmosferiche, come accade per l'opener "Scarring Silence". Poi, spazio a ritmiche stratificate, pezzi mid-tempo (la mia favorita è "The Brink of Ruin", con un piglio alla Cradle of Filth nella sua componente vocale), impennate di furiosa rabbia con blast-beat impazziti, un interessante bridge in "Exsequiae", ottimi assoli un po' ovunque e qualcos'altro che rende comunque l'atto di ascoltare 'In Solitude', semplicemente dovuto. (Francesco Scarci)

(Loud Rage Music - 2025)
Voto: 65

Doom Cult Commando - Das Erwachen der Schlange

#FOR FANS OF: Raw Black
The older, the uglier. I guess this hits quite perfectly when it comes to aging and also to Doom Cult Commando, at least if you consider that Desaster boss Infernal K. is part of the band.

To be honest, 'Das Erwachen der Schlange' (The Awakening Of The Snake) has almost nothing to do with the typical thrash Desaster has been performing for many decades now, but much more with some raw black metal like Impiety on their masterpiece 'Skullfucking Armageddon' (especially the sound of the instruments). Also, the vocals are quite different from everything concerning Desaster. The vocalist Doom Cult sounds a lot like Attila from Mayhem when he is practicing his demonic chants and praises.

This combination offers a very intense, brutal atmosphere with some super fast and sinister songs on that demo. What is remarkable is that the sound quality differs from song to song. I guess that the guys didn’t record them in a single session; otherwise, I cannot explain the fluctuation in the quality. If you compare the opener "Wie die Fliege zum Licht” with the next track “Geist ist Alles,” you will clearly notice the increase in quality in the recording. Although I like both recordings, to be honest, raw black metal doesn’t have to have a Dimmu Borgir sound, does it?

The sickest track on the demo is probably “Menschenmüll” (Human Waste), which has some very deep growled vocals (does anybody remember the fabulous demo “…by the Force of Sacred Magic Rites” by Darklord?). With a running time of 2:50 minutes, this one is by far the shortest and also the fastest track. And if you listen carefully, you can hear Infernal’s love for punk songs, too.

'Das Erwachen der Schlange' is a really nice demo for everybody who likes war and raw black metal. Let’s hope that the guys will release a full-length soon. (Michael Baier)

(Nomad Snakepit Productions - 2025)
Score: 75

martedì 11 novembre 2025

Dodengod - Heralds of a Dying Age

#PER CHI AMA: Black/Death
Se non avessi saputo la provenienza dei Dodengod (si ringrazia sempre Metal Archives per questi dettagli), avrei pensato che il trio fosse originario della Svezia, per quella loro proposta all'insegna di un death dalle chitarre super ribassate, che mi ha evocato band come Unleashed o Grave. In realtà, i nostri arrivano dal Belgio e questo 'Heralds of a Dying Age' è il loro secondo album. Un lavoro che ci schianta immediatamente in faccia la loro efferata violenza. Fatto salvo per l'intro "In Darkness", le successive "The Grinder Feeds on Hate" e "Breathe Deep the Dark", mi investono con una sezione ritmica debordante, fatta di tonalità oscure e asfissianti. Non c'è un barlume di luce nelle note di questi 10 pezzi. Anzi, l'atmosfera si fa addirittura più cupa in un pezzo come "The Adversary", grazie al suo piglio doomish, che sfocia, per alcune acuminate linee di chitarra, anche nel versante black, ma che sorprende al tempo stesso, per alcuni ghirigori in tremolo picking che ne amplificano la melodia. E non è certo una novità, visto che già le precedenti tracce avevano palesato rallentamenti doom, con una fortissima predilezione per melodie quasi psichedeliche (e ripenso al finale di "The Grinder Feeds on Hate"). Questo per dire che alla fine i Dodengod non sono dei veri e propri picchiatori, o che propongano unicamente un genere monolitico e da lì non si spostano di un millimetro. Direi che seguono un canovaccio, che vede spesso cominciare i brani con una ritmica piuttosto robusta per poi disorientare l'ascoltatore con trovate atmosferiche, lisergiche, sempre inattese. E anche un pezzo come "Devouring Fires" mostra lo stesso comportamento, tra derive psych, accelerazioni deflagranti, un rifferama potente, tagliente e brutale, ma poi ecco che suoni spettrali si palesano in un sottofondo che ha molto spesso da regalare qualche inusuale sorpresa. E sta qui la forza dei nostri, che altrimenti avrei etichettato come l'ennesima band che voleva fare il verso ai mostri del passato. E se ci aggiungiamo anche una buona perizia strumentale, un ottimo gusto nella sezione solistica, le contaminazioni black (spaventosa la ritmica della title track, ma anche quello screaming che talvolta si affianca al growl) e doom (ascoltate la successiva "Born"), potrete intuire anche voi come questo album non debba essere frettolosamente scartato come mera copia dei grandi act del passato. La mia traccia favorita? La diabolicamente sinistra e di scuola Altar of Plagues, "No Distant Flame Ahead". Insomma, per concludere, 'Heralds of a Dying Age' è un lavoro estremo, davvero violento, ma con una sorprendente voglia di stupire con trovate melodiche sempre interessanti. (Francesco Scarci)

