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mercoledì 5 febbraio 2014

Dotzauer - Deep

#PER CHI AMA: Post Metal, Isis, Cult of Luna
Come al solito ho bisogno dei miei tempi per recensire un lavoro. Se poi so che di mezzo c'è anche lo spazio per un'intervista, preferisco certamente conoscere i musicisti prima di emettere la mia sentenza. E cosi è stato. Intervista fatta, e un'immagine dei nostri è già abbondantemente chiara nella mia testa. E ora la sentenza. I Dotzauer non sono degli sprovveduti, ma anzi dietro questi visi da bravi ragazzi, si celano dei musicisti con decenni di esperienza alle spalle (all'attivo già un disco con una band di fusion progressive) e un bagaglio tecnico a dir poco invidiabile, addirittura non del tutto palesato all'interno di questo promettente 'Deep'. Ecco 'Deep', l'esordio della band trevigiana, disco maturato e pensato un po' sulla scia dei gusti musicali del bassista, cosi vicino (e chi potrebbe dargli torto) alla emotività che emanano le band post metal, Isis e Cult of Luna, su tutti, veri e propri capisaldi di tutti coloro che si mettono a suonare questo fantastico genere, creduto da tanti come giunto al capolinea. Non sono d'accordo. E le emergenti realtà come i Dotzauer, qui coadiuvati dal vocalist dei Whales and Aurora, sono la prova evidente che c'è ancora tanto da dire in quest'ambito. Sei le tracce a disposizione dei nostri, che attaccano con la classicheggiante (rude e più orientata ad un versante doom) "Organic Silver" (da cui è stato anche estrapolato un video, assolutamente da vedere), per proseguire con "Water Buries the Skyline", che sottolinea la grande capacità dei nostri nel giocare con una serie di arpeggi dal flavour tipicamente post rock, coniugando il tutto con il rifferama marcatamente ribassato del post metal e non solo. I desolanti paesaggi tracciati in 'Somewhere Along the Highway' dai Cult of Luna si coniugano con lo stoner energico dei Mastodon, regalando una sana goduria alle mie orecchie. "Deepster" è un intermezzo drone che apre all'affabile raffinatezza di "Air Hunger": un pezzo che si apre con straordinaria delicatezza, in cui le vocals di Alberto Brunello smettono per un attimo di essere straripanti nei loro vocalizzi growl e si adoperano in una veste decisamente pulita con le linee di chitarra che accompagnano soavi e rilassate. Lecito aspettarsi l'innesco della tempesta: come da copione vengo accontentato e la song si srotola in un riffing minaccioso ma mai efferato, un po' come quel pesce fossile che troneggia sulla copertina del disco. Siamo quasi ai titoli di coda: "Shred of Consciousness" è un'altra perla di suoni post rock, in cui si mischiano addirittura echi di scuola Cynic, ma forse dovrei andare più lontano ancora e ricercare nel blues quei riff di chitarra dell'ottimo Matteo che esplodono nell'arco della traccia, per un risultato finale che come nuovamente si muove tra l'ardore del post e notturne divagazioni ambient, che scomodano oltre che gli Isis anche i gods di Oakland, Neurosis. A chiudere l'ottimo esordio dei Dotzauer, ecco arrivare "When the Soul and the Abyss Wave to Each Other": inizio tiepido, quasi romantico, vocals pulite, per volgere di li a poco, verso un riffing irrequieto e un po' più pesante, ma che non tralascia di riservare splendidi attimi acustici, che confermano la caratura di un terzetto che ora ha il solo compito di trovare un vocalist in pianta stabile. Per ora, ottima prova, da essere confermata con l'album che verrà, magari quello di una maggiore sperimentazione... (Francesco Scarci)


