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mercoledì 11 settembre 2024

Vaina – Unio Mystica

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Nell'ultima uscita dei Finlandesi Vaina, esiste una componente così magica, che difficilmente passerà inosservata agli ascoltatori, fin dal primo ascolto. Una magia oscura o forse meglio, come rimarcato dal significativo titolo, 'Unio Mystica', una magia misterica, criptica e intrigante. Quel tipo di legame misterioso, che nella teologia cristiana, lega l'uomo alla figura di Cristo e lo fa vivere in riflesso della sua essenza, nel bene e nel male. Un disco che affascina per suoni e varietà compositiva, per le sue atmosfere in chiaroscuro, che nasconde tra le righe dei testi, cantati in lingua madre e inglese, quel concetto che nella filosofia di Kirkegaard, rappresenta il binomio disperazione dell'uomo/ricerca religiosa, in pratica un lungo viaggio sonoro vissuto come una fuga mistica a perseguire la verità. Musicalmente, 'Unio Mystica', si presenta come un caleidoscopio di rimandi sonori, che spaziano tra diversi emisferi del metal estremo e non solo. Al suo interno troveremo spazio per l'avanguardia e l'esoteric metal, e strutturalmente potremmo ricollegarlo anche alle geometrie barocche di 'Gothic Kabbalah' dei Therion, ovviamente rivisto sotto la luce buia e sotterranea di una sperduta cattedrale gotica dispersa nella foresta. Il sentore oppressivo del capolavoro classico, i 'Carmina Burana', è sempre presente, con le sue atmosfere ampie e corali all'ombra delle candele, lo spettro de 'La Masquerade Infernale' degli Arcturus, è fonte d'ispirazione, con una teatralità viva ma meno plateale, più underground. Riecheggiano anche i Manes, quelli di 'Vilosophe', con in più schiaccianti aperture verso l'avantgarde black metal, ferreo e glaciale di stampo Angst Skvadron, e insieme, compiono il resto del richiesto miracolo. Certo i Vaina non sono una band sprovveduta e con l'avanguardia ci hanno sempre giocato. Tuttavia, stavolta ci hanno regalato il loro lavoro migliore, un gioiello sonoro tutto da gustare, dove trovare echi di doom jazz, con una tromba devastante, presente nell'articolata "Inverted", che sembra uscita da qualche cassetto dimenticato dei Mercury Rev che suonano un brano della Kilimanjaro Darkjazz Ensemble. Per luminosità e melodia, mostrano un lato progressivo eccelso, di una band in grado di fondere magistralmente correnti diverse in una traccia di poco meno sei minuti, senza perdere oscurità, profondità e amalgama nelle sue composizioni. "Incinerate" è un'icona toccante che spolvera vecchie teorie da classic metal, con un cantato esaltante in puro e astratto stile, ancora di scuola Manes/Arcturus, che ci accompagna verso un'altra chicca, stavolta nel verbo del folk rock progressivo, "Moribundus Sum", fiabesca e sognante nell'introduzione, come la calma prima della tempesta nel suo legarsi alla successiva "Golgatan Tähti". Questa è violenta e funambolica, dal piglio progressive folk metal, epico e dai mille colori, che va a sfociare in una composizione che rimanda ad alcune arie di 'Blossom of Mourning' dei Dark Reality, con quel suo gusto progressivo dai tratti classicheggianti ma tenebrosamente e totalmente metal. L'atmosfera globale ricorda l'austero, immaginario mondo monastico, visto da vie traverse e dal suo lato più introspettivo e oscuro. Infatti, sparse un po' ovunque, si presentano luci rubate alle scene di un film come 'Il Nome della Rosa', dotato comunque di una vena molto sinistra. Un rarefatto black metal avvolge molti momenti di questo disco, a renderlo oggetto di ascolto da approfondire a più riprese, per capirne la vera essenza. Una creatura artistica che vive di luce propria, difficile per questo racchiuderla in preconcetti musicali standardizzati. Alla fine possiamo dedurre però che, per quanto ostica possa sembrarci la sua struttura, dopo svariati ascolti, sarà impossibile non percepire l'attitudine originale di questo disco e di tutte le sorprese inaspettate nascoste al suo interno. Un album eclettico come poteva esserlo a suo tempo, il manifesto sonoro dei Solefald di 'In Harmonia Universal', suonato in chiave sotterranea, scarno e cupo. Un album che non vuole confini, che pone il suo aut-aut senza paura. Un ascolto che merita attenzione e che non vi lascerà l'amaro in bocca. (Bob Stoner)