(Pest Records - 2025)
Voto: 70

giovedì 6 novembre 2025

Leaving Time - Loop / Live Beneath

#PER CHI AMA: Shoegaze/Dream Pop
Nell'ottica di evadere dagli estremismi sonori, ecco soccorrermi gli statunitensi Leaving Time, fautori di un sound a metà strada tra l'alternative e lo shoegaze. Solo due pezzi, che arrivano giusto un anno dopo l'uscita del loro album di debutto 'Angel in the Sand'. La proposta del quartetto della Florida è molto chiaro: dei bei chitarroni saturi e lineari, su cui estendere le vocals chiaramente eteree tipiche del genere. Niente di nuovo insomma, se non farsi cullare dal contrasto sonoro tra il melodico wall of sound eretto dai nostri e quelle linee vocali sognanti. Nessun sfoggio di tecnica fine a se stessa, niente assoli, fatto salvo per un bridge al limite del noise, nella coda di "Loop". La melodia regna sovrana in "Live Beneath", in quel suo tiepido inizio, parecchio ruffiano (zero chitarroni qui), molto dream pop e contraddistinto da vocalizzi quasi nascosti dal rumore delle chitarre che lentamente salgono di volume e robustezza. Poi, il canovaccio è il medesimo della prima traccia: vocals e melodie litaniche, un break atmosferico che si dilata nel tempo e nello spazio, un apporto chitarristico decisamente più graffiante e i giochi terminano qui, anzi tempo, giusto per saggiare di che consistenza sono fatti questi musicisti di Jacksonville, qualora non li conosceste. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 63

De Profundis - The Gospel of Rot

#PER CHI AMA: Death Old School
Nuovo capitolo per i deathster inglesi De Profundis, una band che, in tutta franchezza, non ho mai particolarmente amato. Si tratta di una band dalla lunga militanza nell'underground che dal 2005, anno della loro formazione a oggi, ha visto il quintetto londinese passare dal death doom degli esordi, a un black death a metà del loro percorso, fino a completare la propria trasformazione in un death nudo e crudo di stampo americano. La band fa il suo ritorno sulle scene con questo EP di quattro pezzi, intitolato 'The Gospel Of Rot', che include tre inediti più la cover di "Subtraction" dei Sepultura. Si parte con la corrosiva "I: Corruption", i cui unici punti di interesse risiedono in una basso iper tecnico, in qualche apertura di chitarre in stile Atheist e una buona vena solistica. Per il resto, suoni ormai vetusti, voci al vetriolo in un mix tra screaming e growl, e zero emozioni. "II: Deception" non è da meno, con quella sua galoppata ormai troppo old school per chi come me è cresciuto con questi suoni trent'anni fa e per cui gli originali, rimangono i migliori interpreti di un genere che trovo abbia ben poco da dire, fatto salvo per alcune rare eccezioni. Ribadisco la validità tecnica della band, esplicata attraverso interessanti trame solistiche e un tentativo di riproporre anche il sound svedese nella terza "III: Indoctrination". Per il resto, trovo il tutto poco allettante, anche la cover dei Sepultura riletta in chiave americana, visto che è sparata a tutta velocità manco fosse un pezzo di brutal death. Per me è un no grazie, ascolto altro. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 60

