Cerca nel blog

venerdì 3 settembre 2021

Miles Oliver – Between the Woods

#PER CHI AMA: Indie Folk Rock
Cantautore e poeta parigino abituato a fare tutto da sé (armato di chitarre acustiche ed elettriche, piano e loop station) e a dividere il palco con nomi del calibro di Shannon Wright, Wovenhand e Be Forest, Miles Oliver è al suo quarto album, al solito registrato in proprio, in perfetta solitudine. Pare che 'Between the Woods' sia nato al ritorno da un tour di settimane negli US e che abbia visto la luce inizialmente come libro, una sorta di diario del tour corredato da fotografie e poesie che hanno poi originato le 12 canzoni racchiuse qui dentro. Fedele al motto che “l’importante è la canzone, e non il modo in cui si presenta”, i 12 brani si susseguono scarni e scarnificati da un lavoro di sottrazione che lascia ben poca carne attaccata ad uno scheletro fatto di chitarre acustiche, talvolta doppiate dall’elettrica raramente accompagnate da un piano elettrico, un basso o una drum machine altrettanto essenziale. Il risultato, lungi dell’essere minimamente originale, è comunque sincero nel mostrare le proprie fragilità attraverso una voce stridula che ricorda vagamente quella del compianto Vic Chesnutt, e interessante nel suo voler offrire un’affresco che, nelle parole dell’autore, rappresenta la sue personale visione della cultura americana. Dalle radici folk blues dell’iniziale "Save Me" (dove la voce non è sorretta da strumenti) alle menti alienate di "Deamontia", fino alla vendetta di una donna oppressa di The Song I hate, unica concessione ad un rock più o meno rumoroso, il lavoro si dipana attraverso bozzetti acustici ("Last Time"), fino all’immancabile dedica a Kurt Cobain di "Myberdeen" e la danza dolente di "This is a Lie", screziata di elettronica povera, che chiude con la giusta dose di malinconia un lavoro di ottimo artigianato. E se è vero che le canzoni non sempre lasciano il segno, Miles sembra sincero nel mostrarci il suo mondo, e l’impressione è che possa dare il meglio sé nella dimensione live. (Mauro Catena)

giovedì 2 settembre 2021

Kryptan - S/t

#PER CHI AMA: Black/Death
Chissà per quanto tempo ce li porteremo avanti gli effetti dettati dal Covid-19, non solo in termini clinici ma anche musicali. Non poteva rimanere immune a tale situazione un personaggio sensibile come Mattias Norman, ex bassista dei Katatonia, che da quell'evento ha maturato l'idea di fondare i Kryptan, oscuri portatori di black metal della vecchia scuola scandinava. Solo quattro i pezzi a disposizione per il mastermind svedese, sufficienti però a sviscerare in una ventina di minuti, il desiderio di Mattias di riproporre quelle sonorità maestose e taglienti che hanno reso grandi gente del calibro di Dissection, Lord Belial o Naglfar, questi almeno i primi nomi che mi sono venuti in mente. Si parte dalle vorticose ritmiche di "A Giant Leap For Whoredom" e si percepisce forte quell'assonanza musicale con i maestri svedesi, complici urticanti melodie corredate dallo screaming efferato di Alexander Högbom. Interessanti, ma francamente nessuna ragguardevole idea da aggiungere ad una scena un po' stantia. Ci si riprova con la martellante "Bedårande Bran" dove questa volta ci sento un che di Unanimated e Sarcasm nell'icnipit, mentre in quelle feroci e veloci, emerge un che dei Marduk e in quelle più atmosferiche, cenni dei primissimi Dimmu Borgir quasi a rendere omaggio a tutti i mostri sacri degli anni '90. "Blessed Be The Glue" evoca il black norvegese degli Immortal, in particolare di un brano come "Blashyrkh", tra epiche galoppate black e assalti thrash metal. Tutto molto bello ma sentito milioni di volte. In chiusura l'inequivocabile "Burn the Priest", un brano che avrebbe potuto tranquillamente stare su uno degli ultimi lavori degli Anaal Nathrakh, per un attacco finale all'arma bianca. (Francesco Scarci)

