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lunedì 23 settembre 2019

Vardan - Serial Demo III

#PER CHI AMA: Black, Burzum
Dall'Italia con furore: è il caso di Vardan, one-man-band catanese autore di oltre 30 lavori (tra full length e split) negli ultimi sette anni, un record, anche se il polistrumentista ci tiene a sottolineare che si tratta di lavori concepiti in tempi diversi. Quest'oggi il mastermind siculo si presenta con una demo di due pezzi, e chissà poi perchè una demo dopo questo mare di release, costituita da un sound che prosegue sulla scia del black depressive desolante espresso nei precedenti lavori, un sound che evoca inequivocabilmente il buon Burzum o gli Xasthur. È palese sin dall'opener "III - 5", dove sul rifferama monolitico di scuola norvegese, poggiano i vagiti del musicista nostrano. La proposta puzza inevitabilmente di già tremendamente sentito, però le melodie di sottofondo sulle quali poggia l'architettura del pezzo, hanno comunque il loro fascino. C'è molto del conte Grishnakh nella musica di Vardan, forse ancor di più nello spettrale black mid-tempo di "III - 6". La cosa che forse potrebbe far storcere il naso ascoltando questo 'Serial Demo III' potrebbe essere una certa ridondanza di fondo nelle linee di chitarra ma fortunatamente il lavoro si ferma dopo soli 14 minuti, il tempo sufficiente per non farci stancare della natura monocorde di questo two-track. (Francesco Scarci)

Wires & Lights - A Chasm Here And Now

#PER CHI AMA: Post-Punk/Darkwave, Joy Division, Bauhaus, The Cure
La teatralità e l’inganno sono strumenti potenti” è una frase ricorrente nella trilogia del Cavaliere Oscuro, con la quale il regista Nolan sottolinea come il nostro Batman, tanto privo di superpoteri quanto ricco di ingegno e furbizia, riesca ad avere la meglio su avversari più forti e numerosi grazie ad astuti trucchi.

In campo musicale non ci sono ovviamente vite innocenti in gioco, tuttavia al giorno d’oggi è in atto una sorta di lotta per la sopravvivenza in scene ormai saturate da mille proposte ed è quindi naturale che molte band scelgono di utilizzare alcuni “trucchi” per emergere, come puntare stilisticamente sull’usato sicuro e ammantarsi di un’estetica ben riconoscibile, in modo da stuzzicare l’attenzione di uno specifico target di pubblico.

Gli Wires & Lights con il loro atteso album 'A Chasm Here And Now' non si stanno certo facendo beffe di noi, anzi: ci troviamo di fronte ad un solidissimo album post-punk pensato e (ben) costruito per soddisfare le preferenze degli amanti di Joy Division, Sisters Of Mercy e The Cure, rimaneggiando i capisaldi del genere attraverso un sound più moderno.

L’intenzione della nuova creatura del cantante-chitarrista Justin Stephens (già noto nell’ambiente grazie al precedente progetto Passion Play) è evidente fin dalla prima traccia “Drive”, un dirompente singolo trascinato dalle dinamiche di batteria e dai giri avvolgenti del basso, dove le atmosfere sognanti della chitarra lasciano spazio ad esplosioni di rumore che si spingono fin quasi allo shoegaze.

Il tema portante di questo disco è per lo più la lotta contro i demoni interiori della depressione, ben rappresentata dalle atmosfere decadenti e tormentate che gli Wires & Lights ricamano attraverso le varie sfumature di post-punk, gothic rock e dark wave. Tuttavia, la band sembra voler descrivere uno scontro in cui il male è infine destinato ad essere sconfitto: ecco perché nello sviluppo di brani come “Swimming” e “Cuts”, traspare sempre una chiara determinazione ad uscire da queste paludi mentali e non mancano raggi di luce pronti a squarciare le ombre.

I dieci pezzi dell’album, quasi tutti della durata compresa tra i quattro e i cinque minuti, si susseguono piacevolmente riuscendo a mantenere vivo l’interesse dell’ascoltatore, tra raffinati richiami al passato e l’inserimento discreto di elementi moderni e più catchy. Menzione speciale per la struggente “Anymore”, l’evocativa ed etera traccia dark-wave “24h” e la seducente “Sleepers”, riuscitissime canzoni che si elevano su un insieme comunque di buonissimo livello.

Cosa manca dunque? Forse un po’ di temerarietà nell’andare oltre confini ben definiti: i nostri amici berlinesi mostrano di essere a proprio agio nell’affrontare i bassifondi del post-punk, sfoderando tutto il campionario di riferimenti e cliché del genere, ma evitando abilmente di apparire troppo stereotipati. Il costume di nuovi alfieri di questa scena pertanto calza a pennello agli Wires & Lights e bisogna ammettere che di 'A Chasm Here And Now' non è difficile innamorarsi, ma va anche detto che potrebbe essere altrettanto facile dimenticarsene. (Shadowsofthesun)

domenica 22 settembre 2019

Bodily Ruin - Malevolent Existence

#PER CHI AMA: Death Old School
Un'altra demo sulle pagine del Pozzo, questa volta ad opera degli americani Bodily Ruin. La band originaria di Los Angeles, ci propina un 3-track di death metal di vecchia scuola, in cui il tempo sembra essersi freezato ormai a 30 anni fa. Capisco la nostalgia per i grandi del passato, ma francamente non se ne può più, bisogna andare avanti, portar fuori il carrozzone da quel pantano in cui è tragicamente finito. Quindi servono idee e non scopiazzamenti ai primi Death come accade in 'Malevolent Existence', perchè poi la mannaia del recensore cattivo si abbatte senza pietà sulla testa della band di turno. Dei tre pezzi, l'unica nota significativa va ad uno stravagante (ma brevissimo) assolo che compare in "World of Nothingness", tutto il resto è francamente noia. (Francesco Scarci)

martedì 17 settembre 2019

Isonomist - Pillars

#PER CHI AMA: Metalcore/Djent, Meshuggah
Degli Isonomist dal web ho cavato meno di un ragno dal buco, zero informazioni a parte il fatto che il quartetto dal Texas si etichetta come progressive band. Ecco, partirei già col dire che allargherei un po' le maglie di questo stretto vestito, visto che la traccia di apertura di 'Pillars' ci consegna piuttosto una band che viaggia nei binari del metalcore. Comunque a parte questa necessità di etichettare le cose, c'è da dire piuttosto che la band propone cinque song parecchio vertiginose per ciò che concerne tempi dispari, ritmiche sghembe, melodie poliritmiche, tutte caratteristiche che identificano il djent, o comunque suoni affini ai Meshuggah o ancora una certa vena deathcore tipicamente americana. "Loss", "By a Thread", "Beta" e via via dicendo anche le altre song, viaggiano sui binari alquanto imprevedibili di tale musica, e in cui la definizione che ritenevo alquanto stretta di progressive, si potrebbe applicare esclusivamente per una certa perizia tecnica che contraddistingue questi musicisti. Per il resto, è il classico sound a cavallo tra metalcore e deathcore, con linee di chitarra non proprio lineari, i famigerati quanto stra-abusati stop'n go, le vocals che si muovono tra pulito e growl, e poco altro da segnalare, se non una più complicata fase digestiva rispetto agli originali, in quanto qui la melodia non è proprio una delle caratteristiche della casa, visto che il sound rischia addirittura di incancrenirsi in territori più estremi, come accade nella quarta "Fading". Manca ancora una traccia a chiudere l'EP, "Confessional", e apparentemente, sembra essere anche il brano più accessibile, sebbene ascoltandolo potreste pensare che il mio sia un eufemismo. Comunque 'Pillars' è un lavoro che rimane raccomandato per soli amanti del genere, per gli altri suggerisco come sempre di volgere lo sguardo agli originali. (Francesco Scarci)

