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sabato 26 giugno 2021

Merger Remnant - Dregs

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Da Falun, Svezia, ecco arrivare una nuova intrigante creatura, i Merger Remnant. 'Dregs' è l'EP di debutto del duo scandinavo che include Björn Larsson dei God Macabre, e comprende quattro tracce dedite a un black doom atmosferico. Il tutto è certificato dall'opener "All-out Violence Upon Life" e dalle sue ritmiche compassate che ne segnano il passo e da interessanti arrangiamenti che ne gonfiano il sound, mentre Björn si mette in luce con la sua voce a cavallo fra growl e scream. Poi a scatenarsi è il caos con un arrembante bridge pregno di melodia a cui segue un altro notevole rallentamento con tanto di voci salmodianti in sottofondo. Tutto decisamente ben curato e di un certo impatto esoterico. Peccato le chitarre siano forse troppo lineari (stile Amon Amarth) e manchi qualche spunto solistico, altrimenti staremmo forse parlando di un gioiellino. Con la successiva "Cosmos Posthumously Ending Itself", percepisco echi epico-pagani nel sound dei due musicisti, quasi lo spettro dei Bathory aleggi nelle note di questo brano. Si confermano superbe le parti atmosferiche, cosi come pure le linee di chitarra, sempre piuttosto ispirate. "The Cold Earth Slept Below" è la cover completamente stravolta degli statunitensi Judas Iscariot, e da quanto ho capito, con un testo però riproposto da Björn: l'intro è quasi pink floydiano e l'intero pezzo rimane scolpito nella mente con le sue splendide melodie e orchestrazioni e la voce dello stesso Björn qui pulita, insomma nulla a che fare con il raw black dell'originale. In chiusura la title track, il pezzo più veloce del lotto e per questo forse il più anonimo, almeno fino a quando compaiono esotiche parti mediorientali ed altri frangenti atmosferici che ne risollevano enormemente le sorti. Insomma, 'Dregs' è a mio avviso un buon biglietto da visita che mi permette di dirvi di segnarvi questo nome per future uscite discografiche. (Francesco Scarci)

(De:Nihil Records - 2021)
Voto: 74

https://mergerremnant.bandcamp.com/album/dregs-ep

venerdì 25 giugno 2021

Gonemage - Mystical Extraction

#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Da Dallas, ecco arrivare una nuova one-man-band, capitanata da Garry Brents, in arte Galimgim, uno con una paccata di band sulle spalle tra cui i Cara Neir, forse quella più famosa. In questi nuovi Gonemage, Garry prende le distanze dalle sonorità black (grind)-hardcore della sua band principale e propone, in questo debutto intitolato 'Mystical Extraction', un sound che sembra quasi uscire da un videogioco (un qualcosa tuttavia già palesato nell'ultimo EP 'Phase Out Original Game Soundtrack' dei Cara Neir), una sorta di nintendo-black metal a dir poco ubriacante sin dalle note iniziali di "The Gullying and the Purple Hoax", la folle traccia d'apertura di questo controverso lavoro. Scariche laviche di black e poi d’emblée ecco comparire quelle sonorità tipiche da videogioco anni '80 (la famosa chip music) stagliarsi sotto il maligno tappeto ritmico eretto dal mastermind texano. Assurdo, soprattutto nel finale quasi il musicista statunitense stia giocando a flipper e nel frattempo ci piazzi un pezzo di chitarra blues rock in un arrembante scarica di violenza elettronica. Il black miscelato alla chiptune prosegue ovviamente nelle song successive: "Chained Castle", un po' meno la selvaggia "Dust Merchant", la post-punk "Dream Moat" e via dicendo, avrebbero potuto essere tranquillamente le colonne sonore di una marea di giochi con cui mi dilettavo negli anni '80 con il mio Commodore 64 o con le consolle stile Atari. Ovviamente il feroce screaming magari non avrebbe fatto parte del pacchetto, a meno che non stessimo parlando di giochi stile 'Ghosts 'n Goblins', o di un più recente 'Resident Evil'. La struttura delle song è più o meno simile ovunque, con un'architettura black corrosiva su cui si impianta lo screaming selvaggio di Mr. Brents e tutta l'effettistica synth che potrebbe ricordare ad esempio un altro classicone, 'Pac-man'. Il disco non mi dispiace affatto, vuoi anche per l'aura malinconica di "Uncast" o la furia iconoclasta della conclusiva "Ipinta", che chiude degnamente, con le sue folli modulazioni di frequenza, questa prima stralunata fatica firmata Gonemage. (Francesco Scarci)

giovedì 24 giugno 2021

Moongates Guardian - Broken Sword

#PER CHI AMA: Epic Black
I Moongates Guardian sono un oscuro ma assai produttivo duo originario di Kaliningrad dedito ad un black dalle forti connotazioni tolkiane nei loro testi. E per questo, perchè non miscelare la fiamma nera con il medieval sound? Andatevi ad ascoltare la ricca discografia dei nostri e se intanto volete partire da quanto di più nuovo prodotto dai due russi, eccovi accontentati con un EP nuovo di zecca con tre pezzi, di cui uno, la cover degli AC/DC "For Those About To Rock", scelta quanto mai discutibile. Eppure, l'opener di 'Broken Sword' è un tipico pezzo marchiato a fuoco dai nostri, in cui abbinare ad un black nudo e crudo melodie folkloriche ed harsh vocals, con tanto di parti acustiche che sorreggono la loro primigenia forma musicale per un risultato epico. La seconda traccia è appunto la cover dei canguri australiani, in una versione completamente stravolta, con ottime e pompose orchestrazione, dove vagamente si può intuire il rifferama della song originale (soprattutto a livello solistico), ma dove il cantato in screaming ne altera completamente il risultato finale. Bell'esperimento ma francamente non avrei mai coverizzato una band come gli AC/DC. La terza traccia è affidata invece all'acuminata title track: chitarre zanzarose, batteria parecchio inascoltabile, vocals urlate, il tutto proposto a tutta velocità, con le solite e solide parti sinfoniche a dare brio ad una proposta che rischierebbe invece di (s)cadere nell'anonimato più totale. Insomma, un EP interlocutorio che non mostra le potenzialità della band russa, ma che può essere un buon punto di partenza per saperne un po' di più dei Moongates Guardian. (Francesco Scarci)

