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mercoledì 19 ottobre 2022

The Mañana People - Song Cycle, Or Music For The End Of Our Times

#PER CHI AMA: Psych Folk/Indie
Rimango sempre sbalordito quando incontro band di questo tipo e scopro che la loro provenienza il più delle volte è la Germania. Certo, in questa terra è nato il krautrock direte voi, quindi la psichedelia è di casa, ma la diffusione del psych folk, rimodernato e aggiornato ai nostri giorni, è cosa più in disuso di questi tempi, quindi, voi giurereste sul fatto che il folk psichedelico oggi, abbia trovato casa a Bonn? Dopo aver ascoltato questo duo tedesco, me ne sono convinto, ed è innegabile che in Germania esista un'anima psichedelica molto radicata. Sono rimasto affascinato dal modo intrigante di intendere la musica in questione da parte di questi due giovani musicisti, una commistione di voci e modi di fare del passato, filtrate da sonorità fresche, ricercate e moderne. Partiamo dal fatto che i "Fab Four" e i The Moody Blues hanno lasciato un segno nell'infanzia dei due giovani artisti, che il Paul McCartney dell'album 'Ram' sia uno degli imputati assieme al suo psichedelico amico John, che i richiami ai The Flamming Lips più pop e moderati siano indiscutibili, la presenza lontana del buon Syd Barrett, l'influenza e la precedente collaborazione con Bonnie Prince Billy e un'arrangiamento molto spesso degno delle visioni migliori del grande Nick Drake, fanno di quest'album un'ottima espressione di come si possa suonare stralunati oggi, senza cadere nel plagio o nella ripetitività, in maniera del tutto naturale e originale, creando un disco coloratissimo e vitale, caldo e brillante, proprio come se l'anno in corso forse il 1968. Impossibile dare un premio al pezzo migliore, visto che il disco scivola deliziosamente canzone dopo canzone con una facilità d'ascolto impressionante, tanta è la quantità di suoni e arrangiamenti cosmici presenti al suo interno, la sua orecchiabilità, e l'equilibrio tra forme retrò e soluzioni moderne è attraente e dona alla band un'identità forte e chiara. Tutto è al posto giusto e nelle giuste percentuali si dividono il folk, il country, il pop, la psichedelia ed il lato elettronico minimalista, con una capacità di riesumazione e restaurazione dei canoni di un genere che non sentivo così costruttivo dai dischi degli Scott 4 di fine anni '90, ed in tempi recenti nell'album 'The Brave and the Told' dei Tortoise proprio con Bonnie Prince Billy. Non solo nel comporre ma anche nel canto, i The Mañana People, sono degli autori formidabili, che generano liriche ad effetto, che possono spaziare dagli echi di Arcade Fire ai già citati Fab Four o The Moody Blues, con una facilità ed un'eleganza non comuni. Un disco da ascoltare e riascoltare più volte, un disco che si presenta come semplice prodotto folk, ma che al suo interno nasconde molto molto di più, un vero bosco incantato di suoni e rimandi musicali, un album consigliato a chi ama farsi sorprendere e farsi trasportare in altri mondi a suon di musica allucinata. Imperdibile per gli estimatori del genere. (Bob Stoner)

Gorguts - From Wisdom To Hate

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death Metal
Questo è il quarto disco per i canadesi Gorguts che mi avevano lasciato letteralmente tramortito con il precedente 'Obscura', un album folle e visionario, figlio diretto del caos primordiale. Rispetto ad allora, il songwriting si è fatto meno inestricabile e dissonante, più digeribile, se mi passate il termine. Non fraintendete, si riconosce all’istante l’impronta della band, solo che questa volta il taglio dei brani è decisamente più scorrevole. Se questo sia un pregio o un difetto è cosa da rimandare al giudizio del singolo, quello che di certo si può commentare è come, anche senza il fascino delle contorsioni strumentali a sostenere le composizioni, i Gorguts rimangono una delle death metal band più convincenti in circolazione nell’underground. Da avere, senza dubbio.