(Self - 2019)
Voto: 60

domenica 15 settembre 2019

Chaos Over Cosmos - S/t

#PER CHI AMA: Melo Death, Scar Symmetry
È un progetto internazionale quello dei Chaos Over Cosmos che ci propinano, in questo loro EP uscito esclusivamente in digitale, tre tracce che fanno l'occhiolino in modo quasi malizioso ed inequivocabile agli Scar Symmetry e più ad ampio raggio, ad un prog melo death sci-fi che trova ampi consensi anche tra i gusti del sottoscritto. Tre tracce dicevo per questo EP omonimo, che arriva a distanza di un anno dal debut 'The Unknown Voyage', che si aprono con "Cascading Darkness", song che chiarisce immediatamente la direzione musicale del combo austral-polacco, che dai maestri svedesi non raccoglie solamente le linee di chitarra ma anche il classico dualismo vocale (growl/clean, anche se quest'ultimo è da rivedere). A livello musicale, i nostri se la cavano davvero alla grande, non fosse altro che alla chitarra c'è questo musicista polacco, tal Rafał Bowman, un virtuoso della sei corde, mentre alla voce il bravo vocalist australiano Joshua Ratcliff, già visto nei Resurgence ed ex Born of Chaos. Comunque la band ci sa fare ed il secondo brano conferma se addirittura non migliora, quanto proposto nell'opener. "Consumed" è infatti una song di otto minuti, in cui i nostri ci dilettano con quanto di meglio ha da offrire la casa, soprattutto a livello tecnico, palesando un ottimo gusto per le melodie con l'ottimo lavoro alle chitarre e synth da parte di Rafał. La band si dice ispirata da band quali Iron Maiden, Dream Theater, addirittura Vangelis e Depeche Mode per ciò che concerne l'ambito elettronico; a mio avviso, i due musicisti sono degli ottimi mestieranti, in grado di mettere su pentagramma suoni accattivanti, sicuramente un po' ruffiani (basti ascoltare anche la strumentale traccia conclusiva "Asimov") in un esercizio di stile, sicuramente non indifferente. Per me è si, e sono quasi certo che i Chaos Over Cosmos avranno tutte le carte in regola per farsi strada nella jungla del death melodico. (Francesco Scarci)

Vile Nothing - Pessimist

#PER CHI AMA: Crust/Hardcore
Un po' di insano punk-crust-hardcore proveniente dalla Svezia è quanto proposto oggi dai Vile Nothing e dal loro 'Pessimist'. Si tratta di un EP di quattro pezzi che irrompono con la ferocia molestia di "In Disgrace, With Fortune", un brano breve ma incisivo, costituito da chitarre sparate ai 200 km/h e da una batteria al limite del grind, per poi rallentare paurosamente sul finale con una tirata di freno a mano da cappottamento garantito. "Erased" prosegue con un'altra ritmica al fulmicotone su cui s'installano le vocals sbraitanti del frontman; da notare che come sul finire della traccia in apertura, cosi anche in questa seconda song, sono presente i classici bombastici tonfi del deathcore a contaminare ulteriormente la proposta dell'act di Stoccolma che con il proprio sound non fa altro che darci un sacco di schiaffoni. Vi basti ascoltare la ficcante proposta della terza "Dåren Är i Lådan" un pezzo di 67 secondi devoti ad un tremebondo mathcore. Il finale apocalittico è dispensato dalle note furenti di "Abhorrence", l'ultimo straripante ed iconoclasta inseguimento dei Vile Nothing. Paurosi. (Francesco Scarci)

Petricor - First Breath

#FOR FANS OF: Instrumental Post Rock
'First Breath' is the 2019 release from Italian post-rock band Petricor, released on Fluttery Records. The opening track "8" begins with calm progressive synths and twinkling melodic guitars with its enthusiastic melody leading the album with its soft-rock roots. "People" follows transitioning into almost hard-rock with darker melancholy sounds revealing Petricors true intentions by deviating from the generic rock formula. "Naked" returns to the more relaxed sound of the album constantly chasing a climactic melody feeling like a film score for a romantic coming of age independent indie movie. "Last Breath", "Unbroken Horses" and "Saudade" see the album start to become repetitive, stuck in a soft-rock loop with a sound that initially seemed optimistically refreshing but becomes increasingly stale, although "Saudade" does hold some of the charm of the opening tracks. The same can't be said for the closing track, "Super8 (Remix)" which is a welcomed departure from the formulaic structure, almost feeling like Hot Chip, with its electronic emphasis deviating from the conformity of a standard progressive pop-rock sound, feeling more experimental, giving hope for Petricors future. (Stuart Barber)

