venerdì 10 ottobre 2025

Dor - The Dream In Which I Die

#PER CHI AMA: Dark/Folk/Psych
E questi Dor da dove saltano fuori? Dal flyer informativo in mio possesso, leggo che si tratta di un quartetto italico, nato in realtà come one-man-band nel 2019, che torna sulla scena con questo 'The Dream In Which I Die', a distanza di un paio d'anni dal full length d'esordio, intitolato 'In Circle'. Questa seconda loro fatica, al pari del predecessore, è ispirata alla letteratura, più specificatamente alla rilettura di Giorgio Manganelli al 'Pinocchio' del Collodi, e sembrerebbe far ripartire la band là dove aveva lasciato, ossia da uno psichedelico e occulto dark rock, tuttavia esplorando qui sentieri musicali leggermente differenti. Guardando la cover dell'album, è inevitabile che il primo pensiero vada a 'In the Court of the Crimson King' dei King Crimson, ma musicalmente parlando, non trovo ci siano cosi tanti punti in comune con la famosa band progressive britannica. Le dodici tracce incluse si muovono infatti dagli umori dissonanti dell'opener "Silence", un pezzo non certo semplice da digerire tra spoken words, litaniche e sghembe linee ritmiche che in taluni frangenti mi hanno fatto pensare anche a derive noise (forse la reale novità tra l'esordio dei nostri e questa seconda fatica). Un delicato arpeggio apre e guida "Mangiafuoco", attraverso vicoli bui che sembrano quasi proiettarmi nella narrazione dell'oscura e losca figura del burattinaio collodiano. Un riffone imponente, altra novità rispetto a 'In Circle', apre la successiva "Rigmarole", una song sinistra, poco lineare, a tratti malata, e che nelle sue distorsioni ritmiche, mi ha evocato certe cose dei Black Heart Procession. Apprezzabili i tocchi di piano nella seconda metà del brano che provano a contrapporsi a un clima che si fa ben più cupo e morboso nel finale. "When My Life Was Ebbing Away" ha un incipit tiepido al pari delle sue vocals, timide in sottofondo, a richiamare il dark folk statunitense. Saranno nuovamente le sonorità oblique delle chitarre a prendere il sopravvento nel corso del brano, quasi a indicare la nuova via intrapresa dal combo abruzzese. Avendo ascoltato anche il precedente album, posso immaginare che chi aveva apprezzato quel disco, magari si troverà maggiormente in difficoltà qui, dove in certi frangenti, si viene investiti da roboanti approcci ritmici. Non è certo il caso della sognante "Time Machine", in linea con le sonorità intime e minimali del debutto. Tralasciando il superfluo intermezzo di "Gazing", ascoltatevi semmai le divagazioni math/jazz di "The Light Keeper", per scoprire le nuove avanguardistiche e intellettualoidi trovate della band italica, che ama sicuramente sperimentare, catalizzando con molteplici trovate (e l'utilizzo di svariati strumenti) l'attenzione di chi ascolta. Lo facevano più timidamente nel primo lavoro, affidandosi ad atmosfere sognanti atte quasi a cullare l'ascoltatore, lo fanno in modo più diretto e "shockante" in questa release, quasi a voler sottolineare una progressione stilistica rispetto agli esordi. Forti poi di una produzione cristallina che enfatizza ogni singolo strumento (spettacolari a tal proposito le percussioni iniziali di "Icona", che mi deflagrano in cuffia), i Dor cavalcano l'onda del post rock cinematico nel finale di "Rest", affidandosi invece a deviate suggestioni dark folk nella conclusiva "Nobody Knows". Alla fine, per il sottoscritto che ha ascoltato prima il qui presente disco rispetto al debut, sembra evidente il passo in avanti stilistico, soprattutto alla luce di una maggior varietà dei suoni, dopo le eccessivamente blande melodie degli esordi, che forse non mi avrebbero entusiasmato più di tanto. (Francesco Scarci)

