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martedì 17 marzo 2020

Salmagündi - Rose Marries Braen (A Soup Opera)

#PER CHI AMA: Avantgarde/Krautrock/Noise Jazz
Ottima seconda uscita per questa band proveniente dalla provincia di Teramo che ci inebria con un album dal contenuto eclettico e variegato, classificabile solo con la dicitura avantgarde. Provate ad immaginare suoni new wave, sintetici e astratti a la The Residents mescolati all'ultra psichedelia rock dei 500 Ft. of Pipe, un sarcasmo zappiano, un post punk trasversale con una voce salmodiante a metà tra Jim Morrison ed il canto gotico dei Bauhaus, dei synth cosmici, krautrock e follie soniche alla Mike Patton e i suoi Mr. Bungle, per avere lontanamente idea del miscuglio ben generato e ragionato e con effetto molotov di questi Salmagündi, band raccomandata per appassionati di musica cerebrale, schizoide, senza confini nè limiti. I riferimenti sonori sono molteplici e ci si diverte parecchio durante l'ascolto di 'Rose Marries Braen (A Soup Opera)' nel cercare le connessioni con le varie influenze. Detto questo, bisogna ammettere che la band abruzzese, nelle sue evoluzioni strutturali progressive, ha un potenziale di originalità assai elevato e, a discapito di altre band sperimentali, i Salmagündi (il cui significato la dice lunga sulle intenzioni della band - trattasi infatti di una ricetta gastronomica franco-inglese, il salmigondis, che prevede un miscuglio o un mix di ingredienti eterogenei), nonostante la complessità dei brani, si lasciano ascoltare con facilità ed un certo interesse in quanto sono atipici e fantasiosi (l'organico è composto da un synth, due bassi, batteria) e con composizioni storte e intelligenti, mai improntate sul mero virtuosismo, semmai atte a sguinzagliare l'estro creativo dei musicisti, che ripeto, sono assolutamente senza barriere e confini strumentali. Il quartetto si sposta infatti in continuazione tra le note di un brano e l'altro, facendo apparire l'album come un viaggio multicolore, stralunato e folle, per raccontare la storia del pazzo mondo di Braen (un personaggio da Carosello, quel vecchio programma televisivo in onda tra il '57 ed il '77), arrivando a toccare vette di noise-jazz istrionico, come in "Cheese Fake" o "Cockayne". In altre composizioni invece, i nostri assumono tempi lenti e funebri, con il jazz di matrice zappiana, il rock in opposition e quella gradevole goliardica verve teatrale che ritroviamo anche nel disco capolavoro, 'Primus & the Chocolate Factory With the Fungi Ensemble" e che consentono ai nostri di scardinare definitivamente la supposizione che quest'ottimo gruppo rientri nella normalità. Un ascolto obbligato, per veri intenditori! (Bob Stoner)

domenica 15 marzo 2020

Bloody Souls - The Devil's Hole

#PER CHI AMA: Stoner/Doom, Candlemass, Black Sabbath
Tralasciando il fatto che la scena stoner internazionale sia immobile da tempo immemore e che sia popolata da una miriade di band bravissime ma tutte uguali o alla meglio, simili tra loro, che hanno perso progressivamente, dalle origini ad oggi, caratteristiche e meraviglie psichedeliche che hanno reso questo genere una musica di culto, ci avventuriamo alla scoperta di questa band abruzzese al suo debutto (pubblicato e distribuito dalla (R)esisto). I Bloody Souls suonano molto bene ma non fanno eccezione, non inventano niente di nuovo, hanno un sound retrò e ricalcano i versi e le costruzioni classiche, dai Black Sabbath ai Candlemass, attingendo anche a quell'oscura influenza che fu il diavolo secondo i Death SS, e aggiungendo un po' di quel fervore metal anni '80. Nonostante tutto, i nostri riescono a regalarci comunque un ottimo disco. Splendido nel suo essere discepolo dei grandi maestri, (mai come in questo caso, ho apprezzato tanto la chiusura ferrea, tra le fila di un genere, di un disco) diviso tra stoner rock cavalcante, oscure dottrine e doom/sludge dal retrogusto hard rock di matrice 70's di scuola Down e Saint Vitus. La bella voce di Johnny Hell (anche alla chitarra) è il collante giusto, aggressiva, diabolica, (con uno "Yeah!" spettacolare nell'ingresso con annessa risata malefica alla James Hetfield sul brano "Madhouse") per un sound scarno, pesante e potente, ribassato, con diverse suggestioni del passato e perfino un bel tiro alla Corrosion of Conformity di "No Cross No Crown" (il video promozionale di 'Devil's Hole' lo potete vedere in rete su youtube). "Solve et Coagula" ha un ritornello assai interessante che ricorda il prog italiano degli anni settanta, che evoca le più oscure invocazioni al maligno, mentre "Living in Darkness" si abbandona all'orecchiabilità mentre l'oscurità scende nella sabbathiana "Demon's March", una marcia funebre dai toni foschi e lugubri. La mia preferita rimane però l'omonima "Bloody Souls", che appare macabra e mastodontica, che incalza in poco meno di quattro minuti, i vari riferimenti musicali utilizzati dalla band per la composizione dell'intero disco. Quindi nessun miracolo, evoluzioni già sentite ma tanta cupa energia sonora, oscura espressività sputata in faccia senza alcuna remora, per un album dall'umore nero come la pece, travolgente, piacevole all'ascolto e trascinante al punto giusto. Un ottimo biglietto da visita.(Bob Stoner)

((R)esisto Distribuzione - 2020)
Voto: 74

https://www.facebook.com/bloodysoulsband/

sabato 14 marzo 2020

Karmatik - Unlimited Energy

#PER CHI AMA: Prog Death, Cynic
Nel mio costante scandagliare l'underground metallico, questa volta mi sono fermato in Canada, nello stato del Quebec, per dare un ascolto alla seconda prova di questi melo deathsters che rispondono al nome di Karmatik. La loro ultima release, 'Unlimited Energy', è uscita nel 2019 a distanza di sei anni dal loro debut album, 'Humani-T'. Perchè soffermarmi sulla proposta di questo quartetto di canadese? Perchè sono interessanti interpreti di un sound che coniuga il melo death con prog e techno death. Lo dimostrano subito con i fatti e l'opener "Universal Life", una traccia che mette in luce la caratura tecnica del combo, una certa ricerca per il gusto, e questo loro combinare riffoni death, sempre pregni di melodia sia chiaro, con rallentamenti più sofisticati che mi hanno evocato i Cynic. E la band di Paul Masvidal e soci torna anche nell'incipit di "Tsunami Sanguinaire", con quei rallentamenti acustici da brividi, prima che la band ingrani la marcia e riparta con un rifferama compato, carico di groove, ma pur sempre bello incazzato, ove la voce di Carol Gagné trova modo di sfogare tutta la propria rabbia grazie al suo possente growl. Poi è solo tanto piacere grazie a quei break sopraffini di chitarra e basso, per non parlare dell'eccellente apparato solistico che ci delizia con ottimi giri di chitarra. Diamine, 'Unlimited Energy' è un signor album allora? Si, per certi versi rischia di essere un masterpiece, per altri mi viene da dire che l'album è ancora fortemente ancorato a vecchi stilemi di un death metal di cui si potrebbe anche fare a meno. Perchè dico questo? Semplicemente perchè quando i nostri si adoperano nel classico sporco lavoro death old school, finiscono nel calderone del già sentito. Questo capita con "Black Sheep... Be Yourself", una song che ha il suo primo sussulto solo sul finire del brano. E allora l'invito è cercare di essere un po' più fuori dagli schemi anche in quei frangenti più classiconi, altrimenti la possibilità di non farsi notare si acuisce ulteriormente. Il disco è comunque una prova di tutto rispetto che evidenzia luci ed ombre di una band che potrebbe dare molto di più. Vi segnalerei un paio di pezzi ancora che mi hanno entusiasmato più di altri: in assoluto "Transmigration of Souls" che, nonostante la sua natura strumentale, suona come un mix esplosivamente melodico tra i Death e i Cynic. E ancora, vi citerei i giochi di chitarra di "Defeat or Victory" in un contesto comunque deflagrante e la più sperimentale "As Cells of the Universe" per l'utilizzo di vocals meno convenzionali su un tappeto ritmico fortemente influenzato dalla scuola di Chuck Schuldiner. Ben fatto, ottima la prova dei singoli (basso in testa) ma ora mi aspetto il definitivo salto di qualità. (Francesco Scarci)