martedì 22 giugno 2021

Devotion - The Harrowing

#FOR FANS OF: Black/Death
What a HEAVY release! I think their previous was a bit better, but this one packs a punch and I was impressed with their perseverance regarding their songwriting. The music is brutal and so are the vocals. Sound quality is quite good, but I thought 'Necrophiliac Cults' was a little more impressive. This still has some great moments. The riff-writing was good, but the tone of the guitars were on distortion but a little more dark. The quality of the music is better than their previous but the guitars I thought their previous was better. Nevertheless, the overall output here was admirable.

Talking about the guitar, because the acoustics (sound) were a little muddled I couldn't hear the riffs as well as on their previous. In some instances it just was noise. Especially when the leads were going. But otherwise, no other complaints really. The vocals make the music sound even darker than on any of theirs. I like the fact that they wanted a more brutal sound but their riff-writing could've been better sounding. Anyway, it's good as it is despite my differences regarding the guitar riff-writing. I suppose you can say that it's an album that you've got to be in an acquired zone when hearing. That's the best way I can describe it.

The production quality was a step-up from their previous. I think that the music was well mixed and solid in that respect. Everything you can hear pretty well (guitar, bass, drums, vocals, and so on) so in that respect it's solid. I like how the vocals follows the guitars in some songs. There weren't many that followed that path but the guitars were HEAVY duty! I think that they needed to spend more time with the riffs and lay them out in the right times alongside the rest of the instruments. If they would've, I would've scored this higher than an 80%. Anyway, a good release at that and some good music (in streaks).

I'd check this out on YouTube I don't believe it's on Spotify. I ordered the physical copy on eBay. It was worth it even though I have beef with the recording. I'd say support this band because they have a helluv a lot of potential. These past two releases show great promise in the death metal arena. I'd say get their previous and this current one because both of them are good. They really do well with making death metal. I know I said a lot that was wrong with this album I guess it's because their previous I though was more solid. But either way, both are good. Check this one out! (Death8699)


Givre - Le Pressoir Mystique

#PER CHI AMA: Medieval Black
Dalla famigerata scena del Quebec, ecco giungere a noi i Givre, terzetto originario di Rouyn-Noranda, autori di un black metal dalle tinte depressive/medievaleggianti. 'Le Pressoir Mystique', secondo atto del trio canadese, apre con un'evocativa intro parlata, per poi concentrare le proprie energie in un black mid-tempo con il brano "Rebatons Notre Chair Vilainne", rigorosamente cantato in francese e dotato di un riffing di matrice burzumiana stile 'Hvis Lyset Tar Oss', forse anche più lento. Qui, il cantato corrosivo del frontman catalizza l'attenzione, accompagnato dalle melodie paranoiche delle chitarre che quasi mi offuscano i sensi. "Blanche Biche" (che si rifà ad una ballata bretone del 16° secolo) presenta i nostri sotto una luce diversa ancor più suggestiva, peccato solo il suono risulti cosi impastato rischiando di far perdere potenziali dettagli intriganti di una proposta che, in taluni frangenti, ha il merito di suonare originale. Si, il sound dei Givre non è affatto male, anche se una produzione più pulita avrebbe dato maggior beneficio soprattutto nelle parti più atmosferiche e arpeggiate che costellano questo brano cosi come pure il successivo "Jamais Ne Vestiray Que Noir", il più lungo del lotto, con il suo fare introspettivo, complice la presenza alla voce di una gentil donzella, inserita in un contesto che mi ha evocato certe produzioni dei nostrani Evol ai tempi dello splendido 'Portraits'. Più grezzotta e anonima invece "Source de Plour", un black mid-tempo che francamente non offre grandi spunti di interesse, sebbene la decadente melodia in sottofondo guidata dalla chitarra, alla fine abbia il suo perchè. In chiusura, "Adieu Ces Bons Vins de Lannoys" che riprende trasponendola a oggi, un'altra opera medievale francese del 14° secolo in un black oscuro, furente ma di grande impatto. Alla fine 'Le Pressoir Mystique' è un lavoro davvero interessante che vi invito ad ascoltare con attenzione, potreste trovarvi infatti ottimi spunti. (Francesco Scarci)

