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venerdì 2 aprile 2021

Lavizan Jangal - تاریکی و مرگ

#PER CHI AMA: Depressive/Experimental Black
All'etichetta russa Careless Records piace palesemente osare: dopo aver pescato in Iraq i Mullà, in Kazakhstan gli Scolopendra Cingulata, ecco tirar fuori dal cilindro la terza genialata, ossia gli iraniani Lavizan Jangal. La cosa mi stupisce parecchio perchè parlando con un musicista di Teheran poco tempo fa, mi disse di essere spaventato dall'idea di avere la propria musica in formato fisico perchè rischiava di essere perseguitato dall'oppressivo stato islamico. Eppure il misterioso duo di oggi se ne frega altamente e fa uscire questa quarta release ufficiale dal 2010 a oggi, chapeau. La band francamente non la conoscevo prima di oggi ed è interessante leggere su metal archives come il moniker Lavizan Jangal sia una parodia dei Carpathian Forest e si riferisca al Parco Lavizān (nei sobborghi di Teheran) dove si troverebbero parecchie gang. La proposta dei nostri effettivamente non va troppo lontano dai maestri norvegesi, proponendo sin dall'opener "Lavizan Jangal" un black ferale, senza troppi orpelli, il tutto in pieno stile scandinavo, dove viene comunque concesso un minimo spazio alla melodia in un break centrale ove la ritmica incendiaria trova ristoro. Le vocals manco a dirlo sono il classico screaming, però qui e là si modulano in una vena vicina a quella degli svedesi Shining, dirottando anche il sound dalle parti di un depressive black, con risultati alla fine apprezzabili. Certo un finale urticante come quello della traccia d'apertura era davvero tanto tempo che non lo sentivo, niente male, anche se sia chiaro, qui non stiamo scoprendo l'acqua calda. Spoken words in apertura di "Be Sooye Marg", un brano che si muove su ritmiche più cupe e lente, almeno nel primo minuto prima di schizzare più schizofreniche che mai, nei rimanenti tre minuti di infernale portanza. Interessante leggere che le liriche si mantengono a sfondo satanico coniugandosi con altri temi quali la droga, lo stupro, l'occulto, il crimine, le puttane (povere) e le gang iraniane che tornano ancora una volta come la bolgia sciabordante in chiusura della seconda song. Paurosi. In fatto di cattiveria credo non abbiamo troppi rivali, il che è confermato anche dalle successive tracce. In "F.I." ci sono evidenti rimandi vocali che conducono alla cultura dei nostri, per un pezzo che mostra una buona linea melodica, vocals più ricercate, ma che poi pecca per quella sintetica e fastidiosa batteria che ne rovina l'esito finale. Tuttavia, il disco scivola via veloce in tutta la sua mefitica malvagità. Il drone/ambient di "Dar Ghalbe Poochi" mi fa pensare al classico muezzin che blatera da qualche minareto di una moschea islamica. Mentre l'efferato attacco di "Enteghame Abadi" mi ha evocato gli Anaal Nathrakh più micidiali, anche se poi il pezzo comunque evolve in modo inaspettato. Un altro intermezzo ambient/noise ed è il turno della lunga "Amade Bash", un brano che assume le sembianze di un black doom con un certo tocco sinfonico in background che mi fa sgranare ancora una volta gli occhi su quanto il duo di Teheran sia stralunato ed imprevedibile, nonostante i basici mezzi a disposizione. Credo che alla fine questo sia il mio pezzo preferito, forse per non essere cosi pervaso dall'isteria di suonare a tutti i costi veloci e brutali, ma qui i nostri si mostrano invece assai atmosferici seppur la registrazione non aiuti ancora una volta. A chiudere il disco arriva "Yazdah" che miscela il black anni '90 con le intemperanze sonore disarmoniche di gente del calibro di  Deathspell Omega o Blut Aus Nord. Insomma i Lavizan Jangal sono una bella sorpresa che non posso premiare con un più alto voto semplicemente perchè la musica non è cosi originale, la registrazione non mi convince, al pari della drum machine e di qualche altra banalità che si ritrova lungo il disco. Eppure le qualità ci sono, andrebbero sfruttate solo al meglio. (Francesco Scarci)