(Debemur Morti Productions - 2021)
Voto: 70 
 

mercoledì 1 settembre 2021

Dez Dare - Hairline Ego Trip

#PER CHI AMA: Punk Rock
Un po' di insana follia punk rock era tempo che non la ascoltavo. Dovevo attendere questo frescone inglese nato in Australia che, durante il famigerato lockdown, ha pensato di mettersi in proprio e buttare giù un po' di stravaganti pezzi orecchiabili. Ecco la genesi di questo 'Hairline Ego Trip' dei Dez Dare. Nove brani che partono dal punk primigenio di "Dumb Dumb Dumb", tanto selvaggio quanto scanzonato per poco meno di due minuti di musica. La cosa prosegue con il garage rock di "Conspiracy, O' Conspiracy", niente di travolgente ma mostra un tocco che palesa già una certa personalità. Quella che emerge forte invece in "King + Queen Monstrosity", laddove potrebbe sembrare stravagante, ma non lo è affatto, parlare di psych punk doom, vista la natura slow motion del brano. Esperimento riuscitissimo. Si passa ad un surf rock sporcato di venature stoner con "My My Medulla", un pezzo che ci conduce direttamente agli anni '60. Non male ma un po' lontano dai miei gusti musicali. Divertente ma troppo vintage. Si continua a percorrere la strada dello stoner/desert rock polveroso con "Sandy’s Gonna Try" ed un cantato che invece sembra uscire da uno dei brani dei Sex Pistols, ma l'energia che emana ahimè non è la medesima. "Break My Vice" sono 100 secondi di uno stralunato post punk, mentre "Crowned by Catastrophe" ha quasi un piglio blues rock nel sua cantilentante incedere ipnotico. "Goodbye Autonomy" mette in scena altri 107 secondi di un sound tanto stravagante quanto difficile da etichettare senza doverci scrivere una tesi che descriva cosa il musicista di Brighton voleva realmente proporre. Ancora punk rock con la lunghissima "Tractor Beam, Shitstorm", quasi dieci minuti di musica psicotica e ridondante in grado di destabilizzare i sensi con i suoi giri di chitarra in loop ma anche in grado di sottolineare l'imprevedibile genialità di quest'artista britannico. (Francesco Scarci)

martedì 31 agosto 2021

Akercocke - Antichrist

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Death
Continua la riscoperta di vecchi classici questa volta con i controversi Akercocke e un album veramente spaccaossa e tritabudelle, che ha avuto problemi di censura in mezzo mondo a causa del titolo e della cover abbastanza provocatori. 'Antichrist' è il quinto lavoro che porta il tipico marchio di fabbrica del quartetto albionico, che esce a distanza di un paio d’anni, da quel capolavoro dal titolo 'Words that Go Unspoken, Deeds that Go Undone'. Rispetto alle precedenti release, il sound proposto da Jason Mendonca e soci, si fa ancor più brutale, ma allo stesso tempo sperimentale, con la produzione, non certo pulitissima, a rendere 'Antichrist', ancor più selvaggio e malato. Il sound dei nostri prosegue quel cammino evolutivo, intrapreso dalla band già ai tempi di 'Choronzon', continuando quindi a miscelare in modo assai originale, elementi black, death e industriali, con un tocco progressive (parecchi gli intermezzi acustici, che rievocano gli Opeth), atmosfere emozionali e parti schizoidi (che mi hanno inevitabilmente ricordato, il sound dei nostrani Ephel Duath). Senza passare in rassegna ogni traccia, vi posso dire che questo disco è davvero notevole: riffs death/black si rincorrono per l’intera durata del cd, con le vocals di Jason che si alternano tra momenti in cui assomiglia più ad uno scarico di lavandino (tanto sono incomprensibili i growling), feroci screaming black e interludi in cui la ugola di Mr. Mendonca si avvicina a un ipotetico mix tra il vecchio cantante degli Ephel Duath (quello dalle clean vocals di 'The Painter’s Palette') e il vocalist degli Opeth. Le sonorità del combo inglese sono assai varie: si passa da brani in cui è il brutal death a farla da padrone (“Summon the Antichrist”) ad altri pezzi in cui emergono inaspettate influenze gothic/industriali, con parecchi frangenti acustici (“My Apterous Angel”), dove compaiono addirittura flauti e altri samples dal vago sapore orientale (fantastica “The Promise”). Come sempre i nostri hanno voluto sperimentare ulteriormente, mantenendo però intatto quel feeling oscuro e maligno che da sempre contraddistingue la band britannica. L’unica nota un po’ stonata, è il drumming, forse troppo caotico e martellante, però bazzecole di fronte a questo entusiasmante lavoro degli Akercocke. (Francesco Scarci)