(Aesthetic Death - 2024)
Voto: 80

https://vaina.bandcamp.com/album/unio-mystica-2

Kerry King - From Hell I Rise

#FOR FANS OF: Thrash
I think, after repeated listens to, this LP never really "grew on me." Here are the likes to enormously talented members from long-time metal bands such as Death Angel (Osegueda), Forbidden (Bostaph), Machine Head (Demmel), Slayer (Bostaph, King) & Testament (Bostaph), to name a few. However, they maintain potential in their own bands, not Kerry's. Total generic guitar riffs & I pay most attention to the "axe-work" because I play as well! The structures to the songs musically have literally no creativity to them, so you can be exposed to how pathetic Kerry's musicianship is in writing & lyrical content as well. A lot of hype for this because of the talented line-up, but it was just that it didn't unlock any more potential. Basically, it was a flop.

In a great attempt to analyze the music here, well really reflects Kerry's Slayer-esque type of guitar rhythm structures & leads. He didn't break away from that to develop his own sound. Instead, it was leftover chunks of music that most likely didn't appear on any of Slayer's music because he's so bankrupt of ideas musically. There is nothing even creative here, the music is so boring, there are no songs that were on here that I even remotely liked. It was really upsetting, not my expectations, but I was sort of hopeful. It really upset me because it's no longer about making good music, just selling CD's & cashing in on Slayer fans, I presume. None of these band members were able to save him from disaster. Instead, they campaigned against originality by not coming up with unique sounds or ingenuity. Being since 2019 that most were with Kerry from the beginning, I guess to add to his not even mediocrity type of thrash metal (if you want to call it that). It can't all be bad, right? I know a lot of people were disappointed with this LP, including me, but other critics also annihilated it. It becomes so evident that in Slayer, King did the least amount of songwriting, Hanneman was the mastermind behind the band. Now that Hanneman has been gone (RIP 2013), the remnants of Kerry's participation in his former band showed how "sorry" he is as a musician. Even being coached by Bob Jeffers (years ago) couldn't even help improve his playing, no matter how much of that he got. These songs are just a waste of time & everyone should return to their previous bands except Kerry, he should just retire! He wants to keep writing (or lack thereof) while he's still alive & kicking, but I think he just wants money. The talent in Slayer was Hanneman & Lombardo. And Bostaph OK, but Kerry? Fill in the blank.

Osegueda, I have total respect for in his thrash band Death Angel, of whom he joined in 1984. He took voice lessons to prepare himself for being the frontman to his SFO based act. I guess Kerry ruined him too because Osegueda sounds awful screaming like Araya (Slayer), only his own voice in his long-time band is where he sounds the best to me! The lead trade-offs on the guitars (as well) were sloppy, especially Kerry's. And I can't recall a solo in Slayer that was clean, they were always muddled attempts that failed miserably. I can't see why he has a strong following, he's never impressed me, I wanted to give him the benefit of the doubt here, though. Big mistake! 46+ minutes of absolutely nothing, none of the members improved their talent for Kerry. Maybe it just seems like everyone here is basically on their way out of the metal making music scene.