(Careless Records - 2021)
Voto: 66

https://carelessrecords.bandcamp.com/album/--6

Burnt Offering - Беснование

#PER CHI AMA: Black Old School, Mayhem, Darkthrone
La band di oggi ha base a Lipsia in Germania, eppure nessuno dei suoi tre membri è tedesco e il titolo 'Беснование' ne è la riprova: Blind Idiot God è infatti russo ed è peraltro bassista dei Darkestrah, cosi come Asbath, batterista di quest'ultimi ma originario del Kyrgyzstan. Charon infine è ucraino. Insomma un bel casino. Cosi come alquanto strana è la storia di questa release che in realtà sarebbe il demo uscito in cassetta nel 2015 per la Narcoleptica Productions e riproposto in digipack a dicembre 2019 dalla Careless Records. La mia speranza è che oltre ad una elegante veste grafica, il dischetto vanti anche una nuova registrazione, eppure quello che sentono le mie orecchie racchiude ancora la grezzura primigenia della prima release (o forse quella era ancora peggio e i miracoli non si riescono a fare?). Fatto sta che il demo in questione contiene cinque tracce dedite a un black puro e selvaggio, senza alcun fronzolo che ci viene sparato in faccia in tutta la sua gretta brutalità sin dall'opener "Пир", un brano sanguinolento che partendo dagli insegnamenti punk/hardcore degli esordi dei Darkthrone, combinato con un black satanico, fa fuoriuscire tutta la bieca malvagità di altri storici act quali Mayhem e Celtic Frost, deprivato ahimè dalla classe innata di quelle realtà. Stonano un po' le storture doomish in apertura di "Псы", che già erano comunque apparse in chiusura della prima song. Poi anche il secondo pezzo si lancia su un lineare e anonimo black metal, senza il benchè minimo briciolo di personalità. Ed è un peccato visti gli elementi inclusi nella band e le mie elevate aspettative. E la medesima matrice sonora si conferma anche nella violenza delle successive "Псоглавый святой" e "Мокошь", dove i nostri corrono sui binari di un feroce e caotico sound (scuola Immortal la prima), in cui le corrosive chitarre si incrociano con lo screaming efferato del vocalist (che però si diletta anche in strane ed apprezzabili sperimentazioni canore) e con il disumano drumming di Asbath. Nella seconda invece si avvertono lontani accenni folklorici alla Isengard, pur sempre immersi in un marasma nero come la pece. In chiusura, l'onirico ambient strumentale di "ДОБ и цинковый гроб" spegne tutte le pulsioni malvagie risvegliate sin qui dai malefici Burnt Offering. (Francesco Scarci)

(Narcoleptica Productions/Careless Records - 2015/2019)
Voto: 55

https://carelessrecords.bandcamp.com/album/--2

giovedì 1 aprile 2021

Forest of Frost - S/t

#PER CHI AMA: Ambient Black
Dall'Aquitania ecco giungere una nuova one-man-band guidata dal polistrumentista Moulk, uno che ha anche un gruppo con questo moniker e con cui ha rilasciato una cosa come otto full length e quattro EP all'insegna di un folk metal sinfonico, sebbene gli esordi fossero più radicati nel punk rock. Da qui si evince che il mastermind di oggi non sia certo uno sprovveduto, ma direi semmai un musicista navigato quanto basta per registrare quest'album (che a quanto pare rimarrà un episodio isolato) in due sole settimane durante il primo lockdown, deliziandoci con un inedito black atmosferico che ha colto successivamente l'attenzione della Narcoleptica Productions, l'etichetta russa che ha rilasciato il cd proprio in questi giorni. Cinque i pezzi, tutti intitolati con numeri romani. Si parte chiaramente con "I", che delinea immediatamente i tratti somatici di questa neonata creatura transalpina. Il sound dei Forest of Frost è gonfio di passione per lunghe partiture strumentali, costruite su multistrati eterei di synth e chitarre a costruire splendide melodie, con le harsh vocals che fanno la loro apparizione solo di rado. E allora cosa di meglio che farsi cullare dalle estasianti ambientazioni sonore erette da Moulk, che vedono i soli punti di contatto col black, in sporadiche accelerazioni e in quelle voci di cui facevo menzione poc'anzi. Tutto molto interessante non c'è che dire, anche quando la durata dei brani va dilatandosi. Si passa infatti dai quasi otto minuti dell'opener, ai quasi dieci di "II" e ai dodici abbondanti di "III", attraversando paesi incantati quasi fossimo stati catapultati in un mondo senza tempo, o nel più classico "Signore degli Anelli" del plurinominato Tolkien. E qui il consiglio è di lasciar andare la vostra fantasia, occhi chiusi e tanta immaginazione. Vedere draghi, unicorni, gnomi e folletti per cinquanta minuti non sarà un'eresia ma la normalità. Per chi ama realtà affini agli Eldamar o ai nostrani Medenera, credo che qui potrà cibarsi di un valido esempio di fantasy black corredato da suggestive e ariose melodie, che trovano forse la sua massima espressione in "IV", cosi orchestrale e malinconia al tempo stesso, nella sua strabordante epica musicalità. Personalmente, avrei preferito un pizzico di vocalizzi in più altrimenti una release come questa rischia di essere presa come una colonna sonora piuttosto che un album di metal estremo. Che poi di estremo c'è veramente poco, quasi niente... (Francesco Scarci)

(Narcoleptica Productions - 2021)
Voto: 75

https://forestovfrost.bandcamp.com/album/forest-of-frost

The Crown - Royal Destroyer

#FOR FANS OF: Death Metal
I'm not a huge fan of this band, I've owned albums from them that I didn't keep. Heard about it from a Chicagoan and decided to give it a try. WHOA! This one is unrelenting metal galore! I would say that there aren't many peaks and valleys in this one, it's mostly fierce the whole way through. The vocals I can tolerate as well and the guitars just slay. Not to mention the quality of the riffs! They are simply dynamite! I don't really have anything ill-fated to say about this one. They really upped the intensity to the nth degree. I don't see any fallouts on this one ('Royal Destroyer'). They did a great job.