venerdì 13 marzo 2020

The Roozalepres - S/t

#PER CHI AMA: Punk Rock
Dalla Toscana con furore mi verrebbe da dire, dopo aver ascoltato queste 12 fottute tracce dei The Roozalepres. Trentaquattro minuti di suoni punk rock lanciati a tutta forza. Cori accattivanti annessi ad assoli arroganti ("Rough'n'Roll Rooze 'Em All"), merce rara per il genere e non solo. "Come and Go" è una bella cavalcata punk che mi hanno evocato gli esordi dei Rostok Vampires e di quell'indimenticabile, almeno per il sottoscritto, 'Transilvania Disease'. Ancora chitarre velenose, melodie che inducono ad un bell'headbanging che a quest'età rischia ormai di procurarmi qualche problemino alla cervicale. Ma sapete che penso, me ne fotto e mi lascio trascinare dal sound di questo quartetto che, pur non inventando nulla di nuovo, assembla in quest'album omonimo un mare di influenze che smuovono anche sua maestà Glenn Danzig ai tempi dei Misfits, coniugando quindi dark, punk e rock'n roll, senza dimenticarsi qualche scorribanda in territori hardcore. Inutile stare qui a fare il classico track by track ed elencarvi peculiarità, pregi e difetti di ogni song, molto meglio lanciarsi allora in pogo sfrenato creato dal combo italico e cercare di dimenticare per una mezz'ora abbondante quel frastuono che ci circonda. Il punk rock dei The Roozalepres (ecco sul moniker avrei di che ridire) è sicuramente molto più rumoroso e divertente. Difficile identificare una song piuttosto di un'altra ma dovendo esprimere la mia opinione, devo dire di preferire la band su ritmiche più tirate come "Frankenstein Heart" o "Riding Cosmos", dove i nostri trasmettono grande energia, piuttosto che pezzi più mid-tempo come possono essere "Black Magic Killer" o "Mean Mean World", una song quest'ultima più Ramones oriented. Alla fine, mi sento di consigliare la fatica di quest'oggi a tutti gli amanti di questo genere di sonorità, poco impegnate e scavezzacollo. (Francesco Scarci)

(Go Down Records - 2020)
Voto: 69

https://www.latest.facebook.com/roozalepres

Borgne - Y

#PER CHI AMA: Black Sperimentale, Aborym, Dodheimsgard
Impugnate la vostra matitina e prendete nota di questo disco perchè già oggi si candida ad essere una delle migliori release in ambito estremo di questo tribolato 2020. Gli svizzeri Borgne sono tornati con un lavoro spaventoso per intensità e qualità esecutiva. 'Y' è il loro nono album, e devo ammettere di non aver particolarmente amato i precedenti otto, un disco che propone uno sconfortante concentrato di black metal sporcato da contaminazioni industrial e visioni post apocalittiche (che in questo periodo ci stanno davvero alla grande). Sette le tracce a disposizione dei nostri per 65 minuti di musica malefica che sembra essere uscita direttamente dalle porte dell'Inferno, carica di odio ma anche di una massiccia dose di melodia. Il cd, in splendido formato digipack, si apre con le tonanti melodie di "As Far as My Eyes Can See", un pezzo che irrompe nel mio lettore con la medesima deflagrante violenza che aveva avuto "Disgust and Rage (Sic Transit Gloria Mundi)" pezzo apripista di 'Generator' degli Aborym. Ecco gli Aborym di quell'album potrebbero essere un bel punto di contatto per la nuova release del duo di Losanna. Tuttavia mi verrebbe da pensare anche ai Dodheimsgard e al loro black avanguardistico industriale per descrivere quello che i Borgne sono oggi. Come detto, non sono mai stato un fan della band elvetica, tuttavia mi ritrovo ad infiammarmi ed entusiasmarmi per un disco mastodontico. Ascoltatevi il ritmo incalzante di "Je Deviens Mon Propre Abysse", quasi una traccia dance all'inizio (e anche alla fine) che muta in una violenta melodia che governa un pezzo cosi incredibilmente ricco di pathos e ottime orchestrazioni. Ancora ammiccamenti di matrice industrial-cibernetica per la lunga e sorprendente "A Hypnotizing, Perpetual Movement That Buries Me In Silence", sorprendente per un finale che sembra chiamare in causa addirittura i Depeche Mode (soprattutto a livello vocale). Con "Derrière Les Yeux De La Création" i Borgne sembrano spostarsi invece in territori dark folk, complice quella chitarra acustica in apertura dal sapore cosi bucolico, seguita poi da un'atmosfera quanto mai glaciale e funesta che rende l'aria pesante da respirare anche quando i nostri cercano con spaventose accelerazioni, di mutare quel mood catastrofico che la song si porta dietro, figlia di giorni di sconforto e terrore. Si cambia ancora questa volta con la follia sintetico cerebrale di "Qui Serais-Je Si Je Ne Le Tentais Pas?" e la sua colata di melodie informi che si muovono tra sonorità a rallentatore e altre elettroniche, prima di immergerci nell'ambient malato di "Paraclesium", una pausa di nove minuti in attesa del gran finale affidato a "A Voice In The Land Of Stars". L'ultima song infatti include ben oltre 17 minuti di musica in cui converge tutto quanto creato sin qui dal duo formato da Bornyhake e Lady Kaos: l'inizio è lento ma poi la velocità e l'umore nero della band elvetica, hanno il sopravvento creando un wall of sound orrorifico, complici peraltro le splendide keys gestite dalla bravissima Lady Kaos. Alla fine devo ammettere che 'Y' è un signor album, moderno, sofisticato, alquanto originale a cui sarebbe il caso di dare una grossissima chance. (Francesco Scarci)

(LADLO Prod - 2020)
Voto: 83

https://ladlo.bandcamp.com/album/y

Sertraline - These Mills are Oceans

#PER CHI AMA: Blackgaze, Agalloch
Sertraline atto terzo, quanti gli EP (solo in digitale ahimè) fatti uscire negli ultimi tre anni dalla band di Buffalo, che prende il nome del generico dell'antidepressivo Zoloft. Ora avrei un desiderio, ossia che l'etichetta canadese Hypnotic Dirge Records che supporta la band, mettesse tutti e tre gli EP su supporto fisico, grazie. Ma veniamo a 'These Mills are Oceans', lo splendido lavoro di oggi. Tre pezzi per venti minuti di musica che combinano post metal, post black atmosferico e depressive con grande maestria ed efficacia per un risultato che ho trovato semplicemente intenso ed emotivamente destabilizzante. Perchè queste mie parole? Ascoltate la malinconicissima "Eyes as Tableau", un pezzo che viaggia su una ritmica post metal che vive di qualche sporadica accelerazione black, ma soprattutto di melodie struggenti su cui poggia il cantato in screaming del frontman Tom Muehlbauer. La seconda "Their Cities" potrebbe essere un mix tra Agalloch, Shining e Cult of Luna, il tutto ovviamente suonato in tremolo picking con una portanza emotiva davvero da applausi, tra rallentamenti in acustico e malefiche sfuriate post black, con la melodia sempre collocata in primo piano. A chiudere il dischetto ecco "Prague": lunga intro ambient con tanto di voci malvagie in sottofondo che cedono il passo ad un estatico intermezzo acustico e clean vocals per passare poi ad una tiepida atmosfera blackgaze con le chitarre che ammiccano qui agli *Shels. L'intensità va salendo e il riffing riprende quota acuendo la propria cattiveria a pari passo con lo screaming arcigno del vocalist, per un risultato finale veramente notevole. A parte desiderare i tre EP in cd, gradirei ora anche uno sforzo da parte della band, ossia un full length. Grazie mille per prendere in considerazione i miei desideri. (Francesco Scarci)