(Dischi Bervisti - 2025)
Voto: 75

giovedì 9 ottobre 2025

Mysthicon - Bieśń

#PER CHI AMA: Black/Death
Dieci anni di vita e due soli album (e un EP) all'attivo per questo quintetto polacco, nato dalla collaborazione di alcuni membri (ed ex) di Lux Occulta, Vader, Hate, Batushka e Karpathian Relict, per una band quindi, con un certo pedigree alle spalle. 'Bieśń' si configura quindi come un lavoro solido e sicuramente votato a sonorità estreme, visti gli interpreti coinvolti. Lo si evince immediatamente dall'esplosività di "Shapes", la traccia che apre il disco in modo piuttosto deciso, evocando però sin dai primi passaggi, echi dei primi Rotting Christ, a livello vocale, e dei Samael a livello atmosferico, anche se in certe rasoiate di chitarra, mi è venuto in mente addirittura 'Skydancer' dei Dark Tranquillity. Insomma, avrete già intuito che all'interno dei sei pezzi di 'Bieśń', tra cui una cover dei Lux Occulta ("Creation"), troviamo tutto quello che l'armamentario estremo ha da offrire: black, death, partiture atmosferiche e anche un pizzico di doom. Sebbene la produzione di 'Bieśń' sia un esempio di equilibrio tra crudezza e modernità, gli arrangiamenti sono stratificati e dinamici, con un uso prominente di chitarre che dominano attraverso riffs distorti ma sempre melodici, ben supportati da una batteria che varia da ritmi mid-tempo a blast beat sporadici, creando un contrasto tra aggressività e atmosfera. Il basso fa il suo, fornendo un fondale solido e pulsante, ma anche aprendo timidamente una song come "Unbearable Silence", in cui si assiste anche a un dicotomico utilizzo delle voci, pulite e strazianti (e in taluni casi anche growl). Lo screaming si palesa comunque con un timbro in grado di emanare un senso di disperazione viscerale, in una traccia che si muove in bilico tra sfuriate black e rallentamenti più ragionati, senza mai per forza rinunciare alla melodia. Tra i brani chiave citerei anche "We Are The Worms", un inno alla putrefazione, che si srotola con un rifferama groovy che marcia oppressivo, creando un contrasto tra il doom e un bridge black che accelera il tempo, e per finire, vocals piuttosto convincenti, soprattutto nella loro conformazione più graffiante. Buona e non esagerata la componente tastieristica che va a bilanciare le scorribande black in cui si lanciano i nostri, evocando, per certi versi, anche un che dei Lux Occulta, laddove emergono blande influenze dalle tinte sinfoniche. Certo, i Lux Occulta erano a mio avviso - ma io sono un loro grande fan - una spanna sopra nel creare possenti sinfonie, ma il tentativo di inseguire certi sperimentalismi, si confermano vincenti. Se da un lato ho trovato "Na Naszej Krwi" più trascurabile per la sua sterile e fine a se stessa veemenza, è invece su "The Storyteller" che mi soffermerei maggiormente. Qui è più evidente la ricerca di conferire maggior melodia e nel creare ambientazioni sinistre e orrorifiche, senza tuttavia strafare in termini di velocità ingaggiate, ma concentrandosi piuttosto su una narrazione oscura, coadiuvata da interessanti giri di basso e aperture atmosferiche. Chiudere con "Creation" dei Lux Occulta, estratta dal debut 'The Forgotten Arts', poteva portare i suoi rischi, invece il brano viene reinterpretato alla grande, con un approccio più pesante rispetto all'originale, godendo peraltro di una produzione mille volte migliore, e un esito finale, davvero positivo. Insomma, se siete amanti degli estremismi sonori black/death spruzzati di una buona dose di melodia, il nuovo disco dei Mysthicon, potrebbe fare al caso vostro. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 72