Now I'd have to say that their tempos range but the intensity of the vocals make the songs more striking. The overall musicianship is phenomenal. I never knew that sounds like this from the band were ever possible! But they made dynamite and brimstone here. They do change things up every so bit, but the majority of the album is just brutal melodic metal. The riffs are catchy and noteworthy. The vocals blast the eardrums to the utmost intensity! I liked everything that they did here. There was nothing on here that I disliked. Their unique riff style and choice of songwriting is just utterly magical.

The sound quality was just perfection, ABSOLUTELY. They did their label and fans justice on this one. The rhythms, leads, vocals and drums just are like this ever flowing stream. They kick major ass on here. All the songs are amazing and exceptional. They slay on every track no matter what tempo they're at. They did change things up making it a more diverse release. But this is something different than what I was used to for this band which was the riff writing. They put a lot of time to get the songs unique in their own style. I think that this is one of their best albums to date. So good to discover this one!

Mainly, I didn't like previous releases because I didn't think that they were equivocal to 'Royal Destroyer'. They really sound great and their melodic riffs kick some major ass! I heard this first on Spotify then immediately bought the release. It was definitely worth buying since my cd player plays us cd collectors at top notch sound. This is one of the releases of this year that is one of the best in the genre. I liked the whole album through and though. They definitely kicked major ass the whole way through. They know how to make phenomenal releases and then some. Check it out! (Death8699)


(Metal Blade Records - 2021)
Score: 77

https://thecrownofficial.com/en/

martedì 30 marzo 2021

Dark Awake – Hekateion

#PER CHI AMA: Dark/Ambient/Neofolk
A cominciare dalla sua immagine di copertina, 'Hekateion', full length del 2020 dei Dark Awake, è un'opera che richiede decisamente un ascolto impegnato. Si propone sin da subito come un lavoro molto interessante, per veri appassionati, che mi porterà alla scoperta delle strade esoteriche narrate nelle note di questo penultimo disco della band greca (da poco è infatti uscito uno split album con i Kleistophobia). Devo riconoscere una certa forma di iperattività artistica che dal lontano 2008 non ha mai abbandonato il progetto ellenico, che ha sfornato numerose creazioni in ambito dark neoclassico, martial e neofolk ambient, fino ad oggi, con una continuità davvero invidiabile. Questo lavoro è un concept incentrato sulla figura di Ecate, antica divinità di origine pre-indoeuropea, venerata da greci e romani, un'opera da intendere come un accompagnamento ritual-esoterico atto alla scoperta della realtà oscura di cui la dea ne era la potente regina dell'oscurità. Il brano di apertura, la title track, è trafitto tutto il tempo da rumori e suoni spettrali, per una lunghezza assai impegnativa che supera i 23 minuti, tra estratti di rumoristica minimale, fruscii, echi e sussurri carichi di oscuro presagio. Il pezzo ha una trama molto noir e si rianima solamente nel finale, trasformandosi in una scarna e affascinante danza tribale, acustica e ancestrale, dal sapore etnico e sciamanico, come se il tutto fosse svolto in una foresta incantata, governata da forze sovrannaturali. La cosa che più colpisce però è il canto, una splendida interpretazione, drammatica ed ipnotica al tempo stesso, per una voce stregata che si destreggia, salmodiando, nel ricordo di Hagalaz' Runedance, Eva O e Diamanda Galas, nel nome delle regine del folk pagano e del goth rock più oscuro. Si avanza con un secondo brano ("Erebenne Arkuia Nekui"), figlio dell'amore per il drone e il dark ambient apocalittico espresso nei primi album dei Dead Can Dance, potente ed evocatore, mentre, "Triformis Dadouchos Soteira", il terzo brano che porta un titolo particolarmente suggestivo, si snoda anch'esso tra rumoristica d'ambiente, dark e nuovamente drone, contraddistinto da una pesante attitudine lugubre, travagliata ed inquietante, un vortice oscuro che paralizza e destabilizza l'ascoltatore. In chiusura "Damnomeneia", che parte con suoni industriali stridenti per entrare in un comparto etnico che ricorda certe escursioni nel mondo devozionale tibetano ma la sua indole cosmica, primordiale e oscura, lo rende alla fine poco propenso alla meditazione. Il suo tetro avanzare, scandito da lente percussioni, una minimale partecipazione dell'elettronica e la sua forte propensione cinematografica, lo propone come perfetta chiusura di un disco che farà la felicità degli amanti del genere. Cosi come in passato, anche qui i Dark Awake dimostrano le loro qualità, una qualificata capacità di rinverdire e far progredire un'idea sonora spesso sottovalutata dalla critica musicale. Un buon esempio di ambient dai potenti tratti dark, uno splendido e sinistro manifesto sonoro, un disco che nel suo genere può essere letto come variegato ed intenso, sicuramente interessante e ben strutturato. Il mondo oscuro e affascinante di una divinità, madre delle arti magiche e della stregoneria, messo in musica in maniera esemplare. (Bob Stoner)