Mushroom Giant - Painted Mantra

#PER CHI AMA: Prog/Post Rock Strumentale
Era il 2014 quando 'Painted Mantra' vedeva la luce la prima volta. Dopo sette anni, la Bird's Robe Records restituisce una seconda vita a quel disco degli australiani Mushroom Giant, ormai band leggendaria del sottobosco locale sin dal 2002, in compagnia di altri mostri sacri quali We Lost the Sea, Sleepmakeswaves, Meniscus o Dumbsaint. In occasione del decennale dell'etichetta di Sydney, ecco quindi rivedere la luce un lavoro che fa di prog e post rock strumentale il suo credo. Nove pezzi che prendono le distanze dal classico post rock, fatto salvo per l'assenza di un vocalist, ma che da un punto di vista musicale, vede invece i nostri picchiare come fabbri sin dalla roboante apertura affidata a "The Drake Equation", un pezzo solo inizialmente onirico, ma che da metà in poi, si lancia in un centrifugato quasi killer di heavy prog davvero godibile. Si ritorna ad atmosfere pink floydiane con "Four Hundred and Falling", con quella forte aura malinconica che fino a metà brano ancora una volta sembra cullarci e che nel finale cresce emotivamente aumentando a pari passo, un interesse per una proposta che fin qui pareva piuttosto scontata, a dire il vero. Il finale però è da applausi. Come quelli che scrosciano per la lunghissima "Scars of the Interior" e i suoi quasi 14 minuti di parti arpeggiate, sognanti, ambientali; si dice a proposito, che il quartetto di Melbourne sia davvero forte dal vivo con parti visuali di grande effetto, da testarne insomma l'esperienza. Quello che mi convince della band è la capacità di coniugare la componente post con eleganti linee progressive dove i quattro musicisti sembrano trovarsi più a proprio agio. Fatto sta che, pur non essendo il sottoscritto un fan di offerte strumentali, qui mi lascio abbindolare dalle fughe rabbiose a cui seguono inevitabilmente lunghi ristoratori break atmosferici, che non fanno altro che prepararci ad un nuovo saliscendi musicale, ove la tecnica di questi aussie boys, viene fuori alla grande. Devo anche ricordarmi che questo 'Painted Mantra' è uscito sette anni fa, mica ieri. "Aesong" ha un fare quasi esotico a livello ritmico (ottima la batteria per la cronaca), quasi a condurci in una qualche isola al largo dell'Australia, con l'hammond comunque ad accompagnare con grazia e leggiadria, il comparto ritmico, qui vicino alle ultime prove degli Opeth, tuttavia ricordandosi che i gods svedesi hanno iniziato ad esplorare questo ambito ben dopo rispetto al "fungo gigante" di quest'oggi. L'ensemble continua a confezionare ottimi brani uno dopo l'altro: "Event Loop" è puro rock progressivo che ci porta a metà anni '70, con break affidati a basso e chitarra che a braccetto, ammiccano l'uno all'altro. Mancherebbe un vocalist ma questa volta voglio soprassedere e lasciarmi avvolgere dalla psichedelia di questa song o dalla successiva "Primaudial Soup", la cui batteria sembra quella in apertura di "Sunday, Bloody Sunday" degli U2, mentre a livello melodico, mi ha evocato un che dei Muse, inseriti comunque in un contesto più potente e coinvolgente. Lo ripeto, una voce avrebbe fatto le fortune di questo lavoro dal carattere cosi ondivago, stravolto peraltro costantemente da una marea di cambi di tempo. Se dovessi trovare un difetto, potrei dire l'eccessiva durata; quasi un'ora di musica filata, senza una voce, io la trovo sempre un'esperienza abbastanza sfidante, soprattutto in quei frangenti troppo meditabondi come può essere la prima parte di "Triptych". Poi fortunatamente il brano si muove dagli anfratti post rock e pestare maggiormente sull'acceleratore sfiorando il post metal con tanto di quella che mi pare anche una sezione d'archi. Ma c'è ben altro qui dentro, mille sfaccettature e dettagli che lascio approfondire a voialtri, godendo della performance di questi australiani che hanno ancora il tempo di inebriare i vostri sensi attraverso le decadenti note delle conclusive "Lunar Entanglement" e "Majestic Blackness", le ultime oscure perle di questo lavoro che a distanza di sette anni, non avete più alibi di lasciar andare. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2014/2021)
Voto: 75

https://mushroomgiant.bandcamp.com/album/painted-mantra

lunedì 21 giugno 2021

Repetita Iuvant - 3+1

#PER CHI AMA: Instrumental Post Rock
In soli sei mesi, i liguri Repetita Iuvant escono con due EP. L'avevano dichiarato che avrebbero fatto uscire una trilogia in un lasso di tempo alquanto ristretto. Detto fatto. Il trio di La Spezia torna con quattro nuovi pezzi che si vanno a sommare a quelle "Gusev", "Montalto" e "Sapradi", uscite a fine 2020, nel primo EP intitolato '3'. Chissà se anche qui è colpa del Covid e dei lock-down annessi, se la band ha partorito cosi brevemente queste due creature o se magari erano pezzi che già facevano parte della storia dell'ensemble spezzino. Comunque per chi non li conoscesse, i Repetita Iuvant, locuzione latina che, traslata ai giorni nostri, vuol significare che ripetere un gesto o un'azione può dare un beneficio, propongono un post rock strumentale che dalle soffuse note iniziali di "Sagiadi", giunge a quelle finali della lunga "Piuno". Quando si parla di post rock, è spesso lecito cadere nella tentazione di immaginare come sia la proposta della band ancor prima di ascoltarla e ahimè, molto spesso ci si azzecca pure. Ecco, la cosa avviene anche per i Repetita Iuvant, anche se la proposta del trio sembra decisamente più scarna e minimalista se confrontata a produzioni internazionali ben più pompate. Il che sembrerebbe confermato da una registrazione in presa diretta che non enfatizza certo i suoni, caratterizzati da una ricercatezza sonora non cosi acuita, vista la volontà della band di proporre tracce per lo più improvvisate. "Polloni" è un lungo pezzo di quasi dieci minuti che si perde in un giro di pensieri iniziali messi in musica, quasi un rimuginare interiore che lentamente si palesa attraverso una narrazione pregna di malinconia, con un pizzico di magia e un sound che di caratterizzante però ha ben poco, visti i classici riverberi del post rock, un approccio onirico ed una certa lentezza di fondo, tutte cose che rientrano nei dettami del genere. "Metloping" si conferma come propugnatore di un approccio minimal-vellutato, quasi si tratti di una schitarrata in compagnia di amici, davanti ad un bicchiere di vino con luci soffuse e un'aura malinconica palpabile che si annusa più pungente laddove il tremolo picking aleggia forte nell'etere. A chiudere '3+1' ecco la lunga "Piuno", una traccia che si affida all'abbinata batteria chitarra in una forma che definirei ancora piuttosto ancestrale (per non dire casalinga), soprattutto per ciò che concerne i volumi dei singoli strumenti. Un brano che ho francamente faticato a digerire rispetto ai precedenti pezzi, forse perchè apparentemente sembra quello con meno passione anche se alla fine risulterà il brano più sperimentale. Attendiamo ora il terzo capitolo per capirne qualcosa di più di questi Repetita Iuvant. (Francesco Scarci)