mercoledì 5 novembre 2025

Ancient Death - Ego Dissolution

#PER CHI AMA: Death Progressivo
Dalle nebbiose profondità di Walpole, Massachusetts, ecco emergere gli Ancient Death, un quartetto che irrompe sulla scena del progressive death metal con il debut 'Ego Dissolution', dopo qualche uscita di EP e split album. Formatisi nel 2021, la band si fa portavoce di un sound che fonde il death old school con sfumature psichedeliche e progressive. Potete immaginare il mio scetticismo davanti a un artwork di copertina che già lascia presagire tutt'altro. Eppure, già con l'iniziale title track, ho dovuto ricredermi in fatto di proposta musicale e qualità del quartetto statunitense, proprio per una capacità intrinseca di bilanciare brutalità, atmosfera e introspezione, posizionando i nostri come una forza fresca e ambiziosa, giusto a ridosso di Blood Incantation e pochi altri; sarà forse per questo che un'etichetta come la Profound Lore, ci avrà voluto puntare. Fatto sta che i nostri sciorinano otto tracce che, di primo acchito, potrebbero anche sembrare brutali, ma che se poi vai a fargli i raggi X, trovi che possiedano una tecnica davvero notevole, con arrangiamenti che sono un mosaico di riff grooveggianti, tecnici ("Breaking the Barriers of Hope") o più atmosferici ("Breathe - Transcend (Into the Glowing Streams of Forever)", dove peraltro fa la sua comparsa anche una quanto mai inattesa voce femminile), e che si chiudono puntualmente con assoli funambolici che mi hanno evocato i Death del buon Chuck. Mamma mia, quante emozioni, e dire che quell'artwork di copertina mi aveva già predisposto a disintegrare questa band eppure, le ulteriori influenze che arrivano da Cynic, Atheist o Nile, ci consegnano una band e un prodotto già maturi. Brani come la strumentale "Journey to the Inner Soul" (con il suo eco ai Death di 'Human'), "Unspoken Oath" o la conclusiva "Violet Light Decays", esaltano l'estetica psichedelica del death metal, pur non avendo inventato nulla di nuovo. Certo, quella copertina continuo a trovarla imbarazzante. Bravi comunque! (Francesco Scarci)

(Profound Lore Records - 2025)
Voto: 75

Ordinul Negro - Dodekatemoria

#PER CHI AMA: Black Atmosferico
È inevitabile che quando si parli di black metal rumeno, il nostro pensiero vada a band come Negură Bunget o Dordeduh, che hanno delineato un sound intriso di folklore e misticismo, influenzando un'intera generazione di musicisti underground. Eppure, appena nelle retrovie ecco scorgere gli Ordinul Negru, una realtà che contiene membri ed ex delle band sopra menzionate e che, attivi dal 2006, vantano una discografia alquanto sostanziosa, fatta di nove album e 10 tra split ed EP. Musicalmente, potrebbero essere un immaginario ibrido tra Negură Bunger e Deathspell Omega. Il loro ultimo lavoro, questo 'Dodekatemoria', che ci eravamo persi esattamente un anno fa, e per cui la loro etichetta ha voluto darci l'opportunità di riparare, consolida il terzetto come custodi di un black atmosferico e occulto, in un momento in cui il genere cerca di rinnovarsi attraverso temi esoterici, senza tuttavia perdere la sua forza primordiale. Il risultato lo potete già scorgere nei solchi dell'opening track, "Aleph", che combina le dissonanze dei francesi D-O, la veemenza del black, la delicatezza di una voce femminile che a metà brano fa la sua comparsa, accompagnando il growling rauco del frontman, e in generale di un suono oscuro che privilegia tanto l'immersività quanto la crudezza di tutte le sue componenti. Il risultato è davvero interessante, per quanto sia tutt'altro semplice godere dei contenuti del disco. 'Dodekatemoria' è infatti un lavoro scorbutico da digerire, non sono sufficienti le due donzelle a prestare le loro delicate e soavi voci per rendere il tutto più accessibile. C'è ben altro nelle note delle sei lunghe tracce ivi incluse. E non basta nemmeno un inizio timido come quello della title track a farci credere che l'album sia cosi semplice da ascoltare: meravigliose certamente le melodie folkloriche, quasi mediorientali, che si srotolano in sottofondo, ma altrettanto telluriche le accelerate ritmiche, direi post black, a cui ci sottopongono routinariamente i tre musicisti di Timișoara. E sono schiaffoni che volano, sebbene un brano come "Judas Goat", nella sua ritualistica ascesa, sembra cogliere qualcosa di più degli insegnamenti dei Blut Aus Nord, in un lungo finale da brividi. "The Decrepitude of Centuries" se la prende forse con troppa calma (circa tre minuti e mezzo) prima di irrompere feroce e ferale, in una song che nel proprio incedere tribale e monolitico, sembra chiamare in causa anche gli Altar of Plagues. Mid-tempo oriented anche "Zahir", che evolve da un black/doom iniziale a un brano ricco di componenti cariche di groove e folk (chi ha detto Melechesh?), davvero degno di nota. In chiusura, "Palladian Rituals" con i suoi dieci minuti di musica, ci offre un altro spaccato della proposta degli Ordinul Negro, tra atmosfere rarefatte, accelerazioni repentine, vocals pulite in sottofondo, ottime voci femminili e splendide melodie, che mi fanno credere a un futuro radioso per la band. (Francesco Scarci)