Again, total waste of money and time listening to this. The song titles were idiotic & all the guitar riffs are from an intellectual equivalent to a kindergartener that can't write or compose if his life depended on it! Don't even bother with this, there's really nothing good to say about it. People's IQ drops reading these lyrics, too. Slayer is dead, long live Slayer, not hacks! (Death8699)

(Reigning Phoenix Music - 2024)
Score: 45

https://kerrykingofficial.com/

martedì 10 settembre 2024

Art of Attrition - .​.​.​And it Will All End Forever

#PER CHI AMA: Techno Symph Deathcore
Proprio ieri parlavamo di una scena black nel Quebec, death in British Columbia, ed ecco che oggi andiamo in Alberta per saggiare il techno deathcore degli Art of Attrition, che tornano, a distanza di due anni da 'The Void Eternal', con un nuovo EP. '.​.​.​And it Will All End Forever' è il titolo della nuovo release che mette in pista quattro nuove devastanti tracce che irrompono con la deflagrazione, sin dal primo secondo, di "Drowned in Fog" forte di una sezione ritmica letteralmente frantuma-ossa, complice una monumentale batteria, vera spina dorsale di questa band, una coppia di asce dal rifferama mega ribassato, una sezione orchestrale che dovrebbe attenuarne i toni ma ne arricchisce gli arrangiamenti, per chiudere con un grugnito vocale che sfocia talvolta nel pig squeal. "Vitriol" parte decisamente più in sordina, ma si tratta solo dei primi 15 secondi: i nostri rimetteno infatti in mostra i muscoli con attacchi ritmici che sembrano provenire da ogni direzione. Il pezzo nella sua ondivaga forma psicotica alterna parti più ritmate con sventagliate fuori controllo, in grado di interrompersi repentinamente per partiture tastieristiche sci-fi estremamente ispirate e melodiche. Tranquilli, è sempre questione di pochi secondi e la tempesta sonora torna a battere come una grandinata che squarcia il telaio e il parabrezza di un automobile, lasciandola crivellata di colpi mortali. Ovvio che per avvicinarsi a tale proposta musicale, è necessario avere le orecchie foderate di ghisa e prendere una buona dose di sedativi, altrimenti il ritmo infernale finirà per farvi esplodere il cuore. Il tutto è confermato anche dalla terza "Emaciate", il cui apparato ritmico ha più le sembianze di una mitragliatrice in grado di sferragliare 3500 colpi al minuto. Le orchestrazioni dovrebbero, ma non riescono, a mitigare questa sequenza mortale; ci prova allora un cantato quasi rap ma niente da fare, fa infatti la sua comparsa sua signoria "contraerea di Baghdad", accompagnata da voci isteriche e un successivo assolo da chilo, tale da lasciarci interdetti. A chiudere questo massacro, ecco la title track: non so cosa aspettarmi, sono letteralmente in apnea, anche se la band non lesina certo nelle variazioni di tempo e in inaspettati break ambientali. E infatti, sebbene un inizio più tranquillo, i quattro musicisti canadesi si lanciano in un'altra gara sparata a tutta velocità, in questo magico connubio di violenza, melodia e magniloquenti, terrificanti e orrorifiche atmosfere. Semplicemente paurosi!!! (Francesco Scarci)