(Olympic Records – 2001)
Voto: 70

https://www.facebook.com/GorgutsOfficial

domenica 16 ottobre 2022

Autopsy - Morbidity Triumphant

#PER CHI AMA: Death Gore
What can I say but: AUTOPSY! For having not been a fan throughout their career, I think this one warrants a "73" rating. A semi-raw production sound like most of the others. I suffice to say here that they have some fresh riffs, and the vocals are pretty brutal. A lot of the riffs are slow which is vintage Autopsy like their previous releases. The intensity is pretty up there and the lead guitar isn't bad at all. It's not overly sloppy, it's actually pretty well thought out. The guitars set the tone for the album and Chris behind the set/vocals seemed to be right on que. For a not so keen Autopsy fan, I can say that I like what's going on here.

I guess it's the vibe on this that makes it listenable. Just the intensity is there and the vocals are thundering. It's amusing what's going on here. Most of the tempos are slow and the overall length on this one is a little over 41 minutes. It could've been longer but they did pretty well on here. I know that this band has a good fan-base. I suppose that I never got into the vibe. But they show their self here and after all these years have made quite a good death metal album. With tempos fluctuating, they cover all aspects of their style. But they're still considered to be strictly a California based death metal band.

The production as I've stated is a bit raw but that's how they like it! I'd have to say in certain aspects the vocals are over-the-top screaming. I like how they fluctuate though. It makes it so that they diversify. I'm not sure what they're tuned to guitar wise probably the same as older albums. It sounds that way though. These guys are immortal! I'm glad that they've reformed in 2009 and they got a fan back in me. They're just different, not typical death metal. They have their own sound and melodies. I think that they're going to be making music for a lot longer now especially since they did well here.

Don't just stream this one, pick up the CD! It's worth supporting the band! That's what I did. I was unsure as to whether or not I would like it. Even other people I've said that I didn't like this. But upon a few more listens the energy sparked and it was worth its weight in AUTOPSY! Check this one out, I thought it is a bit better than 'Skull Grinder'. The music is better and of course it isn't better than their debut. It's probably better than most Autopsy albums I was just curious that's what ended up with me buying the album. I'm going to have to stock up on more of their discography! Take a listen to this one! (Death8699)


Inchiuvatu - Viogna

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Folk/Black
Inchiuvatu, sin dagli esordi è stato un progetto particolare, nuovo, dove l'unione tra tradizione siciliana, e tutto ciò che di buono può produrre la musica estrema (in particolare nel black metal veloce, intransigente, crudo), è studiata e intelligente. 'Viogna' è un'opera atmosfericamente varia, dove l’uso passionale e triste delle tastiere spicca, rispetto agli altri strumenti. In questo secondo lavoro di Agghiastru "sognatore" vi sono richiami al sound che sin da 'Addisiu' aveva creato, ma solo per quanto rigurada le chitarre. Anche in 'Viogna' Agghiastru è riuscito perfettamente a trasporre in musica le immagini espresse nei testi. Quindi, ascoltando i brani si ha l’impressione di essere al cospetto di un teatrino di marionette, non certamente spensierato e allegro anzi, ed attraverso delle metafore viene raccontato un po' il rapporto (in tutti i sensi) tra le persone. Visioni mistiche e tetre accompagnano questo coraggioso e intenso opus. Inchiuvatu è un’entità forte e viva nel panorama italiano, sempre in continua evoluzione, che va avanti fiera delle proprie radici.