Omeyocan - S/t

#PER CHI AMA: Black/Doom
Palesemente influenzati dalla civiltà azteca (vedasi la piramide di Teotihuacan in copertina), il duo formato da Popocatépetl e Iztaccíhuatl (nella mitologia azteca, Popocatépetl era un guerriero che amava Iztaccíhuatl ma ora sono in realtà il nome di due delle tre montagne più alte del Messico) ci propongono una singola traccia di ben 17 minuti e 17 secondi (chissà se c'entra qualche riferimento numerologico) dedita ad un black atmosferico. L'epilogo della song omonima è una lunga intro tastieristica, di matrice burzumiana, terminata la quale i nostri affidano alla chitarra la conduzione dei giochi in uno spettrale mid-tempo di melodie malate ed infernali. L'atmosfera solfurea che si respira e propaga nell'aria è a dir poco angosciante, complice una registrazione forse un po' troppo casalinga. I riferimenti agli Omeyocan mi portano dalle parti un black (più che altro per le screaming vocals) doom tormentato e decadente che, soprattutto in questo ultimo riferimento, mi hanno rievocato gli australiani Disembowelment. Per quanto non ci sia granchè di unico e originale in questa lunga traccia, devo ammettere che il risultato finale è davvero affascinante, soprattutto per il lavoro delle keys nel cesellare atmosfere orrorifiche con le chitarre a incanalarsi in questo flusso con un lavoro oscuro ma comunque efficace, soprattutto nei momenti in cui si alternano tra arrembanti cavalcate e un tremolo picking suggestivo. Il finale è poi da brividi, laddove il duo dalle origini sconosciute, prende spunto dall'epicità dei Windir sia a livello chitarristico che vocale con un cantato pulito quasi declamato. Ora mi attendo decisamente qualcosa di più di un singolo da questi musicisti, perchè se il buongiorno si vede dal mattino... (Francesco Scarci)

giovedì 12 marzo 2020

Holy Fawn - The Black Moon

#PER CHI AMA: Shoegaze/Post Rock, Slowdive
Credo che 'The Black Moon' sia uno dei lavori che più ho ascoltato negli ultimi tempi. Nelle ultime settimane, appena tornato a casa e acceso il pc, la prima cosa che facevo era far partire "Candy", la opening track di questo EP degli statunitensi Holy Fawn. D'altro canto, la band di Phoenix mi aveva già sedotto nel 2018 con 'Death Spells', ora questo 3-track mi ha preso ancor di più, rapendomi l'anima con le sue fluttuanti atmosfere shoegaze che instillano un senso di malinconia esagerata, un nodo alla gola quasi straziante, rotto solamente da qualche schitarrata (e urlata) che ci ricorda il retaggio black metal della band dell'Arizona. Poi è solo emotività allo stato puro che ci avvinghia e stordisce in un momento in cui la nostra sensibilità appare ancor più enfatizzata. L'animo fortemente shoegaze (e post rock) della band si riflette nei pesanti riverberi sonori e vocali, con la voce del frontman davvero calda e avvolgente. "Tethered" lascia spazio a suggestioni mentali, al desiderio di scappare da tutto quel caos che ci circonda e magari abbandonarci a scrutare il cielo stellato in una qualche isola sperduta nel bel mezzo del Pacifico. "Blood Pact" è l'ultimo atto dell'EP, una song di sette minuti affidati a sonorità ancora in bilico tra shoegaze e post-rock, questa volta contaminate dal drum-beat e da paesaggi sonori che evocano i maestri Slowdive, in una eterea matrice sonora sorretta dalle splendide vocals del frontman che nel finale si lanciano addirittura in uno screaming che fitta perfettamente con il messaggio musicale lanciato da questi musicisti di talento. Ora attendo solo il nuovo album. (Francesco Scarci)

My Purest Heart For You - Change of Heart

#PER CHI AMA: Post Black, Deafheaven
Ispirati all'anime giapponese 'Neon Genesis Evangelion: The End of Evangelion', i My Purest Heart for You sono l'ormai più non comune one-man band americana, come ce ne sono tante altre. Capitanata da tal Gwynevere, la band, dopo aver rilasciato tre Lp, di cui l'ultimo nel 2018, torna a farsi risentire con questo EP intitolato 'Change of Heart', in attesa di un nuovo platter da lanciare. L'EP consta di tre tracce che, dall'iniziale title track attraverso la successiva "Heavy Lights", fino alla conclusiva "Mirror Water", vaga per i territori non tanto inesplorati, del post black di scuola Deafheaven(iana). Preparatevi quindi a farvi investire da una matrice sonora corrosiva lanciata a tutta velocità, su cui si piazza la voce molto arcigna del factotum della South Carolina, che si diletta nel regalare anche attimi di quiete in mezzo a quel caos (melodico) generato. Si insomma, avrete intuito che l'attitudine (e forse anche il risultato finale) sono parecchio assimilabili a quelli della band di San Francisco. Fondamentalmente, la cosa non mi dispiace, soprattutto quando i tempi sono più rallentati e in mezzo a quel sound cosi impastato (e talvolta volutamente caotico), affiorano le melodie di cui Gwynevere si fa portavoce. Il problema è semmai che la proposta della band non è troppo originale: il tremolo picking chitarristico è seducente, accattivante, quello che volete, ma è qualcosa di già sentito. Allora forse la band è più efficace nel proporre quel riffing debordante come nella cavalcata conclusiva che ci mostra qualcosina di più interessante e apre a nuovi spiragli di novità nella release di cui auspico una veloce uscita. (Francesco Scarci)

domenica 8 marzo 2020

Nawabs of Destruction - Rising Vengeance

#PER CHI AMA: Prog Death
Mi piaceva l'idea di recensire una band proveniente dal Bangladesh e cosi non ho resistito a prendere in mano l'EP di debutto uscito nel 2019 e a darci un ascolto attento, in attesa che venga rilasciato il prossimo aprile il loro album su lunga distanza. I Nawabs of Destruction arrivano da Dhaka, la capitale del paese e propongono in questo trittico di song, un concentrato di death progressive davvero entusiasmante. Se non avessi letto l'origine della band su Metal Archive, avrei pensato sicuramente alla Scandinavia, non solo per la freschezza a livello di suoni, ma anche per una perizia tecnica da parte del duo asiatico, davvero ineccepibile. E allora, fatevi investire anche voi dai suoni potenti e melodici di questo 'Rising Vengeance' e dalla spettacolare title track che apre le danze in modo coinvolgente tra cambi di tempo, epiche cavalcate e fantastiche melodie, il tutto in un'alternanza vocale assai interessante, tra il classico growl e un cantato tipicamente prog. Come quello che compare all'inizio della più tiepida "Beginning of the End", un mid tempo che non tarderà a crescere di intensità e a tenervi con le orecchie incollate ai funambolici giochi di chitarra del duo bengalese, davvero incazzato sul finire della song. Ultimo pezzo affidato a "In the Verge of Death", tre minuti di death metal grooveggiante bello tirato e con un assolo stile band thrash anni '80. Ora la curiosità per il full length in uscita per la Pathologically Explicit Recordings si fa davvero forte. (Francesco Scarci)

Anizvara - Atman

#PER CHI AMA: Blackgaze Strumentale
Un'altra one-man-band questa volta proveniente dal Cile, con un EP di tre pezzi che non deficitano certo in personalità. Gli Anizvara, stravagante moniker di questa creatura sud americana, propone un 3-track intitolato 'Atman', un dischetto che strizza l'occhiolino allo stesso tempo a blackgaze e post metal e che stuzzica non poco la mia curiosità in vista di una release più ufficiale di questa esclusivamente digitale. Comunque sia, i tre pezzi del lavoro si aprono con le furiose accelerazioni di "Krisis", stemperate dalle melodie malinconiche del mastermind di quest'oggi e da quelle suadenti atmosfere su cui il musicista cileno non lesina affatto. Bello immergersi in siddetti suoni con tanto di tremolo picking sempre in primo piano; vi basti ascoltare "Fire on Your Forehead" per schiarirvi ulteriormente le idee sulle eccelse qualità di questo progetto, cosi come pure con la conclusiva "Unknowable", due esempi di come si possa coniugare alla grandissima sonorità estreme con anche un più sognante post-rock intriso di splendide orchestrazioni e passaggi acustici (onore alla traccia di chiusura). Sin qui tutto benissimo ma, si c'è un ma, altrimenti mi toccherebbe parlare di un gran bel gioiellino. Ovviamente manca l'apporto vocale, per cui auspico già un cambio di rotta a partire dal prossimo album. Sapete quanto mi stia sulle scatole la mancanza di un vocalist che qui avrebbe rappresentato la classica ciliegina sulla torta. E allora, per favore, caro Anizvara, mettiamo un paio di urlacci sulla prossima release e un alto voto sarà qui garantito, promesso. (Francesco Scarci)

