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lunedì 25 novembre 2024

Ritual Fog - But Merely Flesh

#FOR FANS OF: Death Old School
As it happens with other metal genres, metal has evolved through the years, modernizing its sound and incorporating new elements. This has led to some bands mutating their sound to something more melodic and crystal-clean, while others have taken a step forward in the realms of brutality and insane intensity. In any case, as has happened with the black metal sub-genre, many old bands and some newcomers, retain the torch of the old sound with immaculate devotion. The USA-based band Ritual Fog is one of the latter cases. This young project released just an EP prior to signing an agreement with the reputed label Transcending Obscurity Records, which speaks volumes about its potential.

'But Merely Flesh' is the first full-length album by Ritual Fog, and it unequivocally breathes true passion for the old metal sound. All the elements contained in this album stay true to this path, beginning with the production. The sound isn’t exactly what you would expect from a metal album released in the beginning of the '90s, but it is very, very close to it. Overall, the result is very good as it maintains a good balance between having the rough and crunchy touch of the old albums but sounding clean enough to appreciate the performance of each instrument. Nevertheless, the way the guitars or the drums sound will surely bring you memories of the classic efforts. As with the instrumental base, the vocals’ approach also follows the old path. Ian’s voice is not particularly low-tuned as it happens with many modern bands, but it reminds me of how metal singers sounded around the late '80s and the beginning of the '90s. Although you will find some mid-tuned growls, Ian’s voice successfully introduces tons of raspy screams like it was usual in the initial years of the genre. "Desolate Chasm" is a good example of it where he delivers a great performance, and a faithful example of the characteristics mentioned. About the pace and song structure, the traditions of the classic efforts are also well represented in "But Merely Flesh". The pace throughout the whole record is varied, intense almost always, but having its ups and downs in the pace and energy. Moderately fast sections are combined with mid-tempo and slower parts in a very natural and inspired way. If you want relentless energy and vivid pace, songs like "Slimeblade" will please you. Excellent tracks like "Nocturnal Suffering" and "Demented Procession", give plenty of room to head-bang like crazy with its excellent mixture of speedy parts and mid-tempo sections that will make it impossible for the listener to remain still. Slower sections have their presence here and there throughout the album too. "Sentinel Chamber" is one of my favorite pieces in this sense, as it has a great contrast between heavier parts and the calmer ones. This composition has, which is probably the most atmospheric and calm section, that fortunately does not sound out of place at all. The way the band mixes different tempos shows the amount of work and talent put into this album, which is something that always deserves our praise.

'But Merely Flesh' is an excellent starting point for this project. The band gives the listener what he wants, a loyal and well-constructed old school metal album made to break some necks during concerts. Turn it up loud and enjoy! (Alain González Artola)