(Earache Records - 2007)
Voto: 76

https://akercocke.bandcamp.com/

Manes - How the World Came to and End

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Avantgarde Music/Jazz
Dopo l’ascolto di quest’album, giunsi alla conclusione che in Norvegia ci doveva essere qualcosa di strano nell’aria, perché i gruppi norvegesi si sono rivelati, giorno dopo giorno, sempre più ispirati e in grado di reinventarsi musicalmente disco dopo disco. I Manes non sono mai stati esenti da tutto ciò: iniziata la loro carriera nel 1993 come blacksters super incalliti, hanno saputo evolvere il proprio sound in modo magistrale ed estremamente eclettico dapprima con 'Vilosophe' nel 2003. È seguito poi lo sperimentale 'View', presagio di cosa ci avrebbe riservato il futuro, arrivando con 'How the World Came to and End' a stravolgere totalmente la loro musica, con questo straordinario disco, che ho fra le mani. Questo lavoro sfugge infatti totalmente alla definizione di musica metal, perciò chi non dovesse avere una mentalità notevolmente aperta, si mantenga a distanza di sicurezza. Chi invece come il sottoscritto, ha saputo apprezzare l’evoluzione stilistica del sestetto scandinavo, potrà tranquillamente avvicinarsi a questa delirante produzione. Non saprei proprio da dove iniziare, tanto si presenta spiazzante all’orecchio dell’ascoltatore questo full length. Si parte con “Deeproted” che ci mostra subito la direzione cibernetica abbracciata qui dalla band: la voce di Asgeir è sempre ben riconoscibile su delle basi techno-jungle, che contraddistinguono il sound dei nostri. Con la successiva “Come to Pass” (e l’ottavo pezzo “The Cure-All”), assistiamo all’incredibile: l’uso di vocals rappate e suoni hip hop, stile Pleymo, inserito in un contesto oscuro e ipnotico, che termina in una fuga elettronica alla Prodigy. Con la terza traccia si celebrano atmosfere degne dei migliori Archive, mentre con “A Cancer in our Midst” vi è una ripresa dei suoni tanto cari ai Depeche Mode, con la sola differenza che le vocals sono filtrate, simil industriali. L’album di questi pazzi scatenati, viaggia lungo i binari del paradossale, attraversando lande desolate dal sapore vagamente jazzato, città futuristiche dai suoni spaziali e paesaggi notturni fatti di ritmi elettro-trip hop. I Manes hanno sempre avuto una marcia in più, versatili e dall’enorme inventiva: tutti i dieci brani riescono a catapultarci all’interno di un vortice di forme e colori, dal quale ne usciamo profondamente turbati e intontiti. Seguendo le orme dei compatrioti Arcturus e Solefald, ma ancor di più dei pionieri Ulver, i Manes hanno plasmato la loro mutante fisionomia, destabilizzando, con il loro sound, l'ormai “vecchia” concezione di musica metal. (Francesco Scarci)

(Candlelight Records - 2007)
Voto: 80

https://manes.no/

venerdì 27 agosto 2021

Rakoth - Planeshift

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Folk
Ho al mio cospetto un gruppo russo di black con parti folk al suo esordio intitolato 'Planeshift' fuori per la Code 666, e le uniche parole che mi vengono in mente dopo l’ascolto dei Rakoth sono trasporto e tristezza. Parole chiave, che secondo me servono a spiegare la musica proposta, perché le canzoni ti trasportano attraverso sonorità epiche e sognanti in un viaggio ben orchestrato, fatto di furia black ma anche di emozioni tipiche del folk, impreziosite da un uso veramente azzeccato e tristissimo del flauto, e delle chitarre acustiche che donano quella malinconia giusta per affrontare un gruppo cosi particolare. Anche la voce si muove attraveso tonalità tristi cercando sempre soluzioni nuove all’interno dei pezzi. Molto buono anche l’uso della drum-machine e buona anche la registrazione. Per chi non avesse avuto modo di ascoltarli in passato, questo è il momento giusto per andare a ripescarli.