(Fluttery Records - 2019)
Score: 63

https://petricor-band.bandcamp.com/releases

Virtual Time – a.gò.gi.ca

#PER CHI AMA: Post Rock/Alternative
Devo confessare che ci ho messo un po' di ascolti per comprendere il nuovo album (uscito per la GoDown Records) di questa band veneta, i Virtual Time, le cui uscite precedenti non mi avevano entusiasmato più di tanto e per cui nutrivo forti dubbi e perplessità anche a riguardo di una loro nuova release. Dubbi e perplessità che sono svaniti dopo variegati ascolti di 'a.gò.ci.ca'. Valutando a fondo questo lavoro, si denota infatti una maturazione musicale enorme, le composizioni si arricchiscono, hanno più stile, sono più aperte e strutturate, lasciando trasparire un amore per il rock anni '70, quello più colto, complicato, cerebrale e sofisticato, Pink Floyd oriented per intenderci ed il rock dei grandi album concettuale dei The Who, il tutto, mescolato con abili mani ad aperture dal sapore alt country e sonorità moderne rubate a Muse e agli Arcade Fire. Ottima la commistione sonora, molto intrigante, che strizza l'occhio al buon ascolto e all'immediato, lasciando sempre trasparire una trama ben costruita ed un groove radicato e profondo, cosa che la verve sbarazzina di cui la la band si rivestiva nei dischi precedenti, riusciva a nascondere quasi del tutto. Dei bravi musicisti questi Virtual Time, che accantonano il voler divenire a tutti i costi una rock band modaiola, per salire di grado e presentare una manciata di brani adulti, originali, pieni di pathos e molto spesso dal sapore malinconico e visionario, talvolta anche intrisi di una solida base free rock molto avvincente. L'uso di parti elettroniche, rumori e suoni di fondo, l'eco della voce sullo stile dell'ultimo Springsteen, calano l'asso vincente, le aperture timbriche ariose ed esplosive alla maniera dei maestri canadesi, sciolgono l'anima in una catarsi vorticosa e sebbene il disco apra con un tempo truffaldino molto cool, ben presto ci si accorge di essere di fronte ad una suite sonora intensa e costruttiva. Un artwork di copertina assai intrigante, una produzione con i fiocchi ed un suono ricercato, una forma classica ma che si avvale di un sound fresco e moderno, con echi degli ultimi U2. Da sottolineare poi l'intensa prestazione vocale di Filippo Lorenzo Mocellin, che sfodera con grazia e vigore, le sue qualità canore sullo stile del buon vecchio prog rock di matrice '70 e l'interpretazione da navigata rockstar sempre a portata di nota. Dal lotto di brani si ergono a superstar, la perla oscura "Falling Away", la floydiana, contorta e sognante "Moonshadows", la psichedelica "She" ed il brano conclusivo dalla bella coda finale esplosiva, "Distant Shores". Un disco da gustare nota per nota, scoprirne il valore ed apprezzare una band che ha trovato il modo giusto di diventare adulta artisticamente, rinnovandosi, evolvendo in maniera originale. Ottimo disco! (Bob Stoner)

(GoDown Records - 2019)
Voto: 72

http://www.virtualtimemusic.com/

lunedì 9 settembre 2019

Exhumation - Seas of Eternal Silence

BACK IN TIME:
#FOR FANS OF: Death Metal, Death
Alongside Shadows Fall, Jungle Rot, and Hecate Enthroned, the Greek incarnation of Exhumation released its first album in 1997 to round out a diverse expanse of underground metal debuts during this waning period of the '90s. What makes Exhumation stand out among that list of comparatively more successful releases is how deep a diamond this band is in the rough. Finding few friends among the three other stillborn starts from other outfits under the same name by that year (and five more since) this Greek iteration finds itself digging its heels into the thrashier end of the death metal spectrum in order to provide a staunch bedrock on which to build its more melodic moments.

Engulfed in erratic percussive energy, lamentatious guitar is swallowed by whirlpools of melancholy washed with orchestral swings as Exhumation attempts to navigate its 'Seas of Eternal Silence'. Where the Hellenic quintet is characterized as melodic death metal for its flowing guitars hinging on accessible arrangements that end up enchanting with delicate diminishing measures, this outfit doesn't shy away from the intensive thrashing roots of death metal that so many bands in the melodic offshoot seemed to have shunned in subsequent years when infusing their own styles into the substantial beatdown necessary to elicit such anguished harmonies.

Exhumation shines by taking a quintessentially Death sound in “Dreamy Recollection” right off its strict rails into a broad melodic tangent through such a drastic deviation that it would definitely satisfy Schuldiner's more progressive sensibilities. Starting out with the hammering snare and rolling double bass from Pantelis Athanasiadis, shredding guitars from Panos Giatzoglou and Marios Iliopoulos provide an imposing thunder thickened by the bass handled by John Nokteridis as his vocals give a gruff scream until a raucous chorus comes up. Curt bellows of heaving melody crash into the meter and fall back into the atonal treble rhythm like white caps appearing in a battleship grey surf. Holding onto its hammering initial structure and squeezing it into a kaleidoscope of creativity puts this song evenly on the fence between 'Leprosy' and 'The Sound of Perseverance' in a way that honors the waning career of Death while Exhumation also forces itself forward from miring in its own grief to actively embracing the coming storm. While the band cannot help but mollify its passages in “Ceaseless Sorrow” and let its anguish flow, Exhumation makes sure to fight through its anguish with the furious trappings of extreme metal to make for a fruitful journey rather than a fitful forlornness.

Regal synth sounds common to albums like 'In the Nightside Eclipse' or 'Dark Requiems... and Unsilent Massacre', usually employed in ominous interludes between aggressive moments, end up becoming a beautiful baying backdrop to the crumbling curls of emotional melodies expanding the title track from its furious base into a melancholic motion. In “Forgotten Days” this synth seamlessly blends into the breathy space between brash lead guitar notes and whips the groovy mechanical rhythmic interlude into majesty as this synthetic orchestration, hammered by the desolation of the drumming, meets the human acumen for improvisation to ramp up the delirious depression before becoming trapped in a melodic whirlpool with its tentacular appendages inhaled by the sea.

Still, what becomes increasingly noticeable throughout this album is that Exhumation, while plotting out some compelling endpoints to its apogees, has trouble forging the path to those places without losing its way in filler where it would benefit to make a clean break. Where the band's ideas are expansive, shortening some of its songs and tightening up its structure would likely allow a wider range of ideas to come forth. Cutting off one grotesque head in order for two to come up, Exhumation could conjure its own hydra without losing itself in the tumultuous middle passages of each voyage. Though it is true that storms like these provide the drama necessary to start a shanty, not every cruise leaves a fleet as lost as Odysseus. This uncertainty seems as much due to Exhumation's influences, starkly sourced from Sepultura in the likes of “Passing Suns”, as it seems the band was wowed by the achievements of early Death and the increasingly extreme thrashing troupes throughout the style's early years and provides an honest attempt at emulation but simply has trouble rounding itself out as gracefully as it had in “Ceaseless Sorrow”.

Regardless, Exhumation's forthright and impressive first full-length is made even more inspiring in its placement in time. Released six months and five days prior to Amon Amarth's first full-length, 'Seas of Eternal Silence' is an album that harbors its intensity with the foreboding contraction of an ocean and expresses itself in the indefatigable onslaught of a tsunami when it finally rips out of its malaise. “Guilts of Innocence” riles itself up from the thrash drum cadence into roiling blast beating that provides apogee to its assault and finally is able to blend itself into the aggressive atonality that compliments with percussion the lofty ambitions of the treble that, through this frantic piece, pits Death's thrashier momentum up against the increasing velocity of an emerging generation. A curious aspect of Exhumation's art is in how closely it sticks to the oldschool elements of early death metal. Showing its uneasiness with the hyper-aggressive approach of the new blood, Exhumation comes across as a demonstration of this transitional time in the traditional death metal approach, showing an appreciation for the aggression of the previous years while attempting a more artsy attitude in its own execution. (Five_Nails)