I Repetita Juvant sono una trio proveniente da La Spezia che associa una filosofia lo-fi di registrazione con i classici canoni stilistici della musica post rock, quella più sognante ed eterea. In questo secondo disco intitolato semplicemente '3 + 1', si mette in evidenza una certa propensione per la musica liquida, fatta di atmosfere unicamente strumentali, che si incastrano tra qualche malinconica sospensione dei This Will Destroy You e certe teorie sonore degli Ulan Bator che hanno fatto storia, sviluppate in questo caso, da un trio anomalo formato da una batteria, una chitarra synth ed una chitarra elettrica. Da evidenziare anche un gusto assai personale per i disegni che animano l'ottimo artwork di copertina. La ricerca intentata nei suoni per tributare una certa matrice vintage e psichedelica, a mio modesto parere,  dà i suoi frutti solo in parte, visto che la veste naturale del suono viene così estremizzata, e in più momenti, sembra di essere di fronte, ad un demotape registrato in sala prove, cosa che penalizza l'ascolto dei brani che, al contrario, sono interessanti e pieni d'atmosfera. Il fatto di sperimentare sulla registrazione in tempi moderni è ammirevole, ma se il risultato fa implodere il sound nella sua totalità, la cosa fa un po' riflettere (il precedente lavoro intitolato semplicemente '3', non soffriva di questa carenza nella dinamica del suono). La sensazione è che siano buone cartucce sprecate solo per la presunzione di cercare la dimensione sonora di un tempo che non si può più ricreare. Altra nota in parte negativa che la registrazione scarna mette in evidenza, è una carenza nei bassi, ovvero la mancanza di un basso vero e proprio si rende troppo evidente, manca infatti qualcosa che renda il tutto eccellente, anche se ripeto, non voglio criticare la scelta stilistica e musicale ma semplicemente raccontare la mia emozione all'ascolto del disco. Quindi, alzato il volume, preso atto che non sentirò nessuna linea di basso in questo disco, mi affogo nel cristallino mare dei Repetita Iuvant, che non è mai banale e che pullula di idee, anche se non del tutto originali, ma comunque sono ben confezionate e suonate con ispirazione. Brani ipnotici, visioni filmiche di spazi immensi e luminosi, che vengono esplorati in queste quattro tracce dal taglio siderale, nudo e crudo, che avrei voluto sentire con una produzione totalmente diversa, più maestosa e cosmica, per un disco di tutto rispetto, pieno di ottime idee ingabbiate però, in una scelta di produzione a dir poco sotto tono. (Bob Stoner)


(Loudnessy Sonic Dream - 2021)
Voto: 66

https://repetitaiuvant.bandcamp.com/album/3-1

domenica 20 giugno 2021

Hans Hjelm – Factory Reset

#PER CHI AMA: Instrumental Prog/Kraut Rock
Hans Hjelm è un produttore e musicista svedese assai conosciuto in ambito alternativo, che vanta numerosi progetti e partecipazioni in un infinito numero di album. Questo suo primo disco da solista è anche la prima uscita interamente gestita dalla sua etichetta personale, la Kungens Ljud & Bild. In questo suo debutto dalla copertina futurista, Hans, ha suonato chitarre, synth, basso e programmato le basi, aiutato solamente da Jesper Skarin nel ruolo di batterista. Il noto chitarrista di Stoccolma milita in un nugolo di altre band di ottima fattura, tra cui Kungens Män ed Automatism, e si abbandona per questi sei brani strumentali ad un suono sofisticato, figlio dell'ammirazione verso certa new wave costellata di synth, profondi e cosmici, che entrano in armonioso contrasto con il suo modo originale di gestire le parti di chitarra, mettendo in luce i suoi studi in ambito jazz perseguiti in America, che caratterizzano il suo stile. L'appartenenza alle altre band si fa sentire sempre e comunque, anche se Hjelm ce la mette tutta per allontanarsi dalle precedenti multicolori avventure sonore: l'ombra dell'ultimo brillante disco degli Automatism, ad esempio, è qui costantemente presente, anche se, tra queste note, troviamo una sezione ritmica più evanescente, il basso resta sempre nelle retrovie e i synth e le chitarre cristalline per la maggior parte dei brani svolgono il ruolo di protagonisti. "Valley of the Kings" mostra perfino una verve ipnotica figlia della psichedelia dei Velvet Undergrond, riveduta in chiave newwave anni '80, mentre l'amore per i Depeche Mode esplode nella cover di "Nothing to Fear", estratta dallo storico 'A Broken Frame', e adattata in una veste più consona all'autore, piena di colori tra post rock e sonorità indie. Nel retro del cd troviamo un consiglio per l'ascolto scritto da Hjelm in persona, che lascia trasparire tutta la sua peculiarità, la sua meticolosa ricerca della qualità sonora, da musicista, da tecnico del suono e produttore di opere molto sentite a livello emozionale. La scritta recita:

Usa le cuffie stereo
Fai un respiro profondo e inizia a rilassarti
Chiudi gli occhi e lascia perdere tutte le preoccupazioni
Notare una frequenza leggermente diversa che raggiunge ciascun orecchio
Diventa consapevole del tuo respiro
Inizia a contare i tuoi respiri
Lascia che i suoni passino attraverso la tua mente inosservati
Immergiti nel processo di respirazione
Lascia che i suoni sincronizzino i tuoi schemi di pensiero
Ripetere il processo fino a quando non si verifica il ripristino