(Transcending Obscurity Records - 2024)
Score: 78

https://ritualfogdm.bandcamp.com/album/but-merely-flesh

Maverick Persona – In the Name of

#PER CHI AMA: Post Rock/Experimental Sounds
In quante occasioni ci siamo persi nel vasto mondo della musica pop internazionale, cercando qualcosa di interessante da ascoltare, senza mai guardare ai confini nazionali? Ecco, con il nuovo album dei Maverick Persona, vi renderete conto che l'album della "porta accanto" esiste e può avere un respiro internazionale, risultare intrigante e destare la vostra curiosità senza nemmeno passare per il mainstream, preconfezionato e molto spesso vuoto di spessore e idee (vedi ultimi Blur o simili). Il progetto dei due musicisti italiani, Amerigo Verardi e Matteo "Deje" D'Astore, esprime tra le sue note proprio questo, la volontà di essere liberi di creare musica per come la si intende, senza confini o condizionamenti. Infatti, in una intervista uscita al tempo del loro primo album, 'What Tomorrow?', dichiaravano quanto segue: "Non abbiamo la possibilità di investire migliaia di euro in promozione, foto o videoclip; tanto meno siamo in grado di comprare i passaggi nelle radio o in tv, né ci interessa acquistare pacchetti di ascolti virtuali in playlist del cazzo. Adottiamo invece una forma promozionale tutta nostra che si misura in energia piuttosto che in economia: provare a liberare un flusso creativo tale da permetterci di registrare anche due album in un anno, possibilmente uno migliore dell’altro". La magia di questo nuovo disco si misura proprio in questa libertà, e se ci si associamo i testi, cantati in lingua inglese, volti alla critica di una società al limite tra ipocrisia e decadimento culturale e sociale, il gioco è fatto. Il duo cita i generi electronic, experimental, psychedelic, pop, rock, spoken word, new jazz, world music e gli ingredienti ci sono tutti, e si srotolano con un enorme piacere di ascolto. "Somewhere We Have Landed" e "Underword Conspiracy" sorprendono per la maturità del suono, musica ad elevato impatto psichedelico ed emotivo ad ampio respiro internazionale, un elettro-ambient sofisticato, ma non solo; l'impazzito jazz di "Sirshka" e i sussulti new/acid jazz di "Where Are You", confondono ed ampliano gli orizzonti musicali. L'insieme dei brani mi ricorda le teorie ricostruttive di Bugge Wesseltoft in 'New Conception of Jazz' del 1996, aggiornate con rianimata verve e suoni di nuova provenienza, ma l'album nasconde anche tante stanze segrete tra le sue note, sentori di acido trip hop per "Try to Get the Sun", mentre per "Dreaming Laurel Canyon", come dice tra le righe anche il titolo, dream pop e drone, si fondono per donarci una vera e propria sensazione di volo. 'In the Name of' è un disco di palpabile spessore artistico, carico di sorprese, adatto ad un pubblico moderno, che ama il sound variegato, curato e dalla trama intelligente. Un disco che allieterà i vostri ascolti, portandovi anche alla riflessione in più momenti, perché la rivoluzione nel mondo passa anche da suoni che sembrano innocui e pieni di luce ma che in realtà esprimono tanta ribellione. Consigliato l'ascolto! (Bob Stoner)

venerdì 22 novembre 2024

Time Lurker - Emprise

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Ci ha impiegato ben sette anni il buon Mick, leader solitario dei Time Lurker, a tornare con un nuovo full length. Io c'ero nella stesura della recensione del debut album e ai tempi dello split con i Cepheide, e ci sono oggi per raccontarvi qualcosa di più di questo 'Emprise'. Il nuovo lavoro include cinque nuovi pezzi e, se consideriamo che l'iniziale title track è poco più di una inquietante e demoniaca intro, potremmo ridurli a quattro. Ma questi quattro pezzi sembrano promettere faville. Si parte con "Cavalière de Feu" e un incipit molto delicato, la classica quiete prima della tempesta. E infatti non sbaglio, dal momento che la ritmica della one man band transalpina, esplode in tutta la sua veemente malvagità, qui potenziata peraltro, dallo straziante supporto vocale di Sarah L. Kerrigan (alias Sotte) dei Neant. Quello che colpisce è la componente melodica delle chitarre che donano un più ampio respiro alla proposta dell'act francese, meno prevedibilità e una maggiore gioia nel godere di questa proposta che abbina un black atmosferico ad una componente più suicidal/depressive. "Poussière Mortifère" già dal titolo non lascia presagire nulla di buono: un inizio di "alcestiana" memoria lascia il posto a ipnotiche melodie che potevano fare la loro bella figura anche in 'Hvis Lyset Tar Oss', album leggendario di Burzum, soprattutto per una performance vocale che ricorda, da vicino, quella del Conte Grishnackh. E in linea con i dettami del musicista norvegese, non mancano nemmeno le parti più atmosferiche e quelle decisamente più tirate, che si declinano in una spettacolare linea di chitarra post black nella seconda metà del brano. "Disparais, Soleil" ha un altro inizio assai tiepido, cosi come nel suo prosieguo, cosi caldamente votato al depressive black, in grado di emanare forti emozioni, complice la presenza di un'angelica voce femminile in sottofondo. I motori tornano a rombare con la conclusiva "Fils Sacré", portentosa nel suo impianto ritmico imperniato su tonalità glaciali e più avulse da quelle più melodiche dei primi brani. Tuttavia, si percepisce che covi sotto la cenere un tono più epico che stenta però a decollare definitivamente, complice probabilmente il carattere strumentale del pezzo, che lo priva di una componente, quella vocale, davvero importante. In definitiva, 'Emprise' rappresenta un passo in avanti rispetto alla precedente release del mastermind francese, ma sento che ci sia ancora margine di crescita per sentirne delle belle in futuro. (Francesco Scarci)
 