(Aesthetic Death - 2020)
Voto: 75

https://darkawake.bandcamp.com/album/hekateion

Bound - Haunts

#PER CHI AMA: Shoegaze/Alternative, This Empty Flow
Gli statunitensi Bound aprono 'Haunts', loro opera seconda, con "The Bellows", in cui i tinnuli di cristallo cullano il bipolarismo dei suoi suoni. Un’esplosione di vetri che si adorna di lentezza in uno shoegaze dalle tinte alternative. Un arcobaleno prismatico che toglie il fiato al corpo della song per trovare insistentemente il suo tesoro prima, durante e dopo la sua corsa cinematica. Qui conta la scoperta. Una sonorità accesa che ritroveremo anche nella terza ondivaga "The Divide". Il suono che spazia tra paradiso e inferno. Con "The Ward" invece spezzettiamo il tempo in coriandoli sonori. Una polvere che muove l’aria prima di essere aria stessa. Una carezza, malinconica. Con "The Field of Stones" restituisco il passato in questo presente soffuso. Laconiche le sonorità. Ispirati i passi tra le rocce ed il climax ascendente della musica che imprigiona, sposta, asseconda, rapisce con le sue ipnotiche note di synth. Un viaggio da fare e fare ancora. Se non avete mai fatto un passo nel bosco stregato, se non siete stati mai temerari nella casa maledetta, beh venite con me, il tutto potrebbe suonarvi inquietante quasi quanto il video della successiva "The Last Time We Were All Together". "The Lot" suona come il giusto preludio incantato, spezzato dalla circostanza della chitarra, ammantato dall'eterea voce del vocalist ed ancora forte dell’energia che la band manda in etere. Andiamo avanti, abbracciando l’intensità soffusa che spazza l’estetica in “The Small Things Forgotten”. Il brano apre leggero carezzevole con un arpeggio di chitarra, che presto si trasforma in una nuvola di suoni scomposti, irrequieti, carnali, alla fine quasi infernali. Una bolla in cui il pensiero lento e la rabbia veloce possono scambiarsi pensieri, dinamiche, musica, chitarre benedette e maledette. Non abbiamo ancora toccato il fondo perchè vanno on air gli sperimentalismi dream pop di “The Lines”. Il fondo è superficie perché con la musica le prospettive sono aberrazione. Tuttavia, con la musica i cori ci portano a volare. Ma è forse la traccia che vola o siamo noi a volare? Sentite il brano che spezza con un suono metallico ritmato in 2/4. Sentite le anime che urlano a vanno su ad ascendere. Ascoltare e basta. Mi spacca questa song e mi ricompone le fiaccole dell’anima. L’epilogo di 'Haunts' si racconta con la conclusiva "The Known Elsewhere" ed un sound ripetuto, voce facile per uno shoegaze dalle venature post rock. Un graffio che evoca le melodie dei finlandesi This Empty Flow. Avrei forse preferito un epilogo psichedelico quanto l’esordio, ma l’album si congeda con un volto già visto, una sagoma nell’ombra, un disco che ci dice che andare d’istinto è molto più pregiato che farsi trasportare. (Silvia Comencini)

(Jetsam-Flotsam/Diehard Skeleton Records - 2020)
Voto: 70

https://boundlives.bandcamp.com/album/haunts

lunedì 29 marzo 2021

Månegarm - Vargaresa - The Beginning

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Viking
'Vargaresa - The Beginning' è una compilation uscita nel 2004 che raccoglie i primi due demo dei Månegarm, datati 1996 e 1997. Si tratta dei lavori 'Vargaresa' e 'Ur Nattvindar' che raccolgono le prime nove tracce elaborate dai nostri eroi vichinghi, completamente rimasterizzate e con un nuovo artwork curato dal famoso artista belga Kris Verwimp (Absu, Marduk, Immortal, giusto per citarne qualcuno). Lo stile di questa raccolta si discosta abbastanza dagli standard epico-vichingo della band, presentando infatti un approccio più black metal oriented, rude e selvaggio. Solo in forma più embrionale è presente quel viking metal, diventato poi trademark del quartetto scandinavo. Solo fugaci sono le epiche melodie che caratterizzano questo cd, che colpisce più che altro per la maligna ferocia che trasuda da ogni sua nota, piuttosto che per le partiture viking-folk tanto care nei vari 'Dodsfard' e 'Havets Vargar'. L’album presenta in un paio di occasioni, un ispiratissimo violino, che riesce a conferire a tutto il lavoro, un senso di desolante malinconia. Le vocals sono buone, anche se un po’ grezze. Scarseggiano però quei coretti in grado di proiettarmi agli albori di quella gloriosa civiltà, ahimè scomparsa. Tra i due demo, sicuramente 'Ur Nattvindar' è il migliore, dove oltre al violino e a breaks di chitarra acustica, fanno capolino addirittura delle vocals femminili ed un flebile accenno di tastiere, elementi comunque lontani anni luce dalle ultime cose dei master scandinavi. Se siete degli amanti della band, ma solo se siete amanti, sicuramente non dovrete farvi mancare questo lavoro nella vostra collezione, album che segna l’esordio discografico dei Månegarm, altrimenti vi suggerisco di lasciar perdere e magari approcciarvi ai loro ultimi episodi. (Francesco Scarci)