Nihili Locus - Semper

#PER CHI AMA: Black/Doom
Prima di recensire 'Semper', ho voluto riascoltare '...Ad Nihilum Recidunt Omnia', EP di debutto della band piemontese, per capire cosa mi fece scattare l'amore per questa band e se il nuovo lavoro, potesse ripristinare quell'interesse che era andato perduto con il precedente 'Mors'. Ebbene, una capacità emozionale non indifferente, una forte componente melodica e l'utilizzo delle voci femminili, resero quel breve dischetto una pietra miliare del black/death/doom italico. Ora, eccoci alla resa dei conti, a quasi 30 anni da quel lavoro, con una band che vede riproposta per 4/6, la sua formazione originale. 'Semper' esce per la My Kingdom Music e sembra già dal suo incipit, "Lugubri Lai", abbandonarsi ad atmosfere desolate, toni cupi e malinconici, che vogliono realmente restituirmi quei suoni che tanto avevo apprezzato a metà anni '90. È in effetti un tuffo nel passato il mio, quello che mi catapulta in un periodo che vide affacciarsi altre realtà del calibro di Cultus Sanguine, Necromass, Sadist, Novembre, Opera IX, per una scena che non ha mai dovuto invidiare altre nazioni. E cosi i Nihili Locus sono ritornati dopo un silenzio durato altri 15 anni (fatto salvo per un paio di compilation) con il loro black doom decadente, drammatico e decisamente oscuro, che farà la gioia di chi come me, è cresciuto e si è formato con queste sonorità. Certo, il primo commento che mi verrebbe da fare, è che io nel frattempo mi sono evoluto nei miei ascolti e nel mio essere esigente in fatto di musica estrema, mentre i Nihili Locus, appaiono ancorati a un sound vetusto, che necessiterebbe di un tocco più moderno. Ma non siamo di fronte a una realtà mainstream e quindi, ci sta che la band abbia mantenuto inalterata quelle peculiarità che li avevano contraddistinti a suo tempo. Durante l'ascolto del cd, ritrovo alcuni elementi del passato nelle note anguste di "Pensieri Nebulosi", song che ci avvolge con il suo plumbeo presagio di morte, forte anche dell'utilizzo della lingua italiana nei testi, che aumenta in un qualche modo la sinistra atmosfera che sprigiona il brano, al pari con l'utilizzo di inquietanti tocchi di tastiera. Il pezzo è buono, non una spada, ma il suo giro di chitarra sicuramente mostra un certo fascino. Lo stesso che emana la successiva "(Grida) La Notte Eterna", dove le liriche sono riconoscibilissime e la song si caratterizza per un incedere cadenzato e solenne, cesellato poi da melodici giri di chitarra che accompagnano una voce sgraziata ma incisiva, in un'atmosfera surreale che si farà man mano più oscura e angosciante. "Incolore Aberrazione" palesa nuovamente il binomio vincente tra la melodia della chitarra e la straziante componente vocale, in un pezzo un po' più complesso e meno lineare da digerire. In chiusura, "Il Tuo Sangue per i Miei Maiali" si presenta malvagia più che mai, una traccia che avrei visto bene in un film come The Blair Witch Project, ma che da metà in poi, rivela un'attitudine accomunabile ai primi lavori della band di Nichelino, quella che mi fece innamorare di questa band che a distanza di oltre 30 anni dalla sua formazione, rimane ancora ben radicata nell'underground italico. 'Semper' alla fine è un gradito ritorno, utile per saggiare lo stato di forma dei Nihili Locus, dopo tante interruzioni nella loro storia. Tuttavia, a mio avviso, il sound della band necessita ancora di un lavoro di sgrezzamento, indispensabile per poter stare al pari dell'infinità di band che oggi popola il mondo estremo. (Francesco Scarci)

(My Kingdom Music - 2025)
Voto: 70

martedì 7 ottobre 2025

Les Bâtards du Roi - Les Chemins de l'Exil

#PER CHI AMA: Medieval Black
Da Orléans, ecco i Les Bâtards du Roi (LBdR), che ritornano, a un anno di distanza dal precedente omonimo disco di debutto, con questo 'Les Chemins de l'Exil'. Un ritorno gradito quello del trio transalpino, da sempre concentrato a narrare eventi storici dell'epoca medievale, attraverso l'irruenza del black metal. E i nove pezzi qui contenuti proseguono infatti il percorso intrapreso lo scorso anno, proponendo un black melodico che riprende un po' le linee guida della Les Acteurs de l'Ombre Productions, sempre attenta nella produzione di band allineate al loro "credo". Abbiamo recensito i Darkenhöld a giugno e mi verrebbe da dire che i LBdR sembrano seguire il medesimo filone, forse con un briciolo di melodia in più e anche con un pizzico di freschezza in più, cosa che si era invece persa nelle ultime release della band nizzarda. E cosi il disco si apre con i soffici tocchi di "La Forêt" che lasceranno ben presto a un riffing potente e a seguire, a una parte ben più atmosferica, in cui il vocalist Regicide lascia andare il proprio screaming. Ma che l'approccio dei nostri verso gli aspetti melodici sia palese, si evince anche dalle linee di chitarra della seconda "L'Âme Sans Repos", un pezzo che nonostante un esplosivo incipit, si assesta successivamente su un mid-tempo ragionato, sorretto da una chitarra in tremolo picking e da un drumming davvero incisivo, che a tratti sfora nel post black. È tuttavia nella terza "Vers l'Étoile Solitaire" che ravviso una maggior voglia di sperimentare: forse in quel cantato pulito in lingua madre che apre il brano o ancora, nelle ottime linee melodiche e nel break semi-acustico nella seconda metà, seguito da bridge/assolo che contribuiscono a confezionare quello che sarà poi il mio brano preferito del lotto. Apprezzabile anche "Le Chevalier au Corbeau", che non sembra aver niente a che fare col black, almeno nel suo incipit: poi spazio a una bella cavalcata, voci che si alternano tra pulito e scream, momenti a tratti ruffiani, che contribuiscono comunque a rendere più accessibile la proposta dei nostri. E ulteriori conferme arrivano dalle aperture delle successive "Ord Vil Merdos " e "Le Val Dormant", quest'ultima addirittura melliflua nei suoi primi 90 secondi. E alla fine, questi si riveleranno tutti i punti di forza per i LBdR, per prendere le distanze da Darkenhöld e soci e da un approccio oramai troppo intransigente. Non siamo ancora su livelli eccelsi, ma la strada intrapresa, mi sembra quella corretta. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2025)
Voto: 73