(LADLO Productions - 2024)
Voto: 74
 

VII Arcano - Inner Deathscapes

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Thrash
Fortissimi ‘sti romani. Death metal d’impatto, diretto, influenzato da At The Gates e soci, ma con un proprio sound e trademark. Dieci i brani che compongono questo assalto ben registrato, il cui suono delle chitarre è corposo e incisivo, come deve essere in un genere come il loro. Le canzoni sono tutte di breve durata, e questo non fa che accrescere l’aggressività ed intensità dei pezzi, senza perdersi in virtuosismi inutili. 'Inner Deathscapes' è stato registrato agli Outer Studios di Roma ad opera di Giuseppe Orlando dei Novembre. Grande la prova vocale, molto profonda e roca. Un cd alla fine, ben riuscito che unisce death e thrash nel migliore dei modi.

(Pick Up Records - 2001)
Voto: 73

https://www.facebook.com/viiarcano

giovedì 21 novembre 2024

Traum - S/t

#PER CHI AMA: Psych Rock
Il motorik esotermico "Kali Yuga" in apertura, possibilmente la traccia più atmosfericamente sludge dell'album, tinteggia scenari assolati e materici, immanenti e maestosi, roba da nu-scemenze stile Mad Max, forse per via della chitarra fuzz/osamente cosmica, o della batteria magmatica e incendiaria. Suggeriscono continuità, con un landscape, se possibile, di proporzioni ulteriori, la successiva "Vimana" e, a modo suo, anche la contrazione siderale di "Katabais", a generare un compendio sonoro psych-free ("Ummagumma/Zabriskie/iano") da gola secca e, in chiusura, il secondo motorik che introduce il retro del disco (come se i Kraftwerk di 'Karl Barthos' ascoltassero "Remain in Light" dei Talking Heads, annuendo in piedi davanti al PC, senza tralasciare i momenti psych-trance dei Motorpsycho anni '20 in "Inner Space") a comporre una sorta di cosmicissima suite frattale e decostruita. Da qui in avanti, gli indizi si fanno più radi e il percorso più ardimentoso. Tra le sonorità marcatamente ambient (il Vangelis di 'Spiral' o certo Jarre mid-ottantiano) ecco "Antartic Dawn" e "Erwachen" (che evoca anche i primi Sigur Ros e il Robert Fripp ante-Thrak, quindi in sostanza quasi tutto Robert Fripp), il dub elettrogeno e spavaldo di "Infraterrestrial Dub" e la conclusione onirica e fuzz/orchestrale affidata a "Eterno Ritorno", con tanto di campionamento pasoliniano sugli orrori del consumismo. D'altro canto, "Inner Space" è il nome che Holger Czukay diede allo studio di registrazione realizzato da lui medesimo. Traum, in tedesco, significa sogno. Alla fine tutto torna. (Alberto Calorosi)

(Subsound Records - 2024)
Voto: 75

https://traumofficial.bandcamp.com/album/traum

Persecutory - The Glorious Persecution

#PER CHI AMA: Black Metal
Non ci capita cosi spesso di recensire band provenienti dalla Turchia: quella dei Persecutory dovrebbe essere infatti la seconda recensione che mi appresto a scrivere di una realtà proveniente da quel paese. E allora facciamo un breve preambolo biografico, raccontandovi che il quartetto di oggi è originario di Istanbul, ha già un paio di full length all'attivo oltre a due EP, incluso questo 'The Glorious Persecution'. Il genere proposto poi, è un black death alquanto scolastico, che aggiunge poco o niente a due generi che forse hanno poco altro da aggiungere. I cinque turchi si adeguano quindi alla massa, proponendo tre lunghi pezzi che, dall'iniziale "Infernal Gateways to Watchers", passando attraverso "Ecstatic Demonlords", fino ad arrivare alla conclusiva "The Glorious Persecution", non so quanto potrebbero farvi vibrare i sensi. La prima traccia spiega subito le coordinate sulle quali intendono stare i nostri, ossia una matrice estrema, dotata di un pizzico di melodia, che alterna momenti mid-tempo ad altri più serrati, che sembrano ammiccare a sonorità scandinave di metà anni '90 (e che riassumerei come un mix tra Mayhem, Behemoth e Unanimated, ad un livello più basso, ovviamente). Ecco appunto, un altro tuffo nel passato come centinaia e centinaia, me ne sono passati tra le mani in questi anni. E l'esito si prevede quanto mai scontato sin dalle prime battute. C'è poco infatti da elevare sopra il marasma di band che popolano la scena. I rallentamenti doomish magari contribuiscono a spezzare un ritmo a tratti vertiginoso, le vocals indemoniate del frontman hanno sicuramente una buona presa, cosi come il tremolo picking che si palesa nei momenti più compassati a donare un po' di melodia, cosi come gli epici assalti di chitarra. Alla fine sono tutti elementi, presenti in tutti e tre i brani, che ritroviamo in una marea di uscite discografiche di questo tipo. Se proprio devo individuare un brano preferito direi "Ecstatic Demonlords", dotata di un bel tiro, avvolta di uno splendido alone nero di mefitica malignità che si palesa peraltro in un litanico coro che ne eleva la qualità sopra le altre. Un utilizzo maggiore di questa componente, qualche assolo, qualche parte atmosferica in più e staremo parlando di una release di tutt'altro spessore. (Francesco Scarci)