(RRS/Vic Records - 1997/2019)
Score: 87

https://www.facebook.com/exhumation

sabato 7 settembre 2019

Narrative - Late Valediction

#PER CHI AMA: Post Metal strumentale
Della serie chi fa da sè fa per tre, ecco arrivare dalla Germania i post metallers strumentali Narrative con un lavoro DIY, 'Late Valediction', che consta di quattro pezzi per quasi venti minuti di musica. La proposta del terzetto di Tübingen combina una ritmica post-metal con delle aperture atmosferiche ultra riverberate tipiche del post rock, il tutto narrato da una serie di spoken words che suppliscono alla grande all'assenza di un cantante in carne ed ossa. E sapete quanto io ci tenga, ritenendo la voce uno strumento essenziale per la buona riuscita di un disco. Però in questo caso, sin dall'opener "Freeze", non avverto la mancanza di un vocalist forse perchè la musica si muove in anfratti chiaroscuri di un post qualcosa, dove peraltro si evidenzia una buona caratura tecnica dei singoli musicisti. La seconda "Moloch" sembra voler enfatizzare il lavoro di accompagnamento del basso a chitarre e batteria in un brano caratterizzato da un saliscendi melodico di tutto rispetto. Si prosegue con "In All that Dark, in All that Cold", un pezzo dalle atmosfere più soffuse, in cui non manca il classico tremolo picking del post-rock e le ormai immancabili spoken word. Ma poi mi domando, anzichè usare il parlato non si può mettere un vocalist a tutti gli effetti? Che diavolo cambia? Mah. E allora senza farsi troppe domande, meglio godersi le ispirate melodie di chitarra, interrotte da un riffone più aggressivo di cui francamente avrei fatto a meno. Scelte personali come quella di "The Self Under Siege" che chiude il digipack dei Narrative con un pezzo ritmato dal carattere più meditabondo e malinconico. Sicuramente interessanti, ma c'è ancora molto da lavorare. (Francesco Scarci)

giovedì 5 settembre 2019

Grabunhold - Unter dem Banner der Toten

#PER CHI AMA: Black, Mayhem, Windir
I Grabunhold sono un quartetto proveniente da Dortmund, palesemente ispirato al black metal di metà anni '90 al contempo anche alla letteratura tolkiana, dal momento che il moniker si rifà agli spettri dei Tumuli citati proprio da J. R. R. Tolkien in uno dei suoi scritti. 'Unter dem Banner der Toten' è l'EP di debutto dopo che nel 2017, i nostri avevano rilasciato un promettente demo intitolato 'Auf den Hügelgräberhöhen'. Dicevamo delle influenze della band: dall'ascolto della tumultuosa opener "Gespenster", i richiami ai vecchi classici sono evidenti: si va infatti dal fare riottoso dei Mayhem al più sinfonico degli Agathodaimon o al più epico dei Windir, come sottolineato dalle melodie in apertura di "Hexentanz", la seconda song. Il quartetto suona in modo comunque convincente e pur non inventando nulla di nuovo, si lascia piacevolmente ascoltare, alternando ritmiche infuocate con dei fraseggi di epica vastità che conferiscono una certa ariosità alla proposta del combo germanico. La seconda song vede peraltro i nostri abbandonare il cantato in screaming per delle spoken words, mentre il sound va dilaniando le carni con frustate di blast beat e chitarre in tremolo picking. "Von Gefallenen Helden und Vergess" è il classico bridge che ci conduce a "Grabunholde", ultimo atto di questa prima prova per la compagine germanica. La song è delle quattro quella che mi ha convinto meno, sebbene rimanga visibile il marchio di fabbrica dei Grabunhold che qui arrivano a palesare più forte anche una certa componente malinconica, oltre che delle orchestrazioni che sembrano evocare i Dimmu Borgir di 'Stormblast'. Alla fine, quella di 'Unter dem Banner der Toten' è una prova onesta che mette in luce pregi e difetti della band ma che lascia un discreto margine di crescita per il futuro della band in un genere sempre più scarno in fatto di idee. (Francesco Scarci)

Evil/Siege Column - Split EP

#PER CHI AMA: Thrash/Death, Sodom
Ormai il nostro è un mondo in cui il cd sta scomparendo quasi del tutto per tornare a far posto ai vinili e alle vecchie cassette quali formati fisici. Non ne sono immuni nemmeno le due band di oggi che insieme condividono questo split album: si tratta dei giapponesi Evil e degli americani Siege Column, con tre pezzi per i primi e due per i secondi. Il cd si apre con la furia distruttiva dello spaventoso trittico di song formato da "Paramount Evil", "Welcome to Satan" e "Rasetsuten". Il primo dei tre pesca direttamente dagli anni '80, citando band del calibro di Sodom o Sarcofago. Quindi un bel thrash/death old school per il quintetto di Tokyo che nella seconda sulfurea song (direi più un interludio di connessione fra la prima e la terza traccia), non nasconde delle influenze provenienti dai Black Sabbath. Si arriva cosi velocemente al terzo brano, un pezzo diabolico che in tre minuti liquida egregiamente la pratica Evil per lasciarci agli statunitensi Siege Column. Una band questa, che include l'onnipresente Joe Aversario, uno che deve essere membro di una cosa tipo dodici band (tra cui gli Abazagorath e gli Altar of Gore) ed ex membro di altre sette. Qui i pezzi sono due: "Mayhemic", soffocante esempio di death metal old school sempre di derivazione ottantiana e "Fight of Destruction", un pezzo di caotico death brutale mal suonato e pure mal registrato che poco nulla mi ha lasciato al termine del suo ascolto. Alla fine comunque, comprendo la scelta operata dall'etichetta per ciò che concerne l'uscita fisica, vista l'obsolescenza dei contenuti di questo Split EP. Ah dimenticavo, ai punti i giapponesi Evil surclassano alla grande gli statunitensi Siege Column e il voto complessivo è figlio della media delle due performance. (Francesco Scarci)

