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venerdì 27 giugno 2025

Goatroach - Satanic Decay

#PER CHI AMA: Death/Sludge
'Satanic Decay' è stato rilasciato lo scorso 30 novembre dalla Sleeping Church Records nei formati digitale e vinile. A inizio giugno l'etichetta francese ha finalmente pubblicato una versione digipack per chi, come il sottoscritto, ama ancora i cd. La seconda release dei finlandesi Goatroach si presenta come una solida proposta di death/black metal con deviazioni sludge. Come si può immaginare, ci troviamo di fronte a un sound brutale che, in alcuni frangenti, tende a rallentare, scalando repentinamente le marce per farci sprofondare in apocalittici abissi votati all'occultismo che, il quintetto di Kuopio, sembra particolarmente apprezzare. Tutto questo emerge sin dalla seconda traccia, "Of Paperhats & Copied Sigils" (la prima è un'intro strumentale), che si muove in bilico tra black e death metal con alcune aperture verso oscuri meandri sludgy. Il tutto è sostenuto da una voce cavernosa che potrebbe richiamare band come gli Autopsy. La terza, "Cunting in Hell", aumenta i giri del motore con sonorità più affini allo Swedish sound dei primi Dismember e Grave: la batteria miete vittime con i suoi blast beats mentre le chitarre, accordate molto basse, dominano con caustici riffoni. Una linea ritmica completata poi da un basso viscerale che in "Unified in Ash", si fa ancora più catacombale e doomish, implacabile nel suo incedere claustrofobico. "For Legacy" non è da meno, con le sue ritmiche costantemente fangose (la stupenda linea di basso richiama chiaramente la scuola Black Sabbath dei tempi di 'Heaven & Hell'), evocando i primordiali vagiti dei Cathedral. "Horror Unending", quasi a voler parafrasare il proprio titolo, apre con fare orrorifico tra angoscianti vocalizzi (questa volta non in growl) e un'importante parentesi atmosferica che sembra prendere le distanze da un inizio non particolarmente brillante della band. Finalmente il sound, nei suoi anfratti più oscuri, si fa più intrigante anche quando le accelerazioni prendono il sopravvento, concludendosi con una coda quasi dronica. La title track continua a privilegiare quest'estetica angosciante che evoca, nel suo incedere funereo, una sorta di terrore cosmico. Questo è il lato che prediligo della band, come dimostra anche la successiva "Intoxicated by Necromancy" (il pezzo più lungo dell'album), dove le atmosfere decadenti e macabre riescono a generare emozioni vivide di natura "lovecraftiana", grazie soprattutto all'ottimo lavoro dei synth che ribaltano quell'esito negativo che ero pronto ad attribuire inizialmente al disco. Un disco che si chiude con "Chant of the Armageddon Hybrid", un outro che non avrebbe certo sfigurato in uno dei primi album dei Cradle of Filth, con in sottofondo addirittura il verso dello sfortunato caprone da sacrificare, su un breve tappeto orchestrale. Insomma, 'Satanic Decay', pur non aggiungendo chissà che cosa di rivoluzionario, si configura come il degno seguito di quel 'Plagueborn' che avevo recensito tempo addietro. (Francesco Scarci)