(Code 666 - 2000)
Voto: 75

https://www.facebook.com/rakothRu

Impur/Sadistic Demist/Unidentified Corpse - Three Way of Death

#PER CHI AMA: Brutal Death
Le Baleari, che posto incantevole, direi ideale per far proliferare la propria proposta death metal. Questo devono aver pensato gli Impur, che si sono poi messi alla ricerca di altri compagni di avventura per questo split album, ritrovandoli nei russi Unidentified Corpse e Sadistic Demise, a completamento di un disco che mostra fondamentalmente tre modi di proporre death metal. Da qui ‘Three Ways of Death Metal’, il titolo del qui presente cd, che vede appunto la band spagnola degli Impur aprire le danze con un granitico trittico di pezzi che si rifà alla tradizione scandinava dei primi Entombed e Grave, ma pure ai mostri sacri Carcass. Killer riffs, growling vocals, ritmiche arrembanti ed una buona vena solistico-melodica che vede nella traccia d’apertura “Slaves of Decay”, che dà peraltro il nome al loro EP, il mio pezzo preferito. I nostri comunque sono abili musicisti (per la cronaca ci sono ex membri di Carnage ed Helevorn nelle fila della band) il che accresce la qualità complessiva del prodotto, per 13 minuti totali di musica aggressiva e melodica quanto basta. A seguire i Sadistic Demise, band originaria di Kostroma, che con il loro ‘The Way of Sadistic’, ci propongono cinque tracce sanguinolente all’insegna ovviamente di death metal nudo e crudo, costituito da ritmiche martellanti e vocals che si muovono tra lo screaming efferato e il growling mefistofelico. Alla melodie è concesso veramente poco spazio per emergere, fatto salvo per quegli acuminati assoli (quello di “Sadistic Demise” è spettacolare) che per lo meno, donano una parvenza di melodia ed una relativa accessibilità alla proposta. Ovvio che se non siete dei cultori del death metal più spinto e disarmonico, farete una gran fatica ad approcciarvi a questi ragazzotti russi. Analogamente con gli Unidentified Corpse (che incorporano peraltro un membro dei Sadistic Demise) e il loro ‘Domination of Dying People’ (uscito originariamente nel 2013): slam brutal death metal ultra tecnico e consigliato solo agli amanti di queste sonorità spietate. Sette pezzi per 22 minuti di musica sbrodolante, voci animalesche, ritmiche serrate, gran poca melodia e un sound schiacciasassi che non vi darà la benchè minima tregua. A me francamente ha procurato molta noia e un fastidioso mal di testa. Alla fine della storia, per quelli che sono i miei gusti, gli Impur sono i vincitori morali di questa carneficina sonora, con il sound più controllato e melodico del lotto, delle due band russe avrei fatto volentieri a meno. (Francesco Scarci)