(Displeased Records - 2004)
Voto: 65

https://www.facebook.com/Manegarmsweden/

The Pit Tips

Francesco Scarci

Respire - Black Line
Jours Pâles - Éclosion
Dystopia - Geen Weg Uit

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Death8699

Blessed By Perversion - Remnants of Existence
Entombed - Clandestine
Epica - Omega

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Alain González Artola

Empyrium - Über den Sternen
Midnight Odyssey - Biolume Part 2: The Golden Orb
Moonspell - Hermitage

Clouds Taste Satanic – Cloud Covered

#PER CHI AMA: Instrumental Stoner/Doom
Il mondo del rock è pieno di gruppi che si sono cimentati in rifacimenti di musica di altre band e di conseguenza, si trovano versioni dai mille volti, che a volte sono strepitose, in altre occasioni si presentano poco interessanti e, spesso, anche del tutto fuori luogo. Tuttavia, sono convinto che l'intento ed il motivo per cui tanti musicisti abbiano da sempre cercato di confrontarsi con il sound di un'altra band, sia da ricercare esclusivamente nella passione e nella devozione provata verso i propri beniamini, salvo che, come in alcuni casi, dietro non ci sia un vero e proprio fine di lucro. Nel caso dei Clouds Taste Satanic (CTS), parliamo di passione pura ed il problema lucro non sussiste affatto. Il nuovo album è una versione più estesa del precedente 'The Satanic Singles Series', sempre disponibile in vinile a tiratura limitata di 100 copie e con due brani in più. Per i CTS suonare la musica che li ha fatti crescere ed ha contribuito alla loro maturazione artistica è un vero motivo emozionale e devozionale, cominciando dalla scaletta dei brani scelti, per nulla eterogenea, con alcuni pescati da vari generi musicali distanti tra loro, provenienti da epoche diverse, culturali e artistiche. Considerando poi il metodo singolare con cui si sono approcciati alla riproposizione di questi classici della musica, il medley che ne esce è ancor più accattivante e inusuale. Con quell'attitudine doom che li contraddistingue da sempre, i nostri si sono calati anima e corpo in queste variegate hit, con uno spirito vintage sparato al massimo, rallentando e rendendole comunque sempre accessibili, mai banali o semplificate e, ovviamente, rigorosamente in veste strumentale. Mantenendo inalterate le eccelse virtù della band, i CTS hanno ricreato le composizioni in modo tale che, senza saperlo, ci si possa trovare spesso a cantare la melodia della voce (che non c'è), e per incanto, scoprire che si riesce a canticchiarle anche senza conoscerne il testo a memoria, ascoltandone solo la musica. Sorprendente è il brano rubato ai Nirvana, con l'intrusione inaspettata, dell'assolo di "Smells Like Teen Spirits" in un perfetto noise dissonante, nella ritmica del brano "Blew". Così, dai titoli delle canzoni modificati per l'occasione ("If You Doom Me Now"/"If You Leave Me Now" dei Chicago) e uno stile splendidamente retrò, ci rendiamo conto che se un album di cover di questo tipo l'avessero confezionato i Monster Magnet (e lo dico da loro fan di lunga data), sarebbe schizzato in vetta alle classifiche di gradimento degli stoner fanatici di mezzo mondo! I CTS sono una band stratosferica, con splendide produzioni anche quando si incanalano in opere di puro divertimento, nostalgico e di gusto molto personale. Il disco è gradevolissimo, con un favoloso artwork di copertina (altra loro ottima caratteristica), un groove sonoro pazzesco per una scaletta di brani, che suonata così, si permette anche di far dimenticare i legittimi proprietari delle composizioni, tanto che il sound risulta omogeneo, personale e con un perfetto filo logico nella sua sequenza, organizzato proprio come un vero album. Quindi, Pixies, Pink Floyd, Nirvana, Chicago, Bachman-Turner Overdrive, Elton John, Flamming Lips e molti altri inni, filtrati dal cuore doom di questi musicisti newyorkesi, ci appariranno come nuove proposte, e per un'ora circa saremo proiettati alla riscoperta di ottime canzoni e di una band esaltante, per un viaggio nella mente e nei gusti di una delle realtà psichedeliche più interessanti che il mondo del rock attuale ci abbia regalato. La saga ed il mito dei CTS si avvalora di un'altra pietra pregiata. Ascolto super consigliato. (Bob Stoner)