Abythic - Eden of the Doomed

#PER CHI AMA: Death/Doom
Booooooom, anzi dooooom, quello proposto dai teutonici Abythic. La band della Westfalia, con cadenza quasi regolarissima (dal 2018 a oggi, escluso il 2020, hanno fatto sempre uscire un lavoro), tornano con questo 'Eden of the Doomed' e quello che è il loro genere, ossia un claustrofobico concentrato di death doom di scuola Asphyx. Lo confermano le note incluse nell'opener "Revelation from the Great Vastness Thereafter" con quel suo massiccio rifferama a cui si affianca una seconda chitarra, mentre la marcescente voce di MDB vomita dietro al microfono. Attenzione però perchè la proposta del trio tedesco racchiude anche una discreta dose di melodia che si accompagna a quei break atmosferici che caratterizzano questo e i successivi brani. Sia chiaro, come spesso scrivo, che non siamo di fronte a nulla d'innovativo, però il primo pezzo si lascia ascoltare piacevolmente nonostante quelle sue bordate ritmiche che sembrano evocare anche i primi Sepultura o i Bolt Thrower (anche per le parti pre-registrate di suoni di guerra). Si ricomincia con la battaglia anche in "Conquest of the One True Creed": riffone mastodontico, qualche guizzo di chitarra, vocione da orco cattivo (ma anche spoken words dopo un paio di giri di orologio), pause ritmiche, screaming disperati e scenari apocalittici che potrebbero adoperarsi alle terribili immagini di guerra che vediamo alla tv oggigiorno. E da qui si riparte ancora con vorticose ritmiche che ci portato a "Victory in Your Eden of the Doomed" e alla classica intro parlata di scuola Bolt Thrower. Poi, spazio ad una ritmica sinistra ed inquietante, mai veloce a dire il vero, con le chitarre che raddoppiano spesso e volentieri, mentre le vocals si confermano gutturali più che mai ad annunciare inesorabile il giorno del giudizio. (Francesco Scarci)

Cannibal Corpse - Bloodthirst

#FOR FANS OF: Brutal Death
What a killer album that has so many highlights to it! Brutal death metal like they always deliver but the riffs are just fantastic. And the vocals. Everything seemed to fit in on this release. It's one of my favorites from them! This one is a step-up from 'Gallery of Suicide'. The riffs are better and so are the vocals! It seems like this album has a lot of balls to it. Uncompromising death metal the whole way through. It just doesn't seem to let up at all whatsoever! The only drawback is that it's a little over 34 minutes, but intense nevertheless. I find not many flaws with the playing at all and Corpsegrinder's vocals go well with the guitar.

The songs were key to get into the guitar mostly. That crunch tone with guitars that are in B-flat tuning. Totally brutal! The sound quality was top notch. No mistakes there! This album was released almost 25 years ago and still is a top Cannibal release. A few hit-or-miss with this band though just a few flops in their entire discography. I like the Corpsegrinder era of Cannibal though there were a couple of good releases with Barnes on vocals. I would say 'Butchered At Birth' and 'Tomb of the Mutilated' were the best in the Barnes' era. I just don't think he has the range that Corpsegrinder has.

The production quality was superb and every instrument was in sync hands down! There's really nothing to dislike here especially with death metal fans. Some of my favorites from Cannibal besides the two Barnes was on (previously mentioned) but with Corpsegrinder 'The Wretched Spawn', 'Gallery of Suicide', 'Torture', 'A Skeletal Doman', 'Red Before Black' and 'Violence Unimagined'. So it's fair to say that the most consistent they've been with Corpsegrinder. This one is top and 'Kill' is another killer release by them. But it sucks that Pat O'brien is no longer with the band. Meth addiction rendered him insane!

I bought this CD. I'm not saying that you should too if CD's aren't your "thing" at this point. Most people just stream music which doesn't really benefit the band much. Cannibal has come a long way from their origin up until now. They're still kicking ass and 'Bloodthirst' is a monument. Everything seemed to fit musically and vocal wise. I would check it out if you haven't yet. Everything just conquered! They just needed it to be longer but I didn't take points off for that. think this is one of their top releases in the 90's Cannibal era. This is an album that's difficult to top! Check it out if you haven't already! (Death8699)