(Red Sound Records - 2013)
Voto: 75

martedì 4 febbraio 2014

Crocell - Come Forth Plague

#FOR FANS OF: Melodic Death, Illdisposed, Amon Amarth
A solid third release from this Danish set, and one that really shows them honing themselves in on where they’re going in the future if the collection of material here is any indication as this is easily their finest release to date. Having honed their songwriting chops, which was a large part of their earlier struggles and more-than-likely responsible for the gap between this and their previous album, that extra time has turned this into a heaping slab of modern Death Metal presided over by a ravenous guitar tone and tight, pounding drumming that accentuates the melodies in the riff-work more than ever, and the result is quite impressive at times. While there’s a multitude of bands attempting to mix the melodic guitar chugging and lead melodies with tight, blasting drumming and pummeling patterns, this is a more than serviceable slice that attempts to slow down the pedestal to those groups and incorporate some Doom elements in the form of their pacing and tempo, not so much in arrangements. This tends to set them up much like countrymen Illdisposed though they opt for more groove rather than the Doom elements here, but the general practice is still the same where it marries melody and brutality in a cohesive package. Despite barely three minutes in length, opener "Perfidious Ceremony" sets the stage to come with barreling drumming, tight guitars and a thick, well-textured sound that offers up far more hints of melody than expected and really sets this off in the right direction. The album’s stand-out track, "The Dark I Will Inhale," tends to encapsulate the majority of what makes this one work with razor-edged riffing, tight leads and a choppy, energetic tempo that never rises up the mid-tempo, yet it works well in displaying what the band is about and how it’s evolved over time with a series of controlled variation switches and tempo changes, making for an overall enjoyable and satisfying track. This tends to crop up in tracks like "Trembling Realms," "Teachings of Terror – Doctrines of Death," "Scars of Red" and the title track, all of which tend to fall into the same overall pattern and presentation that really highlights the main flaw to this in that it does tend to run together with slight variations on the same theme. "My Path of Heresy" contains some rather intriguing acoustic guitar work before dwelling in a thrashing groove that would make Amon Amarth fans happy with its’ technically-proficient rumblings and an extended running time, while "Seven Thrones" sticks out for its overt Doom influence and plodding pace. Overall, though, it doesn’t really do a whole lot to distinguish itself from the hordes out there playing a similar brand of metal who are a lot more accomplished and prolific at accomplishing this feat, so it serves mostly as a turn for the right direction but still not enough to really make a lasting mark. (Don Anelli)

(Metal Hell Records - 2013)
Score: 75

http://www.crocell.dk/

Chaos E.T. Sexual – Ovna

#PER CHI AMA: Post-rock strumentale, Trip hop, Doom
Devo dire che sono affezionato a questi tre parigini, essendo stato il loro album d’esordio, 'Ov', il primo che ho recensito per il Pozzo, un anno fa più o meno esatto. E ora mi avvicino alla loro opera seconda con curiosità e fiducia, che non vengono affatto deluse. Rimangono totalmente fedeli all’originalità della loro proposta, i Chaos E.T. Sexual, ovvero continuare a riproporre ritmiche di stampo hip hop su cui si innestano i riff pesanti della due chitarre, una impegnata nelle linee basse e quasi doom, l’altra libera di inerpicarsi su altezze spesso vertiginose. L’esperienza acquisita sui palchi di mezza Europa ne ha però accelerato la maturazione e sgrezzato il suono, tanto che questa nuova fatica risulta al contempo più raffinata e più potente, più consapevole della direzione da intraprendere. Tutto questo è già evidente nella traccia di apertura – uno dei vertici dell’intero lavoro, “Holy Liars”, che srotola un tappeto di riff assassini su un groove lento, poi doppiato da percussioni tribali e spezzato ad un certo punto da armonie vocali che sembrano giungere dalla California di Crosby Stills & Nash. L’album procede poi su livelli sempre elevati, caratterizzati da una maggior ricchezza di toni e sfumature rispetto all’esordio, soprattutto per via della scelta, azzeccata, di ricorrere anche a percussioni analogiche, e ad una maggiore maturità nell’uso delle chitarre, ora reminiscenti della lezione di Thurstone Moore (come in “Geshar”), ora più ancorate agli stilemi hard doom, o addirittura impegnate in sorprendenti jingle-jangle di sapore orientaleggiante (“Salaam Bombay!”). È evidente anche lo sforzo narrativo di costruire brani più complessi, che si evolvano e, in qualche misura, raccontino una storia anche senza bisogno di parole. Ho lasciato alla fine quella che, in effetti, è la novità più grossa, ovvero il fatto che nel potente brano che da il titolo all’album, i tre si cimentino anche come cantanti, con risultati molto interessanti, soprattutto in ottica futura. In definitiva un disco sorprendente, da consigliare tanto ai metallari più irredenti quanto a chi è avvezzo a sonorità noise e perfino ai fan di Tricky o dei Massive Attack. (Mauro Catena)