"Lights Turn Red" è invece la canzone più lunga del lotto e offre un'evoluzione lisergica di chitarra noise davvero interessante, che amplia il range della proposta del disco, che fondamentalmente si muove in un'ottica di ipnotica estasi sonica. Conoscendo e apprezzando gli altri lavori del polistrumentista svedese, posso dire che a differenza di altre sue uscite, 'Factory Reset' rappresenta qualcosa di diverso, più alla moda, un bel disco dalle dichiarate venature '80s rivisitate in un'ottica moderna, una release quasi perfetta, dal sound arioso, aperto, contemporaneo ed estremamente omogeneo, tendenzialmente meno rock, ma con un'anima sognante ai confini di un ambient che solo a tratti nasconde qualche sinistra insidia sonora. In tutto questo mi mancano le astratte evoluzioni compositive, tipiche di band come Sista Maj o Automatism, ma in effetti il lavoro di Hjelm in questo suo primo lavoro da solista non deve essere paragonato alle altre sue dimensioni musicali. Questo disco infatti vive di una propria reale identità, una luccicante, autonoma realtà compositiva che conferma una capacità straordinaria di creare universi sonori dalle mille entità diverse e colorate anche in veste solitaria. L'ascolto è consigliato, obbligatoriamente in cuffia, come raccomandato dall'autore! (Bob Stoner)

(Kungens Ljud & Bild - 2021)
Voto: 74

https://hanshjelm.bandcamp.com/album/factory-reset

Phurpa & Queen Elephantine - Ita Zor

#PER CHI AMA: Suoni Ritualistici
Quando ci sono i Queen Elephantine è sempre un terno al lotto, non si sa mai cosa aspettarsi. In questi ultimi 12 mesi li ho già recensiti un paio di volte con le loro improvvisazioni jazz-pandemiche. Ora, il collettivo originario di Hong Kong ma trasferitosi negli States, torna in compagnia dei Phurpa, una band ritualistica russa che propone nientepopodimeno che suoni tibetani. Il risultato è questo stravagante, sperimentalissimo, avanguardistico (troppo per i miei gusti) 'Ita Zor'. Si perchè parliamoci chiaro, quando i quasi 14 minuti di "Ita Zor I" si palesano nel mio lettore, quello che mi ritrovo di fronte è un rituale bello e buono, quasi si tratti di una registrazione estrapolata in un qualche isolato tempio buddista nella catena dell'Himalaya. Potete immaginare la mia voglia di farmi assorbire da questi suoni meditativi, con tanto di voci salmodianti in background e null'altro che non siano corni tibetani, gong, campane e poc'altro. Noia totale a meno che non dobbiate fare yoga, pilates o meditazione. La mistura dronico ossessiva è riproposta poi in loop mantrico all'ennesima potenza, tra rumori vari di sottofondo, campane tibetane, rilassamenti onirico-cosmico-sensoriali, che nei successivi quattro segmenti di questo 'Ita Zor', non faranno altro che rilassarci (a me francamente martoriarmi) i sensi con rumori, voci e suoni cerimoniali, per un disco che verosimilmente non trova la sua giusta collocazione qui nelle pagine del Pozzo dei Dannati, a discapito peraltro di una bassa valutazione. (Francesco Scarci)

(Atypeek Music/4iB Records/Misophonia Records - 2021)
Voto: 60

https://queenelephantine.bandcamp.com/album/phurpa-queen-elephantine-ita-zor

Deka‘dɛntsa - Universo 25

#PER CHI AMA: Dark/Post Rock
Un altro prodotto della pandemia e del disagio creato da questo difficile periodo per il mondo intero. Questo è 'Universo 25', album di debutto dei campani Deka‘dɛntsa, che richiama nel proprio titolo, l'esperimento omonimo condotto dall'etologo John Calhoun, che usò l'espressione "fogna del comportamento" per illustrare i risultati della sua esperienza e denotare il collasso di una società a causa di anomalie comportamentali provocate dalla sovrappopolazione. Da qui, arrivare questa raccolta di sette tracce che si aprono con il rumorismo di "Latenza 00" che lascia ben presto il campo alla title track, una song dark rock cantata in italiano. Ottime le oscure atmosfere create dal combo originario di Salerno, che nel corso del disco, verrà supportato da svariati ospiti, da Mohammed Ashraf (Pie are Squared, Postvorta, Void of Sleep) che ha scritto e suonato l’intro “Latenza 00”, Andrea Fioravanti (Postvorta) alla chitarra in "Hikikomori" - entrambi grandi amici di Raffaele Marra (fondatore dei Deka‘dɛntsa ma anche dei Postvorta stessi) - ed Edoardo Di Vietri (In a Glass House) alla chitarra in "Disordine e Indisciplina" e nella già citata "Hikikomori". Sia ben chiaro che la band di quest'oggi non ha nulla da condividere con i Postvorta; messe da parte infatti le idee sludge/post metal, Raffaele in compagnia di un altro paio di amici, si diletta in sonorità più orientate al dark rock. Lo dicevamo appunto per la title track, lo confermo per "Inutili Eroi", che sembra quasi richiamare i Litfiba degli esordi, quelli di 'Desaparecido' per intenderci, in cui il sound combina influenze dark/punk/new wave con melodie tipicamente mediterranee, cariche poi di un fortissimo impatto emotivo. Qui percepisco una situazione alquanto simile, per quanto confluiscano nella proposta dei nostri dinamiche più attuali, con derive elettroniche ma anche sfuriate metal. Un bel basso apre e guida "Decadenza", un pezzo mid-tempo, oscuro ed incazzato, caratterizzato da buone melodie ma che probabilmente non rimarrà agli atti come uno dei migliori brani della musica dark rock italiana. La band ci riprova con l'emotiva "Hikikomori", un altro esempio di dark sulla scia dei vecchi Burning Gates, ma che in realtà mi ha ricordato "Satana" dei Nuvola Neshua, con la sola differenza che ho davvero amato il brano della band lombarda di primi anni 2000, un po' meno questo che sembra offrire il meglio di sè solamente nel finale. "Pandemica" è un pezzo dal taglio più corposo ritmicamente parlando grazie a dei granitici riff di chitarra ma che non mi convince a livello vocale con il cantato pulito in italiano del frontman, che non spicca certo in personalità; molto meglio invece il finale con delle spoken words in un contesto più post metal che rendono maggior giustizia al lavoro. In chiusura "Disordine e Indisciplina", gli ultimi sette minuti abbondanti all'insegna di un dark metal d'ordinanza, a tratti irrequieto a dire il vero, per un disco comunque che forse manca ancora di spunti vincenti per poter dire la propria in un ambito che vanta oltre quarant'anni di storia alle spalle e che necessita di molto di più per poter rimanere negli annali di questo genere. (Francesco Scarci)