(Wroth Emitter Productions - 2021)
Voto: 63

giovedì 26 agosto 2021

Belvas - Roccen

#PER CHI AMA: Indie Rock
Dal nome e dall'artwork di copertina di questa band comasca mi aspettavo qualcosa di molto più aggressivo, violento, ruvido e sotterraneo. Tradendo le mie aspettative, la band lombarda qui al suo debutto, spiazza tutti i presenti, suonando un rock italianissimo, con venature blues incastrate a soluzioni tipiche della tradizione rock alternativa tricolore dell'ultimo trentennio, con l'aggiunta di suoni e idee rubate un po' qua e là, tra i grandi classici dei 70s e un pizzico della canzone d'autore del bel paese. Mostrano un buon sound i Belvas, a volte un po' di maniera, che quando è più sporco, forse incalza di più e stimola un piacevole ascolto, con il basso che corre libero e distorto. La ricerca poetica nei testi, sincera e ispirata, anche se a tratti ancora acerba e cosparsa di una forzatura pseudo maledetta, sembra talvolta fuori luogo per il trio lumbard. Mi sembra ovvio far cadere paragoni a pioggia, tra Afterhours e Il Santo Niente dell'ultimo periodo oltre a richiami più morbidi tra Estra, Negrita e Negramaro d'annata. Questo non deve essere frainteso come una nota dolente anzi, il tocco di orecchiabilità diffusa li rende per certi aspetti anche più originali di tanti altri lavori simili. Dopo tutto la band dimostra una grande voglia di originalità che a volte li avvicina a certe soluzioni musicali dei Verdena meno sperimentali. Con una produzione più ruvida, diciamo più vicina al suono di 'Birdbrain' dei Buffalo Tom, li avrei apprezzati anche di più, sebbene debba ammettere che il disco è ben fatto e ben suonato. Un sound più aggressivo, più abrasivo, si poteva anche rischiare (la parentesi funk del brano "Disco B" non la concepisco, per quanto sia carina come esperimento) e sono convinto che avrebbe calcato la mano sul lato più rock dei Belvas, e con i disarmanti Maneskin che spopolano ovunque, sarebbe stato interessante avere come contraltare in patria, una vera rock band, più sana, polverosa e sanguigna. L'insieme dei brani di 'Roccen' ha comunque dato i suoi frutti, creando un lungo lavoro che supera i 70 minuti (cosa molto insolita ai giorni nostri), con tanti brani variegati ed interessanti, tra cui "Bianco", "Niente Dentro Me", ed il singolo "Voci di Pietra", che mostrano un buon futuro per questo power trio, capitanato da una voce di tutto rispetto ed una chitarra che a volte esce dalle composizioni con tanto gusto armonico e fantasia. Il mio umile consiglio è di puntare ad ingrossare il sound e modularlo sulle corde di una sorta di post-grunge modellato sullo stile italiano, come fecero un tempo le band sopraccitate, che hanno dato molto a questo paese caduto in miseria musicale da tempo. Gli ingredienti ci sono tutti (ascoltate "Spaziale" per credere), basta correggere il tiro ed inasprire quei suoni che mancano da un po' nella scena rock italiana (magari una sterzata sonica verso certa nuova scena stoner rock europea potrebbe dare ulteriori benefici ed anche riascoltare vecchi e nuovi gioielli de Il Santo Niente) per salire di tono e dare una personalità ancora più forte a questo promettente giovane trio di casa nostra. (Bob Stoner)

Withering Soul - Adverse Portrait

#FOR FANS OF: Symph Black/Thrash
What an abomination of melodic black metal! Very much amongst the influence of bands like Darkthrone, Dark Fortress and Naglfar. But they have their own tweak/style amongst their melodic black metal/style. I'd have to say from start to finish this LP slays! It is dynamic in quality holding sheer faith in great riff-writing. This one clocks in at about a little over 40 minutes in length. I'm hoping that their latest will be even longer. I say this because I didn't want this one to end! The music is the highlight and the vocals much like those (some) on Dark Fortress's 'Eidolon'. But for the most time, Chris has his own vibe.

What I noticed at first was the structure of their guitar riffs. A lot of changes in the tempos but nothing overtly fast, but quality is their style ABSOLUTELY! I think that "Hex Illusion" is my favorite track but all of them are quality. The aura is dark and an evil sort of stitch to to it. It goes well with the lyrical concepts. I'd have to saw that altogether this band started in one direction then gripped this melodic black metal style. I think that they should keep to this because their riffs and synthesizers do it justice in keeping to this specific genre. I dig this style anyway, but I don't think enough bands can hack it as well as Withering Soul can!