Bodysnatcher - Vile Conduct

#PER CHI AMA: Deathcore
Ancora sonorità estreme da oltreoceano, questa volta con i Bodysnatcher e il loro deathcore senza troppe contaminazioni. La band originaria della Florida, taglia il traguardo del sesto lavoro (tra EP e full length), mantenendo il cuore della propria proposta, quasi del tutto inalterato rispetto ai dettami del passato. E quindi, ciò che 'Vile Conduct' si appresta ad offrirci in queste cinque tracce, è quello che riflette un genere senza troppi compromessi. E l'iniziale "Infested" ce lo conferma, con quelle sue tonanti ritmiche ribassate, una voce urlata e forse troppo presente, quei tonfi che gli anglosassoni chiamano breakdown, e tutto l'armamentario ritmico che il rigore del genere impone. E quando tale canovaccio si ripete pedissequamente in tutti i pezzi, con una scarsa volontà di creare parti più atmosferiche/cinematiche, ma anzi andando a sorpassare i confini che conducono all'hardcore, il risultato che ne viene fuori puzza di già sentito. Ed è un peccato, perchè la band ha un buon bagaglio tecnico ma le idee, lo confesso, mi sembrano abusate, inconcludenti e comunque dotate di scarsa personalità. Una variazione al tema, la possiamo ritrovare in "Murder8", che peraltro vede il featuring di Jamey Jasta degli Hatebreed, poca roba però per gridare al tentativo di sovvertire un pronostico già scritto. Il disco a me non piace e, a meno che non siate dei fan sfegatati del genere, non mi sento cosi orientato a suggerirvene l'ascolto, rischiereste solo di allontanarvi di più da sonorità già di per sé di difficile approccio. (Francesco Scarci)
 
(MNRK Heavy - 2024)
Voto: 55
 

mercoledì 20 novembre 2024

Mammoth Grinder - Undying Spectral Resonance

#PER CHI AMA: Death Old School
Siete pronti per prendere un paio di schiaffoni ben assestati in pieno volto? Questo è quello che sono pronti ad offrirci gli statunitensi Mammoth Grinder con questa loro nuova uscita di cinque pezzi. Con un incipit che ricorda ben da vicino le prime release degli Entombed, 'Undying Spectral Resonance' si presenta con un brano che fin dapprincipio catalizza la mia attenzione sul quartetto texano. "Corpse of Divinant" è una straordinaria quanto malefica canzone di puro death metal old school, carico di quelle venature stile area di Stoccolma primi anni '90, miscelata con un che degli Autopsy e una spruzzatina di Obituary. Un fantastico colpo alla mascella che immediatamente mi annichilisce per potenza, perizia tecnica (notevole a tal proposito, il super tagliente assolo verso la fine), un pizzico di groove, e un vocione che arriva direttamente dalle viscere della terra. E la successiva title track non sembra promettere nulla di buono, con una linea di chitarra che scandisce in modo evidente il ritmo, qui mid-tempo, del secondo pezzo, ritmo che si fa più incandescente nel finale, con un'altra sciabolata solistica che mi evoca i bei tempi andati del death a stelle e strisce di fine anni '80. E se "Call from the Frozen Styx (Interlude)" è un inutile interludio strumentale, che nell'economia peraltro assai risicata dell'album, mi fa storcere solo il naso, "Decrease the Peace" sembra soffrire dello stop ritmico della precedente song e, fatto salvo per un altro spettacolare assolo, rischia di scadere nel dimenticatoio in tempi brevissimi. Fortunatamente, ci pensa la conclusiva "Obsessed with Death" a ripristinare le incandescenti ritmiche dei primi brani, con un rifferama marcescente e altrettanto convincente, che ci inducono ad un esagitato pogo senza precedenti. Ed è qui che il disco si interrompe bruscamente; in tutta franchezza, avrei infatti desiderato quattro/cinque pezzi in più, per godere di sonorità che si sono perse nella notte dei tempi. (Francesco Scarci)