Grorr - Anthill

#PER CHI AMA: Death Progressive, Meshuggah, Devin Townsend
Ci ero quasi cascato: una copertina tipica del progressive, una overture meditativa e un approccio vocale pulito quasi Stone Temple Pilots. Insomma ero già pronto ad assegnare questo cd a chi mastica quotidianamente questo genere di suoni. Invece poi il mio sesto senso mi ha imposto di andare oltre ed ascoltare almeno la prima traccia. Ed eccole fragorose le chitarre fare breccia nel mio cervello, deragliare come un treno fuori controllo, e le vocals tradire la loro prima apparizione, con un growling bello incazzato. Ma è il lavoro alle 6-corde che polarizza maggiormente la mia attenzione, con un riffing impetuoso (Sepultura), serrato (Meshuggah) e nevrotico (Devin Townsend), mitigato da suoni orientali di strumenti etnici indiani e giapponesi (sitar, hurdy gurdy e flauto), nonchè da vocalizzi puliti che rievocano il grunge di primi anni '90. Inebriato da cotanta inconsueta bellezza, mi lancio nell'ascolto dei capitoli che costituiscono questo concept cd che narra l'evoluzione vitale di un formicaio, dalla sua fondazione (“Once Upon a Time”), espansione e lotta (nella devastante “We - War”), fino al suo letargo autunnale e rinascita (“Once Upon Again”). Mi immergo in un nuovo mondo cercando di carpire ogni suo piccolo movimento con l'ausilio delle cuffie, capaci di trasmettere ogni piccolo particolare del suono naturale che ritroviamo in 'Anthill'. L'album nella sua interezza cita con grande carisma e personalità, le follie djent dei Ganesh Rao, superando poi di gran lunga gli ultimi prodotti di Tesseract e soci. Signori fermatevi, e ascoltate questo lavoro di una band che se non si perderà, avrà la capacità di farvi toccare il cielo con un dito. Il death metal dei ragazzi di Belo Horizonte (Sepultura) si unisce con un concentrato innovativo folk, il grunge si fonde con il djent attraverso l'utilizzo di partiture progressive; ritmi tribali, echi di una sacralità buddista, un minimalismo marziale, divagazioni celtiche ed il misticismo dell'induismo e del confucianesimo si coniugano inaspettatamente in un lavoro heavy metal. Sono incredulo, non pensavo fosse possibile arrivare a tanto. I francesi Grorr scavalcano e surclassano i loro conterranei Gojira, mettendo in mostra una notevole intelligenza compositiva, una buona dose di muscoli e tante meravigliose insane idee, toccando i punti più imprevedibili della musica, della tradizione e della religione, per un risultano finale più unico che raro, che metterà d'accordo, una volta per tutte, tutti i gusti musicali. Incredibili! (Francesco Scarci)