lunedì 6 ottobre 2025

Sunken - Lykke

#FOR FANS OF: Atmospheric Black Metal
I discovered Sunken back in 2013 when they were still using their old name, Arescet. That name didn’t last long, as the members decided to change it to the current name. Shortly before the change, they released their debut demo entitled 'The Cracking of Embers,' which was a phenomenal first effort, showing the great potential of this band. I was particularly mesmerized by the title track, which contained many of the strong points that make atmospheric black metal a captivating genre.

After the name change and the re-release of the debut demo under the new moniker, Sunken has released two excellent full-length albums that have confirmed the potential glimpsed in that demo. The band has taken more time than usual for its new creation, and after five years, the new opus entitled 'Lykke' is here, with a physical release courtesy of the always reliable Eisenwald. The album follows the pattern of previous works but shows more detailed and mature compositions. Sunken plays very intense atmospheric black metal where a fast pace is very dominant, although this does not mean that the pace is monotonous, as ups and downs are also found in the songs. The album contains four long compositions where intensity is always powerful. Martin’s vocals always deliver passionate high-pitched screams that perfectly fit with the music, while the guitars have the trademark tremolo picking that sounds dope. If black metal has something special, it is that the rage you feel comes from the very depths of the musicians. Those agonizing screams, that inherent melancholy and rage, are what drive the music, regardless of the intensity and pace. A song like "Og Det Er Lykke" is a perfect example of this storm of emotions that can be felt, both in the classic fast-paced and powerful sections, but also in the calm yet emotionally intense parts.

"Glaedesfaerd" is a track where the great use of contrast achieves an excellent result. The pace changes dramatically, and the guitar lines are excellent, combining sharp riffs with more melancholy and acoustic chords, resulting in an impassioned combination of sensations. Sunken makes music that touches the listener, and I honestly think they achieve what they seek. At first glance, a shallow listening might make you think that Sunken creates songs of relentless pace and fury. Nevertheless, beyond the surface, there is much more: slower sections very rightfully placed, excellently crafted guitar lines, and an intense atmospheric feeling that envelops the entire composition.

'Lykke' is undoubtedly a top-notch album that demonstrates why atmospheric black metal can be a rightfully captivating genre. All the instruments, including the vocals, are tastefully combined to create an intensely overwhelming atmosphere that immerses the listener in a maelstrom of powerful sensations. (Alain González Artola)

(Eisenwald - 2025)
Score: 90

Visina - Ixia Vilenu

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
 #PER CHI AMA: Black/Gothic
Questo ennesimo progetto della Mediterranean Scene vede coinvolti: Diana alla voce, Lord Timpesta alla chitarra e l’immancabile Agghiastru (qui col alias Astru) alla chitarra, al synth e alla voce. Il demo è composto da quattro pezzi di buon gothic/black metal. Le idee sono tante e buone, le parti più lente ed atmosferiche sono ben bilanciate con le parti più veloci e pesanti, i brani sono ben sviluppati, ben sostenuti e resi più fascinosi da delle belle parti ritmiche elettroniche. L’unica nota negativa riguarda Diana: la sua voce non è ben svilluppata, è troppo approssimata, e purtroppo non si rivela all’altezza della situazione. Come sempre positiva la voce growl cavernosa di Agghiastru.