martedì 19 novembre 2024

Trollwar - Tales From The Frozen Wastes

#FOR FANS OF: Folk/Death
It's time to visit again the always interesting metal scene of Quebec with the band Trollwar. Contrary to previous occasions, we leave aside the black metal genre, focusing this time, on much more upbeat sounds. Trollwar was founded in Alma, Quebec, back in 2011 and currently consists of seven different musicians, forming a line-up that has been quite stable since its inception, apart from some minor changes. In any case, the band hasn't been particularly prolific, releasing two albums and some EPs.

After almost six years, Trollwar presents a new EP entitled 'Tales From the Frozen Wastes', which could help them gain a bunch of new fans. The band plays a mixture of folk and metal with a strong epic vibe, a fusion that has been quite popular especially in Europe in recent years. The eye-catching artwork gives the impression of containing something majestic, and thankfully, the four pieces and one intro contained in the new EP confirm this initial impression. First of all, the production is quite good, powerful, and clean, allowing all the different instruments and vocals to have their own room to shine. "The Unseen One" is the first proper track and contains all the elements that this genre usually offers: an aggressive main voice, closer to higher tones rather than purely metal growls, catchy yet powerful guitar lines, and some majestic arrangements in the form of keys and a solemn backing choir. The track also offers nice tempo changes which make the composition very enjoyable and headbanging friendly. Memorable and epic melodies are what you ask of this genre, and Trollwar surely knows how to create them. "Bane of the Underworld" is another fine example. It is a truly entertaining track, full of energy, great tempo changes, and addictive harmonies, both in the guitar lines, the vocals, or in the use of other elements such as keyboards or choirs. Additional clean vocals are also included in the majestic closing track "The Offering", which has plenty of speedy parts that make this composition one of the most energetic ones. I prefer other sorts of vocals, but all the additions are welcome as they help to enrich the band's music.

In conclusion, Trollwar's 'Tales From the Frozen Wastes' is a notable work. The production, composition quality, and the tastefulness of the melodies are unquestionable. Hopefully, this EP should boost the band's career in the difficult journey of standing out from the hard competition, particularly in this sub genre. (Alain González Artola)


lunedì 18 novembre 2024

Internecine - The Book Of Lambs

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death Metal
Le musiche e i testi di questo album sono stati scritti interamente da Jarad Anderson (R.I.P. che fu in passato attivo con i Morbid Angel e gli Hate Eternal), mentre le parti di batteria sono state affidate a Tony Laureano (Angelcorpse, Nile) ad eccezione di due brani suonati da Derek Roddy (ex di Hate Eternal e Malevolent Creation). L’album è stato prodotto da Erik Rutan (ex Morbid Angel, e ora negli Hate Eternal e Cannibal Corpse) che ha peraltro suonato tutti gli assoli di chitarra. È chiaro quindi che un disco del genere non possa essere altro che feroce death metal di stampo americano, dai ritmi generalmente molto tirati e dalle linee di chitarra estremamente varie, in continuo movimento. Poco più di mezz’ora di death metal assolutamente coinvolgente, ottimamente suonato e registrato. Un disco che ha deliziato e potrebbe ancora deliziare tutti gli amanti della musica estrema e della perfezione tecnica. Per chiarimenti riguardo il concept lirico vi cito lo stesso Jarad: “this record is dedicated to the time of the destruction, I anxiously await the day of cleansing of this disgusting earth which the masses have created, for I am one, for I am war!!!”. Fate voi.