(Metal Blade Records - 1999)
Score: 86

https://music.apple.com/it/album/bloodthirst/56580241

Chaos Perversion - Petrified Against the Emanation

#PER CHI AMA: Death/Black
Quando di mezzo c'è la Sentient Ruin Laboratories, è sempre il caso di prepararsi al peggio. La psicotica etichetta californiana questa volta va a pescare in Cile la sua nuova malvagia creatura. I Chaos Perversion arrivano infatti da Osorno, nel sud del paese e 'Petrified Against the Emanation' rappresenta il loro secondo EP. Il duo sudamericano propone una forma di death black oscuro e ferale nella migliore tradizione dell'etichetta americana. Dopo una breve intro, ecco "Absorption Ascension Under the Vampiric Connection", un concentrato di abissale e furibondo death black, dove di abissale ci sono le gorgoglianti vocals del frontman Daniel Hermosilla che si collocano su una spaventosa e caotica ritmica death black, appunto. E tra rallentamenti alla Disembowelment, vocals catacombali, funambolici stop and go, si chiude un pezzo che racchiude fondamentalmente tutta l'essenza dei nostri. Si perchè, "From the Ominous Funerary Miasma - Initiation by Semitrance and Praxis of the Grotesque", la terza traccia, riparte da qui, da blast-beat lanciati a tutta velocità, brusche frenate e ripartenze, manco fosse il più tortuoso dei circuiti di Formula Uno. Il caos totale ci aggredisce nella title track almeno per i primi 90 secondi, per poi arrestarsi in un atmosferico break da incubo che evoca nuovamente le sonorità degli australiani Disembowelment in quel mitico lavoro intitolato 'Transcendence into the Peripheral' e più precisamente nella traccia "Excoriate", soprattutto nella ripartenza dove il lavoro alla batteria è a dir poco disumano. E aliena è anche la coriacea "Entangled in the Roots of Death", l'ultimo devastante atto che anticipa la chiusura affidata all'outro "Awakened at the Slaughterhouse" di questo secondo mordace atto dei Chaos Perversion. (Francesco Scarci)

domenica 9 ottobre 2022

I.N.R.I. – Hyper Bastard Breed

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Grind
La sigla del nome di questa band sta per Insane Non-commercialised Rock Insitute. Questo quintetto proviene dall’Olanda e ci propone una miscela di death-grind senza infamia e senza lode. Per capirci, gli INRI non suonano affatto male ed il disco è prodotto ottimamente, quello che però salta fuori subito al primo ascolto è un po' la staticità, nonché la mancanza di spunti interessanti. Questi pezzi non riescono a trasmettermi nulla, una piattezza abbastanza fastidiosa, soprattutto per il fatto, ripeto, che la band ha discrete capacità tecniche individuali. Il cd passa via inosservato e questo non è un bene. Ma parliamo un po' sul tecnico di questo 'Hyper Bastard Breed': ci troviamo di fronte ad un disco caratterizzato da pezzi brevi e da una velocità medio alta. 15 per 32 minuti di musica. Il sound è compatto e cristallino, si sente bene tutto, ma da mio modesto parere di batterista, avrei tenuto un po' più su il rullante, che nella parti veloci si sente un po’ poco. Magari non piacciono a me, ma altri possono sicuramente trovare gli INRI più interessanti, non lo metto in dubbio, resta comunque il fatto che per me 'Hyper Bastard Breed' sia stato un po' un passo falso per la Cold Blood Industries.
 