(Zero Produzioni/22 Dicembre Records - 2021)
Voto: 65

https://dekadentsa.bandcamp.com/album/universo-25

venerdì 18 giugno 2021

Desaster - Churches Without Saints

#FOR FANS OF: Black/Thrash
This album packs a big punch! Aside from the overlapping genres, it's an acquired taste. I liked the album immensely! These guys know how to comprise songs that sting but in a good way. The vocals are aggressive. It's like hoarse mixed with a scream at the same time! Well, if that's possible. The tempos are moderate and well composed riffs! Heavy and fast, but catchy. They show some variations in the guitar department (clean tone guitars) segueing into heavy riffs. Not on all songs, but only a select few. The whole album packs a big punch! The music on some songs are slow, but not entirely for the bulk of the release.

The vocals gauge how the guitars are played and go alongside the voice quite well. I enjoyed all portions of the album! Glad it was full of such diversity as well as originality. So yeah, these guys know what they're doing and it shows in the compositions. They sound a touch like Viking metal but not wholeheartedly. Just to a certain extent. They play with a lot of feel and the emotion of anger is rampant! The vibe extenuates that sort of feeling, anger especially. But in any respect, the feel is all their and a lot of well composed riffs. They're pretty king in respect to feel and aggression.

The sound quality is quite good, production-wise very solid. I didn't have a problem with any of the sound on here. The vocals in a certain sense are somewhat overpowering but good. The music and voice was well mixed throughout I didn't have any complaints. They really know what they're doing on here and it comes out in the music. A lot of overt aggression that like I said packs a punch in the brutality of certain riffs and songs. The genres intermix with everything played on here and it's a unique combination of genres they're in! I really liked the feel and simple dynamics.

I bought the CD to this album and I was certain that it was going to be good. Of course you can download this on Spotify and YouTube but I wanted to try a physical copy. I want to support music and the band. I overall thought this album was worth such a high rating because to me it was quite innovative and unique. I don't come across genres of black/thrash metal too often. I'm glad that there's such a genre or category this falls into. Do your part as a promoter of metal and do yourself a favor: purchase the physical CD. It's well worth it! (
Death8699)

(Metal Blade Records - 2021)
Score: 78

https://desaster.bandcamp.com/

Napalm Death - Throes of Joy in the Jaws of Defeatism

http://www.secret-face.com/
#FOR FANS OF: Grind/Death
This release is charged with hatred amazing they pulled it off. I didn't like this in the beginning because it's so different from their older material. By older I mean when Barney first joined the band via 'Harmony Corruption'. I just need to again get used to all the screaming because there's no burly vocals like in the past even on 'Utopia Banished' and 'Fear Emptiness Despair'. Those were the good days (to me). It's a matter of getting used to the 21st century Napalm. This one is charged with blisteringly fast guitar work though they change it up some songs are just slow and seem out of place.

I think the energy here is great! I don't mind this album, it's a more modern Napalm with all the screaming and aggression. Mitch (I believe) does some vocals on here as well. The whole band does a good job on here, it's just not what I expected. But it's a good follow-up from 'Apex Predator - Easy Meat'. That's another really loud one with insane vocals and noise terror. Both this one and their last has this great energy to them. Just take out the useless songs. Some tracks however sound like 'From Enslavement To Obliteration' but the screaming is higher pitched and the guitars are more tranquil.

The music on here is quite unique the guitar sounds great. Just the vocals take some getting used to. I liked all the tracks that weren't slow and like I said out of place for this release. That's my only beef with the album. Other than that, the axe is amazing. Mitch does a great job with the compositions. Him and Shane are fantastic. I think this newer voice of Barney needs adjustment. I haven't heard him sound like his old self since his early days with the band (as I mentioned). He needs to go back to his roots with Benediction and early Napalm while they were just getting established. And say on the live album 'Live Corruption'.

I thought that the production quality was top notch. Everything you could hear rather well. I wouldn't change anything in that respect. This new generation of the band with no original members left except Shane (way early on) is sort of reinventing their sound. It's mainly death/grind with all screaming. It isn't as much of grind since Danny cannot play nearly as good as Mick Harris was with the blast beating. Mick pretty much founded the grindcore drumming. Danny has never been really strong in terms of blasts, I also admired Mick's creativity. It's too bad he didn't stick with the band I think he's in Scorn now.

The songs with main guitars were phenomenal. The energy on here is amazing. It's worth getting the album, what a release! I loved the guitars the most and a hell of a lot of screaming between Barney and Mitch! The intensity! It only gets better as the album progresses. If you're a Napalm fan, especially the newer Napalm, you'll like this. And even though I'm a longtime fan throughout their discography, this one definitely needs to be checked out! Get it on CD and show support to the music industry! (Death8699)


(Century Media - 2020)
Score: 78

https://www.facebook.com/officialnapalmdeath

Devourment - Obscene Majesty

#PER CHI AMA: Brutal/Slam Death
This album is my favorite out of all I've heard from Devourment! The music is what steals the listener. And the vocals are so darn brutal, about the same as ever. The riff-writing is fantastic with licks palm muted as ever before! The music isn't too fast though they change it up somewhat! The tremolo picking with the riffs are substantial. Tempos are varying widely with the vocals not drowning out the guitars. I definitely thought that this is their most original sounding album to-date! These guys don't mess around and it's like this the whole way through the entire album: BRUTAL AS F***.