lunedì 2 settembre 2019

Frost - Out in the Cold

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Heavy Metal
Ci sono musicisti che proprio non riescono a stare fermi, neppure per un attimo: Jack Frost è uno di quelli. Oltre ad essere stato membro di Savatage e Metalium (e diverse altre band), essere il fondatore dei Seven Witches, Jack ebbe il tempo e la voglia di rilasciare anche questo solo album nel 2005 (il secondo da solista), dove avvalendosi di una serie di ospiti illustri, diede vita a questo 'Out in the Cold'. Io, che mi aspettavo un cd prevedibilmente costituito da esibizioni solistiche di Jack, sono rimasto parzialmente deluso, perchè in realtà, come già successo in passato, ci si trova davanti un platter di musica classic metal al 100%, con ritmiche rocciose, tanta tecnica e buone melodie che si fissano istantaneamente nelle nostre testoline, il che placa per lo meno la mia parziale delusione. Jack è bravo nell’alternare brani potenti ad altri più catchy e maggiormente immediati evitando, come già detto, ogni raffinatezza stilistica. Il disco si apre con l’alternativa “Wating Your Luv”, brano che sembra esser stato preso in prestito da 'St. Anger' dei Metallica, per un uso abbastanza simile della batteria; da segnalare qui l’ottima prova alle voci di Ted Poley dei Danger Danger. Si prosegue con la sabbatiana “Hell or High Water”, brano che francamente non mi ha convinto più di tanto. Ben altri sono i pezzi che meritano invece una certa attenzione, dovuta anche alle guest star che suonano o cantano nei vari pezzi, e quindi è abbastanza interessante notare come artisti diversi conferiscano un diverso appeal alle varie song. Vi ricordo infatti, che questo lavoro di Mr. Frost, ospitò artisti provenienti da Anthrax, Symphony X, Racer X, Malmsteen, gli stessi Seven Witches, WASP e molti altri, band peraltro inserite in diversi contesti musicali e che quindi hanno in un qualche modo influenzato in una direzione o nell'altra la proposta di Mr. Frost, con il proprio stile musicale. Alla fine il risultato che ne viene fuori è buono, anche se c’è qualche pezzo che suona troppo morbido o fuori dal coro, come “Passage to the Classical Side”, ballad dal forte sapore ottantiano. Ottime invece, le aggressive e mai noiose “Crucifixion”, “Sign of the Gipsy Queen” e “Covered in Blood”, senza dimenticare la triste e melodica “Cold as Ice”. Insomma, un buon lavoro da parte di Mr. Frost, piacevole da ascoltare, ma non completamente ispirato, complici brani non proprio originalissimi. Tuttavia un ascolto, l’album lo merita sicuramente. (Francesco Scarci)

Nupta Cadavera - S/t

#PER CHI AMA: Black
Certo che con un debut EP (in questo caso un 7") che dura poco più di sette minuti, che cosa si può dire di sensato o più strutturato? Poco o nulla. E allora sappiate che i Nupta Cadavera non sono altro che un collettivo che include membri di altre band altrettanto sconosciute, la cui origine è verosimilmente attribuibile alla scena danese. Due pezzi a disposizione di questi loschi figuri, "Metaphysical Cruelty" e "Instant Mortification of the Soul": il primo quasi mi sorprende per una ritmica lineare, melodica, ascrivibile ad un black melodico con dei vocalizzi arcigni e ahimè una produzione al limite del casalingo che ne penalizza la riuscita finale. Le ritmiche non sono comunque tirate, complici delle disarmoniche e glaciali tastiere di sottofondo che rendono il brano di per sè piacevole, non fosse altro che ogni tanto la batteria sembra scomparire, inghiottita da non so quale buco nero. Il secondo pezzo continua su questa linea mostrando tuttavia una linea di chitarra più abrasiva e zanzarosa, mentre le vocals, sempre più disperate, si concedono qualche sperimentazione ulteriore. Insomma, questi Nupta Cadavera sono la giusta band atta ad arricchire coerentemente il roster della Nuclear War Now! Productions. (Francesco Scarci)

(Nuclear War Now! Productions - 2019)
Voto: 62

https://nuclearwarnowproductions.bandcamp.com/album/nupta-cadavera

domenica 1 settembre 2019

Fire - Walking on Bones

#PER CHI AMA: Heavy Metal, Iron Maiden
È la volta del vinile da 10" con i teutonici Fire e il loro 'Walking on Bones', un EP di due pezzi di quasi 18 minuti che ci riportano anche in questo caso indietro nel tempo alla (ri)scoperta del vecchio heavy metal classico, che scomoda facili paragoni con gli Iron Maiden. La band di Amburgo apre con la lunga title track, 10 minuti di sonorità heavy di scuola inglese che chiamano appunto in causa Bruce Dickinson e compagni, rinunciando però alle classiche cavalcate della vergine di ferro per concentrarsi su un più ragionato mid-tempo, a tratti ammiccante ad un doom rock più che ad uno spumeggiante heavy. Ecco perchè, il maxi-single perde abbastanza velocemente di brio ed interesse, inducendomi quasi a skippare sul più bello, ossia quando la band sciorina finalmente un bell'assolo, elegante a tal punto da ridestarmi da quel torpore in cui ero nel frattempo sprofondato. Con "Enough is Enough" le cose non cambiano granchè, visto che il quartetto germanico persiste nel suonare un po' a rallentatore con una ritmica che sa tanto di marcetta (ma che fortunatamente evolve con melodie sufficientemente gradevoli) su cui si piazza la voce pulita del vocalist. Insomma per ora niente di nuovo all'orizzonte, in attesa di buone nuove. (Francesco Scarci)

Dawn of Relic - Night on Earth

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Swedish Death, Arch Enemy
Dalla Finlandia, vi presento i Dawn of Relic e il loro terzo e ultimo lavoro prima che se ne perdessero completamente le tracce. 'Night on Earth' è un album uscito originariamente nel 2005 e ristampato più volte negli anni a seguire, anche se francamente non ne capisco il motivo. Il melodic black metal sinfonico degli esordi in questa release lascia definitivamente il posto ad uno swedish death metal influenzato in primis da Arch Enemy e in secondo luogo anche dalla melodia fulgente degli In Flames (periodo centrale della loro discografia). Il platter, ottimamente prodotto, offre però solo 30 minuti scarsi di musica, con un sound che ha ben poco da essere ulteriormente approfondito, essendo molto vicino alle band sopraccitate. In “Birth”, la quarta traccia, è ben rimarcabile una forte influenza proveniente dai Sentenced, per quelle sue malinconiche e al tempo stesso frizzanti melodie che emergono dalla chitarra. Ottima, come sempre per i gruppi del nord Europa, la prestazione dei singoli musicisti, non sufficiente però a sollevare un lavoro che in taluni frangenti risulta essere anonimo e noioso. Pensavo che la performance di questi ragazzi finlandesi potesse rappresentare un punto di svolta della loro carriera, per riuscire ad emergere dal sempre più affollato calderone della scena death melodica, ma punti vincenti questo disco ne ha davvero ben pochi: ottimo il songwriting, buona la prestazione del cantante, così come accennavo all’ottima prova dei singoli musicisti. Gli assoli sono anche piacevoli e le ritmiche straripanti, troppo poco però, per riuscire a fare il salto di qualità agognato. Peccato poi, per lo scarso utilizzo delle keys, capaci invece di impreziosire il sound dell’intero lavoro: affascinante infatti, l’ultimo brano del lotto, dove accanto ad una chitarra particolarmente ispirata si affianca anche una delirante tastiera. A differenza del precedente 'Lovecraftian Dark', qui non hanno trovato posto neppure le vocals femminili da fare da contraltare ai growl maschili. (Francesco Scarci)