(Loud Rage Music - 2024)
Voto: 76

domenica 2 novembre 2025

Aduanten - Apocryphal Verse

#PER CHI AMA: Melo Death/Black
Gli Aduanten risultano essere il side project di Obsequiae, Vex, Panopticon e Horrendous, eppure sul rinomato sito Metal Archives, non trovo traccia di membri di Panopticon e Horrendus, ma vedo semmai citati i Ruins of Honor. Comunque, a parte queste sciocchezzuole, 'Apocryphal Verse' è il secondo EP della band texana, che dovrebbe proporre un death black melodico, come testimoniato dalla lenta e graffiante "Cerulean Dream", una song che chiama immediatamente in causa, una band svedese a me cara, che agli esordi, si muoveva nei paraggi di un melo death, sebbene oggi siano decisamente più black oriented. Quindi, andando a delimitare il perimetro degli Aduanten, direi che ci troviamo nei pressi di un death melodico mid-tempo, che troverà tuttavia modo di aumentare la propria ferocia sul finire del brano. Niente di nuovo all'orizzonte ma la prova del batterista, come spesso accade, è sicuramente da premiare. Avrei gradito un bell'assolo in chiusura, ma niente da fare, è già tempo di "Decameron", un altro esempio di death melodico che non ha granché da chiedere, e che trova nello stridulo del cantante e in un ritmo, a un certo punto e per pochi secondi vicino al post black, le soli componenti black, peraltro alquanto innocue. Un arpeggio apre "Grace of Departure", ma quello che mi pare continui a mancare, è un qualcosa che coinvolga l'ascoltatore, un bridge, un assolo (qui solo un accenno), una parte melodica che rimanga impressa nella testa, insomma un qualcosa che mi faccia pensare che questo lavoro abbia realmente un suo perchè, visto che anche con la conclusiva "The Weakening Sovereign", il trio di Austin non riesce a uscire dalla propria zona di comfort e finisce per spegnersi su una banalissima accelerazione black e un giro di chitarra abusatissimo. Insomma, troppo poco per esaltarne la performance. Attenderò impaziente il full length d'esordio per decretare il mio supporto o meno ai nostri. (Francesco Scarci)

(Nameless Grave Records - 2025)
Voto: 60

sabato 1 novembre 2025

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venerdì 31 ottobre 2025

Hulder - A Beacon From Darkened Skies

#PER CHI AMA: Black/Folk
Una semplice cassetta (tra l'altro disponibile anche in una ritual edition) con sole due tracce, per tutti gli amanti dell'oggettistica vintage. Per chi ama il digitale invece, la pagina bandcamp degli statunitensi (ma in realtà originari del Belgio) Hulder, vi darà modo di ascoltare il loro ultimo EP, 'A Beacon From Darkened Skies'. Noi, la one-woman-band l'avevamo già recensita in passato, sottolineando come fosse avvezza a un certo tipo di black atmosferico, piuttosto grezzo. Non posso far altro che confermare le parole del mio collega Alain e sottolineare come la polistrumentista belga, ora basata nello stato di Washington, e qui aiutata da altri due musicisti, Vrolok e Necreon, si muova nell'ambito di un genere estremo che affonda le sue radici nel black scandinavo. Lo dimostra subito la title track, con chitarre ultra tirate e screaming vocals, spezzate da un break più atmosferico. Non posso invece dire altrettanto della seconda "Zonnesteen", una song che richiama sonorità folk in stile Wardruna/Ivar Bjørnson & Einar Selvik, guidate da una chitarra acustica e da un drumming tribale, nonché dalla calda voce pulita di Hulder e dalle oscure backing vocals di Necreon, per un esperimento sicuramente ben riuscito. (Francesco Scarci)