lunedì 9 settembre 2024

Atavistia - Inane Ducam

#PER CHI AMA: Symph Death
La scena canadese è viva e vegeta. Se da un lato, quello orientale, pullulano le gelide band black del Quebec, nell'area della British Columbia, sembrano andare più di moda sonorità sinfoniche. Quest'oggi ci approcciamo agli Atavistia e al loro nuovo EP, 'Inane Ducam', il cui sottotitolo è "I Will Lead into Nothingness". Quattro brani più intro quindi per apprezzare le qualità di una band che ha già comunque rilasciato 3 Lp e un Ep, ma di cui francamente ignoravo l'esistenza. La band di Vancouver esce con un lavoro maturo, che sottolinea l'eccellente perizia tecnica di un quartetto potente, estremamente melodico ed epico, da tenere assolutamente sotto la lente di ingrandimento. Dopo la classica intro atmosferica, ecco rimbombare nel nostro stereo "Timeless Despair", che irrompe a gamba tesa con il suo suono bombastico, sostenuto da una ritmica violenta, pesante ma melodica, frutto di sciabolate chitarristiche, sonore pedate nel culo ad opera di uno spaventoso drummer, diaboliche vocals (growl e scream) e un impianto tastieristico, vero responsabile, insieme a quei minimalistici cori orchestrali, della componente sinfonica del disco. Aggiungiamo poi un assolo con i controcoglioni sparato nella seconda parte del brano e avrete idea di cosa sono in grado di fare questi musicisti con il loro apparato strumentale. Un'altra bella staffilata ci arriva in pieno petto con "Dark Isolation", perfetto per tutti coloro che pensano che ascoltare death sinfonico sia per femminucce. Qui c'è sicuramente una grande dose di melodia, ma per far fronte alla robustezza di un sound che in più di un caso, strizza l'occhiolino ai Dimmu Borgir di 'Puritanical Euphoric Misanthropia', serve comunque una bella armatura. Interessante l'evocativo cantato pulito a metà brano e l'assolo mozzafiato conclusivo che precede l'ultima furibonda cavalcata di un pezzo a dir poco esplosivo. Ma le sorprese non finiscono certo qui: "Unattained Creation" ha un che di vampiresco nella sua parte iniziale, con le parti di tastiera che arrivano come stilettate al petto; ad abbassare la tensione, ci pensano le clean vocals di uno dei due cantanti. Ma non temete, perchè una nuova tempesta di chitarre è pronta ad abbattersi sulle nostre teste, coadiuvato da un basso pulsante e dal martellante bombardamento della batteria, chiamata a un lavoro straordinario. A chiudere questo piccolo gioiellino, il cui voto finale sarà penalizzato dalla sua breve durata, arriva la nervosa "The Void", un pezzo all'insegna di un black/death veemente che potrebbe richiamare i Wintersun e una proposta musicale che potrebbe aver molto da dire in un futuro a breve termine. (Francesco Scarci)