martedì 3 marzo 2020

Global Scum – Odium

#PER CHI AMA: Death/Industrial, Meshuggah, Fear Factory
Dovrei dire che l'album in questione è un vero ossimoro del genere metal, che mette in antitesi strutture ben consolidate di scuola Soulfly/Sepultura con una produzione modernissima e al limite della forma industrial metal. Brani che aggrediscono e opprimono l'ascoltatore con una verve tecnologica vicina al futurista sound dei Meshuggah ed anche se le composizioni sono più dirette e old style (bello il video di "Feader" disponibile sul web), l'effetto claustrofobico non perde nemmeno un briciolo della sua potenza, ipnotica ed ultraterrena. Traccia dopo traccia, con un orecchio ben ancorato alla corrente thrash metal di anni novanta, ci si immerge nella descrizione di un mondo carico di violenza, corruzione e quant'altro la perversione umana sia riuscita fin qui a generare di sinistro (viene citato nel disco anche Josef Fritzl, l'uomo che tenne segregata la figlia in cantina per ben 24 anni!). Il disco è giustamente intitolato 'Odium', e l'artwork di copertina si abbandona ad una grafica senza mezzi termini, completamente circondata da macerie, dove appare in primo piano una figura nascosta in volto da una maschera a gas, imbrattata di sangue sui vestiti, e mettendo bene in luce gli intenti espressivi dell'opera. I brani, rispettando sempre i canoni del genere, sono fantasiosi e mantengono una qualità compositiva ed una produzione assai notevoli, curati a dovere dall'infaticabile Manuel Harlander, "proprietario" del progetto Global Scum. Manuel è infatti potente voce, braccio e mente di questa nuova realtà austriaca, dove si diletta a cantare e a suonare tutti gli strumenti, cercando di portare sempre più in alto questa sua violenta e solitaria one man band. Il disco contiene 13 brani tutti sparati in faccia all'ascoltatore, senza remore, divisi da un breve spartiacque atipico per il genere, nella veste del brano strumentale "Back Beats", che presenta una sezione ritmica vicina alla dance e richiama alla mente gli esperimenti techno metal di Godflesh e Fear Factory. Difficile trovare il brano migliore su di un disco che si lascia ascoltare molto volentieri senza mai abbassare la guardia sotto il profilo della potenza e che contiene un così alto standard tecnico. Un masso sonoro che si esprime al meglio, almeno nel mio modesto giudizio, nel tagliente riff di "Call of Resistance". Quindi agli amanti di thrash e feath, infarciti di ambient futuristico e atmosfere al limite dell'horror, non resta altro che lanciarsi in questo secondo disco dell'artista austriaco, per una nuova, affascinante esperienza sonora. Attenzione, album dall'alto potere esplosivo, maneggiare con cura. (Bob Stoner)

(NRT-Records - 2019)
Voto: 74

http://global-scum.com/

domenica 1 marzo 2020

The Revenge Project - Deceit-Demise

#PER CHI AMA: Death, Vader
Burgas, da non confondere con la città spagnola di Burgos, è un importante centro turistico sulla costa del Mar Nero. La cittadina oltre a vantare un gradevole litorale, rappresenta anche il luogo di origine di questi The Revenge Project, una band in giro dal 2000 votata puramente ad un death metal di vecchia scuola. 'Deceit-Demise' è il quinto album per il quintetto bulgaro in vent'anni di onorata carriera, non proprio dei musicisti prolifici, però una band con un seguito abbastanza nutrito in patria. E allora proviamo a farli uscire dai confini nazionali questi The Revenge Project, raccontandovi del lavoro di quest'oggi che include otto tracce più intro ("Enter Oblivion") che ci prenderanno a calci in culo con la furia del loro death old school che chiama in causa campioni statunitensi del calibro di Malevolent Creation o Monstrosity. Lo si capisce immediatamente con "Unholy Soul", una song robusta che mette in evidenza tutti gli ingredienti del genere, inclusa la classica ritmica devastante, un growling da orco cattivo ed una sezione solistica (assai melodica) da urlo, vero punto forte a favore dell'ensemble bulgaro. Poi quando riparte "The Fine Print", ecco che i nostri ci stritolano con il loro rifferama ultra compatto ed efferato, per una sorta di ritorno alle origini del death made in Florida. Devo ammettere però, che nelle note di questa traccia ho scorto l'influenza di un'altra band, questa volta europea, ma pur sempre devota alla causa americana, i Vader. Quello che ancora una volta mi colpisce e fa rivalutare un lavoro che verosimilmente rischierebbe di rimanere nell'anonimato, è di nuovo il comparto solista con una ricerca melodica di gran gusto. "Confess to Sin Again" è invece un mid-tempo che sembra aver poco di che spartire con quanto ascoltato sino ad ora, almeno nei suoi primi 60 secondi, prima di esplodere in un feroce assalto sonoro che chiama in causa anche il thrash metal dei Sepultura. 'Deceit-Demise' è un disco in effetti un po' troppo derivativo, ma in questo genere che cosa pretendere dopo tutto, visto che ormai anche le grandi band si autoreferenziano  album dopo album? Francamente me ne fotto e mi lascio maciullare le orecchie dal granitico riff della compagine, interrotto qui da una porzione ritmica decisamente più controllata, laddove anche il growling lascia posto a delle pseudo clean vocals. Ma la mattanza non finisce certo qui: "You Have to Know", la più ricercata "Prayers Go Unheard" e via via tutte le altre, proseguono nella loro opera di demolizione muovendosi costantemente a cavallo tra un death tecnico e un più selvaggio thrash metal. Mi verrebbe da dire che la band debba esplorare maggiormente il proprio lato progressivo per potersi affermare anche fuori dal proprio paese e non essere additata come la classica clone band. Diciamo che per ora, i The Revenge Project sono sulla strada giusta per ciò che concerne l'aspetto puramente tecnico e melodico, ora servirebbe lavorare maggiormente sulla ricerca di una personalità ben più caratterizzata a livello ritmico giusto per non scadere nello scomodo clichè del già sentito. (Francesco Scarci)

(Self - 2019)
Voto: 65

Donarhall - Helvegr

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Donarhall è una one-man-band teutonica capitanata da tale Gnav, musicista che abbiamo già avuto modo di conoscere nei Sinister Downfall e che al contempo, porta avanti una nutrita serie di progetti paralleli (Crypt Witch, Death Carrier, Hexengrab, Necrochaos e Nihilisticon, giusto per citarne qualcuno). 'Helvegr' è il quinto album per l'artista originario della Bassa Sassonia, un concentrato di black strumentale assai tirato che si dipana dall'intro d'apertura, "Byrdh", fino alla conclusiva "Liflat", attraverso un percorso interamente affidato alla sola musica, per un esperimento parzialmente riuscito. Detto che non sono un fan delle release prive di un vocalist in ambito post-rock, immaginerete quanto possa esserlo ancor meno in territori prettamente estremi. Tuttavia, il mastermind tedesco prova a giochicchiare con un po' tutti gli strumenti a propria disposizione proprio per supplire all'assenza della voce. Ci riesce, con tutti i limiti del caso, sia chiaro. "Vinda" è una violentissima traccia nei cui solchi si ritrovano comunque rallentamenti acustici che fanno da contraltare alle ruvide scorribande in territori post-black. "Hyrr" è la terza song che apre con un'altra parte arpeggiata, accompagnata successivamente da una ritmica mid-tempo che costituirà la matrice della song. Non mancano le melodie affidate al tremolo picking, cosi come una certa ricorrenza nell'utilizzo della chitarra acustica che contribuisce ad acuire quel feeling decisamente malinconico che aleggia in tutto il lavoro. La sensazione è di ascoltare un che di Burzum, il tutto rivisto ovviamente in chiave più moderna, peccato solo che manchi una voce a guaire sulle note roboanti e pesanti di "Heimr" o "Vagr". Stranamente all'inizio di "Sunna" sembra esserci un etereo coro in sottofondo, offuscato successivamente dalla pesantenza del riffing portante, un peccatuccio veniale che mi sarei risparmiato proprio per dare una parvenza di voce alla song. Comunque, il lavoro si lascia piacevolmente ascoltare, pur non facendo gridare al miracolo, muovendosi tra riffoni tirati e altre parti decisamente più atmosferiche che rendono 'Helvegr' un gradevole passatempo di ascolto di musica strumentale. Se solo ci fosse stata una voce però, chissà che voto avrei dato al buon vecchio Gnav... (Francesco Scarci)