(Inch productions - 2001)
Voto: 65

Demonologists - Rakshasa

#PER CHI AMA: Noise/Experimental
Il nuovo album della band statunitense non lascia prigionieri o superstiti sul campo, proponendo un disco esasperato nei suoi contenuti, violento e drammatico. La band dell'Indiana si presenta come blakened noise/horror electronics music e niente o nessuno gli potrebbe dar torto su questa definizione musicale. Qui infatti, si parla ampiamente di violenza, oscurità e rumore nero, unendo ambient, rumoristica ed elettronica con parti vocali distorte, e disagiati recitati, più vicini ad un film dell'orrore che ad una forma canzone vera e propria. Tante le comparse e gli ospiti sparsi tra i brani, anche perchè le collaborazioni con altre band e artisti sono all'ordine del giorno per i Demonologists. Questa collana di 10 brani è ben fatta e molto variegata, la sua forma è molto curata, e non perde mai d'intensità né della sua atmosfera da brividi, anche quando vengono usate voci con l'effettistica tipica del post black/grindcore più estremo e inaccessibile, che a mio avviso, rischiano un po' di omologarsi troppo al già sentito, e frenare quel sano sentore di avanguardia presente in tutte le note del disco. Meglio l'impatto di brani più moderati come "Rakshama", o "Nebulæic Phantasm as Eloquently Dreamt by the Abominable Primordial Ooze", adorabile traccia ambient in salsa cinematografica, dai tratti violenti ma più oscuri e cinematici, il rumore cupo di "Autophagy" o l'incalzare ritmico di "Wet Wings", che porta in sè un finale memorabile di grande gusto e sensibilità. Il disco è assai ostico e vuole esserlo ad ogni costo, duro e difficile da assimilare, carico di composizioni anti melodiche, intriganti ed estreme, divise tra elettronica sperimentale, ambient oscuro e perverso industrial/crust punk cibernetico. "Samskara" non aggiunge nulla di nuovo al genere, ma i suoni che contiene sono veramente ricercati e iper realistici per chi li sa apprezzare. L'album è in perfetta linea con lo stile della Aesthetic Death, Liquid Death Records e Phage Tapes, che l'hanno lanciato e lo supportano, essendo estremamente proiettato in questo tipo di sonorità di noise estremo. Una band singolare che porta avanti un disegno musicale di confine molto curato e ricercato, ovviamente di nicchia ma decisamente interessante. Un disco che vale la pena ascoltare, un nuovo stimolante capitolo di rumore introspettivo ed oscuro che va a sommarsi alla lunga discografia di questo progetto a stelle e strisce virate al nero, in particolare lo split album Demonologists/Dodssang Tempel, che oltre al nuovo lavoro non può mancare tra i vostri ascolti più bui. (Bob Stoner)

(Aesthetic Death/Liquid Death Records/Phage Tapes - 2025)
Voto: 75

lunedì 29 settembre 2025

Mylingen - Svartsyn

#PER CHI AMA: Black/Doom
Un altro gruppo fuoriesce dalle nebbie scandinave. Si tratta del duo svedese dei Mylingen, al loro terzo capitolo in discografia con questo nuovo EP, 'Svartsyn', dopo un full length e un altro EP, quello di debutto. E dalle fredde lande della Svezia che attendersi se non un black dalle tinte melodiche, forse anche legato alla militanza di Viktor Jonas negli Apathy Noir. Il risultato che ne viene fuori è comunque assai confortante tra scudisciate black, arpeggi folk e partiture doom, che mi hanno portato a pensare ai nostri come la risposta europea agli Agalloch sin dalla title track che apre il dischetto. Fatto sta che la band mi seduce sin dal primo ascolto con la propria furia black controllata, che si palesa attraverso riff acuminati, i classici tremolo picking ad amplificare la componente melodica, break acustici (presenti un po' ovunque lungo tutto il lavoro), eterei passaggi tastieristici e uno screaming lacerante, che sa il fatto suo, a completare un lavoro che sembrerebbe già avere connotati di maturità di un certo tipo. "Hatets Avgrund" parte a mille per rallentare quasi immediatamente; ma è la parte centrale a colpirmi per le sue affascinanti melodie ancestrali, figlie probabilmente di un retaggio folklorico che ben va a braccetto con l'intermezzo acustico che segue e amplifica la portata emotiva del brano. La chiusura è affidata all'intensità alchemica di "Månens Kraft", un brano di oltre nove minuti, in cui ci ho sentito un che di viking nelle note iniziali, prima che cedessero il posto a chitarra acustica e keys in un suggestivo intermezzo malinconico, per poi lasciarsi sopraffare dall'asprezza delle chitarre che vanno a chiudere veementemente, ma anche con una certa eleganza, una release sicuramente intensa, tagliente, epica, e a cui concedere senza esitazione una chance d'ascolto. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 75