(Sleeping Church Records - 2024/2025)
Voto: 70

https://goatroach.bandcamp.com/album/satanic-decay

giovedì 26 giugno 2025

Valkenrag - Fury Untamed

#PER CHI AMA: Melo Death/Viking
Ci hanno impiegato ben sette anni per tornare in azione i polacchi Valkenrag, peraltro senza un significativo sforzo, essendo 'Fury Untamed' un EP di 18 minuti e poco più. Il quartetto di Łódź, nato inizialmente come un side project, ci regala cinque pezzi belli freschi, solidi, e intrisi di un melodic death metal che, sul piano lirico, affronta tematiche legate al paganesimo, alla mitologia slava e, immancabilmente, all’immaginario vichingo. Sul versante musicale, siamo di fronte a un death metal massiccio che non rinuncia, anzi esalta, le sue componenti più melodiche. La title track, che apre il lavoro, lo dimostra subito: riff corposi, carichi di groove e melodia, che strizzano l’occhio agli Amon Amarth, ma non disdegnano inserti più black. Il risultato è convincente, anche se nulla che rivoluzioni il genere. La dichiarazione d’intenti prende forma pienamente con “Retribution”, un brano ben strutturato in cui spiccano la linea melodica della chitarra e il growl potente di Lorghat. È un pezzo piacevole, persino “fischiettabile” sotto la doccia, grazie a un bridge centrale che introduce un assolo interessante, seppur un po’ timido. Timidezza che non appartiene invece alle sfuriate di Njal, batterista instancabile e trascinante. Le influenze viking emergono con forza in “Unreachable Horizon”, costruita su un giro di chitarra dalla chiara impronta nordica, che si fissa in testa con facilità. Il pezzo prosegue con un riffing denso, ancora una volta debitore della scuola scandinava. Onesto, ma non memorabile: i primi due brani restano superiori, anche se qui i soli guadagnano in personalità. In “Descendant of Chaos”, la band esplora territori più oscuri, introducendo arrangiamenti sinfonico-orchestrali che aggiungono profondità e atmosfera. Una direzione interessante, che apre a nuove possibilità espressive. Il disco si chiude con la brutale “Bleed to Be”, un’esplosiva miscela di black e death metal che, se non fosse per le melodie taglienti dell’assolo, rischierebbe di risultare troppo piatta. 'Fury Untamed' è, in definitiva, un lavoro onesto, utile per testare lo stato di forma dei Valkenrag e valutare la reazione del pubblico di fronte a queste nuove tracce. Non un ritorno clamoroso, ma un buon banco di prova per definire meglio lo stile che la band polacca intende sviluppare in futuro. (Francesco Scarci)

(Art of the Night Productions - 2025)
Voto: 68
 

mercoledì 25 giugno 2025

The Pit Tips

Francesco Scarci

Lights of Vimana - Neopolis
Elderwind - Older Than Ancient
Concrete Age - Awaken the Gods

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Alain González Artola

Blood Incantation - Absolute Elsewhere
Neckbreakker - Within The Viscera
Urda Sot - Unterirdische Passagen

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Death8699

Benediction - Ravage of Empires
Cryptopsy - An Insatiable Violence
Soilwork - The Chainheart Machine

martedì 24 giugno 2025

Khôra - Ananke

#PER CHI AMA: Black Avantgarde
Credo che ormai non ci sia band estrema che Les Acteurs de l'Ombre Productions non possa raggiungere. Oggi è il caso della creatura internazionale che risponde al nome di Khôra e del loro nuovo secondo album, intitolato 'Ananke', che si rifà alla divinità greca del fato. Nati come progetto solista di Oleg, la band oggi si è evoluta in una formazione completa che include Frédéric Gervais (Orakle, Cor Serpentii) alla voce, Göran Setitus (ex-Setherial, Svartghast) al basso e Kjetil Ytterhus (Profane Burial, Haimad) alle orchestrazioni. Dopo il debutto del 2020, 'Timaeus', ecco tornare la band nel tentativo di consolidare il proprio sound, in quella sua stravagante mistura di black atmosferico e progressivo, in grado di evocare nomi altisonanti quali Dimmu Borgir, Emperor e Arcturus. Io francamente non li conoscevo e devo ammettere che già dai primi pezzi sono rimasto piacevolmente colpito dalla proposta del gruppo. "Empyreal Spindle" e "Legion of the Moirai" mostrano infatti di che pasta sia fatto il quartetto, capace di bilanciare la ferocia del black/death metal con una certa raffinatezza delle orchestrazioni. Le chitarre offrono riff taglienti e acidi, spesso arricchiti da assoli dissonanti (in stile Ved Buens Ende e Virus, oserei dire) che aggiungono una dimensione psichedelica alla proposta. Il basso di Göran fornisce una solida spina dorsale, così come il forsennato drumming di Ole che alterna blast beat furiosi (spaventoso in tal senso in "In the Throes of Ascension") a sezioni più atmosferiche. Le orchestrazioni di Kjetil costituiscono poi quell'elemento distintivo, con archi, tastiere e suoni sintetici che evocano un'atmosfera cosmica e inquietante, completata dalle voci di Frédéric, che si muovono tra uno stile "arcturiano" e il tipico screaming black, anche se le varie collaborazioni del disco, probabilmente mi hanno un filo disorientato nel capire dove realmente il frontman offre la propria performance vocale. Comunque, tra le guest star, troviamo Blasphemer (ex-Mayhem, Vltimas) a cimentarsi nell'assolo dell'opening track, Kristian Niemann (ex-Therion, Sorcerer) in quello di "Wrestling with the Gods", mentre Wolfgang Rothbauer (Thirdmoon, In Slumber) si esibisce dietro al microfono in "On a Starpath", con la sua alternanza tra pulito e growling. Queste comparsate aggiungono ovviamente ulteriori strati di complessità a un lavoro già di per sé complesso, considerando che anche "Legion of the Moirai" vede la presenza di Arnhwald R. (Deathcode Society) alla voce mentre "In the Throes of Ascension" la performance vocale è condivisa con Bill Kranos (Savaoth). Alla fine, quello che conta è il risultato, e qui non ci sono dubbi che 'Ananke' si pone come un'opera decisamente ambiziosa che conferma i Khôra come una delle realtà più intriganti del metal estremo contemporaneo. La produzione impeccabile, gli arrangiamenti orchestrali e la profondità lirica creano un'esperienza immersiva che bilancia furia, emozione e sperimentazione di quello che si candida a essere una delle sorprese dell'anno. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2025)
Voto: 80