I decided to buy a physical copy of the CD so that I could fully analyze the music and showing support to the band. The whole album is totally HEAVY. They don't let-up and the hatred is definitely there. This band has a long life ahead of them playing underground metal! I think for this album there's nothing that I'd change because the compositions are phenomenal. The music stole me away and the guitars being my favorite. The vocal output is definitely not tough getting used to! There were some blast beats on here (slam!) and the whole of the album featured moderate to fast riffs.

I thought that the production quality was top notch and the music was a product of good sound as well as vigor. The sound was a steal and the music was aggressive as well as brutal! I liked this from start to finish! These guys know how to construct good brutal death metal. Again, I think this is their strongest release to date! The music is the best depiction of what an album needs to show forth and has to show forth. An album that will go down in the archives as the best Devourment has come up with musically. Make no mistake about it, these guys turned up the creative juices on here!

It's a couple of years old now, let's hope that they have another one lined up somewhat soon! Like I said, I bought the CD and I was more than pleased with it! These guys know what they're doing regarding how to construct the music and arrangements. It's not just brutal in your face, it's brutal with riffs and blow the listener away! I showed support for this band/album, why don't you just take the time to listen to this one especially if you're a death metal fan. It won't disappoint! (Death8699)


domenica 13 giugno 2021

Frozen Wreath - Memento Mori

#PER CHI AMA: Black Atmosferico
È una nuova creatura sonora quella proveniente da Szombathely in Ungheria che risponde al nome di Frozen Wreath. Il duo magiaro ha da poco pubblicato per la Filosofem Records questo debut intitolato 'Memento Mori', che include otto tracce cantate in ungherese, all'insegna di un black atmosferico. Nulla di innovativo, faccio le debite premesse: parte "Megsárgult Fényképek" e il sound proposto sembra un ibrido tra black e folk, con velocità esagerate e blast beat a profusione coniugate con melodie folkloriche. Il risultato non ha nulla di trascendentale fatto salvo quell'assolo finale in grado di regalarmi piacevoli emozioni. La seconda "Halott Igéret" prosegue sparandomi in faccia ritmiche vorticose, quasi i due musicisti ungheresi vogliano dimostrare di essere abili blacksters di un sound in realtà in voga quasi trent'anni fa (Darkthrone docet). Si salvano solo per quei break atmosferici con tanto di spoken words a donare un pizzico di mistero ad una proposta che rischierebbe invece di fare una pessima figura invece per una qualità contenutistica non proprio cosi esaltante. Con "Miért?" si torna ad un black mid-tempo di stampo folk con la voce del frontman Roland Neubauer (che abbiamo già incontrato nei Witcher) che abbandona il classico screaming scolastico per abbracciare un cantato pulito in un contesto epico in stile Isengard, il che non mi dispiace affatto, anche se arrivato 27 anni dopo quel 'Vinterskugge' che mi fece adorare il side project di Fenriz. "Ősz" riprende con un black ferale scoordinato che mi fa francamente storcere il naso e presto anche skippare sul lettore cd. Non è certo questa la versione dei Frozen Wreath che prediligo, a base di quel black old school con cui sono cresciuto nei famigerati anni '90. Non saranno pertanto questi Frozen Wreath a farmi tornare il desiderio di rivivere quelle emozioni vissute oltre un ventennio fa. I due di oggi sono più convincenti infatti nella loro versione più melodica, come in questo pezzo quando un piano si prende la scena e guida le clean vocals dei nostri in una seconda parte decisamente più riuscita, merito anche di un comparto melodico più piacevole. La band però deve ancora avere le idee confuse e in "A Kőszikla Megmarad" propone un black troppo ragionato che alla fine non sa proprio che direzione pigliare e dopo una sconclusionata parte centrale vira verso un finale atmosferico. Furia black invece per "Feltámadás", in cui sottolinerei le chitarre stile Windir, in un pezzo che vanta un organo a metà brano, prima dell'ennesima scorribanda black nel finale. La title track è forse il pezzo migliore del disco, grazie alla sua lunga parte atmosferica introduttiva e ad una seconda metà, per quanto all'insegna di un black scolastico, meglio riuscita rispetto ai precedenti pezzi. Ancora meglio la conclusiva "Fagyott Koszorú", il pezzo più cupo, lento e ben assortito di questa prima release dei Frozen Wreath, che dovranno far decisamente di più in futuro per uscire da quell'underground affollato di band uguali a questa. (Francesco Scarci)