Napalmed - Never Mind the MSBR, Here's the Napalmed + Misch Masch Miksasch

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
 
#PER CHI AMA: Electro Noise/Drone
band, attiva sin dal 1994, si è sempre dedicata alla sperimentazione e alla manipolazione sonora muovendosi tra noise, power electronics, industrial e compagnia bella. Con all’attivo centinaia di live show e numerose produzioni pubblicate su split tape, split 7”, compilation etc, avevano (ai tempi di quest'uscita) come uscita più importante lo split cd con Merzbow intitolato 'Crash of theTitans'. Ma iniziamo a dare un ascolto a questa folle release: immaginate un'enorme macchina da guerra simile a quella della copertina di 'Rrröööaaarrr' dei Voivod, e pensate di starci dentro con l’obiettivo di distruggere tutto ciò che vi circonda e di non lasciare intatto nemmeno un mattone. Queste sono pure le immagini che evoca l’harsh industrial di 'Never Mind...', una release di soli due pezzi ma della durata di oltre settanta minuti di sperimentazioni noise. Non potrete non divertirvi (e lasciarvi scappare un ghigno di soddisfazione) ascoltando questo potente lavoro che comunque rimane sempre sintonizzato su frequenze pacate ed ovattate come se appunto steste sentendo, dall’interno del vostro cingolato, il fragore della distruzione che state provocando. Indossate quindi la mimetica, gli anfibi e delle buone cuffie e all’attacco! Il secondo 'Misch Masch Mikesasch' è un lavoro composto da quattro brani di varia natura, forse più isolazionista. Il primo brano ("Slatemic Sounds") è composto da lievi suoni percussivi metallici effettati e campionamenti che possono dare l’idea di una costruzione in bilico che potrebbe improvvisamente crollare. "No Name" è un ensemble di suoni di microdistruzioni su un sottofondo noise. "Roomfullscapes" è un impasto dronico creato con feedback e modulazioni varie. E a chiudere il delirio, "Hey Saroy, Show me Your Guts!" è pura power electronics sanguinosa.