(Cold Blood Industries - 2002)
Voto: 50
 

Orob - Aube Noir

#PER CHI AMA: Prog Black Sperimentale
Passati completamente inosservati al nostro paese (follia pura), i francesi Orob hanno gettato il guanto ai mostri sacri Deathspell Omega e Blut Aus Nord nel maligno mondo del black dissonante e sperimentale. Il quintetto originario dell'Occitania, ha rilasciato infatti a fine 2021 questo 'Aube Noir', album di debutto sulla lunga distanza, a distanza di ben otto e dieci anni dai precedenti EP, 'Into the Room of Perpetual Echoes' e 'Departure', rispettivamente. C'è da dire però che le song qui incluse sono state scritte tra il 2014 e il 2016. Comunque l'ensemble transalpino ci propone quasi un'ora di musica, attraverso un percorso di nove mefistofeliche tracce che si aprono con il black doom di "Spektraal", una song che, emulando il proprio titolo, si manifesta spettrale e compassata nella sua prima metà, per poi esplodere in un post black dalle tinte sperimentali, soprattutto a livello vocale, con le performance di Thomas Garcia e Andrea Tanzi-Albi a muoversi tra screaming, growl e pulito. È nella seconda "Astral" però che le sperimentazioni dei nostri si fanno più palesi, con chiari rimandi ai norvegesi Ved Buens Ende a livello atmosferico e scomodando anche facili paragoni con gli ultimi Enslaved o i Solefald. La sostanza è poi quella di dissonanti parti arpeggiate che si alternano a ritmiche costantemente sghembe con le vocals che, non mantenendo praticamente mai una coerenza di fondo, rendono il lavoro decisamente più affascinante e avvincente. E ancora, a livello solistico (si ci sono degli assoli) emergono le influenze più classiche dei nostri, quasi a mostrare tutto il ventaglio tecnico compositivo di cui sono dotati. E io approvo appieno, nonostante le sbavature riscontrabili durante l'ascolto, perchè ci sono anche quelle ed è giusto dirlo. Ma vorrei dare il beneficio del dubbio ad una band che è rimasta ferma quasi una decade ma che con la propria musica riesce a dare un tocco di eleganza e originalità al mondo musicale, e che vede nella terza "Breaking of the Bonds" un altro piccolo gioiellino. Qui poi la voce del frontman è per lo più pulita e assai espressiva. Ma il pezzo è in costante movimento, tra una marcetta estemporanea, un break acustico di malinconica melodia (top!) che chiama in causa Opeth e ultimi Katatonia. E io continuo ad approvare, non posso fare altro. Anche quando "Betula" trasforma la proposta degli Orob in un selvaggio black iniziale per poi mutare ancora verso territori controversi (leggasi l'ambient esoterico nel finale), con cambi di tempo, di genere e molto molto altro che potrebbero addirittura avere un effetto disorientante per chi ascolta, ma che per il sottoscritto rivela invece la grande voglia di osare da parte dell'act di Tolosa. Bene, bene anche nelle spettrali melodie di una traccia come "The Wanderer", lenta e sinuosa nel suo incedere che, attraverso l'elettronica strumentale e minimalista di "Noir", ci conduce fino a "Aube", un violento pugno nello stomaco che mi ha catapultato in altri mondi che ormai si erano persi nella mia memoria, e penso ad un ipotetico ibrido tra Voivod, gli australiani Alchemist e gli inglesi Akercocke. C'è tanto nelle note di questo 'Aube Noir', forse non sarò stato nemmeno in grado di cogliere tutte le influenze che convogliano in questo disco, ma vi garantisco che di carne al fuoco ne troverete parecchia, soprattutto nella lunghissima coda affidata alla sinistra "Ethereal", che di etereo ha ben poco (fatto salvo quella che sembra essere una voce femminile in sottofondo) e alla conclusiva "The Great Fall", oltre dieci minuti di sonorità che miscelano depressive black, progressive, thrash, gothic doom (con tanto di soavi vocalizzi di una gentil donzella) e perchè no, anche una vena di post rock, quasi a sancire l'ordinaria follia di cui sono dotati questi interessantissimi francesi. Una sfida ai mostri del black sperimentale? Non direi, questo è un duello sferrato al mondo intero. E se questi erano i suoni di sette anni fa, ora mi aspetterò grandi cose dagli Orob. (Francesco Scarci)

Amon Amarth - The Great Heathen Army

#FOR FANS OF: Viking Metal
This is a solid release. I'm not a big fan of this band but I'll have to say that they did a good job with the guitar riffs. That's what stands out the most for me. And the vocals go well with the music. They're really in sync altogether. The production quality is solid too. I'm not a fan of the lyrical concepts, but they did well altogether on this release. There's a few guest musicians on here briefly you can hear the power metal vocals on one of the later track ("Saxons and Vikings"). I'm a bit surprised there hasn't been all high ratings for this album. It's really a good album, it has all the makings of quality melodic death metal.