martedì 23 marzo 2021

Helestios - Your Pain Tastes Good

#PER CHI AMA: Thrash/Groove
Devo ammettere che l'inizio di "Sacrifice", traccia d'apertura di 'Your Pain Tastes Good', non mi ha fatto esitare un secondo: ho pensato che gli Helestios fossero una band greca. Si perchè il sound sciamanico, evocativo e mediterraneo del quartetto mi ricordava un che dei Rotting Christ. Non ho sbagliato completamente, visto che l'ensemble comprende musicisti provenienti da Lettonia, Paesi Bassi e Grecia (avete visto che un po' di orecchio ce l'ho ancora?), tutti di base però in UK nella sconosciuta Basingstoke, poco distante da Londra. Ebbene, come anticipato, il sound del quartetto ingloba sicuramente influenze elleniche che si miscelano ad un riffing tradizionale thrash, una grande dose di melodia, ma anche un pizzico di atmosfere, come quelle che si apprezzano nell'opener. Un bel biglietto da visita direi, completato da un'eccellente sezione solistica ed un buon songwriting che rende il tutto davvero fluido e fruibile. Queste le prime impressioni di cui ho potuto beneficiare nell'ascolto della traccia d'apertura. Proseguendo con la breve e più compassata "Black Storm", potrei evidenziare la voce graffiante di Henrijs Leja, non del tutto growl, ma comunque con un suo perchè visto che s'innesta alla grande nella sezione ritmica di stampo chiaramente classicheggiante, che la song propone. Ancora tempi controllati nella terza "Downgraded World" che vede una variazione proprio nella voce del frontman, qui più pulita e ruffiana, ma comunque sempre convincente. Le chitarre nel frattempo si divertono a tessere granitiche linee ritmiche, per non parlare poi dell'ennesimo assolo da urlo con cui i nostri ci deliziano, quasi da stropicciarsi gli occhi, o forse sarebbe meglio dire sturarsi le orecchie. La band riparte piano anche in "Back to Where It Starts", senza rinunciare comunque ad improvvise accelerazioni e al grido della sei corde di Stelios Aggelis che improvvisamente squarcia il cielo con un'altra sciabolata delle sue, da leccarsi le dita. Se dovessi trovare il classico pelo nell'uovo e francamente me lo eviterei, mi verrebbe da dire che a parte il terribile artwork di copertina, avrei preferito una maggiore dinamicità a livello ritmico, evitando pertanto di privilegiare quei mid tempo nelle tracce iniziali. Ovviamente vengo subito smentito dalla title track che si apre con un bell'arpeggio a cui segue una ritmica più movimentata su cui si colloca la voce di Henrijs, qui in versione pulita ma un po' meno convincente. Ciò che balza all'orecchio qui, oltra ad un altro fantastico assolo, è invece un rifferama grondante groove da tutti i suoi pori che sembra addirittura pagare tributo ai Pantera nella prima parte, prima di incupirsi nella sua seconda metà, con un sound più malinconico. Se dovessi azzardare un paragone per la band penserei ad una fusione tra Nevermore, Scar Symmetry e Pantera, il tutto avvolto da un'aura oscura di stampo ellenico soprattutto in un brano tirato come "All Attack", scritta a supporto del popolo biellorusso schiacciato da una pesante dittatura politica. Più fresca e diretta invece "You Are Free", dove a mettersi in evidenza, non che in precedenza non l'abbia fatto, è l'abilità percussiva di Ian den Boer, mentre le chitarre sembrano evocare un che degli Iron Maiden, a sottolineare comunque dove le influenze dei nostri affondano. Le vocals invece ammiccano qui più che altrove, ad un certo power metal. Più ipnotica invece "Return to Baalbek", un terremotante inno thrash metal con echi mediorientali che potrebbero essere una sorta di rivisitazione thrash dei Melechesh. Il brano ci catapulta indietro di quasi trent'anni spingendoci ad uno sfrenato headbanging senza tempo, prima dell'ultimo grande assolo del talentuoso chitarrista greco che in questo disco mi ha fatto davvero divertire. Ben fatto ragazzi! (Francesco Scarci)