(Self – 2013)
Voto: 90

https://www.facebook.com/pages/Grorr

lunedì 3 febbraio 2014

Dead Mountain Mouth - Crystalline

#PER CHI AMA: Psych black metal, Oranssi Pazuzu, Cynic
Con incolpevole ritardo, mi appresto a dare il mio parere a 'Crystalline', cd del solo project francese Dead Mountain Mouth che ha catturato il mio interesse per quella sua cover astrale che fotografa uno splendido cielo stellato. Quando poi ho premuto il play sul lettore e la traccia in apertura, la title track, ha iniziato a suonare nelle casse, ho avvisato istantaneamente un senso di vertigine per quei suoi suoni soffocanti e ipnotici al tempo stesso; una pastiglia di extasy non credo mi avrebbe procurato lo stesso effetto. Se volete immaginare il sound di Mr. Lundi Galilao (chissà se questo riferimento al nostro Galileo Galilei è voluto), potrete prendere in prestito quello dei talentuosi e folli Oranssi Pazuzu, mischiarlo a roboanti riffoni post metal, di quelli belli ribassati e aggiungere delle vocals tra il pulito e lo sclerato, per un risultato eccellente, che sicuramente vi procurerà pesanti mal di testa. Cosi me ne esco appunto dalla opening track, palesemente stordito e felice. Felice perchè ancora una volta ho trovato qualcosa che solletichi non poco il mio interesse, il mio palato sempre più raffinato e stimoli il mio cervello a tratti rattrappito. "200" attacca ai 200 km/h o forse qualcosa in più: song super incazzata che, trascinata da una drum machine funambolica, martella che è un piacere, schiacciando quei quattro neuroni che popolano la mia testa. Metteteci poi una serie di suoni alieni e ubriacanti, vocals stridule lancinanti e un bel growling, frutto della collaborazione con Gloria Tetanos, il risultato è a dir poco eccezionale. Peccato sempre che io non sia un grande fan del suono ovattato della batteria elettronica, altrimenti mezzo punto in più l'avrei dato. Con "With Swans and Silver Wings" si parte molto più in sordina, ci si impiega quasi tre minuti prima di entrare a regime e farsi trascinare dal suono decisamente più rallentato (bello il break centrale, a tal proposito), non per questo meno incisivo, del mastermind transalpino, che in questa song si serve del testo di 'Ramayana' per le liriche. Dopo questa bella boccata di ossigeno mi rilancio nella corsa ad ostacoli che mi riserva la lunga (quasi undici minuti) "Lying in Outer Space". Una song che batte il tempo con un ritmo psicotico e marziale, contrappuntato da una gamma di voci davvero particolare e da una linea melodica di difficile assimilazione, ma di assoluto valore. La musica dei Dead Mountain Mouth in effetti non è sempre cosi semplice da ascoltare, tantissime le idee inserite nella matrice musicale del polistrumentista francese che a volte si corre il rischio di perdere la bussola. Un risultato simile l'ho avvertito durante l'ascolto degli album più sperimentali di Devin Townsend, questo per dire che la vena pazzoide del bravo Lundi potrebbe essere accostabile a quella dell'imprevedibile musicista canadese. Ancora un lungo brano (il disco contiene sette tracce per un'ora di musica), "Among the Stones", un altro pezzo dai toni rilassati e in cui il post metal si miscela con suoni progressivi e d'ambiente in una fusione di stili davvero coinvolgente. Con "A Newborn Earth" mi sembra quasi di avvertire influssi dei Cynic, mentre la conclusica "Ignite" regala altri deliranti minuti di suoni che arrivano da Marte che evocano i miei cari amici australiani Alchemist. Che altro dire, le parole parlano chiaro: Lundi Galilao arriva dallo spazio, diamogli pertanto un bel messaggio di benvenuto ascoltandone e apprezzandone la sua vibrante musica. (Francesco Scarci)