(Self - 2024)
Voto: 75
 

Mourning Dawn - The Foam of Despair

#PER CHI AMA: Black/Doom Sperimentale
Ecco un'altra band che qui nel Pozzo dei Dannati è ormai di casa: sto parlando dei francesi Mourning Dawn e del loro recente comeback discografico, sempre attraverso la Aesthetic Death. 'The Foam of Despair' è il loro sesto lavoro su lunga distanza e si configura come la classica miscela death doom, accompagnata da atmosfere black depressive che ricordano certe cose degli Shining. Questo è già evidente nell'opening track, "Tomber du Temps", che sembra ammiccare non poco ai colleghi svedesi guidati da Niklas Kvarforth. La forza di questo primo brano risiede nella cupezza delle sue chitarre, negli strali malinconici insiti nelle melodie e nel cantato disperato di Laurent "Pokemonslaughter", che si muove tra uno screaming comunque intelligibile e un approccio narrativo ansiogeno. Da sottolineare la componente solistica da urlo e la presenza dello strepitoso sax di Adrien Harmois nella coda del brano, a mettere la classica ciliegina sulla torta a un pezzo davvero evocativo, che nella chiusa evoca un che dei nostrani Dawn of a Dark Age. La seconda "Blue Pain" vede una nuova ospitata del disco: dietro al microfono si presenta infatti l'onnipresente Déhà (peraltro responsabile anche del mixing e mastering dell'album), in un pezzo che scalda gli animi ancor di più, per quei suoi rimandi inequivocabili ai Katatonia di 'Brave Murder Day'. E io godo. Non poco peraltro, visto l'ottimo lavoro melodico proposto e la performance vocale di uno dei miei cantanti preferiti, in ambito estremo. "Borrowed Skin" dura oltre 11 minuti e promette bene sin da quel morbido incipit affidato al parlato del frontman. Le atmosfere si mostrano plumbee, il giro di batteria quasi ipnotico, ed è qui che il terzetto di Parigi ci inchioda in un incedere straziante, con il vocalist che sprofonda in territori growl, mentre le chitarre assumono sembianze sghembe ma sempre sinistre, interrotte da un brevissimo break centrale, che troveranno modo poi di esibirsi in altri ottimi assoli. Notevole. Dopo tante cose abbordabili, ecco che "Apex" mostra il lato più scorbutico dell'ensemble transalpino, sebbene la song si muova su un mid-tempo claustrofobico e ostico da digerire, ma gli arrangiamenti in sottofondo sono egregi e inducono sicuramente a un ascolto curioso e attento. Ma l'attenzione verrà sicuramente catalizzata dalle atmosfere trip-hop della successiva "Suzerain" dove si palesa un altro ospite, A.K.: ancora un parlato in francese, echi dei CROWN che si esibiscono nelle chitarre pesanti dei nostri con la comparsa contestuale del cantato graffiante di Laurent. Che la traccia non sia comunque come tutte le altre è palese, avanzando nell'ascolto di un brano magnetico, intenso e psichedelico che, non so per quale motivo, ho trovato per certi versi accostabile a "Epitome XIV" dei Blut Aus Nord. Ultimi due pezzi a disposizione per la band per farci gridare al miracolo: si parte con il doom di "The Color of Waves", che incorpora un suggestivo intermezzo atmosferico, punto di partenza di un nuovo irrequieto e inquieto giro di chitarre. Si chiude con l'industrialoide "Midnight Sun" (traccia peraltro non disponibile nella versione vinilica) che con le sue sperimentazioni sonore, sancisce che in casa Mourning Dawn, qualcosa è davvero cambiato, e in meglio. (Francesco Scarci)

venerdì 6 settembre 2024

Inerth - Hybris

#PER CHI AMA: Death/Sludge
Gli spagnoli Inerth tornano con il loro concentrato di violento e melmoso sound. 'Hybris' è il terzo lavoro, dopo l'EP di debutto e il full length del 2022, 'Void'. L'inizio affidato a "Midlife Wasteland" ha un che dei Napalm Death di 'Utopia Banished', con un impatto pesantissimo delle chitarre, sulle quali irrompe un super vocione growl (che verrà poi accompagnato da linee vocali pulite). La cosa affascinante sono le interferenze melodico industriali che evocano un che di Godflesh/Killing Joke, e che alla fine renderanno il death dei cinque madrileni, davvero carico di groove e più "facilmente" ascoltabile. Quest'approccio, per certi versi avanguardistico, è confermato anche nella seconda "Oblivion", un po' più mid-tempo come ritmica, e che apre immediatamente con le vocals del frontman in formato "clean", in un sound che sembra richiamare anche un che di post metal e sludge, senza rinunciare a un interessante break atmosferico, in cui a mettersi in luce è la batteria di J. Moya. Poi, una ripresa piuttosto roboante, affidata a un muro di chitarre mastodontico (e dal refrain quasi hardcore) e a dei vocalizzi da orco cattivo. I nostri iberici se la cavano alla grande nell'armeggiare i loro strumenti e non stupisce quindi, quando a divampare nello stereo, si pone la terrificante e muscolosa "Fentanyl", che sembra riportarci alle atmosfere orrorifiche del death anni '90, a cavallo tra gli Entombed di 'Clandestine' e i Celtic Frost. "A.I.", la più doomish delle quattro song qui contenute, è un pezzo che strizza l'occhiolino ai Disembowelment, però con un dualismo vocale che rimane comunque spiazzante e che dopo due minuti, troverà il modo di accelerare i giri del motore, scatenando tutta la sua furia dirompente a firmare la chiusura di questo interessante dischetto. (Francesco Scarci)
 