https://ladlo.bandcamp.com/album/ananke

Cadaveric Crematorium - Cry Now, Motherfucker!

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Grind/Death
Veramente interessante questo debutto ormai datato 2001, all'insegna del death-grind, per questa band del bresciano che ha al suo interno membri dei defunti Nadir, non so chi ancora se li ricorda. Comunque i Cadaveric Crematorium sono un’altra cosa! Death-grind d’assalto bello violento e marcio. Questo CD-R (che peraltro ha un artwork professionalmente stampato!), contiene 11 tracce, due delle quali risalenti a un primo periodo senza un batterista ufficiale (e dove infatti abbiamo una drum machine). Gli altri pezzi invece trasudano vero sangue marcio e carne infetta. Ottima l’opener track "Incredibile Hulk", veramente un inno grindcore ai massimi estremi livelli. Da notare alcune influenze dei Cannibal Corpse nel riff centrale della seconda traccia "Butcher?". La produzione di questo lavoro era senz’altro sopra la media e il buon gusto che dimostrato anche nel packaging, li mise sicuramente in mostra come una delle nuove band su cui puntare per il futuro della scena death-grind made in Italy.

venerdì 20 giugno 2025

Mürrmürr - Katharos

#PER CHI AMA: Post Black/Blackgaze
Secondo EP per i francesi Mürrmürr, intitolato 'Katharos' e pubblicato ad aprile di quest'anno. La band cerca di consolidare il proprio stile intrecciando la furia gelida del black metal con atmosfere e melodie più evocative, sulla scia di gruppi come Alcest, Harakiri for the Sky e Regarde Les Hommes Tomber. Questo lavoro, composto da quattro tracce, esplora le guerre di religione del XVI secolo in Francia, un tema di forte attualità, che si riflette tanto nei testi quanto nell'intensità emotiva della musica. L'apertura dell'EP è affidata a "Luther", un vero pugno nello stomaco. Il brano parte in sordina per poi esplodere in un assalto frontale caratterizzato da una ritmica tagliente, blast-beat feroci, chitarre e screaming laceranti che stabiliscono immediatamente il tono ferino del lavoro. Tuttavia, la traccia evolve sapientemente (il rischio di bocciature era già dietro l'angolo) grazie a un'apertura melodica che richiama il blackgaze, con arpeggi eterei e un uso sapiente delle dinamiche, capaci alla fine di trasmettere un forte senso di disperazione, che si sposa perfettamente con il concept del disco. È il brano più diretto del disco ma non per questo privo di profondità, andando infatti a dissolversi in un'atmosfera quasi onirica. La title track mostra l'altra faccia della medaglia del quintetto di Dunkerque, affidandosi invece a un mid-tempo compassato, chitarre più pulite e vocalizzi evocativi che conferiscono al pezzo una certa solennità. "Mas d'Asilh" si apre con un'intro atmosferica che potrebbe ricordare i primi Alcest, sviluppandosi poi attraverso cambi di tempo grazie alle chitarre in precario equilibrio tra il caustico e il contemplativo, e un utilizzo poi del basso, a dir poco notevole. La conclusiva "Bartimé" si muove su coordinate similari, con le vocals e le linee di chitarre strazianti che rappresentano il fil rouge con i brani precedenti, prima di un epico finale in crescendo. Resta ancora parecchio lavoro da fare per cercare di prendere le distanze dai mostri sacri del genere e mostrare maggiore personalità, ma la strada intrapresa sembra essere quella giusta. (Francesco Scarci)