domenica 2 febbraio 2014

Baradj – Nardughan

#PER CHI AMA: Post Folk Metal
Experimental post progressive hard melodic death bulgar folk rock metal core band. Fa bella vista di se in copertina, la descrizione del genere proposto da questi 4 ragazzi russi (per la precisione provengono dalla città di Kazan); se loro si definiscono così precisamente, noi ci crediamo. Per un “romantico” come me, tenere in mano un bel digipack curato come quello in questione, è già un ottimo punto di partenza; decisamente bello l'artwork, passiamo ad analizzare la scaletta che compone questo cd: titoli impronunciabili poiché cantati in lingua tartara, disegnano un puzzle composto da 16 tessere. Penso subito siano troppe, ma durante l'ascolto vengo puntualmente sconfessato in quanto molti pezzi sono veri e propri intermezzi strumentali perlopiù acustici. Veniamo al dunque: siamo di fronte ad un buon prodotto, lo anticipo subito, anche se qualcosa sembra non funzionare a dovere. Sarò più conciso della “autodefinizione” del genere proposto; essenzialmente si tratta di un buon metalcore abbastanza classicheggiante con fortissime influenze di musica folk tradizionale. Per intenderci una sorta di incrocio tra i migliori “nostri” Lacuna Coil e un duo di musicisti folk, armati di chitarre acustiche e vari strumenti tradizionali. Di metal estremo (sia esso death o thrash) non c'è traccia, al contrario di quanto dichiarato in copertina...ma consideriamolo un vizio di forma. I suoni sono molto curati e la tracklist scorre via senza intoppi e anche piuttosto piacevolmente, la prestazione strumentale è di tutto rispetto e la qualità media delle composizioni si attesta su un livello quantomeno discreto. Le clean vocals della “frontgirl” sono buone e si alternano a degli interventi in growl di un altro componente del quartetto, rendendo le canzoni piacevoli ma piuttosto monotone; mi riesce difficile, infatti, distinguere le canzoni l'una dalle altre (sarà per questo la ragione di un così massiccio uso di intermezzi strumentali?). Mi sento, comunque, di segnalare e apporre il segno “+” su alcune tracce , tra le quali spiccano la titletrack “Nardughan” , la davvero bella “Harkemnen” e la finale “Bars”. Come si suol dire, niente di nuovo sotto il sole...ma in questo caso l'importante è starci sotto il sole; anche se non passerà alla storia, questo cd ha delle qualità che mostrano un gruppo in ottima forma e con grandi capacità che devono essere soltanto messe a fuoco un po' meglio. Li attendo volentieri alla prossima prova, i Baradj ci sono e sanno il fatto loro; i risultati non tarderanno ad arrivare. (Claudio Catena)

(Self - 2012)
Voto: 70

http://www.baradj.com/

Monolithe – Monolithe III

#PER CHI AMA: Funeral doom, Ea, Shape Of Despair
Guardate, su in cielo! E' un uccello! E' un aereo! NO, è funeral doom metal!!! … in realtà no, o meglio, non solo, o non più. Insomma, chi di voi vede nel ramo funereo del metal la propria via, sicuramente conoscerà le gesta dei quattro ragazzi francesi noti come Monolithe, mostri lenti e cavernosi che ci hanno abituati a sberle colossali di musica lugubre, interminabili suite della durata di poco inferiore all’ora. Ebbene, in questo terzo lavoro inteso come full-lenght la formula si ripete, con ben 52 minuti di canzone. Ecco, i paragoni e le affinità con gli album precedenti, a mio parere (e per quel che può valere), si esauriscono qui. Voglio essere onesto: non ho mai ben sopportato i dischi marcati Monolithe, i quali peccavano di prolissità ed eccessivo carattere monocorde nelle composizioni e nel mood, togliendo il fiato più che altro per sfinimento che per vera bellezza degli arrangiamenti. Certo, il funeral in parte si caratterizza proprio da questa tendenza a mantenersi e ripetersi nel suo incedere, appunto come una marcia funebre, un carrozzone che procede a passo d’uomo stanco e azzoppato, e guai se non fosse così… ma questo può rappresentare anche un rischio, la solita lama a doppio filo. Tenendo presente il fatto che questo disco, targato 2012, in realtà doveva uscire già nel 2008, a soli 3 anni di distanza dal precedente 'Monolithe II' (tralascio per semplicità i vari “Interlude”), viene da pensare che sia stato rimaneggiato parecchio, ed in meglio! Se la matrice doom permane (per grazia di Dio), il carattere dei Nostri è sicuramente mutato e maturato, incorporando molti elementi diversi, ribilanciando la pesantissima componente funeral e stemperandola con inserti al limite della psichedelia e, per certi versi, orientati verso il nuovo modo di intendere il black nelle sue aperture più melodiche e rallentate. Poco spazio è lasciato alla voce in growl, ma senza che rimanga nessun vuoto, in quanto è intesa al pari degli altri strumenti ed usata come tale. Pregevolissimo il lavoro delle tastiere e del programming, indispensabile per ottenere l’effetto “sguardo al futuro” ricercato dalla band; le chitarre mantengono il loro stile ben noto nello sviluppo dei vari riff, sporcandosi maggiormente rispetto al passato e assumento quindi sfumature più corpose, ma d’altro canto rappresentando forse l’ultimo vero legame con il precedente periodo; bene la sezione ritmica. Siamo onesti, recensire questo disco a più di un anno dalla sua pubblicazione comporta scrivere di un lavoro già analizzato e sviscerato in altre sedi, e risulta più difficile in quanto si può incorrere nel rischio di ripetere concetti già detti e noti. In questo caso, tuttavia, mi sento assolutamente in buona fede nel (ri-)affermare che il vero tallone d’Achille di 'Monolithe III' è rappresentato dal rimasuglio di cordone ombelicale che lega i ragazzi francesi al loro passato: non si può parlare ancora di capolavoro, ma la strada è giusta e paga, basta solo un po’ di coraggio in più. Per concludere, un mio piccolo consiglio: riascoltate (e se non conoscete, recuperate) i due precedenti full-lenght, quindi passate a questo terzo capitolo, in modo da assaporare il notevole salto di qualità. Per completezza ed onestà si fa presente che lo scorso anno la band ha pubblicato il quarto album, non considerato in sede di questa recensione… a tal proposito, si spera di rivedersi a breve su queste pagine! (Filippo Zanotti)