(Symbol of Domination Prod. - 2019)
Voto: 68

Officium Triste - The Death of Gaia

FOR FANS OF: Death/Doom, early Paradise Lost
The death-doom scene was rather prolific during the second half of the '90s and it has maintained a healthy level of quality during the first years of the current century. One of the most respected bands, founded in the '90s, is the Dutch project Officium Triste. Prior to the inception of Officium Triste, the original members played in a pure death metal band called Reincremated. However, it didn´t last too much as the project disappeared and the same members founded a new project, which was more influenced by the sound of early Paradise Lost, just to mention an obvious influence of the project, which evolves from standardized death metal to something darker and slower. Even though Officium Triste has had a long career, their discography is not particularly extensive, as the band has released six albums only during almost three decades of their existence. From the first line–up, almost half of the band still continues in the band, which it's a great example of their compromise with this project.

As already mentioned, the band hasn´t been particularly prolific with its releases, especially from the 2000s to onwards. Anyway, the quality has always been present and though the wait is usually long, as it has happened since ‘Mors Viri’, issued in 2013, the release of a new album is always a matter of excitement for the fans. Finally, and after six years of silence, Officium Triste released in 2019 their new opus ‘The Death of Gaia’. The band´s core sound is still present and, fortunately, with a bunch of quite inspired tunes. Officium Triste plays a classic death-doom full of sorrow and mid/slow paced compositions, where the melancholic feeling is present in every note. From the first track, "The End is Nigh", we can feel this sense of misery in every melody. The guitars sound powerful with slow paced riffs, always full of sad melodies, which are a pleasure for my ears. Pim’s vocals sound as strong and dramatic as always and the keyboards are present in many moments, but without being overused. They added an extra point of atmosphere to the compositions, like the fog wraps the mountains in an autumnal day. The pace is, as expected, quite slow but never sounding overwhelmingly monotonous. This is possible thanks to the excellent guitar work and the solid and well composed rhythmic base. Apart from the mentioned guitars and keys, the band tries to enrich its compositions with the use of classic instruments like the cello or violin in the opening track, or in songs like "The Guilt". This one is a marvellous piece of the best and most emotional death-doom you can imagine. Even though the tracks may have a similar structure due to the nature of the genre, each composition has always a distinctive melody, which is reasonably easy to keep in mind. The album maintains a very high level but I personally enjoy its second half with a particular brilliant song, the already mentioned "The Guilt", where the singer Mariska van der Krul shows us her great voice. The following "Just Smoke and Mirrors" and "Like a Flower in the Desert" complete a trilogy of impressive tracks, the true highlight of this excellent album. The first one has an awesome keyboard introduction and some outstanding guitars, making this song a little hypnotic, while the later has a more slightly vivid pace with some vicious riffs and a totally addictive melody.

At the end, Officium Triste is, thankfully, another fine example of how a veteran band can still deliver quality stuff after many years. ‘The Death of Gaia’ could be considered one of their finest releases, clearly indicating how good this work is. No doubts about it, this is a must for every fan of death-doom. (Alain González Artola)

sabato 29 febbraio 2020

Void of Silence - Criteria ov 666

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Apocalyptic Doom
Ricordo di aver atteso con grande trepidazione il nuovo lavoro dei Void Of Silence, band capitolina che nel 2001 si era già resa protagonista di un debutto esaltante, quel 'Toward the Dusk' che per alcuni è passato inosservato ma che rappresenta tutt'ora un esempio sporadico ed eccellente di come la musica estrema possa ancora rinnovarsi attraverso sonorità di matrice metal. Dopo il cambio di etichetta, da Nocturnal Music a Code666, il secondo album dei nostri, 'Criteria ov 666', rappresentò un lavoro che proseguiva nella direzione stilistica intrapresa dall'esordio e ne accentuava in modo palese la componente sperimentale, abbracciando a tratti la corrente del folk-apocalittico. La struttura portante su cui si appoggia questo disco, resta ancorata ad un doom-metal dalle ritmiche estremamente pesanti e dilatate mentre le contaminazioni di ambient industriale, costituiscono una base sempre presente, che rende unica e sublime la formula proposta dal trio romano. Il pesantissimo muro di suono creato dalle chitarre di Ivan Zara viene accompagnato dalle tastiere evocative di Riccardo Conforti, il quale si cimenta anche nell'uso di inserti disturbanti che sfiorano spesso, come nell'intro, il rumorismo di certa power-electronics. L'effettistica usata, pur non avendo un ruolo predominante, contribuisce però, a rendere terribilmente claustrofobica e angosciosa l'atmosfera dei brani e ricrea l'ideale tappeto sonoro per la voce "malata" di Malfeitor Fabban (Aborym). I rantoli sofferenti di Fabban e le sue urla cariche d'odio, affondano nella carne e la lacerano come un coltello affilato: una prestazione vocale estrema e terrificante che ricorda, in alcuni frangenti, i Katatonia di 'Dance of December Souls'. 'Criteria ov 666' rende attoniti davanti a tanta negatività, è capace di annientare, lasciando spazio unicamente al dolore e a sensazioni di morte... un'opera certamente agghiacciante, ma questa è la musica dei Void Of Silence, una delle realtà più credibili ed inquietanti che il nostro suolo può ancora vantare in ambito estremo. (Roberto Alba)

Theatres des Vampires - Suicide Vampire

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic, Tristania
La seria caparbietà che ha sempre contraddistinto i Theatres des Vampires, accompagnata dalla ricerca di una crescita costante, face compiere alla formazione italiana un altro passo avanti nella direzione artistica che fu intrapresa all'epoca di 'Bloody Lunatic Asylum'. Ad un primo ascolto 'Suicide Vampire' rivelò immediatamente gli intenti perseguiti dai nostri vampiri, che decisero con questo lavoro di non discostarsi di molto dal suono del precedente album cercando invece di focalizzarsi sul miglioramento degli elementi che hanno reso la loro musica così particolare ed inconfondibile agli occhi del pubblico. Il gothic metal suonato dai Theatres des Vampires rimane in questo album quindi caratterizzato da strutture poco dissimili dalle passate composizioni, ma viene arricchito e valorizzato da partiture sinfoniche maggiormente articolate e cori polifonici più complessi ed austeri, che in questa occasione sono stati arrangiati e condotti dai membri del coro dell'Accademia di Santa Cecilia (Roma). L'album non ricerca nell'innovazione la propria "carta vincente" ma sembra voler giocare tutto sulla melodia orecchiabile e la varietà dei brani, passando da momenti pomposi, come "La Danse Macabre du Vampire" o "Tenebra Dentro", ad altri dalla vena più malinconica, come la titletrack, dove spiccano le linee di violino di Elvin Dimithri (primo violinista dell’orchestra Filarmonica di Tirana). Le tastiere di Necros rivestono ancora un ruolo di primaria importanza nella musica dei Theatres des Vampires, mentre viene relegato in secondo piano il lavoro delle chitarre, delle quali ho avvertito un po' la mancanza; forse una diversa scelta dei suoni sarebbe riuscita a dare maggior risalto alle sei corde e a rendere ancor più magniloquente e d'effetto il risultato finale dell'opera. Nel complesso 'Suicide Vampire' è un album comunque piacevole e riuscito, che mi sento di consigliare a chi apprezza la sontuosità gotica di gruppi come Tristania e The Sins of thy Beloved. (Roberto Alba)