(Self - 2020)
Voto: 75

https://helestios.bandcamp.com

Wesenwille - II: A Material God

#PER CHI AMA: Black Sperimentale, Deathspell Omega, Ulcerate
La Les Acteurs de l'Ombre Productions sembra non sbagliare un colpo. Li seguo fin dalla loro prima release e non ricordo di essere praticamente mai sceso sotto una larghissima sufficienza con nessuna delle band recensite, e io non sono proprio uno di manica larga. Oggi mi ritrovo sulla scrivania gli olandesi Wesenwille - che piacere peraltro vedere un altro strappo alla regola considerata la linea dell'etichetta votata prettamente alla transalpinità - e la loro seconda fatica intitolata 'II: A Material God'. Non conoscevo il duo originario di Utrecht, mi duole ammetterlo, ma ancora una volta la label di Champtoceaux ha beccato in pieno gli artisti su cui puntare. Il genere proposto dai due loschi individui (i classici con una decina di band sulle spalle, tra cui Apotelesma e Grafjammer) non si discosta poi di molto da quanto solitamente offerto dalla LADLO Productions, essendo un black sperimentale fatto di disarmoniche galoppate in stile Deathspell Omega che si combinano con derive più emozionali, come quelle che si riscontrano a metà dell'opening track "The Descent", una traccia che fino a quel momento ci aveva sbranato con ritmi infernali e che poi rallenta vertiginosamente entrando in anfratti più intimistici, da cui ripartire ovviamente più incazzati che mai. Accanto a ritmiche incendiarie, c'è da dire che i due musicisti palesano idee azzeccatissime e personalità da vendere, ed era lecito aspettarselo visto che non stiamo certo parlando di due pivellini. La band ha questo modo di presentarsi con vertiginose scorribande sonore, vocals al vetriolo che parlano di decadentismo della società, ci shakerano nel loro personale frullatore sonoro (penso alla debordante violenza di "Opulent Black Smog"), per poi concederci spettacolari intrugli sonori vicini quasi ad un black progressivo, splendido a tal proposito l'assolo qui. E la ricetta sembra funzionare alla perfezione anche nelle successive tracce, dove si viene investiti da elucubranti riff di chitarra che potrebbero evocare anche i conterranei Dodecahedron, e "Burial ad Sanctos" ne è un esempio calzante. Emerge da questa stessa song anche una certa componente doomish che viene spazzata via da sgretolanti stilettate di chitarra che mostrano, qualora fosse ancora necessario, le eccelse capacità esecutive del distinto R. Schmidt (date un'occhiata alla sua foto e pensate un po' se questo tizio cosi elegante, possa concepire un sound cosi devastante). Fatto sta che i Wesenwille hanno uno stile convincente che continua a propagarsi anche più avanti durante l'ascolto senza soffrire alcun calo di tensione e attenzione ma anzi, acuendo quella voglia di scoprire cosa di insano e deflagrante, i nostri avranno ancora da proporci. Si perchè "Inertia" è un treno impazzito, scuola Ulcerate, che potrebbe esclusivamente fermarsi per un deragliamento delle sue acuminate chitarre che urlano come coyote nel deserto, la notte. "Ritual" è un pezzo strumentale che rinuncia alla sua melodica brutalità solo quando il tremolo picking delle chitarre si prende interamente la scena. Con la title track si torna a correre come degli indemoniati, e il detto senza colpo ferire non credo possa proprio applicarsi ai due mostruosi musicisti orange. Tecnica purissima che si infrange contro la barbarie della proposta dei Wesenwille, stemperata solo da atmosferici rallentamenti doom che sembrano apparentemente allentare quella difforme tensione creata dai nostri. Con "Ruin" abbiamo una versione più meditabonda della musica dei due schizofrenici musicisti olandesi, mentre con la conclusiva "The Introversion of Sacrifice", ci concediamo un addio con i fiocchi, ossia una sezione ritmica di violenza e dissonanza senza precedenti che ci danno il colpo del definitivo KO. 'II: A Material God' è un album sicuramente importante, ma decisamente non per tutti, nemmeno per molti, ma se vi entrerà nella testa, beh probabilmente sarà complicato toglierselo per un bel po' di tempo. Bravi. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2021)
Voto: 79

https://ladlo.bandcamp.com/album/ii-a-material-god

Exhorder - Slaughter In the Vatican

#FOR FANS OF: Thrash Metal, Pantera
This album from start to finish is a never-ending amazing guitar riffs, leads, vocals and production quality that is top notch! This is a MONUMENTAL RELEASE. Within the thrash arena, these guys I'm sure battled with the Bay Area thrash metal bands back in the day. They sure as heck know how to grind it out with some truly amazing guitar they didn't or don't have a huge history of albums but I still think that they have some intriguing sounds coming out of these speakers! I wouldn't think rating this any less than a perfect score. They nailed it all the way through. I wouldn't say that they are thrash/groove, I'd say mostly thrash.

The vocals compliment the guitar work and the most invigorating part of the album is the guitar work. They just hit home all the way in this department. Being a time where thrash was paving its way into the metal community with bands like Metallica, Megadeth, Death Angel, et al. Exhorder has this unique style of guitar-work that really keeps the listener interested all the way through. The crunch tone guitars are just amazing. And the production does the band justice. The leads were amazing too, and I think this guitar work is something that cannot be duplicated.

I wouldn't want the band to change anything about this release. They really show maturity from early on. I'm not into the lyrics but the vocals go well alongside the music. It's not whiny or annoying. The vocals, that is. The music is the best thrash from the day, aside from what Metallica put out in the 80's. The music is just simply insurmountably amazing. And the fact that I didn't discover this band up until recently is a shame. These guys are just simply amazing musicians. They're album 'Slaughter In the Vatican' is going to remain one of the best releases in early 1990's. Sick as all hell!