(Hammerheart Records - 2002)
Voto: 75

https://www.metal-archives.com/bands/Internecine/898

Craft - Terror Propaganda

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine

#PER CHI AMA: Black Metal
Questo disco è composto da otto brani di ottimo black metal d’ispirazione darkthroniana. Ciò non significa che si tratti di un gruppo clone, significa piuttosto che il gruppo rivisita alla propria maniera, le morbose melodie dell’incommensurabile gruppo norvegese. Buona la produzione, grezza e perfettamente comprensibile. Ottimi i brani: dinamici mid-tempo si alternano a veloci sfuriate. Per quanto riguarda il concept lirirco invece, basterebbe fare caso all’etichetta per cui esce questo disco (originariamente per la Selbstmord Services). Si parla infatti di odio nei confronti del genere umano e di voglia di annientarlo. Si parla di verità. Infine, assai bello l’artwork del booklet (sinceramente underground ed in bianco e nero) e soprattutto l’immagine sul retro del cd; chi emula vince.
 
(Selbstmord Services/Season of Mist Underground Activists - 2002/2018)
Voto: 70
 

giovedì 14 novembre 2024

We Fog - Sequence

#PER CHI AMA: Post Rock/Math
Devo ammetterlo, questa band veronese ha molte qualità anche se, con questa nuova seconda uscita, a distanza di anni dal precedente 'Float' del 2017, non ha voluto mostrare evidenti segni di cambiamento stilistico, e l'istrionico attaccamento ai canoni del post rock e indie rock di fine anni '90/2000, li rende volutamente alfieri di un sound che un tempo fu venerato da molti. Oggi il trio si trova un po' fuori tempo massimo a livello commerciale e neanche la produzione di un guru di questi generi musicali, come la mente degli Ulan Bator, Amaury Cambuzat, dietro alla console di regia, poteva cambiarne la sorte, spingendoli verso lidi sonori più attuali, visto che fu proprio lui, anni or sono, a scrivere album indimenticabili, proprio nel segno del miglior post rock. Però di fatto, questo suo suonare un po' vintage, non ci distoglie dal giudicare 'Sequence', un buon album, suonato con passione e molto motivato, fruitore dei giusti suoni da usare per ottenere l'effetto sonoro desiderato e senza pensare al mercato discografico. Il disco ha molte divagazioni ai confini dell'indie/math rock e la mano di Cambuzat si sente eccome; il suo modo di intendere il sound globale e in particolare della batteria, è infatti inconfondibile, ma la bravura e l'esperienza dei We Fog è assodata da tempo e questa musica la sanno fare bene, molto bene. L'apertura del disco "A Father's Love", è potente e aggressiva, perfetta come biglietto da visita, al pari della trascinante "Meat Without Feet", mentre "No Land for Hope" (dove peraltro Cambuzat suona il synth), con i suoi cambi altalenanti, trasmette malinconia e una voglia di estraniarsi da tutto quello che ci circonda. Non male anche il video di "Kind Warrior". Qualche critica leggera a mio avviso, potrebbe cadere sugli effetti usati in alcune parti vocali, che a volte non rendono giustizia alle stesse, dando l'impressione, di essere poco considerate e tenute come in disparte. Capisco la scelta di emulare l'effetto tipico stile vecchia radio, tipico del post rock, ma a mio avviso, il cantato rischia di estraniarsi troppo dalla musica. Comunque, tralasciando le mie inutili esternazioni personali, direi che 'Sequence', è un buon disco, che si lascia ascoltare in maniera fluida, che mostra una band in ottima salute compositiva, e che dopo ripetuti ascolti, risulta anche più intrigante, tagliente e rumoroso, più di quanto lasci trasparire la rustica immagine paesana di copertina. Da ascoltare con cura e un pizzico di nostalgia per ricordare un'epoca sonora che a molti mancherà sicuramente. (Bob Stoner)