The production quality is top notch and everything seemed to be all right in the mixing. It did the album a boatload of justice! Without this quality, they wouldn't have sounded as good as they did. I think that altogether the band put forth one helluv a strong full-length! I think that as they progress, they'll only get even better. The guitarwork is sublime and you'll notice right away that it steals the show with just inconceivably top notch music! I support them as the progression gets even better! The music stole it totally! What you'll notice is the darkness of the riffs and the high-quality tremolo picking and takeaway with the leads.

Unfortunately, there was no physical copy of this album. But you can find it on Spotify/Bandcamp. In any event, I think they're definitely worth checking out. If you do like the bands I mentioned as examples, you'll like Withering Soul. They are unique in their own front and they definitely are an underrated band. Maybe their previous wasn't well received, maybe because of a more gothic style of metal rather than on this being melodic black metal. These guys rip and I don't think you'll find anything that disappoints on here. If you are, then you don't appreciate this style! Check them out! (Death8699)


The Pit Tips

Francesco Scarci

Déhà - Contrast II
Zeal & Ardor - Wake of a Nation
Inferno - Paradeigma (Phosphenes of Aphotic Eternity)

---
Alain González Artola

Vallendusk - Heralds of Strife
AIAA 7 - Flores En Mayo
Knights of Nvrul - Sword of Äonheart

---
Death8699

Cardiac Arrest - …In Rotten Retrospect
Destruction - Thrash Anthems
Megadeth - Countdown To Extinction

Edredon Sensible - Vloute Panthère

#PER CHI AMA: Jazz/Avantgarde
Due sassofonisti e due percussionisti, un disco di debutto ed una copertina assurda per una musica ipnotica, poliritmica ed influenzata dalla follia di certo jazz sperimentale quanto dall'avanguardia. Non dimentichiamoci poi di un impatto folle, tra il primo disco degli Ottone Pesante ed i Naked City, meno inquietante e più naif, il tutto nel segno dell'ipnosi psichedelica di certe band trance dei 90s (vedi Seefeel) ed una certa follia liberatrice nello stile del Krautrock. Detto questo, il disco dei francesi Edredon Sensible è molto interessante: gli schemi compositivi a volte si ripetono volutamente per indurre l'ascoltatore in un volo sciamanico/tribale di moderna concezione, evoluzioni soniche con lunghi assoli di sax che si rincorrono, ritmi incalzanti e stravaganti, quasi a immaginare il sound degli X-Ray Spex, spogliato di tutto ma non della sua istericità e del nervosismo tipico del punk. Quando i nostri rallentano sembrano una versione esotica dei Morphine, senza voce né basso, virati all'allucinazione come nel favoloso lunghissimo brano "Blirprulre", dove tra una esplosione e l'altra, poliritmi ossessivi ed una ottima produzione, ritrovo il piacere e l'interesse d'ascolto che un tempo apprezzavo tanto nei fantastici dischi del trio Medeski Martin and Wood, con la stessa fantasia e profondità per la composizione e per la ricerca del suono caldo, vivo, pulsante e presente. Il jazz in 'Vloute Panthère' è sempre dietro l'angolo e fa da solida base, ma la struttura ritmica si contorce e muta in maniera funambolica, tanto che "String et Bermuda", potrebbe essere una rilettura dei concetti percussivi espressi nel capolavoro 'Flowers of Romance' dei Pil, rielaborati con il tocco folle, dissacrante e genuinamente transalpino di band come Brice et Sa Pute, Lfant, Piol, Piniol, un modo di intendere e fare musica ("Jus d'Abricote" ha un'indole spettacolare tra atmosfera cinematografica e danza rituale woodoo) non convenzionale, figlio del dio Zorn ma con uno stile proprio di una scena che conta un sacco di idee e ottime realtà musicali d'avanguardia. Un disco davvero stimolante ma forse non per tutti, semmai adatto ad orecchie ricercatrici, che amano la sperimentazione ortodossa, quella che costruisce passo dopo passo composizioni varie, inaspettate ed ispirate e non vive di sola improvvisazione, ma unisce arte, rumore, capacità tecnica e tanto amore per la musica libera da ogni convenzione. L'ascolto di questo disco è un dovere e a buon intenditore poche parole dovrebbero bastare. (Bob Stoner)