Thyrane - Hypnotic

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Thrash
Devo dire di essere rimasto un po' deluso dal 'Hypnotic', terzo album del 2003 dei Thyrane, tuttavia trovo giusto dar loro spazio con questa recensione, dal momento che fin dal primo demo 'Black Harmony', ho seguito con grande interesse l'evoluzione di questi blackster finlandesi. Ricordo che rimasi entusiasta quando anni fa acquistai il loro debutto 'Symphonies of Infernality' (uscito per Woodcut Records nel 1999) e credo che ancora oggi quell'album non abbia perso nulla del suo impatto e della sua potenza, ancor più se paragonato alle uscite particolarmente scadenti che hanno successivamente invaso il mercato del metal estremo. Al tempo non furono certo in molti a riconoscere le qualità del quartetto finlandese, con il risultato che i Thyrane sono rimasti un nome minore ed il rammarico sicuramente c'è, se penso che quanto proposto proprio in 'Symphonies of Infernality', era una formula di symphonic black metal dannatamente valida ed estremamente più convincente di qualsiasi produzione dei Dimmu Borgir. Con il secondo lavoro 'The Spirit of Rebellion' è ancora un sound violento ed incredibilmente efficace a caratterizzare la musica del gruppo, sebbene i brani risultino in questo lavoro orientati maggiormente verso il death metal. È però con 'Hypnotic' che i Thyrane compiono il loro più significativo cambio di rotta, semplificando pesantemente le proprie composizioni e alleggerendone la struttura in maniera forse troppo spinta, tanto da ottenere una collezione di brani innocui e un po' privi di mordente. La voce di Blastmor rimane feroce e le chitarre si concentrano su lenti riff di stampo thrash metal che trovo buoni, ma è l'effetto complessivo che non convince appieno e la sensazione che si ottiene, è quella di ascoltare delle canzoncine semplici che coinvolgono poco. Con 'Hypnotic' anche i Thyrane si fanno sedurre dalle tentazioni elettroniche e questo lo si avverte immediatamente dall'uso dei synth, che forse costituisce il punto di maggior interesse nell'album, per la presenza discreta di gradevoli loop ed orchestrazioni che si ricollegano a quanto fatto anche nei primi due lavori. Grazie a questo taglio moderno, alcuni brani come "Dance in the Air" e "Phantasmal Paranoia" risultano piuttosto indovinati ma il giudizio di 'Hypnotic' rimane quello di un album riuscito a metà, dove la comprensibile e lodevole voglia del cambiamento non è bastata a confezionare un prodotto all'altezza del nome della band. (Roberto Alba)

(Spikefarm Records - 2003)
Voto: 61

https://www.facebook.com/thyraneofficial/

Kawir - Adastreia

#FOR FANS OF: Epic Black
The Greek scene is undoubtedly one of the most prolific one, not only in quantity but especially in the quality. The national scene goes way further from the most famous bands like Rotting Christ or Septic Flesh, just to mention the most obvious ones, where you can find excellent bands, both new and old ones. If we focus on between the veterans who deserve more attention, the Athens based Kawir will be one of those for sure. This project was founded back in 1993 by Therthonax with the support of Stefan Necroabyssious and Eskarth the Dark One, who recorded their first track. Nevertheless, this project´s true leader has been always Therthonax, he is the only original member who has remained from the inception of the band to these days. As expected, Kawir’s line-up has suffered of many changes during its existence. The current line-up consists of five members and it has been quite stable during the last five years. Anyway, these numerous changes haven´t been a definitive impediment for this project to release seven albums, some splits and its newest opus, entitled ‘Adastreia’, or in its Greek spelling, ‘Αδράστεια’.

Kawir plays a quite epic and barbaric form of pagan black metal. The band´s career is full of excellent albums and ‘Adastreia’ is another fine example of powerful black metal, rich in melody and battling atmosphere. The new album contains six songs, being one of them a very nice folk song with a clear ritual tone, where the female vocals of Lindy Fay Hella play a major role. It is a very nice song, which can be considered a moment of calm during a ferocious battle. Apart from this track, the rest of the album is the expected carnage, with five ferocious songs of pure pagan black metal, not devoid of a great amount of excellent melodies and majesty. This epic touch can be immediately felt with the opening melody of the first track "Tydeus". An epic choir accompanied by acoustic guitars are immediately followed by aggressive black screaming vocals and some great riffs, whose melodies are tastefully composed and place through the whole song. The intensity goes higher with the next track, entitled "Atalanti", which has some faster sections of pure black metal. Anyway, the pace of the songs is never monotonous, as they varies it in a very natural way, from the typical pagan metal mid-tempo to blast beasts. The guitars play a very important role with inspired riffs which fit both the most straightforward sections, where the black aggressiveness reigns, and the pagan parts, where they have a more barbaric tone with a mid-tempo pace looking to work properly. Furthermore, the band enriches its sound adding some excellent folk touches during those more pagan black sections, using instruments like the flute or the bagpipes, which increase the sense of being immersed in the ancient Greek history. These additions are not everywhere as they are tastefully placed here and there like a bonus, which makes the album more interesting. The excellently composed and executed mixture of rawness, strength, melody and grandeur makes this album a pleasant listening and its length, around forty minutes, increases the need of listening to it again and again. The album closer, entitled "Medea", is not only the longest song, but also the perfect track summarizing all the aforementioned attributes, that make this album a great album. The song flows between the speedy sections, full of fury, to the most melodic ones, always leaving a room to atmospheric and folk sections, for a great ending!

In conclusion, ‘Adastreia’ is not a work released by a tired band, if anything it's the opposite by a band that still breaths passion in this music. This album is an impressive example of how pagan black can still sound fresh, inspired and grandiose. A must for every metal fan. (Alain González Artola)


(Iron Bonehead Productions - 2019)
Score: 90

https://ironboneheadproductions.bandcamp.com/album/kawir-adrasteia

The Pit Tips

Francesco Scarci

Clouds - Departe
Holy Fawn - The Black Moon
Rosk - Remnants

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Shadowsofthesun

Postvorta - Porrima
Envy - The Fallen Crimson
Ulver - Shadows of the Sun

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Alain González Artola

Midnight Bethrohed - To Follow Your Spirit Into The Night...
God Dethroned - Illuminati
Mavorim - Axis Mundi

mercoledì 26 febbraio 2020

Graham Bonnet Band - The Book

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Hard Rock
Un melodic griffato Frontiers ("Welcome to My Home", "Strangest Day", la consueta sfilza di cognomi napoletani nei crediti), ma non soltanto. In apertura, per esempio, una spiazzante fucilata power - l'avreste detto? - i cui pallettoni finiscono conficcati nel prosieguo, per esempio in "Dead Man Walking", dove emerge invero un certo retrogusto Rainbow. I Rainbow, già. Quelli di "Rider", sparata giusto "Straight between the eyes" (sì, sì, cantava Turner, lo so), quelli di 'The Book' trascinati nuovamente 'Down to Earth' dall'eccellente, nervosissimo, riffettismo del giovane Conrado Pesinato, una specie di John Petrucci delle caverne. I Rainbow di 'Down to Earth', l'album più sovraesposto ("Since You've Been Gone", "Lost in Hollywood", "All Night Long", "Eyes of the World"... ma dov'è finito quel riff laser di tastiera che arrembava il pre-finale?) e al contempo sottoesposto (non avreste risentito almeno anche "Love's no Friend"?) dell'intero disco due, quello delle reincisioni: sedici insignificanti riproposizioni fotocopia sovente affaticate (il "Wanna make you miiiiine!" di "All Night Long", ma risentitevi anche il Bruce Dickinson asmatico di "Earth's Child" sul disco uno). Due grahambonnettosissime ore in tutto a coprire un'intera carriera quasi cinquantennale. Eccetto, ovviamente, gli imbarazzanti Marbles. Ve li ricordate? No? Domandatevi il perché. (Alberto Calorosi)