Warkings - Revolution

#PER CHI AMA: Power Metal
Il terzo album pubblicato dal supergruppo elvetico composto da The Viking, The Spartan, The Crusade, The Tribune e da una, aperte le virgolette, sacerdotessa, chiuse le virgolette, che prende il nome di Morgana e che molti (tra cui l'autore di codeste righe) vedrebbero bene in Mad Heidi con addosso la medesima tutina color groviera indossata da Paolino Accola in occasione dei campionati del mondo del novantadue, l'album, si diceva, coniuga con cronometrica abilità il poderoso rigore teutonico nei confronti dell'assenza di originalità a una spiccata propensione per quella specifica forma di sciatto macchiettismo involontario che prende il nome di "cinesata". A partire dai costumi di scena stile tutto-a-un-euro per proseguire con il package dell'album, i titoli, i testi e il trito power espresso un po' ovunque qui come sugli altri due dischi e, parliamoci chiaro, sul novantanove percento della roba power metal che si sente in giro. Si discostano, timidamente, i singulti groove di "Spartacus", il finto-gregoriano di "Deus Io Vult" trafugato dal primo album degli Enigma, le blandizie melodic della conclusiva "When Dreams Die", quelle dark-schlager di "Sparta pt. 2" e, di tanto in tanto, una ridicola indulgenza sul wah-wah di "We Are the Fire", soprattutto. Poi c'è "Fight!". La canzone che ha portato qui voi tutti. L'ineffabile cover, in stile power metal lealista, di "Bella Ciao". Che i vostri amici emiliani, a ragione, non esitano a definire "una delle cose più grame che abbia mai sentito", ma che a voi, si dica piano, non dispiace affatto. (Alberto Calorosi)

lunedì 11 novembre 2024

Obscura Qalma - Veils of Transcendence

#PER CHI AMA: Symph Black
Un pacco espresso è in arrivo direttamente da Venezia, con l'EP degli Obscura Qalma, intitolato 'Veils of Transcendence'. Un bell'esempio, seppur assai breve, di black sinfonico, che mi ha evocato, sin dall'iniziale "Ophidian’s Enthronement", i greci Septicflesh, sia per orchestrazioni bombastiche che per un'attitudine atta a emulsionare quest'ultime con il black e il death. Ne viene fuori un lavoro intrigante, sicuramente ben suonato, con ottime (growling) vocals, la cui pecca alla fine, potrebbe essere ascrivibile di suonare un filo derivativa. Nonostante ciò, i quattro pezzi qui contenuti, scorrono che è un piacere, tra le scorribande dell'opener, con quella sua esponenziale crescita in termini di pathos, che ci porterà fino alla fine e la più devastante "The Divine Malice Conflagration". Quest'ultima, pur mantenendo intatta la componente orchestrale, che azzarda in più di un'occasione di palesare reminiscenze di Dimmu Borgir(iana) memoria, sciorina un assolo conclusivo da urlo, di chiara matrice heavy classica, che ne arricchisce ulteriormente la qualità. La componente sinfonica si fa ancor più forte in "Enochian Abyss", song intessuta di estremismi sonori frastagliati sempre accattivanti e di una componente solistica a dir poco ribollente. A chiudere ci pensa "Hexed Katharsis", forse il pezzo meno convincente del dischetto, complice un registro chitarristico che richiama, in taluni frangenti, i classici "tonfi" ritimici del deathcore orchestrale, ma che al sottoscritto piaccono comunque un botto. Dimenticavo, la seconda pecca del lavoro sarà alla fine la sua durata troppo striminzita, troppo poco per farsi sedurre appieno da queste sonorità. (Francesco Scarci)