(Season of Mist - 2005)
Voto: 60

https://myspace.com/dawnofrelicmusic

Horrid Apparition - Evil Reigns

#PER CHI AMA: Death/Thrash, Slayer
Spazio anche ai demo(tape) qui nel Pozzo dei Dannati visto che cosi tanto sono tornati di moda. Interessante innanzitutto notare come a fronte del ritorno della vecchia cassetta, anche la proposte musicali sembrano molto spesso essere tornate indietro nel tempo di quasi trent'anni. È il caso degli Horrid Apparition e del loro (breve) concentrato di thrash death incluso in questo due-pezzi edito dalla Redefining Darkness Records, che sembra evocare gli spettri di due album in particolare, 'Show no Mercy' degli Slayer e 'The Return......' dei Bathory. Tutto appare fin troppo chiaro già dall'opener "Baphomet" in cui il cantato richiama quello del buon Tom Araya e la musica riflette la proposta del gruppo americano, venata però di un che dei primi due lavori di Quorthon e compagni. Lo stesso dicasi della seconda traccia, "Evil Reigns", una bella cavalcata d'impatto con tanto di coro che si stampa nel cervello, che avrebbe fatto la sua porca figura su uno dei primi album degli Slayer. Per ora ci fermiamo qui con queste due tracce che auspico fungano da apripista per la band franco-olandese, che ben si presenta con questi due pezzi per i vecchi nostalgici degli anni '80. Attendiamo sviluppi. (Francesco Scarci)

(Redefining Darkness Records - 2019)
Voto: 65

https://horrid-apparition.bandcamp.com/album/evil-reigns

sabato 31 agosto 2019

Ultar - Pantheon MMXIX

#PER CHI AMA: Post Black/Shoegaze, Deafheaven
Ho detto più volte che il post-black è giunto di fronte ad un vicolo cieco, cosi incartato su se stesso e con sonorità ormai troppo abusate. Eppure c'è ancora chi ha il coraggio di dire qualcosa di diverso in un ambito cosi chiuso. È il caso dei siberiani Ultar che se ne escono con questo meraviglioso 'Pantheon MMXIX', album ahimè disponibile solo in digitale e vinile (e per gli ultimi amanti del cd? ciccia). Tralasciando sterili polemiche, devo ammettere che la band russa, evocando peraltro col proprio moniker e il titolo dei brani il buon H.P. Lovecraft, mi ha sorpreso non poco con questo lavoro contenente sette pezzi ispiratissimi, che partendo da un background post-black appunto, trovano nuovi eccitanti spiragli per il genere. E poco importa se l'opener "Father Dagon" si trova in un qualche modo a citare da un punto di vista vocale anche i Cradle of Filth, a me musicalmente i cinque musicisti di Krasnoyarsk mi hanno semplicemente esaltato, nonostante il loro debut album omonimo non mi avesse proprio fatto impazzire. Partendo da un'ottima produzione, i nostri ci regalano uno dopo l'altro, dei pezzi convincenti a tutti i livelli, dalla musica, alle vocals e ad un sound pregno di contenuti, non solo black, ma pure shoegaze/post rock, come nella parte arpeggiata dell'opener, oppure nelle partiture etniche della seconda "Shub-Niggurath" (altro omaggio al grande scrittore), o nell'oscura quanto assai lunga "Yog-Sothoth", che parte da paranoiche linee di basso per poi affinarsi in splendide melodie dotate di una certa vena sinfonica che arricchiscono ulteriormente la proposta dei nostri. "Worms" è un brano più malinconico mentre che nel finale trova un'altra zampata vincente quando lascia ampio spazio alle partiture semi-acustiche del brano o a delle vocals femminili in background. C'è ancora tempo per la più orrorifica e strumentale "Au Seuil", cosi come per le conclusive "Beyond the Wall Of Sleep" vera tempesta black con lo screaming però troppo vicino a quello di Dani Filth e il gran finale lasciato alla tumultuosa (quasi post-punk) "Swarm" che sottolinea anche una certa ecletticità di fondo della band russa. Bravi, però ora gradirei una copia in cd! (Francesco Scarci)

(Temple of Torturous - 2019)
Voto: 78

https://ultar.bandcamp.com/album/pantheon-mmxix 

Ulver - 1993-2003: 1st Decade in the Machine

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Experimental/Electro
Nel 2003 gli Ulver pensarono bene di far uscire l'ennesima uscita discografica! Non si trattava di un nuovo full-length, bensì ad una raccolta di quattordici remix che attingevano sia dalla produzione più recente del gruppo, sia dal materiale composto prima della svolta elettronica, coprendo l'intero periodo di vita della band norvegese. Alla raccolta partecipano tredici artisti più o meno noti della scena elettronica internazionale: Alexander Rishaug, Information, The Third Eye Foundation, Upland, Bogdan Raczynski, Martin Horntveth, Neotropic, A.Wiltzie vs. Stars of the Lid, Fennesz, Pita, Jazzkammer, V/Vm e Merzbow. Anche gli stessi Ulver prendono parte alla tracklist dell'album con il brano d'apertura "Cruck Bug", dove Kristoffer Rygg decide di rispolverare addirittura "Nattens Madrigal" dal demo 'Vargnatt' del 1993. Sebbene i remix presenti coinvolgano buona parte della vecchia produzione black metal del gruppo, non aspettatevi dei brani troppo movimentati ma "rassegnatevi" ad un ascolto paziente di quasi ottanta minuti di onanismi elettronici e di qualche divagazione rumorista che ogni tanto saprà destarvi dal sonno. Con questo non voglio affermare che il lavoro sia di scarso interesse, più semplicemente penso sia doveroso avvertire chi fosse intenzionato all'acquisto, che quanto si può ascoltare sul cd rimane un po' troppo in linea con le sperimentazioni minimali a cui Mr. Rygg ci ha abituato anche con le ultime pubblicazioni. Trattandosi di una raccolta di remix, pensavo fosse lecito aspettarsi perlomeno una maggior varietà di stile! L'acquisto è consigliato perciò ai soli collezionisti; agli altri suggerisco di rispolverare i più recenti album della band. (Roberto Alba)