The music carries with the vocals quite good! The rhythms/melodies are quite good for a band that I've overlooked for far too long. These guys do a good job of piecing the music together and making it work well. The tempos weren't exceptionally fast. In fact, they had some pretty wicked rhythms and melodies. About 43 minutes of sheer melodic death galore. And the Viking spirit reigns supreme on here. The tempos are pretty slow on here but wholly melodic. They seem to piece everything together where it flows. The only thing that I dislike somewhat are the vocals. I just think that they could've been arranged better.

Overall, I think this album is solid. The vocals aren't my favorite but the music hit-home with me! The riffs are ok, not their greatest but still catchy and full of life! The vocals go well alongside the music. Though I have to be in a certain mood to tolerate the vocals. I like the melodies and it's consistent the whole album. For the naysayers, they say that they're not a fan of their music. I think that since they're in the melodic death metal genre, they're pretty solid on here. I actually got the CD of this I was tired of the digital download. To me, it's important to show respect for the band not just streaming music.

The production quality was good on here and the sound to the music was solid, well mixed. They definitely got their act together for this one. I don't think it's better than a "75" on here. I think they deserve it. You'll have to test the waters with this one. I suppose that you'll really like it or just think it's garbage. I liked it and I thought it was consistent. The guitars were my favorite instrument throughout. As I say, you have to be in the mood to play this, otherwise it might be irritating. If you're a die-hard fan, that statement doesn't apply. Since I'm not overly familiar with the band, I thought this is a solid release! (Death8699)


(Metal Blade Records - 2022)
Score: 75

https://www.amonamarth.com/

Aemeth - Demo 2002

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Brutal Death
Death metal rabbioso che sfocia nel grind per questa band italiana. Voce cavernosa ed una buona velocità contraddistinguono tutte le canzoni. La produzione è buona; un po' secca forse, ma che però fa risaltare bene tutti gli strumenti. Sei pezzi, tutti abbastanza originali, ben arrangiati soprattutto per quello che riguarda le chitarre. Non ho alcuna nota biografica per questo gruppo. So solo che il produttore è Joe Testa, che firma anche un assolo come guest musician nella quinta traccia "The Path of Losers". Anche nei mid-tempo si creano delle belle atmosfere e la ritmica si fa sentire molto bene in tutte le tracce e questo mi ricorda, anche se un po' lontanamente, i Deicide. Un buon CD, consigliato non solo agli affezionati al death.