(Epictural Production - 2025)
Voto: 68

Golden Heir Sun/Euypnos - A Journey to the Underwater Moon

#PER CHI AMA: Drone/Ambient
Come direbbero gli inglesi "this is not my cup of tea", giusto per identificare un qualcosa che non fa al caso loro. Ecco, lo split tra le due one-man-band italiane, Golden Heir Sun ed Euypnos, potrebbe non rientrare nei miei parametri musicali, però mi reputo una persona di mentalità aperta e voglio quindi approcciarmi senza pregiudizi, alla proposta dronico-psichedelica, di queste due realtà assai visionarie. Due sono anche le lunghe tracce disponibili in questa stravagante, quanto intrigante collaborazione. Si parte con "A Vessel Of Clouds (Through A Field Of Tidal Waves At Sunset)" e un minimalismo sonoro distopico, estraneo a qualsiasi forma musicale strutturata. Quei suoni dronici che entrano nelle nostre teste, hanno un effetto alienante sin dalle prime angoscianti note che, in realtà, perdureranno simili per i quasi dieci minuti del brano, dove salmodianti voci sembrano apparire, a un certo punto, come fantasmi pronti a terrorizzarci. Credo che questo sia l'effetto desiderato dai due frontman, che danno la loro personale interpretazione alla loro pseudo jam session, che porta con sé suoni riverberati, accompagnati da sintetizzatori sottili che evocano il movimento dell'acqua, completamente privi dell'utilizzo di percussioni, fatto salvo per il field recording iin sottofondo. L'influenza di tecniche di produzione ispirate a Brian Eno e Ben Frost, è percepibile nella costruzione dei paesaggi sonori, al pari dell'astrattismo dell'artwork che sembra completare l'esperienza sensoriale. La seconda suite "A Sight Of The Moon Beyond The Maelstrom (...And Then Nothing)", con i suoi nove minuti e mezzo, prosegue il viaggio in una dimensione sonora destrutturata, fatta di echi ambient/noise, addensati di contenuti catartici, che potrebbero indurvi a una profonda analisi introspettiva, ma anche portarvi definitivamente alla follia. 'A Journey to the Underwater Moon' è disponibile in tiratura limitata di 50 cassette, questo perchè è un misterioso lavoro destinato a una ristrettissima nicchia di ascoltatori. (Francesco Scarci)