(Jester Records - 2003)
Voto: 63

https://www.facebook.com/ulverofficial/

The Vision Bleak - The Deathship Has a New Captain

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic/Doom
Accantonate le attività che lo vedevano coinvolto nel progetto di musica folk Empyrium, Theodor Schwadorf fece ritorno alle proprie origini musicali riscoprendo, in compagnia di Mr. Konstanz, la vecchia passione per il metal, fondando i The Vision Bleak. Dispiace dover parlar male di un musicista che nell'ambito folk seppe difendersi egregiamente e dispiace pure constatare l'imbarazzante pochezza d'idee che investì l'artista tedesco in questo album, ma 'The Deathship has a New Captain' si presentava come un lavoro decisamente troppo deludente per poterlo accogliere in maniera più benevola. Non fatevi trarre in inganno dal poderoso lavoro di produzione perché non è uno specchio sincero di ciò che l'album ha da offrire e anche se i primi due brani "A Shadow Arose" e "The Night of the Living Dead" vi sembreranno promettere qualcosa di buono, fate molta attenzione a non farvi incantare, l'ascolto delle tracce successive potrebbe rivelarsi una brutta sorpresa. Intendiamoci, il suono delle chitarre dei The Vision Bleak è ottimo e persino la preparazione tecnica dei due strumentisti è una qualità che sarebbe ingiusto non sottolineare, ma sono le composizioni a non concedere alcuna emozione e ad apparire senz'anima, nonostante il sontuoso contorno nel quale si trovano inserite. Rocciosi riff di chitarra, un vocione alla Sisters of Mercy, grandeur sinfonica con tanto di tenore e mezzo soprano a sostenere i momenti più pomposi: tanta carne al fuoco che, tolte forse le valide "Metropolis" e "The Lone Night Rider", si risolve in una collezione di song terribilmente aride e monotone. Curiosa la partecipazione del doppiatore tedesco di Saruman (da 'Il Signore degli Anelli') per le parti recitate e intrigante anche l'immaginario horror a cui il gruppo si ispira, ma se di sonorità orrorifiche vogliamo parlare, allora preferisco in ogni caso rivolgermi altrove, ascoltando qualcosa dei Notre Dame o rispolverando qualche vecchio album dei Mercyful Fate. Per quanto mi riguarda, un album assolutamente trascurabile. (Roberto Alba)

mercoledì 28 agosto 2019

Under Eden - The Savage Circle

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Deathcore, Hatebreed
La Black Lotus deve aver puntato molto a suo tempo su questo quartetto proveniente dal Minnesota (USA), visto che venne indicato come nuova speranza del death-metalcore americano. Il sound proposto è molto vicino alle produzioni di Darkest Hour ed Hatebreed. Ahimè, come spesso accade però con la label greca, la produzione non è mai delle migliori e ciò che ne risente alla fine è la qualità del suono, sporco e assai grezzo. 'The Savage Circle' rappresenta l’album di debutto della band statunitense, che ha mosso i primi passi sul finire degli anni ’90 grazie a Ryan McAtee, chitarrista e bassista, a cui si sono poi aggiunti il fratello Christian (chitarrista), Eric Thon (vocals) e Josh Fetzeck (batterista). L’album è un concentrato dinamitardo di death metal in stile americano che si combina con lo swedish sound e ovviamente con il metalcore. Insomma di recensioni di questo tipo, credo di averne scritte un centinaio ed oramai, il più delle volte rappresentano la fotocopia delle fotocopie. Non esulano da questa situazione nemmeno gli Under Eden: dieci brani che trattano la creazione del genere umano, il suo declino e la sua fine, su un tessuto musicale complesso, con interessanti inserti melodici e soprattutto carico di molta aggressività. La traccia numero cinque, “Veil of Twilight”, la migliore del disco, ingloba un po’ tutte queste caratteristiche. Gli Under Eden sono ancora un po’ acerbi, ma la classe fa’ sicuramente parte del loro bagaglio tecnico-musicale: ottimi, infatti, gli assoli e la sezione ritmica, con una prova davvero superba del batterista. Ciò che mi convince meno è la prova del cantante in versione growl, mentre ottime sono le clean vocals. Peccato per la produzione scadente, un “bombastic sound” avrebbe reso questo disco un vero gioiellino. New sensation americana? È presto per dirlo, ma le basi ci sono tutte. (Francesco Scarci)

(Napalm Rec - 2005)
Voto: 60

Törzburg - Dracula's Castle

#PER CHI AMA: Black/Thrash
Ci vuole proprio della gran fantasia chiamare un album 'Dracula's Castle'. Ovviamente il mio è un tono eufemistico, visto che i finlandesi Törzburg hanno banalmente pensato di affidarsi a simile moniker per il loro demo di debutto, edito in cassetta, dalla Iron Bonehead Productions. Il sound proposto è un marcescente black metal, banale per ciò che concerne i contenuti, low profile per quanto riguarda la qualità audio. E la title track in apertura ci conferma quanto poco attento sia stato il buon Strigoi, artefice di questo progetto. La song che dà il titolo al demo infatti è un concentrato casinaro di black thrash punk, registrato male, suonato peggio e cantato in modo obbrobrioso. Per non parlare della successiva "Triumph of Blood": un titolo del genere poteva andare di moda a metà anni '80, cosi come pure la musica era quello che si sentiva nella sala prove delle prime band dedite a questo sound deficitario sotto tutti i punti di vista. Anche con l'ascolto delle restanti due tracce, faccio francamente fatica trovare qualcosa da salvare in questa banalissima release che poco o nulla ha da apportare al genere fatto salvo per un bel po' di frustazione, ossia quella derivante dalla necessità di recensire simili amenità. Bocciatissimi. (Francesco Scarci)

sabato 24 agosto 2019

Nuitville - When The Darkness Falls

#PER CHI AMA: Blackgaze, Alcest
Dalla regione di Donetsk, ecco arrivare Tristan Nuit, polistrumentista ucraino, mente ed esecutore dei Nuitville. La band debutta per la Ashen Dominion con un breve EP di tre pezzi, 'When The Darkness Falls', proponendo un interessante concentrato di blackgaze e black atmosferico. Il risultato dell'opening nonchè title-track, ci fa ben sperare, visto che le melodie malinconiche ben si amalgamano con delle voci che si manifestano sia nella classica forma scream che pulita, mostrando più o meno vistosamente, una serie di punti di contatto con i maestri Alcest. Ottime melodie quindi con un imponente tremolo picking a supporto del drumming, con fortissimi sentori shoegaze che ci riconducono appunto alla band di Neige e soci. Se la seconda "Cold Water" si presenta un po' meno fluida a livello vocale, è sempre la componente melodica a farla da padrona e a convincermi della bontà di questo progetto. L'amore viscerale per Neige si manifesta poi con la conclusiva "Recueillement", una cover degli Amesoeurs, una delle band in cui l'artista francese ha militato nella sua carriera. Il brano? Un tributo dovuto al blackgaze dell'ensemble francese, ben eseguito ma non proprio indispensabile. Bene, capito ora di che pasta è fatto Mr. Nuit, gradiremo una prova più consistente per certificare i buoni sentori di questa opera prima. (Francesco Scarci)

