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martedì 12 agosto 2025

Pale Blue Dot - (h)eart(h)

#PER CHI AMA: Psichedelia/Shoegaze
A volte basta guardare in un cerchio molto ristretto per trovare ottima musica, guardare appena fuori dalla porta di casa e trovare una band come i Pale Blue Dot, che con l'unione di musicisti dall'esperienza più che decennale, ci offrono un disco senza pieghe, lacune o cali di qualità. La band emiliana prende spunto per il nome, dalla definizione data dall'astronomo Carl Sagan, a una foto della Terra scattata dallo spazio, a qualche miliardo di km di distanza, e la musica si rivela subito in sintonia con il nome scelto, per il suo ampio spettro sonoro, che spazia dallo shoegaze, passando dalla psichedelia fino alla new wave. Il cantato è in inglese ma questo disco è uno degli album italiani che mi hanno più incuriosito dall'inizio dell'anno, anche se, in verità, l'artwork di copertina del disco non mi attirava granché all'inizio, a differenza delle più interessanti copertine dei singoli. Il motivo è semplice e s'intuisce fin dalle prime note: in questo disco sono presenti delle chitarre stupende, che contribuiscono a donare un lavoro magistrale ai loro suoni che evocano epoche lontane, che non tutti ricorderanno e che accomunano gli australiani The Church (magari quelli di 'Forget Yourself') al sound dei primi iper psichedelici Ride, senza plagi o forzature, con una grazia che li rende veramente credibili e con un'identità assai riconoscibile. All'apertura di '(h)eart(h)', mi sono ritrovato a pensare a "Constant in Opal" dei The Church, ma ero talmente assorto dall'ammaliante psichedelia, cristallina e spaziale dei primi due brani, tra cui l'ottimo singolo "For the Beauty of Miranda", che ho provato un intenso senso di nostalgia nel proseguo dell'ascolto. In effetti, da tempo non sentivo un disco con una magia sonora tale da farti perdere la connessione con il mondo esterno, quello che ti può accadere forse ascoltando 'Remote Luxury', proprio dei The Church. I suoni sono curati e la sezione ritmica è ben presente, il cantato è poco invadente, essenziale, minimale, orecchiabile, mai estroso, proprio come in dischi del calibro di 'Nowhere' dei Ride, rumorosi ma eleganti, d'atmosfera ma rock, quel rock che certa new wave prima e lo shoegaze poi, hanno reso unico e immortale, dando vita a un suono sofisticato e sognante per un insieme di brani che suonano alla perfezione. La band sa come fare e come ottenere quel tipo di sound, ed è il caso della meravigliosa e lisergica "Green Fairy Tale", che ci permette di navigare nel cosmo, molto vicini al Sole, senza passare per una band d'oltremanica o d'oltreoceano. I Pale Blue Dot, hanno nel loro DNA, i cromosomi della new wave, della psichedelia sonica e della neo psichedelia inglese di fine anni '80 (Loop e affini), quella ragionata e mirata, e la suonano in maniera egregia, mostrandoci ottime capacità anche nella lunga e vorticosa "Star Cloud", ipnotica e magnetica canzone di chiusura dell'album, dove cantato e chitarre si sovrappongono alla ricerca continua di uno spazio sempre più profondo da esplorare. Un album e una band con un sound maturo e internazionale, retrò quanto basta, ma attuale e molto appetibile per un pubblico musicalmente elevato, leggermente nostalgico verso certe sonorità ma tanto, tanto visionario. Splendido lavoro di cui ne consiglio fortemente l'ascolto! (Bob Stoner)