Lights of Vimana – Neopolis

#PER CHI AMA: Death/Doom/Gothic
Uno dei nostri amici, collaboratore a tempo perso e figura interessante del panorama doom mondiale, Jeremy Lewis (ex Dalla Nebbia, Mesmur, Pantheist), mi ha inviato il disco di debutto dei Lights of Vimana, nuova creatura internazionale che vede tra le sue fila, oltre allo stesso Jeremy, anche Déhà, per cui non servono troppe presentazioni, e il nostro Riccardo Conforti (Void of Silence). Pubblicato per l'italiana Dusktone, il trio rilascia cinque brani che si collocano nelle pieghe di un death doom goticheggiante, strizzando l'occhiolino ai Draconian, ai Void of Silence più intimisti e ai The Foreshadowing. Il disco si apre con gli inquietanti synth di "Nowhere", un brano di oltre 14 minuti che mette immediatamente in chiaro la direzione stilistica del gruppo. Quella chitarra che sembra disegnare melodie degne della colonna sonora di Blade Runner segna l'inizio dell'esplorazione nel mondo dei Lights of Vimana. Veniamo immediatamente avvolti dalle malinconiche melodie della band, in cui riesco a percepire il retaggio di tutti e tre i musicisti: sia nella delicatezza delle dense atmosfere (bravo Riccardo nel creare una certa nebulosità con le sue tastiere), che nella muscolare pesantezza delle ritmiche (e chi meglio di Jeremy alle chitarre può offrire questo?), per finire con le sofferenti vocals del polistrumentista belga, perfetto sia nella componente pulita che nel growl. Il risultato finale è decisamente notevole, soprattutto nel finale del brano, dove la componente orchestrale aumenta progressivamente. La cinematicità del trio si palesa anche nelle note iniziali di "Endure", forse più morbida a livello chitarristico, non per questo meno efficace o sorprendente. In questo caso ne beneficia la componente emozionale, sorretta anche dalle iniziali vocals meditative di Déhà che esploderanno, contestualmente a un inasprimento delle chitarre, nel suo riconoscibilissimo growl. Attenzione perché qui compaiono anche le vocals femminili di Nicole Fiameni degli Eurynome a fare da contraltare alle voci da orco del frontman belga. Effetto prevedibile ma assai efficace, che richiama mostri sacri come i Tristania. Le atmosfere si fanno più solenni, e ribadisco che il lavoro maturo di Riccardo alle tastiere si sente forte nelle note del disco, alzando enormemente il livello, senza nulla togliere agli altri interpreti. "Real" è un'altra mezza maratona di oltre 11 minuti in cui la componente cinematica continua ad andare a braccetto con la pesantezza del doom, coadiuvata dall'intensità roboante del riffing di Jeremy. Un break centrale rallenta i sensi prima di un etereo finale in crescendo che mi ha evocato i Draconian. La title track è un pezzo strumentale, sospinto dalle iniziali tinte apocalittiche, degne del mondo brutale in cui stiamo vivendo, per cedere poi il passo a panorami più positivi, quasi a voler dire che c'è ancora speranza per un pianeta devastato dalle guerre. A chiudere, ecco "Remember Me", che riprende quel discorso musicale già abbracciato da "Endure" e "Real": ancora in primo piano il chitarrismo di Jeremy e le atmosfere orchestrali imbastite dall'eccellente Riccardo, su cui si alterneranno le voci pulite e catarrose di Déhà, a chiudere uno dei debutti più intriganti dell'anno. Ma da questi tre musicisti, d'altro canto, non ci si poteva aspettare di meno. Straordinari. (Francesco Scarci)
 