(Abstract Emotions - 2024)
Voto: 74
 

giovedì 5 settembre 2024

Officium Triste - Hortus Venenum

#FOR FANS OF: Death/Doom
The Dutch veterans Officum Triste are for sure one of the most relevant projects in the doom metal scene. Founded 30 years ago, these veterans have a career full of great albums, although they haven’t been particularly prolific. But you know, it’s always clever to focus on quality rather than on quantity, and Officium Triste has followed this rule with a devoted constancy. As you probably imagine, there have been some line-up changes through its three decades of existence, although less than you could think. More importantly, a core trio remains since its inception, which probably explains how this band maintains its recognizable classic sound. This could be a bad thing if the inspiration drops, but thankfully Officium Triste has kept the passion alive, which is something remarkable.

Its combination of death and doom metal influences, with a strong atmospheric touch, has always been very appealing to me as this ambience enhances the beauty of its melodies. The new opus entitled 'Hortus Venenum' is not an exception. The balance between atmosphere and tasteful guitar melodies is again impeccable. Firstly, the production is just perfect, it’s equally clean and powerful, leaving each musician, including the always robust vocals, to shine when necessary. Structurally, the compositions don’t differ too much in its peace, a quite unsurprising fact if we have in mind that doom/death metal is not a subgenre known for its incredible tempo changes. In any case, the songs don’t sound absolutely monotonous as the band tries to add small variations in each composition. You can appreciate this effort between the first track, "Behind Closed Doors", and the second one entitled "My Poison Garden". The intense album opener contains everything you expect and love from Officium Triste. The guitar harmonies are top-notch. Their beauty is undeniable and combined with the piano/key arrangements the captivating moments come one after the other. Creating mesmerizing moments is something Officiam Triste can do as many times as they want, which speaks volumes about the band’s talent and passion. The initial part of "Anna’s Woe" is a fine example of it, with this marvelous ambient section led by delicate guitar and piano melodies. The rest of the album follows similar patterns and quality level, which makes the listener fully enjoy the experience. The album itself is not long at all, as it clocks around 41 minutes. The way you end an album is always a key moment, as it lets the listener with a lasting taste of the band’s work. Once again, the Dutch veterans know how to do the job properly. The last and longest piece, "Angels With Broken Wings", is a magnificently crafted composition with tons of exquisite melodies. It’s a remarkably slow song, but it shouldn’t be a problem for the accustomed listener, as the aforementioned melodies are a delicatessen of sonic nourishment for the listener.

In conclusion, Officium Triste has returned with a truly excellent new album. The greatness of its melodies and atmosphere clearly shows the amount of effort put by the band, and it is for sure a gift for its numerous fans. (Alain González Artola)


(Transcending Obscurity Records - 2024)
Score: 88

https://officiumtriste.bandcamp.com/album/hortus-venenum

lunedì 2 settembre 2024

Grave Sermon - Liturgical Perversions

#PER CHI AMA: Death Metal
Se siete alla ricerca di suoni devastanti, vi trovate nel posto giusto. Il nuovo EP degli irlandesi Grave Sermon, intitolato 'Liturgical Perversions', offre un'esperienza sonora che vi colpirà come un pugno dritto in pieno petto. Rispetto al loro debutto nel 2019, 'Whitewashed Tomb', non ci sono grandi deviazioni nello stile, ma è evidente un salto in avanti in termini di registrazione, pulizia e potenza, che mette in risalto la violenza del quintetto (spaventosa a tal proposito, la prova alle pelli di Jason Connolly, ex Abaddon Incarnate). La traccia di apertura, "This Mortal Disease", è particolarmente convincente nonostante non presenti una grande dose di originalità, richiamando inevitabilmente i suoni dei Morbid Angel, Bolt Thrower e Suffocation.Tuttavia, l'energia impetuosa si arricchisce di un pizzico di groove nelle linee di chitarra di "Preordained", suoni che ammiccano ancora di più all'angelo morboso, grazie a quel suo rutilante lavoro alla batteria e qualche giochino alla chitarra, senza scordarsi della performance vocale, che si muove in bilico tra screaming e growl. In "Vial of Wrath", la band continua a imbastire intricate trame ritmiche, grazie anche al drumming magistrale che rappresenta il fiore all'occhiello di un gruppo che rischierebbe altrimenti di essere etichettato come banale. Bene ma non benissimo quindi, fosse altro che quel basso introduttivo alla Metallica (di "My Friend of Misery") che apre l'ultima vorticosa "An Unfathomable Pact", ci offra un altro, l'ultimo, emozionante giro sulle montagne russe, anzi irlandesi, targate Grave Sermon. (Francesco Scarci)