(Self/Medieval Darkness - 2025)
Voto: 66

mercoledì 29 ottobre 2025

Fauna - Ochre & Ash

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
With over twenty years of existence, the US-based band Fauna has created a trademark sound with its trance-inducing atmospheric black metal. Long compositions in this genre are not unusual, and this project has repeatedly shown that it is quite comfortable composing these sorts of tracks. Lyrically, the band is strongly influenced by atavism and shamanism, exploring the lost traits of humanity and the broken ties between humans and nature. This particular approach makes the band combine the fury of black metal with acoustic and ambience-inducing sections, creating strongly hypnotic songs.

Fauna’s previous albums, like 'Rain' or 'The Hunt,' are sonic proof of the project’s fondness for this mixture of influences, with a highly recognizable combination of acoustic sections, a good degree of ritual dissonance, and the furious Cascadian atmospheric black metal that is so revered in the scene. Contrary to other projects of the same genre, Fauna’s music is a bit more difficult to digest as it navigates between two worlds, which can confuse some listeners. The new opus, entitled 'Ochre & Ash,' delves deeper into this mixture, combining long and short tracks, where this ritualistic ambience reigns, as, for example, you will find in "Femoral Sun." These tracks are the calmer counterpart, yet their evocative and deeply dark nature makes them unsettling at times. This is explained by the concept behind the music, as Fauna goes a step further and invites the listener to a live ancient ritual where the life of hunters and cavemen is sonically depicted. The album is divided into three main parts, which consist of three long compositions and their ambient counterparts. The three main songs, which last between fifteen and twenty-three minutes, combine occasionally speedy and furious parts with sections whose cadence is less energetic.

The purely black metal parts indeed have these recognizable tremolo picking riffs and cavernous screams with the personal touch that Fauna always has. In any case, the compositions have a long build-up until the most ferocious parts appear. Fauna wants to submerge the listener in the sinister atmosphere of the cave and feel the oppressive atmosphere before the fury erupts. The contrast is sometimes unexpected, as it happens in tracks like "Labyrinths" or the long album-closer "Eternal Return," where the composition’s pace and intensity are suddenly increased. Nevertheless, the pace is usually more mid-tempo even in the pure black metal sections, as Fauna is primarily interested in creating this hypnotic ambiance rather than playing fast. This mid-tempo/slower cadence is clearly the main tool that this project uses to lure the listener and guide them through these ancient rituals, where the occasional speedy parts are the always unexpected violent side of nature that can surprise us.

'Ochre & Ash' by Fauna is another step in this project’s unique sound. Fauna’s music is not for everyone, as the albums are composed to be a one-piece ritual that requires a fully immersed listener. If you allow yourself to be drawn into this worship, this album can be a truly musical experience. (Alain González Artola)

(Prophecy Productions - 2025)
Score: 75

domenica 26 ottobre 2025

The Pit Tips

Francesco Scarci

Sunken - Lykke
Coroner - Dissonant Theory
Contemplations - S/t

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Alain González Artola

Bloodywood - Nu Delhi
Voskresenie - Black Triptych
Sepulchre - Psalms Unto Caesar

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Death8699

Cradle of Filth - The Screaming of the Valkyries
Eleine - Dancing In Hell
Testament - Para Bellum

venerdì 24 ottobre 2025

Zorn - Schwarz Metall

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Metal
Dalla Germania, una band che, si è formata nel 2000. Prima uscita ufficiale questo 'Schwarz Metall', un violento black metal, tenebroso e cupo (Darkthrone e vecchi Gorgoroth sono dei chiari punti di riferimento per i nostri), che pesca dal vecchio black metal norvegese. Un ritorno ai primi anni '90, le radici, lo stile è quello. Sembra di ascoltare un cd di quel decennio. Black metal, nessuna sperimentazione progressiva o altre fantasiose idee, semplice e diretto black metal, la rinascita di un sound oscuro e crudele. Queste otto tracce, suonate nell'arco di 30 minuti, sono nella loro semplicità, quello che spesso molti avranno avuto voglia di ascoltare, senza doversi sorbire arrangiamenti barocchi più adatti sicuramente ad altre cose. Nessuna menzione particolare, ogni componente della band fa quello che gli spetta nel modo più onesto possibile; il cantato, in tedesco, è al limite dello stridulo, ma è veramente efficace. Tutto l'odio di questa band è concentrato in queste tracce, il risultato è un' aggressione sonora devastante. Che dirvi di più, per un cd che si intitola Black Metal?