(Self - 2002/2001)
Voto: 70

Wurmian - Immemorial Shrine

#PER CHI AMA: Death/Doom
I Wurmian sono una one-man-band francese guidata da Antoine Scholtès, il classico polistrumentista che un bel giorno (era il 2024) si è svegliato e ha deciso di mettere su una band, anche se l'artista di Clermont Ferrand, ha in realtà altri due progetti, i Lyrside (che suonano melo death) e gli Inherits the Void (dediti a un interessante black atmosferico). Nei Wurmian, Antoine, ha invece pensato di muoversi tra le pieghe di un death melodico vecchio stampo sporcato da derive doom, con 'Immemorial Shrine' a ergersi come debutto assoluto. Un disco di sette pezzi che si apre con le melodie di scuola Amorphis di "Aeon Afterglows". È palese sin dal primo secondo che non ci troviamo però di fronte alla classe dei gods finlandesi, e che il progetto è ancora in fase embrionale e merita qualche aggiustamente per trovare la sua più giusta configurazione. Però la melodia delle chitarre ha sicuramente una certa vena catchy che in un qualche modo cattura l'ascoltatore, soprattutto nella parte più atmosferica di metà brano, senza tuttavia rinunciare a una certa ruvidezza negli arrangiamenti o in alcune frequenti sfuriate ritmiche. Anche l'incipit della title track mostra forti reminiscenze verso i finlandesi e sicuramente questo sembra rappresentare il punto di forza dei Wurmian. Da rivedere invece forse la sezione ritmica, che ha un'intelaiatura dal piglio decisamente furibondo e old school, che forse tende a far perdere il focus sul sound proposto. Decisamente meglio laddove il musicista francese rallenta, rasentando territori doom alla October Tide, prestando più attenzione alla cura dei dettagli, come accade negli ultimi 90 secondi della stessa traccia. In stile Katatonia invece la terza "Haven", in cui è più evidente la ricerca di freschezza nelle linee melodiche e nel break di tastiera attorno al secondo minuto, con un giro di chitarra in sottofondo ancora a evocare i master svedesi, al pari di altre intersezioni di melodia verso il terzo e quarto minuto, quasi a voler dare modo di riprenderci prima della battaglia pronta a incombere. La voce si conferma qui, ma in generale ovunque, assai roca, un growling robusto, e forse troppo ancorato agli anni '90, su cui farei magari qualche aggiustamento. "Spires of Sorrow" si muove sulla falsariga, iniziando più roboante per poi assestarsi su un mid-tempo, per poi assestare qualche scheggia di death nudo e crudo qua e là, evocante gli At the Gates e gli Entombed. Il lavoro dei Wurmian prosegue poi sostanzialmente seguendo un canovaccio piuttosto simile, mettendosi in mostra nelle parti più atmosferiche di "Yearning Unseen", nel break centrale di "Sleeping Giants", che mi ha portato alla mente gli albori death/doom dei The Gathering (quelli senza Annecke), al pari della conclusiva e sempre (fin troppo) coerente "The Everflowing Stream", per quello che definirei il più classico dei tuffi nel passato, per una sorta di riaffermazione di suoni che mancavano tra i miei ascolti da un bel po' di tempo. (Francesco Scarci)

(Pest Records - 2025)
Voto: 68

The Pit Tips

Francesco Scarci

Amorphis - Borderland
Paradise Lost - Ascension
Anfauglir - Akallabêth

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Alain González Artola

Bloodywood - Nu Delhi
Sepulchre - Psalms Unto Caesar
Slaugther to Prevail - Grizzly

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Death8699

Cradle of Filth - Dusk...and Her Embrace
Falconer - Falconer
Grave - Fiendish Regression

3 - Antichristian Kaos

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Raw Black/Industrial
Già fidato collaboratore di Agghiastru, Kaos si presenta come l'unico artefice di questo entusiasmante progetto di black metal industriale. Non c’è il minimo calo d’intensita nei tre brani che compongono il demo, che nella versione su bandcamp in realtà, include tre bonus track addizionali (incluse nello split 'Mediterranean Scene Bonus Blood' con "Malamore" e il suo incipit di "dimmu borgiriana" memoria a palesare un sound decisamente più pulito e maturo): la chitarra si muove tra riff spezzati, altri relativamente melodici ed altri ancora più classici ma sempre coinvolgenti. Le parti di batteria, grazie ad una buona programmazione e a degli efficaci suoni industriali, sono costantemente presenti, ricche, pesanti, pazzescamente veloci, e dall’incessante ritmo distruttivo. Ci sono brevi parti di pura elettronica ("Infernal Sterminiu" è un esempio lampante); le tastiere sono sempre presenti e spesso con un ruolo primario nell’economia delle linee melodiche. La voce è uno screaming lancinante, effettato e malsano. Bisogno d’altro?