(Debemur Morti - 2012)
Voto: 75

https://www.facebook.com/monolithedoom

Kultika - The Strange Innerdweller

#PER CHI AMA: Post Metal, Isis
La pila di cd sopra la mia scrivania aumenta inesorabilmente giorno dopo giorno, tuttavia come perdere l'entusiasmo di recensire nuove band se tra le mani poi mi capita di avere dischi come 'The Strange Innerdweller', che non fanno altro che aumentare la mia linfa vitale e spingermi a scrivere e scrivere ancora. Avrete capito da questo mio cappello introduttivo che apprezzo e non poco questi neo arrivati Kultika. La band di Timisoara si fa promotrice di un sound dedito al post metal che strizza l'occhiolino inevitabilmente ai soliti act, Isis e Cult of Luna, su tutti, ma lo fa con una personalità ed un gusto del tutto fuori dal comune. Poco importa se i nostri ci annichiliscono con le loro sette tracce per un concentrato che sfiora di poco i sessanta minuti. I contenuti di questo lavoro si riveleranno elevatissimi. “Rising from the Sea” mette immediatamente in luce i punti di forza di questo disco: produzione maestosa, suoni vibranti pieni di pathos, con le vocals di Jack e Bruno che si alternano tra un profondo growling e vocalizzi puliti e le atmosfere che alternano tempeste elettriche a frangenti acustici dai riverberi notturni. Ecco la pelle d'oca alzarsi sulle mie braccia, indice che 'The Strange Innerdweller' mi piace davvero molto e segno inconfutabile che la mia valutazione si assesterà su un ottimo 8,5. Vivaci, brillanti, energici, i Kultika a mio avviso hanno già una maturità da veterani. Aggiungete poi che l'accattivante veste grafica del cd, dona quel tocco di classe che mi obbliga a imporvi di dare una grande possibilità a questo disco. Scorrendo velocemente i titoli, posso dirvi che “Insects” è una song dalla duplice anima, in cui emerge anche una certa influenza di “tooliana” memoria, in cui non posso che mettere in luce l'eccellente bagaglio tecnico dell'act rumeno, e apprenzando enormemente il loro inusuale gusto melodico. Una canzone da quasi 10 in pagella. “Water” ha un ipnotico rifferama rock venato di sfumature doom; la title track è contraddistinta da ondeggi arabeschi contornati da suoni di ispirazione space rock che confermano la notevole ispirazione dei nostri. Echi psichedelici fuoriescono in “Cries of Eiram”, dove ancora si incontrano e scontrano le anime del post rock, doom e sludge in un vortice catartico di suoni meravigliosi che danzano sinuosi davanti ai miei occhi. Con le ultime due tracce preparatevi ad affrontare altri 21 minuti di musica, che forse hanno il solo difetto di risultare talvolta ridondante. Evocazioni notturne, vocals graffianti e una costante percezione malinconica chiudono un lavoro che farà la gioia di tutti gli amanti di sonorità post, che piangono ancora la dipartita dei monster Isis. Saranno forse i Kultika a raccoglierne lo scettro? Ebbene, io lo auspicherei... (Francesco Scarci)

(Self – 2013)
Voto: 85

http://www.officialkultika.com/