(Dusktone - 2025)
Voto: 82
 

mercoledì 18 giugno 2025

Māyā - Artíficio Fantástico

#PER CHI AMA: Indie/Alternative
Forse in un blog che parla di metal e dintorni, è difficile concepire un disco del genere. Questa è roba che ti prende per mano in maniera morbida, distesa e sognante, che ti porta in giro per una parte di mondo, almeno accostandone musica, artwork di copertina e titoli delle canzoni, con un titolo esplosivo poi, 'Artíficio Fantástico'. I Māyā, progetto interamente italiano, sfodera una fucina di suoni che sconfinano in generi musicali come cumbia, calypso, dub, indie elettronico e world music dal taglio ambient, un connubio che un povero rockettaro potrebbe definirlo, approssimativamente, come un incrocio ben riuscito tra il guitar style dei The Shadows e la caraibica mania compositiva di David Byrne di 'Rai Momo', senza voce e in veste strumentale, per un giro nel mondo dai suoni calienti. Il clima compositivo del trio, è rilassato e disteso, a volte raggiunge momenti di malinconia, altri di frizzante e primaverile brio sonoro, dinamico e rigenerante, comunque sempre poco concepibile per un rockettaro duro e puro, anche se alcuni richiami al rockabilly, nello stile chitarristico, non mancano. D'altro canto, i The Shadows hanno fatto storia nel mondo del rock e se questo progetto li vuole omaggiare con una visione più ampia ed estesa a livello geografico, oltrepassando il selvaggio west, ben venga, ed è giusto dare a Cesare quel che è di Cesare. Quindi, "Bivouac", si aggiudica il premio come miglior composizione, "Tristeza" per il sound ovattato e appunto triste. Un posto privilegiato per il suono e la ritmica di basso e batteria, che non smetterei mai di ascoltare, va a "Steaming Hot", che per attitudine, mi riporta alla mente, alcuni splendidi dischi, con un suono decisamente naturale, di Medeski, Martin & Wood. Un disco, distribuito dalla Bloody Sound, ben costruito, interessante, mai eccessivo, sempre moderato. Un modo e un'angolatura musicale intelligente di vedere e raccontare il mondo. Un ascolto consigliato a chi vuole ampliare i propri orizzonti sonori. (Bob Stoner)

(Bloody Sound - 2025)
Voto: 70

https://www.facebook.com/mayaglobalgroove

domenica 15 giugno 2025

Carcolh – Twilight of the Mortals

#PER CHI AMA: Doom
Il Carcolh è una creatura leggendaria del folklore francese, una specie di incrocio tra un serpente e un mollusco tentacolare. Questo è quanto ci racconta sul proprio sito Wikipedia, a proposito di questo mostro mitologico che, fatalità, è anche il nome della band di oggi, cinque doomsters di Bordeaux che con questo 'Twilight of the Mortals', raggiungono l'ambizioso traguardo delle tre uscite discografiche. Un arazzo sonoro che si abbevera alle fonti sacre del doom metal tradizionale, che tributa omaggio ai maestri del genere, Candlemass, Solitude Aeturnus e Black Sabbath, cercando al tempo stesso, di lasciare un’impronta personale in un territorio tanto venerato quanto assai insidioso. Il disco si apre con "For Every Second..." che stabilisce immediatamente il tono abbracciato dai nostri: riff lenti, striscianti, che si muovono come monoliti in una landa desolata, guidati dalla voce di Sébastien Fanton, la cui timbrica potrebbe richiamare l'epico lamento di Robert Lowe. Fin qui nulla di nuovo, perché l'album sembra inciampare in una sorta di riverenza verso le colonne portanti di un genere che sembra ormai impantanato. Un brano come "Ashes Are Falling Down" prova a fare la differenza, inserendo melodie accattivanti e assoli eleganti a spezzare la monotonia di fondo, e mantenendo alta la tensione emotiva. Lo stesso dicasi per la successiva "The Battle Is Lost", vibrante nelle sue linee di chitarra, sebbene certi passaggi sembrino scivolare in territori già battuti da 'Epicus Doomicus Metallicus', l'epico debutto dei Candlemass. Poi ci troviamo di fronte a due maratone musicali: "My Prayers Are for Rain" include oltre dieci minuti di melodie strazianti e dense atmosfere che sembrano insinuarsi come luce fioca in una cattedrale in rovina. I quasi dodici minuti di "Empty Thrones" invece, sembrano voler enfatizzare la solennità della proposta dei transalpini, sciorinando un bel riffone di scuola Sabbath con la voce del bravo Sébastian a guidare l’ascoltatore tra le rovine evocate dai testi. Il risultato però continua a faticare nello scrollarsi di dosso l’ombra ingombrante dei suoi ispiratori, rischiando di essere percepito come un esercizio di stile più che come un’opera innovativa. Insomma, 'Twilight of the Mortals' mostra la competenza dei Carcolh nel muoversi nel delicato mondo del doom, ma al contempo pecca in una certa mancanza di imprevedibilità, trovandosi troppo spesso a specchiarsi nel sound immortale dei maestri, senza osare un passo deciso verso un’identità propria. Per ora, quest'album rimane un crepuscolo che illumina, ma non abbaglia. (Francesco Scarci)