(Last Episode/Asatru Klangwerke - 2001/2012)
Voto: 70

mercoledì 22 ottobre 2025

Unto Others - I Believe In Halloween II

#PER CHI AMA: Dark/Gothic/Post Punk
Della serie "dolcetto o scherzetto", gli statunitensi Unto Others tornano con un EP che suona come un regalino per i propri fan. Era già accaduto nel 2021, in occasione di 'I Believe in Halloween', tornano oggi con un secondo capitolo, 'I Believe In Halloween II', un dischetto di cinque pezzi, tra cui due cover, una dei Misfits, l'altra dei Ramones. L'EP si apre con le ottime melodie di "They Came from Space" e un sound che si muove nei paraggi di un dark gothic fresco e melodico, che probabilmente poco aggiunge alle più recenti uscite del quartetto di Portland, ma per chi magari non li conoscesse, potrebbe essere un buon biglietto da visita per approcciare la band originaria dell'Oregon. Melodie orecchiabili, suoni andanti, buone vocals e una bella dose di energia. La medesima che si respira nella punkeggiante "What I Did...", una scheggia di 1 minuto e 45, tra galoppate anni '80 e qualche break in grado di regalarci qualche momento scanzonato. Lo stesso dicasi per la successiva "Robots", carina soprattutto per il suo coro e l'assolo funambolico nella seconda metà. Poi, ecco le due cover: "Halloween" dei Misfits, per altri due minuti di scorribande punk rock dedicate alla festa di zucca e fantasmi, in pieno stile eighties. E parlando di questi anni, non si poteva nemmeno rinunciare a "Pet Sematary" dei Ramones, una delle peggiori canzoni di sempre della band newyorkese, ma che qui viene riproposta in modo quasi più convincente dell'originale. Insomma, niente di nuovo all'orizzonte, solo una gran voglia di spensieratezza. (Francesco Scarci)

(Century Media - 2025)
Voto: 66

Kowloon - Invocation of Baekdu

#PER CHI AMA: Raw Black
Non potevo non scrivere una recensione su una band nord coreana, soprattutto alla luce della copertina ridicola del disco, di contenuti musicali al limite dell'indecenza, ma comunque di un fascino esotico sprigionato da una release che alla fine, non mi ha lasciato indifferente. Sto parlando dei 구룡 (che tradotto in inglese dovrebbe essere Kowloon, come il nome di una delle aree urbane di Hong Kong, chissà  poi se ci sia qualche attinenza) e del loro EP di debutto, '백두의 소환' (tradotto nell'inglese 'Invocation of Baekdu', dove quest'ultima rappresenta il nome della montagna sacra più alta della Corea del Nord). Il genere musicale proposto? Un raw black metal che sembra ricondurci indietro nel tempo di 35 anni, ai tempi delle prime uscite norvegesi di Mayhem e compagnia. Tre brani e nove efferati minuti di black metal crudissimo e registrato malissimo, con la band che ci tiene a sottolineare che lo studio di registrazione è stato utilizzato durante gli orari consentiti, rispettando rigorosamente le normative durante l'intero processo creativo e che le attrezzature sono di proprietà statale. Le chitarre sono invece taglienti e melodiche nel secondo brano, con un riffing acuminato che richiama Emperor e Dissection allo stesso tempo, e delle vocals straordinariamente buone. Ecco, se mettiamo da parte la copertina del disco, la pessima registrazione, la prima abominevole traccia, e il cantato in lingua madre, con questo secondo pezzo si assiste quasi a un miracolo. Con la terza song ci lasciamo infine braccare da un pirotecnico black/thrash strumentale che evoca ancora una volta gli spettri scandinavi degli anni '90. Chissà se alla fine questi Kowloon siano realmente un progetto nord coreano o una burla in stile Ghost Bath, fatto sta che andranno obbligatoriamente seguiti da molto vicino, giusto per capire se il regime li avrà nel frattempo eliminati per questo loro atto di ribellione nel rilasciare un disco black. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 61