Mekigah - To Hold Onto A Heartless Heart

#PER CHI AMA: Drone/Ambient/Experimental
Ho recensito tutti gli album degli australiani Mekigah, seguendo da vicino l'evoluzione sonora di Vis Ortis, partendo dagli esordi dark gothic di 'The Serpent's Kiss', attraversando la fase death doom, fino ad arrivare alle ultime derive dronico-avanguardistiche dell'ultimo uscito 'Autexousious'. Un percorso assai complesso quello del mastermind di Melbourne, che con questo 'To Hold Onto a Heartless Heart', taglia il traguardo del quinto album. Una miscela sonora quella contenuta nelle sei tracce di questa release, come sempre parecchio ostica da digerire, che si dipana dalle atmosfere sinistre della lunghissima song posta in apertura. "Collapsing Under" dura infatti oltre 14 minuti, costituiti da suoni complessi, infausti e disomogenei, che spaziano con una certa disinvoltura dal drone all'ambient, passando per suoni tribali, noise, funeral e quant'altro di sperimentale possiate immaginare, il tutto accompagnato da un cantato in screaming in sottofondo, che evoca riti sciamanici o litaniche possessioni. Come immaginavo, nulla di quanto ascolterete qui è di facile ascolto, nemmeno la seconda "Broken Rhythm Pressure", che sembra debuttare più teneramente rispetto all'opener, ma presto si immerge in sonorità orrorifiche, affidandosi a suoni stralunati, vocals ingarbugliate, atmosfere tra il rarefatto e il rumoristico, e consegnandoci di fatto, un altro brano assai malato e angosciante, che richiede una grande fermezza d'animo per essere affrontato e non rischiare la pazzia. Se poi siete degli audaci, beh, allora potrete continuare a vivere il delirio musicale servito dal factotum australiano, passando attraverso la sghemba e alienante "Away Drifting From", più easy-listening delle precedenti, ma non per questo, di meno complicato ascolto. Le atmosfere continuano a mantenere contorni agghiaccianti, complice lo stridolio vocale del frontman e un incedere apocalittico che permea il disco nella sua interezza. Un cantico sirenesco sembrerà ammaliarvi nella più breve "An Infinitesimal Difference", ma fate attenzione a lasciarvi sedurre da quei suoi quasi gentili suoni, che lasceranno ben presto il posto alla marziale glacialità della sua coda noisy che sfocerà nelle derive infernali di "It Hisses So", un brano che potrebbe mischiare l'approccio danzereccio degli Hocico con la depravazione sonora degli Aevangelist, ma rallentato e amplificato rispetto alla violenta furia della band finlandese. Chi avrà la forza di arrivare sino in fondo, troverà "Eyes Glazed Over", l'ultima strenua prova di sopravvivenza offerta da quest'album; già vi avverto che non sarà affatto semplice, data la natura ipnotica, stridente e dissonante del brano che potrebbe condurre definitivamente alla follia. Pensavo che l'effetto sorpresa si fosse esaurito, ma mi sbagliavo, il buon Vis Ortis ha ancora molto da offrire. (Francesco Scarci)

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