Violet Cold - kOsmik

#PER CHI AMA: Blackgaze, Ghost Bath, Show me a Dinosaur
In un'estate in cui mi sono trovato improvvisamente apatico nei confronti del mio genere preferito, il metal, c'è ancora qualcosa che riesce a stuzzicare i miei sensi e a farmi amare questa musica. Ci ha pensato il buon Emin Guliyev, mente creativa dei Violet Cold, che torna con un nuovo lavoro, l'ottavo full length in quattro anni, intitolato 'kOsmik', uscito peraltro per la nostrana Avantgarde Music. Il cd del mastermind azero riprende dalle note post rock della precedente trilogia 'Sommermorgen', le unisce con le note esotiche del magnifico 'Anomie', infarcendo poi il tutto con stilose trovate post black e shoegaze dal forte impatto melodico. E quindi spettacolare in tal senso "Black Sun", song dal piglio feroce, ma altamente atmosferica e malinconica, caratterizzata dal dualismo vocale tra lo screaming di Emin e quello di una gentil donzella, con le melodie in sottofondo che si riempiono anche di influenze etniche e soprattutto classiche che esaltano la buona riuscita del brano. E io godo. Si perchè il flusso dinamico-musicale costruito dal factotum di Baku lo trovo estremamente piacevole e di buon gusto, in un momento in cui il post-black mi ha francamente frantumato i cosiddetti. E invece i Violet Cold continuano a produrre pezzi coinvolgenti, mai banali che mi fanno dire che c'è ancora spazio per la sperimentazione (la già citata "Black Sun"), per i suoni originali (fantastica l'ultra riverberata "Mamihlapinatapai"), per le emozioni oscure ("Space Funeral" e "Ultraviolet"), per gli echi di windiriana memoria (la title track) o i fortissimi richiami alla musica classica ("Ai(R)" evidente tributo a Johann Sebastian Bach e alla bellissima "Aria sulla Quarta Corda"). Che dire di più, se non invogliarvi ad avvicinarvi a questo brillante artista se ancora non lo conoscete ed ascoltare le sue splendide uscite su lunga distanza, tralasciando invece i fin troppo sperimentali EP. Ben fatto Emin! (Francesco Scarci)

(Avantgarde Music - 2019)
Voto: 78

https://avantgardemusic.bandcamp.com/album/kosmik

venerdì 23 agosto 2019

MetalBack - Illusions

#PER CHI AMA: Atmospheric Black, Mesarthim
Ho appena elaborato una nuova teoria che probabilmente non troverà molti riscontri, però dopo aver perlustrato il sottobosco quest'oggi, ho potuto constatare che nel 90% dei lavori esclusivamente digitali, la qualità sia della registrazione che dei contenuti musicali sia parecchio bassa, quasi a voler dire "che cosa pretendi, lo trovi quasi a costo zero su bandcamp". Finite le mie elucubrazioni mentali, mi sono soffermato sul nuovo EP 'Illusions' della one-man-band russa MetalBack che non ho trovato proprio da buttare, anzi. Un 3-track che pesca a piene mani dal black atmosferico di gente tipo Mesarthim, proponendo quelle melodie cosmiche che s'infilano nella testa e poi da li fanno fatica ad uscire. È il caso dell'opener "Rays of Darkness" ma ancor di più della seconda "I Hail The Winter", due brani che privilegiano la componente tastieristica del lavoro su tutto. Certo, con le registrazioni siamo ancora in fase quasi casalinga, però apprezzo quel sound a cavallo tra il cosmico e il medieval black metal che trova qualche punto di contatto anche con i più classici Summoning. Devo ammettere che il black stia vivendo una fase di stanca fisiologica, con poche band davvero interessanti, però ascoltando questi prodotti dell'underground, riesco ancora ad essere fiducioso nel poter ascoltare un qualcosa che a suo modo abbia qualcosa da dire. E questi MetalBack, vedendo anche la mole di uscite dal 2014 a oggi (mi sembra 18 lavori), possono meritare senza dubbio la vostra attenzione. (Francesco Scarci)

The Pit Tips

Francesco Scarci

Verwoed - De Val
Mephorash - Shem Ha Mephorash
Will Dissolve - The Heavens Are Not On Fire..

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Shadowsofthesun

Torche - Admission
Sonic Youth - Confusion is Sex
Rammstein - Rammstein

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Alain González Artola

Idle Hands - Mana
Bròn - Decay
Malfet - The Way to Avalon

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Five_Nails

Mefitis - Emberdawn
Insomnium - Winter's Gate
Feradur - Legion

Cryptae - Vestigial

#PER CHI AMA: Death/Doom sperimentale, Aevangelist
Siamo sul finire dell'estate e non mi aspettavo di dover accogliere una marea di lavori cosi autunnali e maledettamente claustrofobici. Dopo i Mahr, ecco nel mio lettore girare anche l'EP di debutto degli olandesi Cryptae intitolato 'Vestigial'. Una sola traccia per 19 minuti scarsi di musica opprimente, furente e terribilmente deviata, in quello che dovrebbe essere un lavoro sperimentale di due loschi individui supportati dalla Sentient Ruin Laboratories. Un maelstrom dal quale sarà difficile sfuggire, una sorta di gorgo o buco nero in grado di inghiottire ogni cosa, compresa la vostra mente e le vostre anime. La proposta dei Cryptae abbraccia infatti un death doom surreale, malato e allucinato, una specie di mostro con mezzo corpo dei Morbid Angel e l'altra metà degli Aevangelist, tra ritmiche sconnesse, voci dall'oltretomba, sonorità sghembissime e brutali che vi lasceranno senza fiato in un vortice di paura annichilente e disorientante che riserva la proposta dei nostri a pochi adepti dallo stomaco forte. (Francesco Scarci)

(Sentient Ruin Laboratories - 2019)
Voto: 65

https://sentientruin.bandcamp.com/album/vestigial

Mahr - Soulmare I

#PER CHI AMA: Black Depressive, Darkspace
Originari della terra di nessuno e formati da un numero indeterminato di membri, gli enigmatici Mahr tornano a distanza di un anno dal debut 'Antelux' con un doppio EP, 'Soulmare I' e 'Soulmare II'. Detto che per oggi mi limiterò all'analisi del primo capitolo, vorrei ricordare come la band si fosse già messa in mostra con il primo album grazie ad un sound gelido e atmosferico che chiamava inequivocabilmente in causa i Darkspace. Avevo amato l'esordio dei nostri, e per questo l'attesa di una nuova release montava alte aspettative. Ed ecco 'Soulmare I', un dischetto che contiene una sola traccia, omonima, della durata di 21 minuti che sembra inasprire quella componente black desolante dell'ensemble, la cui origine permane sconosciuta (verosimilmente la Russia). I primi tre minuti includono una sorta di intro ambientale, poi ecco il classico black metal freddo, lento (molto doomeggiante), a tratti evocativo (non male il cantato quasi liturgico), ma per lo più lugubre grazie a quella voce arcigna e malefica che s'innalza dal sottofondo in quel mood altamente riverberato fatto di voci lontane, chitarre lisergiche e melodie stranianti, quasi si trattasse di un messaggio alieno proveniente da un'altra galassia. Un lavoro sicuramente affascinante ma di certo non alla portata di tutti. Dannatamente claustrofobici e malati. (Francesco Scarci)

(Amor Fati Productions - 2019)
Voto: 72

https://mahr-pk.bandcamp.com/album/soulmare-i