lunedì 20 ottobre 2025

Toughness - Prophecy

#PER CHI AMA: Brutal Techno Death
'Prophecy' è stato il demo con cui i polacchi Toughness hanno fatto il loro debutto sulla scena nel 2022. La band, che avevamo incontrato qui nel Pozzo in occasione del loro album 'The Prophetic Dawn', e che quest'anno ha visto peraltro l'uscita del secondo cd, 'Black Respite of Oblivion', ha avuto la fortuna di veder anche il demo riproposto dalla loro etichetta, con una nuova veste grafica e una bonus track. Al pari del loro debut album, che io stesso avevo recensito, devo ammettere che anche il qui presente lavoro non brilla certo in fatto di produzione, causa un suono sporco, scarno e che di fatto non mi fa apprezzare la performance dei singoli strumenti. La proposta musicale è poi inevitabilmente legata a quel brutal death, mai troppo violento in realtà, di cui vi avevo parlato in passato, con spruzzate di techno death a sottolineare la comunque notevole perizia strumentale del quartetto di Lublino. Tuttavia, devo dire che il primo pezzo, "Carnal Ecstasy", non l'ho trovato cosi interessante, forse troppo ripetitivo nei suoi giri di chitarra, cosa che non ho riscontrato invece nella successiva e più delirante, "Cleavered". Vi basti ascoltare infatti i suoi giri di basso e di chitarra per rimanere paralizzati, per non parlare poi della sassaiola affidata a un drumming a dir poco schizoide. La voce, manco dirlo, un growl strozzato in gola. Pezzo interessante, diretto e mordace che in meno di tre minuti chiude positivamente la pratica. Ben più complessa e strutturata invece la successiva "The Oracle of Disentanglement", song inizialmente soffocante nel suo apparato ritmico e vocale, meno ariosa e jazzy però, rispetto alla seconda traccia. Una song alla fine monolitica ma comunque ubriacante. Per quanto riguarda la bonus track, "Defying of the Messiah", questa mostra un incedere iniziale più doomish oriented, per poi liberarsi nuovamente in giri un po' troppo ridondanti di chitarra. Un plauso tuttavia va all'inumano batterista che siede nelle retrovie e che detta i tempi pazzeschi di un disco piuttosto violento. (Francesco Scarci)

(Godz Ov War Productions - 2022/2025)
Voto: 65

Pogarda - Czarne Obrazy

#PER CHI AMA: Black Progressive
È una prima assoluta quella dei polacchi Pogarda. 'Czarne Obrazy' è infatti l'EP di debutto per il quintetto di Krosno, un lavoro di cinque pezzi e oltre 21 minuti di musica dedita a un black progressive. Le note introduttive di "Lament" sono delicati arpeggiati che vedono uno screaming rauco e straziante, andarsi ad affiancare per creare un sound lento, sofferente, melodico che, al minuto 3.50, mi ha addirittura evocato gli Agalloch di 'The Mantle'. Non tanta raffinatezza sia chiaro, e nemmeno la delicatezza delle note della band statunitense, visto che il sound dei Pogarda esplode invece in un post black dinamitardo, dove a mio avviso, andrebbe rivisto il suono della batteria. La proposta non è affatto male, per quanto il cantato sia in lingua madre, non certo morbido da assimilare. Ipnotica la successiva "Nieludzkie Pragnienie", dove spicca ancora una scelta stilistica che vede tiepide e soffuse melodie affiancarsi a un cantato decisamente malato di raucedine, mentre apprezzabili sono le parti in tremolo picking che si dilettano a dipingere affreschi di desolazione lacerante. "A Czwartą Plagą..." parte stranamente più sostenuta, quasi in una sorta di post punk dalle tinte black, un po' come facevano gli An Autumn for Crippled Children agli esordi. In "Freski" è invece è un bel basso a guidare una musicalità più ostica, resa ancor più difficile da assorbire causa una voce ancor più vetriolica. I giri in tremolo picking sono però davvero goduriosi e questo basta, per il momento, a bilanciare i frangenti meno digeribili del disco. In chiusura, le atmosfere graffianti di "Wilki Wyją" sanciscono un debutto certamente interessante, sulla scia di altre realtà tipo Karg o Harakiri for the Sky, una piccola gemma però, da sgrezzare al più presto. (Francesco Scarci)

(Godz Ov War Productions - 2025)
Voto: 69