(Inch Productions - 2001/2014)
Voto: 70

giovedì 25 settembre 2025

Dark Solstice - Where Black Stars Beckon

#PER CHI AMA: Melo Death/Symph Black
Quello dei bavaresi Dark Solstice è un debutto assoluto, un EP che segna l'inizio di una nuova era per una band che vede comunque musicisti aver militato in precedenti formazioni, come Agathodaimon e Ristridi. 'Where Black Stars Beckon' contiene solo tre tracce, che forse non sono del tutto sufficienti per delineare la proposta di questa nuova entità teutonica. Il lavoro si posiziona infatti inizialmente sulla linea di galleggiamento di un melodeath, contaminato da influenze più moderne, dark/gothic grooveggianti. Un mix interesssante, che nell'iniziale "Pathways", mi obbliga piacevolmente a tenere l'orecchio sul pezzo: partenza in sordina, una buona dose di melodia, una ritmica compassata, un discreto growl, una cascata di riff, una certa varietà nei tempi, chorus puliti e qualche zampata di black melodico dal taglio scandinavo, che non guasta mai. E il gioco è fatto. Più classica e rocciosa invece la successiva "Open", che sfodera un riffing groove che marcia oppressivo e furente, mentre il cantato di Jonathan Rittirsch spinge al limite la propria ugola. Il brano sembra scivolare via senza fare una piega, tuttavia la ritmica va mutando verso sonorità quasi symph black, a ricordarmi da dove sono venuti gli Emperor a metà degli anni '90. Un cambio di rotta inaspettato rispetto al primo pezzo. E un nuovo cambio di rotta con la traccia finale, la title track, che si affida a una buona linea di tastiere per aprire le danze e lanciarsi poi in un cosmic black che per certi versi mi ha evocato i Mesarthim, fatto salvo per un growling sempre più orientato verso lidi death, e aancora giri di chitarra decisamente ricchi di groove (per non parlare di un assolo da urlo). Insomma, se il buongiorno si vede dal mattino, potremmo sentirne delle belle, quando a breve, mi aspetto di poter ascoltare un più strutturato full length dei Dark Solstice. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 70

Skyforger - Teikas

#PER CHI AMA: Pagan/Folk
Nel panorama del folk metal europeo, dove le tradizioni antiche si fondono con la furia del metal estremo, gli Skyforger rappresentano un pilastro indiscusso, una band che dal 1995 a oggi, ha portato con fierezza la voce della propria eredità culturale. 'Teikas" è il settimo album dell'ensemble lettone, che da sempre mescola pagan metal con elementi folk autentici, e ancora oggi mantiene un ruolo centrale nella scena, quasi come se fossero i custodi di un prezioso segreto. Il nuovo lavoro segna un gradito ritorno, dopo un preoccupante decennio di silenzio discografico. Il disco è influenzato dalle radici black metal dei primi lavori (e "Dieva Suss" già conferma questo spirito indomito) ma arricchito da un folk più maturo e narrativo, confermando i nostri come un punto di riferimento per chi cerca un metal che sia al tempo stesso brutale e culturalmente profondo, complici anche liriche che affrontano miti e leggende della tradizione lettone. Gli arrangiamenti poi sono stratificati e organici, con un uso di strumenti folk, mai invasivi, come cornamuse e flauti, che s'intrecciano a riff black/speed metal affilati e una batteria martellante, creando un contrasto tra aggressività e melodia epica. La voce di Pēteris Kvetkovskis al microfono alterna growl feroci a un cantato pulito. Per quanto riguarda i brani chiave, citerei "Spēlmanis", che palesa una certa vena speed metal, arricchita da lievi derive folkloriche. Ottima quella linea di basso potente che apre invece la più roboante "Spīgana", mentre "Mājas Kungs" si distingue per la sua tellurica intro, l'intensità epica, e un rifferama compassato che marcia, rutilante, alla stregua di un corteo funebre, e si muove tra porzioni atmosferiche quasi fiabesche, merito di un flauto che si guadagna la scena per la melodia che rilascia. Una chitarra poi ne raddoppia il suono per prenderne successivamente il posto e lanciarsi in un bell'assolo, elemento che di certo non scarseggia in questa release. E se l'incipit di "Rex Semigalliae" sembra uno dei vecchi pezzi acustici degli In Flames, di sicuro quando inizia a premere sull'acceleratore, fa capire come i nostri negli ultimi dieci anni, non si siano certo cullati sugli allori, ma accanto a quel sound che evoca anche i vecchi Annihilator e Skyclad, si divertono ancora a impreziosire il proprio sound con tutto l'armamentario folk in loro possesso e, ciliegina sulla torta, a piazzarci un altro fantastico assolo in chiusura. Le cornamusa aprono "Svētbirzs" e sembra quasi che la band ci voglia narrare qualcosa della storia del proprio paese, in un brano decisamente più controllato rispetto ai precedenti. E se "Velnakmens" lascia intravedere alcune reminiscenze di "Iron Maideniana" memoria nella linea delle chitarre, ecco che zampogne e zampognari, calano quegli elementi etnici per rendere il brano più peculiare. Il disco contiene 13 tracce e sarebbe delirante soffermarsi su tutte, cosi ecco che la conclusiva "Vecie Latvieši" chiude con un finale fatto di ancestrali melodie folk che chiudono un disco che brucia ancora come un fuoco antico. (Francesco Scarci)

(Thunderforge Records - 2025)
Voto: 74