sabato 8 ottobre 2022

ACOD - Fourth Reign over Opacities and Beyond

#PER CHI AMA: Symph Black/Death
Devo essermi perso qualcosa. Avevo recensito i marsigliesi ACOD nel 2015 in occasione del loro ‘II The Maelstrom’ e li ricordavo con un sound all’insegna del death thrash. Li ritrovo oggi, dopo aver saltato l’ascolto del terzo ‘The Divine Triumph’, e mi ritrovo una band di tutt’altra pasta e genere. Detto che questo ‘Fourth Reign over Opacities and Beyond’ apre con un intro dal piglio sinfonico orchestrale, ma ci poteva stare dopo tutto, quando “Genus Vacuitatis” irrompe nel mio stereo, ecco lo shock, la band non suona più quel monolitico sound tritabudelle in stile Machine Head, ma ora propone un symph black death che potrebbe ammiccare alla proposta pomposa, ma comunque robusta, dei Septicflesh. Ecco si, in questa veste gli ACOD li apprezzo molto di più, soprattutto perchè non dimenticano le loro origini, una bella dose di death metal nelle ritmiche c’è sempre, ma ora decisamente contaminate dalle sinfoniche partiture che compaiono nei pezzi, congiunta con una bella dose di melodia, suoni di archi, la presenza di una voce femminile che rendono il tutto un filo più accessibile, e che francamente preferisco. “The Prophecy of Agony“ si apre con un tono più compassato, ma le chitarra sono pronte ad esplodere in un tappeto ritmico composto, con la voce del frontman Malzareth a richiamare scomodi paragoni con il buon Nergal. In tutta onestà però, devo ammettere che il lavoro mi piace molto, direi che questi sette anni che non ho assolutamente calcolato la band hanno giovato e la progressione è parecchio significativa. Abili anche nell’alternanza vocale tra grim vocals e voci pulite, la band sciorina una dopo l’altro pezzi assai azzeccati, dove l’atmosfera si mette a servizio di un sound potente, a tratti tagliente (“Sulfur Winds Ritual”), ma gonfio di rabbia (grazie ad un riffing di scuola Morbid Angel), traboccante energia e dinamismo sonoro, cosi come pure una sottile vena malinconica, complice un tremolo picking. Forse il pezzo migliore del lotto. Ma il disco rimane pieno di sorprese soprattutto per i cambi di tono o genere: “Nekyia Catharsis“ mostra infatti un carattere più darkeggiante, tanto da richiamarmi i fasti dei finlandesi Throes of Dawn ma pure i Rotting Christ per quelle sue atmosfere più spettrali ed un utilizzo prezioso della chitarra qui votata ad un melo death dal forte piglio orchestrale, cosi come pure un utilizzo costantemente efficace delle voci pulite. Tutto molto positivo, anche l’incipit di “Artes Obscurae” che segue a ruota l’intermezzo occulto di “Infernet’s Path“. Un pezzo decisamente compassato l’inizio del primo con una bella dose di groove, ma quello che sentiamo dopo saranno saette di chitarra, ritmiche possenti ancora di scuola americana, pomposissime tastiere, vorticosi giri delle sei corde, voci gracchianti, echi a Dimmu Borgir e Cradle of Filth per un finale davvero in crescendo. Vogliamo poi citare l'artwork di Paolo Girardi? Lascio giudicare a voi. Io mi devo solo mettere ad ascoltare il disco precedente e capire se mi sono perso qualcosa di significativo. (Francesco Scarci)

Hidden - Spectral Magnitude

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Black
Interessante concept proposto con questo debut album che verte su teorie scientifiche riguardanti fenomeni cosmici e in particolare sul concetto di tempo ed eternità nel cosmo. I brani sono abbastanza articolati e si muovono tra doom, death e black ma verso la fine del disco, alcuni riff risultano un po’ troppo inflazionati. Il disco non gode poi di un buon suono e non è questo il caso di dire che si è trattata di una scelta poiché questo 'Spectral Magnitude' alla fine suona come un demotape. Avrei visto molto bene su un disco del genere degli inserti atmosferici di tastiera e qualche tocco di musica elettronica per coinvolgere maggiormente l’ascoltatore nel concept narrato, come per esempio fu fatto sul full length di debutto di Thorns; una piccola traccia di simili sonorità la si ha con l’ultimo brano "Supercluster" ma il risultato è piuttosto scarso. Forse questo 'Spectral Magnitude' è stato realizzato un po’ troppo in fretta e ciò non ha certo giovato sulla sua resa finale.