(Frontiers Records - 2016)
Voto: 60

https://www.facebook.com/grahambonnetmusic/

Heidi for President - Nostrils

#PER CHI AMA: Indie Rock
Inizialmente, forse erroneamente, l'ombrosa propaggine wave che emana il singolo "Whom" si rifrange nelle architetture complesse di 'Nostrils', le narici che annusano il mondo, la canzone forse più volitivamente empatizzante del disco. O nei toni più inneggianti esplorati a suo tempo da gente come U2 e Talking Heads, espressi qui nell'introduttiva "Dreaming State of Jackson". Avete presente gli Okkervil River? Nel prosieguo prende il sopravvento una certa insistenza bluegrass, ma solo nei toni, quella dei primi (e anche unici) Mumford and Sons (e penso a "Mr. Hubert Cumberdale" o a "Growing Green Time"), e una (in)temperanza acoustic-progressive marcatamente ("Portrait of the Artist as a Young Dog") o ancora più marcatamente Decemberists ("Nasty Tasty Blow"). Ve lo ricordate quell'imprescindibile monumento sonoro intitolato "The Island"? Sta su 'The Crane Wife' dei suddetti, era l'anno domini 2006. Ah, il 2006, il 2006. Arcade Fire, Band of Horses, The Crane Wife... Che anno il 2006! (Alberto Calorosi)

(La Rivolta Records - 2017)
Voto: 63

lunedì 24 febbraio 2020

Eternal Storm - Come the Tide

#FOR FANS OF: Melo Death, Insomnium
As the melodic death metal scene collapsed after some years of success, it was clear that the surviving bands or the new ones were going to struggle to gain the same recognition. The positive aspect of this fall in disgrace was that the new projects were actually going to try to forge their own sound, without being obsessed to copy what the leading bands were doing at a certain moment. A fine example of one of these interesting projects is represented by the Spanish band Eternal Storm. This project was founded in 2009, though the band members have needed ten years to release their debut album. In this period of time the band has released an EP and a split album. Moreover, as often happens, the project suffered several line-up changes, which are always problematic. Anyway, the hard work has paid off and the band managed to catch the attention of the underground label Trascending Obscurity Records releasing in 2019 its first effort entitled ‘Come the Tide’.

Eternal Storm proposes a pretty elaborated form of melodic death metal with a strong atmospheric touch in the vein of bands like Insomnium, one of the finest examples of how melodic death can still be an interesting and touching genre. ‘Come the Tide’ is a long album clocking almost one hour of time, with songs around 6 minutes. This detail clearly shows that the band likes to compose songs with variety and interesting structures. The band´s compositions flow between the most aggressive sections, with fast drums, powerful riffs and remarkably strong growls performed by Kheyron, who sadly is no longer in the band, and calmer sections which are tastefully introduced. The high and lows in the song’s pace sound awesome and make the songs a very exciting experience. Technically speaking, the band members sound very skilled, as the guitar patterns have some elaboration and richness, fluctuating tough different ranges of riffing styles. We could say the same about the drums which sound technically impeccable and varied. One doesn´t need to seek deeply in the album to fine great examples of this technicality and quality, as the album opener itself, called "Through the Wall of Light Pt.I (The Strand)" shows the impressive potential of this band. The calmest sections can appear as a bridge between different heavier sections, commonly in the form of delicate guitar chords, or as an introduction of the song. This happens with the second track, where we can even listen to a saxophone, a surprising add which works fine in my opinion. In this as per other compositions, we can listen to some clean vocals, which are also pretty solidly performed. It seems that the band has used some guests in order to enrich vocally this album, complementing the aforementioned excellent growls, which nevertheless play a major role on this album. Even though I wouldn´t define this band as progressive, the clean vocals, some guitar chords, especially those we can listen to in certain tranquil sections, and looking how the songs evolve, it´s undeniable that the band has a progressive nature in its music. This progressive touch is present in the way how they try to create songs with an evolving and rich nature.

In conclusion, although Eternal Storm spent a long time to release this first opus, ‘Come the Tide’ is unquestionably an impressive first album due to its variety, quality and richness in its compositions, with a tasteful balance between a straightforward fury and a melodic and atmospheric mood. Therefore, this album should appeal not only all the melodic death metal fans, but all the metalheads who want to enjoy an inspired and excellent metal album. (Alain González Artola)

(Trascending Obscurity Records - 2019)
Score: 88

https://eternalstorm.bandcamp.com/album/come-the-tide-death-metal

Medenera - Oro

#PER CHI AMA: Atmospheric Black, Summoning
Medenera è una one-man-band italica di formazione abbastanza recente, nata infatti nel 2017 ma con già due album alle spalle. L'ultimo arrivato è 'Oro', un disco suddiviso in quattro sezioni a loro volta divise in tre parti. Il disco si srotola per quasi settanta minuti di musica evocativa che sin dalle iniziali parti tastieristiche chiama immediatamente in causa un nome, i Summoning. Di fronte a simili manifestazioni artistiche, la prima cosa che faccio, e accade di rado, è chiudere gli occhi e immergermi totalmente nelle atmosfere magiche che band inserite in tale filone, sono in grado di creare. E sembra che la voce femminile della prima terzina intitolata "Aurea", sia lì apposta per guidarmi in questo epico viaggio in un fantastico mondo lontano. Le melodie sognanti di questa prima lunga suite rapiscono la mia fantasia con quel loro ritmo cadenzato accompagnato da spettacolari synth che arricchiscono la base ritmica del misterioso factotum italico, che si sente cantare solo in piccole porzioni, lasciando alla musica il compito di riempirci le orecchie di splendide emozioni. Il trittico scivola delicato anche nella seconda parte tra sussurri, eteree atmosfere ma anche saltuarie sfuriate, in cui a venir fuori sono le screaming vocals del frontman. E il nostro ascolto prosegue cosi come le immagini che mi si parano avanti sembrano quelle di un Frodo Baggins che passeggia imperturbato a Hobbiton, immagini felici e di quiete che vengono spezzate da sporadiche accelerazioni black e dal cantato arcigno del mastermind. Con "Splendor" si apre un altro trittico di song che sembrano introdurci in un nuovo mondo fatato, complice un cantato femminile differente da quello ascoltato in principio. La musica invece prosegue con il suo incedere raffinato, in cui ampissimo spazio è concesso alle tastiere ma anche ad un drumming quasi tribale, che insieme costituiscono un lungo cappello introduttivo a quel riffing efferato che verrà fuori più avanti. La musica dei Medenera è in costante evoluzione, come se si trattasse di un racconto e la musica ne vada a rappresentare la spettacolare colonna sonora in un coordinato movimento stilistico in base a quanto narrato. Ovviamente a dischi del genere sono collegate storie legate a mondi immaginari e alla natura che vi appartiene, come quei luoghi narrati appunto da Tolkien nella sua epica saga. La terza parte raggiunge il massimo splendore espressivo, affidandosi nuovamente a delle spoken words femminili e ad un'ispiratissima ritmica. Il flusso sonoro come dicevo, è in costante mutamento e dalle arrembanti ritmiche in un batter d'occhio ci si ritrova in un ambient dalle tinte decadenti quasi ci si trovi di fronte al preambolo di uno scontro spaventoso. L'affacciarsi di una voce operistica in sottofondo, cosi come l'utilizzo di uno strumento di difficile identificazione, stemperano però quella tensione che si era creata in un cosi breve tempo. Nel frattempo si entra nel terzo episodio, "Ver Aeternum" e si palesa subito un cantato dai tratti esoterici come novità di questa terzina. La musica si conferma ispirata con le tastiere ormai elemento portante dell'intera release, sia in chiave ritmica che ambientale. La soave voce della gentil donzella di turno fa poi il resto cosi come la tribalità etnica del drumming va ad impreziosire ulteriormente una release già di per sè notevole che vede peraltro anche un flauto far capolino. A "Flumina Nectaris" è affidato l'arduo compito di chiudere la release e l'esordio è di quelli portentosi con un rifferama accompagnato da un maestoso tappeto tastieristico. Di nuovo però un rallentamento nella storia, un flashback, una digressione, un sogno sospeso, delicati tocchi di piano, eteree e folkloriche melodie che troveranno un nuovo risveglio nella seconda parte della song, ove la cantante, che sembra utilizzare una lingua inventata, va ad affiancarsi al growling del polistrumentista nostrano, qui in grande spolvero e che si prepara a chiudere la release con un pezzo all'insegna del dungeon synth. Ora, prima di lasciarvi alla sentenza finale, mi domando solo come sia possibile che le etichette italiane si siano lasciate sfuggire una simile release e abbiano obbligato i Medenera a chiedere asilo in Russia. Abbiamo forse trovato i degni eredi dei Summoning? Ascoltatevi il cd e fatemi sapere. (Francesco Scarci)

(GS Productions - 2019)
Voto: 82

https://medenera.bandcamp.com/album/oro

The Glad Husbands - Safe Places

#PER CHI AMA: Math/Post Hardcore, Botch
Se l’abito non fa il monaco, il nome di un gruppo può trarre in inganno. Potevano essere i cugini italiani di qualche gruppo indie-folk del Midwest americano, invece i The Glad Husbands si rivelano l’ennesimo prodotto della rumorosissima fucina cuneense, già culla di tanti nomi importanti che imperversano nella scena noise, stoner e hardcore nostrana.