(Sleeping Church Records - 2025)
Voto: 70

https://carcolh.bandcamp.com/album/twilight-of-the-mortals

Neldoreth - S/t

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black Metal
Il debutto dei lombardi Neldoreth si presentò come un fulgido esempio di black metal dalle forti tinte norvegesi, con l’influenza scandinava che appariva fin troppo evidente in alcune porzioni di questo EP. Il dischetto propone infatti quattro brani minimalisti e genuini, caratterizzati da una batteria velocissima e riff gelidi, elementi che danno vita a un lavoro sicuramente semplice ma gradevole. Le linee vocali, in puro stile grim, risultano piuttosto convincenti e ben inserite nel contesto estremo proposto. Due delle quattro canzoni sono chiaramente ispirate all’universo tolkieniano, e tra queste spicca "Moria" (l'altra è "Ered Gorgorth"), che sembra anche la traccia più convincente di questo demo cd, che vide giusto un seguito l'anno successivo, prima di veder affievolire la fiamma nera di questo trio valtellinese. (Francesco Scarci)

venerdì 13 giugno 2025

Darkenhöld - Le Fléau du Rocher

#PER CHI AMA: Medieval Black
Con un nuovo album (il sesto), i francesi Darkenhöld tornano a percorrere i sentieri del melodic black dalle tinte medievali, terreno che conoscono davvero bene, dopo 17 anni di militanza nella scena metal estrema. 'Le Fléau du Rocher' si presenta quindi come un lavoro tecnicamente maturo e concettualmente coerente con il passato, ma che fatica a liberarsi completamente dai vincoli di una formula ormai consolidata. Il trio nizzardo, se da un lato, conferma la propria capacità di costruire atmosfere evocative e coinvolgenti, dal l'altro sembra non aver fatto passi in avanti rispetto al precedente 'Arcanes & Sortilèges', che il sottoscritto aveva recensito nel 2020. "Codex De La Chevalerie" e "Gardienne Des Dryades" mostrano come il trio abbia affinato negli anni l'arte narrativo-sonora, mescolando melodie oscure con superba narrazione. La produzione è equilibrata e permette a ogni strumento di trovare il proprio spazio nell'architettura complessiva dell'opera. L'aspetto più riuscito dell'album risiede forse nella capacità dei nostri di mantenere una tensione narrativa costante attraverso tutti i brani con brevi passaggi strumentali, quali "Temps Enfouis" e "Sortilège Ancestral", a dare un certo respiro contemplativo a un black talvolta tirato, mentre tracce come "L'Ascension du Mage Noir" e la title track, dimostrano come la band sappia ancora scrivere episodi di black melodico efficace e coinvolgente. Tuttavia, è proprio qui che emergono i limiti più evidenti del lavoro. La musica infatti, porta insieme composizioni intricate che soffrono di una certa mancanza di innovazione. Il problema di 'Le Fléau du Rocher' non è tanto nella qualità dell'esecuzione, quanto nella prevedibilità dell'approccio compositivo. Dopo diciassette anni di carriera, sembra che i Darkenhold abbiano raggiunto la propria zona di comfort che, pur mantenendo risultati solidi, ne limiti la capacità di sorprendere. Le atmosfere medievaleggianti, i temi cavallereschi e la struttura generale delle composizioni sembrano ricalcare troppo fedelmente pattern già esplorati in passato e quindi la sensazione, almeno per l'ascoltatore esperto, è quella di un déjà-vu che alla fine smorza gli entusiasmi. Pur non denigrando valide intuizioni melodiche, il mio personale verdetto finale si configura come un album che può soddisfare pienamente le aspettative dei fan o di chi cerca un melodic black metal di qualità, senza però riuscire a trascenderle. 'Le Fléau du Rocher' è un lavoro che conferma la competenza tecnica e l'identità artistica dei Darkenhöld, ma che al tempo stesso, evidenzia come la band fatichi a rinnovare una formula che inizia a evidenziare le rughe di un tempo passato. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2025)
Voto: 62

https://ladlo.bandcamp.com/album/le-fl-au-du-rocher