martedì 5 novembre 2024

Sordide - Ainsi Finit Le Jour

#PER CHI AMA: Black/Hardcore
Non sono un fan dei Sordide, il loro black hardcore caotico non risuona nelle mie corde, sebbene la loro musicalità sghemba possa richiamare i Deathspell Omega, band a cui sono particolarmente legato. Avevo già recensito il loro precedente 'Les Idées Blanches', sottolineando come la proposta del terzetto originario della Normandia, fosse disarmonica nel suo caustico incedere. Ascoltando poi l'incipit di questo loro quinto lavoro, 'Ainsi Finit Le Jour', non posso che confermare quelle mie parole. I tre musicisti transalpini non fanno altro che minacciare i nostri padiglioni auricolari, sin dall'iniziale "Des Feux Plus Forts" fino alla conclusiva "Tout Est à la Mort", attraverso un complicatissimo viaggio di oltre 53 minuti, in cui la band continuerà a prenderci a scudisciate in faccia, con un sound tiratissimo, feroce, e che alla melodia lascia uno spazio davvero risicatissimo. E quindi, quei 53 minuti appaiono come una montagna insormontabile, un infinito viaggio nelle insane menti di questi loschi figuri, cosi caustici nella loro personale visione musicale. Le chitarre sono abrasive al pari della carta vetrata utilizzata sulla carrozzeria della vostra preziosa automobile, al pari poi delle aspre vocals che contraddistinguono l'intero disco. Nella lunga e velenosa "Nos Cendres et Nos Râles", i nostri provano a rallentare un attimo il ritmo sferzante a cui ci avevano abituato, ma dopo poco, ripartono con una ritmica ipnotica, sferragliante, che entra nel cervello e lo deturpa dall'interno come il peggiore dei virus. L'ensemble prova a cambiare canovaccio nella successiva "Le Cambouis et le Carmin", un lacerante pezzo mid-tempo in bilico tra sludge e black, che tuttavia continua a non emozionarmi, forse per l'eccessiva glacialità di fondo che la musica di questa band riesce a malapena ad emanare. Non trovo emozione, non trovo gioia, non trovo tristezza, ma solo un grande freddo perpetrato da atmosfere oscure, rarefatte e malate ("Sous Vivre") o ancora da vorticosi ritmi post black ("La Poésie du Caniveau") che tuttavia finiscono per non soddisfare il mio palato. Se proprio devo identificare un paio di brani che ho particolarmente apprezzato, direi "Banlieues Rouges", la canzone più breve del lotto, quella che arriva subito al dunque nella sua essenzialità e immediatezza e di contro, "La Beauté du Désastre", invece tra le più lunghe, forse complice il fatto di avere un lungo break centrale, in cui la bestialità della band viene tamponata da sperimentalismi sonori e canori, che esaltano le qualità del trio di Rouen. Discorso analogo infine, per la conclusiva "Tout Est À La Mort", che vede i nostri infilarsi in territori sludgy più compassati e meditabondi, consentondoci quindi di assaporare una musicalità più emozionale e meno impulsiva. Alla fine, 'Ainsi Finit Le Jour' si rivela un album davvero ostico da affrontare, consigliato esclusivamente a chi mastica questo genere di sonorità; gli altri si tengano rigorosamente alla larga. (Francesco Scarci)

The The - Ensoulment

#PER CHI AMA: New Wave/Rock
Liriche abbaglianti eppure notturne, scorticanti eppure fumose, plasmate in prossimale controcampo rispetto al naturalismo magico di William Blake, evocato, auspicato e condiviso da MJ ben prima della pubblicazione di "Some Days I Drink My Coffee by the Grave of William Blake", primo eccellente singolo dell'album. Elementari, primitive (uh, persino troppo: quello della "Casablanca Whore", Kissing the Ring of Potus" è un calembour, diciamo, obsoleto, a essere gentile). Niente più emozioni (certificato dalle liriche "Adds an alias for anonymity / A postcode for proximity" da "Zen and the Art of Dating"), soppiantate dall'IA ("I Hope You Remember (the Things I Can't Forget)") e dall'ingordigia degli umani ("Risin' Above the Need"); un nichilismo matrixiano ("Everything you thought you knew is wrong / … / Truth stands on the gallows / Liеs sit on the throne" - "Cognitive Dissident" e ancora "...Everything is not what it seems" da "Life After Life") sfiduciato dalla politica ("This greedy, unpleasant land wraps itself in a flag" ancora da "Some Days I Drink My Coffee by the Grave of William Blake") e dalla tecnologia ("Linoleum Smooth to the Stockinged Foot") che conduce a una dolente e a tratti forse scaramantica riflessione sull'inutilità dell'essere ("Where do we go when we die? / The sun may fall but the moon will rise" da "Where Do We Go When We Die?"). Suoni sinuosi e notturni, meravigliosamente escogitati e meticolosamente prodotti (dimenticate 'Nakedself' e recuperate il magnifico 'Dusk'). C'è il Leonard Cohen di 'First We Take Manhattan' in "Cognitive Dissident", il pathos compresso ("Linoleum Smooth to the Stockinged Foot") o spettrale ("Down by the Frozen River") di certe recenti sperimentazioni cinematografiche, la ballata-Johnsoniana-fino-al-midollo ("Where Do We Go When We Die?), un smaccato inchino agli Animals aromaticamente Hanky-pankettaro (di nuovo "Some Days..." da confrontare con "House of the Rising Sun") e, sì, una manciata di acronici ritornelli new romantic ("Kissing the Ring of Potus"). Grande album, difetti compresi. (Alberto Calorosi)

(Ear Music - 2024)
Voto: 78

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