Daidalos – The Expedition

#PER CHI AMA: Symph Black
Ebbene, lo ammetto, non avevo la più pallida idea di chi fossero i Daidalos. Non me ne vorrà Tobias Püschner, la sola mente diabolica che si cela dietro questo interessantissimo progetto, devoto ad un black di stampo sinfonico. Io d’altro canto, quando sento parlare di questo genere, ripenso ai fasti portati avanti dai Dimmu Borgir o dai primi ispiratissimi Cradle of Filth, tanto per fare due nomi a caso. Il nostro factotum di oggi, supportato da una serie di ospiti tra cui anche un paio di italiani, Fabio Rossi (I Sorg) asso della sei corde e Francesco Petrelli (Unfaded Illusion) sempre alla chitarra, ci regala una splendida release che vi lascerà piacevolmente sorpresi. Questa infatti la mia reazione di fronte al dirompente attacco della title track che apre ‘The Expedition’. E questo titolo pone inevitabilmente l’accento al tema lirico del disco, ossia la spedizione nell’Artico nel 1845 di due navi (la Erebus e Terror), guidate dal capitano Sir John Franklin, di cui si persero le tracce, insieme ai 129 uomini della sua ciurma, intrappolati tra i ghiacci dell’entroterra canadese. E su questo drammatico racconto, si snodano le fantastiche melodie e orchestrazioni del disco che, con la seconda “Icewind”, sembra quasi voler raffigurare quelle raffiche di vento glaciali che sferzarono i nostri nel loro viaggio. Le ritmiche sono burrascose, solo le tastiere provano a minimizzare la furia delle chitarre cosi anche un cantato che si alterna tra uno screaming chiarissimo e voci pulite e il coro di Noga Rotem, forse un pizzico ruffiano, ad evocare la brava Sarah Jezebel Deva nei primi anni ai Cradle of Filth. Il disco è un susseguirsi di parti atmosferiche, grandiose orchestrazioni e furibonde accelerazioni black death che catalizzano l’attenzione e non poco. “Sails into the Stars” ha un attacco davvero oscuro ma poi le melodie prendono il sopravvento e il pezzo diventa decisamente più accessibile, quasi sognante nel suo break centrale. Non c’è spazio per la noia in queste note, la varietà del disco consente di non distrarsi un attimo e questo alla fine sarà anche il suo punto di forza. Il pezzo nel suo vorticoso incedere ci porta ad un finale corale che ci introduce a “Stormwind”, un’altra tempesta quindi ad attenderci? In realtà, sono tocchi di pianoforte quelli che introducono il brano e dove la voce del frontman, prosegue nella narrazione della storia, accompagnandoci nell’immaginifico che inevitabilmente l’ascoltatore si creerà nel corso del disco. “Married to the Sea” ha un roboante attacco ritmico che sembra sancire l’indissolubile (ma qui dai contorni nefasti) legame tra uomo e mare. Le melodie si confermano azzeccatissime complice l’ottimo lavoro alle tastiere e alle sempre più pompose orchestrazioni (chi ha detto Fleshgod Apocalypse?). Spettrale l’incipit di “The Empress”, tra synth, chitarre e grim vocals, in un brano decisamente più mid-tempo rispetto ai precedenti, anche se certe linee di chitarra mi hanno evocato nuovamente i CoF. “Poem in the Snow” basa invece le proprie liriche sul poema “Once by the Pacific” del poeta americano Robert Frost, che narra come le onde dell’oceano si apprestino a distruggere una spiaggia, evocando visioni oscure della fine di un'era, la fine del mondo, un presagio per il nostro futuro? Epico sicuramente il coro collocato su dei tocchi di pianoforte nella seconda parte del brano anche se alla fine, la sua ridondanza non sembra avere l’effetto desiderato. “Northlight” riesplode con potentissime e melodiche ritmiche, voci black che si alternano a cori epici in una varianza di tempi che va a sublimarsi in una coppia di fantastici assoli che sanciscono quanto interesse meriti questa one-man-band teutonica. Vi segnalo poi che nella versione digitale compare anche una bonus track, “My Melancholy”, che affida il suo iniziale e nostalgico mood al pizzicare di una chitarra acustica e ai tocchi di un piano che andranno poi ad evolvere in un altro brano mid-tempo, dove a mettersi in luce questa volta, sarà un magnifico e malinconico violino che chiude egregiamente un signor album. Consigliatissimi. (Francesco Scarci)