Il loro ultimo disco, 'Safe Places', non si discosta molto dalla proposta dei loro “vicini di casa” Cani Sciorri, Treehorn e Ruggine (tanto per citarne alcuni), se non per una maggior vocazione nel mischiare punk e math-rock a scapito della produzione in massa di riff pachidermici, come testimonia il sound meno ingolfato di basse frequenze, il risalto dato al cantato urlato di Alberto Cornero e le strutture complesse di questi nove tiratissimi pezzi.

“Out of the Storm” traccia subito la rotta: intrecci turbinosi di basso e chitarra si susseguono aggrappandosi al tempo imposto dalla batteria, andando a comporre una sorta di marcia per plotoni di soldati in preda ad un attacco isterico. Isterico come gli sviluppi di “Where Do Flies Go When They Die?” e “Spare Parts”, brani in chiave mathcore che potrebbero essere stati partoriti con l’intercessione spirituale dei Botch, e dove, pressati dai riff convulsi e le ritmiche serratissime, iniziamo a chiederci quali possano essere i “posti sicuri” citati nel titolo dell’album. Forse in “Things That Made Sense” e “The Jar”, pezzi la cui struttura più varia ci concede qualche attimo di decompressione prima di rituffarci nei vortici sonori.

Finita qui? Macché: “Midas” scompagina tutto con la sua anima agrodolce, fatta di strofe nervose in procinto di esplodere, ma l’irruenza di “Cowards in a Row” e la travolgente “Meant to Prevail”, dove si possono cogliere riferimenti ai primi Mastodon, ci riportano nell’occhio del ciclone. La nostra corsa forsennata si conclude con “Like Animals”, dopo circa quaranta minuti di sconvolgimenti strumentali, ritmici ed emotivi.

I The Glad Husbands ci regalano una prova decisamente convincente e di personalità, riuscendo a risaltare in un mercato già bombardato di proposte e a farmi sperare di vederli al più presto trasmettere in sede live la carica mostrata su disco. Non male per il presunto gruppetto indie-folk del Midwest. (Shadowsofthesun)


(Antena Krzyku/Entes Anomicos/Longrail Records/Vollmer Industries/Atypeek Music/Tadca Records/Whosbrain Records/Scatti Vorticosi Records - 2019)
Voto: 75

https://the-glad-husbands.bandcamp.com/album/safe-places

Nairobi - S/t

#PER CHI AMA: Experimental Rock, Jesus Lizard
I Nairobi sono un trio sperimentale di Venezia che si potrebbe catalogare come puramente post rock, ma relegarli ad alfieri di questo genere sarebbe a mio avviso un grosso errore. Alla band veneta piace infatti uscire dagli schemi e costruire una propria personale interpretazione del genere, fatta di atmosfere a tratti più energiche e cariche di quel groove del post rock “canonico”, arrivando ad associare i nostri ai Jesus Lizard, i Primus ma anche agli Slint e ai Pink Floyd. I pezzi sono corti ed ermetici, pregni di un’energia e un’urgenza espressiva davvero encomiabili. Forti di una solidissima sezione ritmica e di una chitarra capace di tessere trame vibranti e ipnotiche, i Nairobi riescono a convincere pienamente già con questo primo disco d’esordio. Ogni atmosfera a cui la band si approccia è sviscerata ed esposta nella miglior maniera possibile, il pezzo "Tricky Traps" è un buon esempio di questa ecletticità del trio, dapprima con una scrosciante cascata di riff fangosi e ruvidi per poi passare nella seconda parte del pezzo ad una ritmica dimezzata ed una chitarra sognante, di uno di quei sogni strani che sono incubi ma non lo sembrano, quei sogni da cui ti svegli un po’ turbato, disorientato senza nessun apparente motivo. I pezzi si susseguono come onde oceaniche che si abbattono sulle scogliere verticali di pietre affilate, inarrestabili nella loro marziale foga, fino ad arrivare allo spartiacque onirico e sintetico intitolato "Turbo Pascal". Dopo questa breve pausa, i toni si fanno, se fosse possibile, ancora più sperimentali nei due pezzi di chiusura ("Megalopolis" e "Oh Guns Guns Guns!"), dove troviamo atmosfere lisergiche preponderanti, sebbene la fiamma del sacro riff rimanga sempre viva e presente e non smetta di ardere. Un disco ruvido, arrogante ma al contempo raffinato ed atmosferico, una composizione magistrale così come la sua esecuzione, una corsa contro il tempo passando per il vuoto completo, attraverso tempeste, spietati rovesci di grandine, in grado di elargire un’incredibile energia a chi lo ascolta. Consigliatissimo, per cui aspettiamo con ansia altra musica targata Nairobi. (Matteo Baldi)

(Brigadisco Records/Wallace Records - 2020)
Voto: 82

https://brigadiscorecords.bandcamp.com/releases

sabato 22 febbraio 2020

Ironflame – Blood Red Victory

#FOR FANS OF: Heavy/Power
So the mighty Ironflame have returned with their third album in less than three years; with their sophomore effort being released just sixteen months after the debut. Andrew D’Cagna has this incredible ability to consistently write songs that give me those same feelings that I got the first time I heard Halford, Dio or Dickinson. As he writes and records everything, there is a true consistency to the music without being the same album over and over again. While the sophomore was much more ambitious in the song writing. 'Blood Red Victory' sees the direction of the songs more in line with the debut. This time he also seems more focused; and the result is nothing short of amazing.

One thing that I noticed immediately was that the solos were no longer being supplied by Wheeling, West Virginia shredder extraordinaire Jim Dofka. His solos on the sophomore were beyond brilliant. Instead, this time D’Cagna decided to go with the two shredders that are part of his current touring band; Jesse Scott and Quinn Lukas, the latter being with D’Cagna in the Pittsburgh veteran melodic metallers Icarus Witch. That was a really smart move. Both guitarists are brilliant live so it was great to see their actual input into the songs. Each solo on this album is brilliantly thought out and take each song to the next level.

The songs themselves are just metal as fuck. The riffs, the melodies, the solos, and those unforgettable vocals. Andrew D’Cagna’s vocals are just brilliant and I truly believe he set the bar for the modern true metal vocalist. The opener, “Gates of Evermore” has an opening riff that sets the tone for the song. It kind of reminds me of 'Glory to the Brave' era HammerFall. The melodies are catchy and the choruses are infectious. These are heavy metal anthems that can stand rightly along side any of the classics. I dare you to listen to “Honor Bound” and not get that feeling like you are hearing metal again, for the first time. “Blood Red Cross!” That “OHHHH” during the bridge is fucking brilliant! I could listen to that song over and over again. The song builds to this incredible solo three quarter the way in….I got goose bumps!

I don’t know how this guy keeps pumping out quality heavy metal; all along with playing bass and writing songs with stoner rock band Brimstone Coven as well as being full time vocalist for Icarus Witch. “Graves of Thunder” has that melodic metal feel of an Icarus Witch song while still having that Ironflame sound. “Grace and Valor” take it right back to epic power metal with some incredible dual harmony riffs driving the verse. Brilliant! “Night Queen” is the longest song on the album and reminds me of “Shadow Queen” off the debut…could even be a sequel. Nonetheless, none of that take away from the sheer brilliance of the execution. The song sucks you in with the melodies and hooks. The perfect album closer.

Classic heavy metal is making a comeback and there are some really great bands and some incredible metal coming from this resurgence. Ironflame have set the bar, quite high I might add for this movement. Three consistently incredible true metal albums loaded with everything that made me obsessed with metal to this day. Keep ’em coming Andrew!! (The Elitist Metalhead)

(Divebomb Records - 2020)
Score: 100

https://ironflame.bandcamp.com/