(Les Productions du Vendredi - 2021)
Voto: 78

https://edredonsensible.bandcamp.com/album/vloute-panth-re

mercoledì 25 agosto 2021

Necroart - Let the Carnage Begin

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Thrash
Storico demo (2000) di quattro pezzi più intro e outro per i Necroart, formazione attiva dal 1999 ma che solo un anno dopo sembra aver trovato una formazione stabile. Il nastro sembra risentire della storia travagliata del gruppo poiché è assai eterogeneo: le canzoni presenti sul lato A hanno lo sguardo rivolto verso gli anni ‘80 e alla scuola thrash europea; il lato B contiene pezzi più “freschi”, il cui riferimento principale è un death metal di impronta svedese più o meno melodico. Il tutto è comunque di buona fattura, a tratti personale e ben prodotto, che lascia già intravedere gli interessanti spunti che i nostri mostreranno in futuro.

Misotheismus - Demo 1

#PER CHI AMA: Black Old School
Skoll e Maldu rappresentano due terzi degli Amuleto de Calamidades, e il 100% di questi Misotheismus. I due musicisti, il primo svedese, il secondo dell'Ecuador, suonano poi in un'altra miriade di band del più profondo underground, chissà poi se con gli stessi nefandi suoni. Si, perchè quello dei Misotheismus è un black old school, registrato probabilmente nello scantinato di casa, con le confezioni delle uova attaccate ai muri che evidentemente non sortiscono i desiderati effetti. Che cosa aspettarci da questi quattro pezzi di questa prima demo? Chitarre zanzarose sparate alla velocità della luce, una batteria al fulmicotone che tira fortissimi schiaffi sui piatti, screaming vocals, qualche raro rallentamento (a metà di "Skändad Och Styckad" o la claustrofobica "Lögnens Slut" ), un'attitudine nera come la pece e poco altro. Sono salvabili, qualcuno si chiederà? Beh, se siete dei nostalgici di quelle demotape di fine anni '80, con registrazioni pessime, ma con il gelido calore emanato dal raw black contenuto nei minimalistici 12 minuti di questo nastro, forse i nostri potrebbero anche fare al caso vostro. Se non soddisfate tutti i requisiti qui sopra, lasciate perdere, rischiereste solo di farvi del male con la furia primigenia dei Misotheismus. (Francesco Scarci)

Malgöth - Primordial Dawn

#PER CHI AMA: Black/Death
Ho letto cose addirittura grandiose su questo album in rete, uscito digitale e autoprodotto a fine 2020 e solo a giugno di quest'anno, in versione fisica (12" Lp) per la Iron Bonehead Productions. Ecco, sgombriamo subito il campo col dire che sebbene a volte mi sorga il dubbio di essere un po' stronzo e non esaltarmi cosi facilmente all'ascolto degli album, 'Primordial Dawn' non è assolutamente nulla di avvincente ed emozionante. La band di oggi arriva dal Canada e propone un death/black esoterico (almeno nelle litaniche vocals dell'introduttiva "Possessed Sword of a Thousand Deaths") per poi esplodere in un cacofonico e mal registrato lavoro, che vede ritmiche iper mega serrate e vocalizzi dall'oltretomba, il tutto suonato in modo poco ispirato e decisamente poco originale. I quattro pezzi inclusi nel disco si assomigliano un po' tutti visto il minimo comun denominatore costituito da questa linea di chitarra marcescente, con le vocals (growl profondo e screaming fastidioso) che ci si piazzano sopra non sortendo alcun effetto catalizzante l'attenzione, ma anzi portandomi a lunghi sbadigli. Ci prova il terzetto di Toronto a cambiare le sorti di un EP (di debutto peraltro) destinato alla ghigliottina e lo fanno con l'inserimento di altre parti liturgico/ambientali (l'incipit di "The Opposer"), ma alla fine non ci siamo per nulla e salvare il salvabile, diventa impresa assai ardua. Speriamo che i nostri possano imparare dai propri errori e tornare con sonorità meno moleste. Mi domando invece se quelli che hanno osannato questo album, fossero sotto l'influsso di droghe o cosa... (Francesco Scarci)