(Filosofem Records - 2021)
Voto: 63

https://frozenwreath.bandcamp.com/releases

Cult Of Occult - Ruin/Black Sea

#PER CHI AMA: Sludge/Doom
Da Lione ecco tornare i Cult of Occult, duo che avevo avuto modo di conoscere nel 2015 in occasione della logorante uscita di 'Five Degrees of Insanity'. Dopo allora i nostri hanno rilasciato un altro album, 'Anti Life', ed un paio di split, prima che questo 'Ruin/Black Sea' vedesse la luce. Francamente non capisco però perchè venga definito un EP dal sito Metal Archives, trattandosi di un due pezzi di oltre 40 minuti di musica. Un altro bel mattone da affrontare tutto di un fiato quindi, preparatevi al peggio. Il titolo del disco racchiude poi anche quello dei due brani che lo compongono, "Ruin" e "Black Sea" appunto. Si parte con il primo, e quasi tre minuti spesi solo per assemblare il giusto riff con il quale dare il via alle danze. Poi è un lento incanalarsi verso le viscere dell'Inferno in un brano lento, pesante e tortuoso,dove il nostro Caronte è rappresentato dalla voce del frontman che ci accompagna in un'ambientazione poco invitante, all'insegna di uno sludge doom claustrofobico da incubo. Lo sottolineavo già sei anni fa, ma il sound dei Cult of Occult si conferma ostico e mortifero, con ben poco spazio concesso alla melodia, che si percepisce finalmente al decimo minuto attraverso un giro di chitarra che cattura la mia attenzione mentre l'andatura marziale dei nostri prosegue imperterrita a scavare avvallamenti di riff quasi impercorribili. I due transalpini si giocano poi la carta del riffing minimalista verso il quindicesimo minuto, e l'atmosfera si fa ancor più priva di ossigeno e l'ossessione musicale spinge le nostre menti allo sbandamento totale verso funeree derive autodistruttive, nel finale suffragate da urla che sembrano provenire da uno dei gironi danteschi de 'La Divina Commedia'. Non è un ascolto per deboli di spirito e carattere, ve lo premetto, servono nervi saldi e forza d'animo per affrontare questi lunghissimi e plumbei minuti che ci conducono al secondo capitolo di questo lavoro. È il momento di "Black Sea" infatti, un altro monolitico pezzo, precedentemente incluso nello split con i tedeschi Grim Van Doom. Le dinamiche sono le medesime della prima traccia ossia un rodaggio iniziale alla ricerca del giusto riff e su quello imbastire poi una sorta di monologo chitarristico tra trame desolanti e catartiche che ci condurranno con un pizzico di melodia in più, fino al termine dei suoi lunghissimi 22 minuti di durata. Interessante scoprire infine che la versione in cassetta di 'Ruin' contiene invece il remix della stessa, intitolata "nuiRe", un brano all'insegna della disperazione più totale che potrete ascoltare sul sito bandcamp dei nostri. Insomma quella dei Cult of Occult non è certo una delle proposte più semplici da assimilare, però se vi sentite abbastanza forti di cuore per farlo, potrebbe essere un'esperienza quasi al limite del sovrannaturale. (Francesco Scarci)

Borgne - Temps Morts

#PER CHI AMA: Industrial/Black
Li avevo già amati in occasione del precedente 'Y', tornare ad amarli oggi, quando ad uscire è questo nuovo 'Temps Morts', è cosa ancor più semplice. La guida è sempre quella magistrale della Les Acteurs de l’Ombre Productions che confeziona gli oltre settanta minuti e passa di musica visionaria degli svizzeri del Canton Vaud, fatta di un connubio tra black e industrial. Loro sono i Borgne, un duo che da 23 anni ci regala ottimi lavori in ambito estremo. 'Temps Morts' ricomincia là dove lo scorso anno 'Y' aveva chiuso, con un sound prepotente, evocativo, coinvolgente. Si parte con il mid-tempo di "To Cut the Flesh and Feel Nothing But Stillness" e quell'impasto affidato a elettronica, melodia industriale e vocalizzi black che rendono la proposta del duo di Losanna sempre fresca e attuale. Ottima l'effettistica sci-fi, spettacolari le melodie avvolgenti, che confermano l'imprevedibilità dei due Bornyhake e Lady Kaos, qui supportati da Basstard al basso, in una deflagrante miscela sonora che prosegue in dinamiche veloci, dissonanti e insane nella successiva "The Swords of the Headless Angels". Qui, quasi dieci minuti di un sound sovraccarico di suggestioni di qualsiasi tipo, provenienti sia dal mondo della musica estrema che da quello dell'elettronica e del dark, senza dimenticare il noise/drone del finale. Il marasma sonoro puntellato da beat industriali, governa anche la terza "L’Écho de Mon Mal", una traccia furibonda a livello musicale e vocale, tra velocità sospinte a tutta forza, una martellante sezione ritmica e le vocals di Bornyhake sempre spettacolari nella loro accezione grim. Ancora un finale ambient, ma questa volta non fatevi ingannare perchè il fuoco sarà pronto a divampare in un finale incendiario. Si prosegue con il tremolo picking di "Near the Bottomless Precipice I Stand", una song maligna, interessante a livello di arrangiamenti, con un piglio forse più sinfonico delle precedenti, ma che comunque presenta chitarre acuminate come lame di rasoi e che allo stesso tempo, ci offre un break più meditabondo a metà brano ed un finale sospinto da una tribalità ancestrale. Tempo di una lunga e stralunata song acustica, "I Drown My Eyes into the Broken Mirror" e si ricomincia alla grande con i nostri che confermano di non avere decisamente il braccino, investendoci con "Vers des Horizons aux Teintes Ardentes", un altro pezzo convincente e avvolgente grazie a delle linee di chitarra glaciali e bollenti al tempo stesso e ancora un finale all'insegna del rumorismo sonoro, quasi una regola di questo disco. Un'altra bomba e arriva "Where the Crown is Hidden" più black doom oriented, una splendida variazione al tema che mi ha condotto negli abissi sonori creati dai Borgne, un brano che francamente ho amato, e che forse eleggerei come mio preferito di 'Temps Morts'. Ma c'è ancora tempo per decidere, visto che manca a rapporto il beat quasi EBM dell'incipit di "Even If the Devil Sings into My Ears Again", un brano che evolve sulla scia dei migliori Samael e che vanta il migliore finale tra le song contenute nel disco, epico a dir poco. In chiusura invece, "Everything is Blurry Now", la traccia più lunga del lotto, oltre quattordici minuti (di cui quasi sei rumoristici) che riassumono fondamentalmente tutto quanto contenuto in questo ennesimo sorprendente capitolo della saga Borgne. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2021)
Voto: 80

https://ladlo.bandcamp.com/album/temps-morts