If you haven't heard this band or this album, I urge you to do so immediately! This is one of the best thrash releases from back in the day when thrash was just getting a liking to the metal arena. These guys bring home one big MONUMENT. I see no flaws in this album or any of these songs. I'm urging listeners of metal music to get this if you haven't it's 30 years old now!! Help them keep the faith in thrash metal and you can be a sure follower of this group, even if it is just this album from theirs. I'm sure they'd be flattered at the fact that you took time to invest in their efforts! Long live Exhorder! (Death8699)


(R/C Records - 1990)
Voto: 90

https://www.facebook.com/ExhorderNOLA/

lunedì 22 marzo 2021

Farer - Nomad

#PER CHI AMA: Doom/Sludge/Post Core
Quattro brani per portarci all'Inferno senza ritorno. Ecco cosa ci propongono gli olandesi Farer con il loro debut 'Nomad'. Mi fa sorridere che si parli di EP, quando la lunghezza media dei brani viaggia sui 13 minuti fatti di un sound claustrofobico e malato, cosi come si presenta l'opener "Phanes", che con le sue urla stridenti e i suoi suoni glaciali, riesce a congelarci il sangue nelle vene. La musica che ci propone il trio dei Paesi Bassi, che vede in formazione due bassisti e nessun chitarrista, propone un causticissimo sound che miscela post metal, doom e hardcore, non disdegnando qualche divagazione in territori post rock. I suoni siderali, melmosi e angoscianti, potrebbero ricordare gli Amenra della prima ora, quelli più violenti ed ancorati alla tradizione hardcore, anche se verso il nono minuto del brano, emergono forti le influenze più recenti ed intimiste della band belga. La dronica cupezza sonora emerge palese nelle pulsanti note introduttive di "Asulon", che mostra come i nostri debbano sempre carburare per 2/3 giri di orologio prima di partire con la loro proposta sonora. E quindi ecco il classico minimalistico prologo in cui accanto a mezzo accordo ripetuto alla noia, esce finalmente una voce umana, calda e decadente. Lentamente la musica cresce e con essa ritornano le harsh vocals di uno dei due vocalist, mentre i bassi in sottofondo creano atmosfere intriganti al limite della psichedelia, con l'irruenza dello stoner e la profondità del doom, il tutto avvolto da un sound ai confini estremi della catarsi che ci accompagnerà fino alla conclusione di questo delirante pezzo. Con "Moros" le cose sembrano farsi un po' più abbordabili, proponendo i nostri un post metal dai tratti più commestibili e morbidi ma comunque assai particolari, che ci immergono in un nuovo trip dal quale sarà complicato uscirne immuni. La song scivola via tra sonorità molto delicate in cui ampio spazio viene concesso al lavoro delle percussioni e a strani effetti noise in background che serviranno a dare il via libera a violente deflagrazioni post hardcore, condite da una notevole linea melodica che a questo punto mi sorprende sapere costruita solo dai bassi. Fighi, non c'è che dire. Anche nella conclusiva "Elpis", dove i tre tulipani si concedono divagazioni shoegaze accanto a quelle inconfondibili note doom/noise/post core che delineano già con assoluta originalità, la spiccata personalità di questi tre stravaganti musicisti orange. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2020)
Voto: 75

https://farer.bandcamp.com/album/monad

Squeamish Factory - Plastic Shadow Glory

#PER CHI AMA: Alternative Rock/Stoner/Grunge
Riff grintosi e melodie accattivanti. Evidenti richiami a mostri sacri del rock pesante conditi con sperimentazioni sonore e spunti personali. Il secondo album degli Squeamish Factory è un interessante tavolozza di colori diversi, nonché una prova del buon percorso di maturazione della band. Il loro alternative rock, che si mantiene fieramente vicino al grunge degli Alice In Chains e allo stoner dei primi Queens of the Stone Age, ben si presta per una critica sociale come quella presentata in questo 'Plastic Shadow Glory', rilasciato lo scorso novembre per Overdub Recordings. Si parla infatti di alienazione, della doppiezza e dell’ipocrisia che sembrano essere diventate caratteristiche necessarie per avere successo nella vita e che condizionano ogni aspetto della nostra cultura. Su questa base, gli Squeamish Factory confezionano una bella serie di schiaffoni da distribuire a tutti i responsabili di questo degrado morale: pezzi come “Humandrome” e “Burn” sono schiacciasassi che uniscono la potenza dei Kyuss alle sferzate nu-metal dei Deftones, “Mirror Gaze” e “Suspended” esplorano territori più atmosferici giocando su passaggi psichedelici ed eco post-punk, mentre il grunge dei maestri Alice In Chains riceve un doveroso tributo in “Snufftshell”. Al di là delle distorsioni dispensate a piene mani, 'Plastic Shadow Glory' rimane un album ammantato da un sentimento di malinconia, come se alla rabbia provata dal quartetto nell’assistere impotenti al triste spettacolo offerto dalla nostra società, subentrasse la frustrazione: per quanto piene di energia positiva, purtroppo queste nove canzoni non basteranno per invertire questa triste tendenza. (Shadowsofthesun)